INTRODUZIONE
L’attività sportiva è, da tempo, entrata nella vita, negli usi e nella cultura di
tutti i popoli: ogni paese ha un proprio “sport nazionale” capace, in
occasione di determinati eventi, di catalizzare l’attenzione dell’intera
nazione e diventare argomento di interesse quotidiano per l’opinione
pubblica.
La rilevanza che lo sport ha assunto nel corso degli anni a livello globale
si evince, ad esempio, dall’emanazione di numerosi atti e accordi, a partire
1
dalla Carta Olimpica o dalla Carta internazionale dell’educazione fisica e
2
dello sport, che attribuiscono all’attività sportiva un ruolo essenziale nella
tutela della salute e nell’educazione degli individui, diffondendo quei
principi e quei valori che sono fondamentali per la formazione dell’identità
personale, soprattutto dei giovani.
Tuttavia, con il passare degli anni, lo sport si è trasformato in un vero e
proprio business, con conseguente esplosione di interessi economici che, di
fatto, ne inficiano l’essenza e sollevano nuove problematiche sociali,
politiche, ma anche giuridiche. In tal senso è recente la presa di coscienza da
parte del mondo giuridico dell’esistenza e della costante espansione del
cosiddetto diritto dello sport (moderna branca del diritto in continua
evoluzione); un insieme di norme, sostanziali e processuali, statali o figlie
dell’ordinamento interno, che presentano inerenze con l’ambito sportivo.
A fronte di una siffatta struttura, è facile comprendere come i rapporti
giuridici nascenti in ambito sportivo trovino, dunque, una complessa
regolamentazione, composta da disposizioni normative nazionali e
comunitarie, regole delle organizzazioni statali e regole delle organizzazioni
internazionali.
L’intento di questo elaborato è, quindi, quello di esaminare un tema quale
la libera circolazione degli sportivi nel territorio comunitario attraverso
1
La Carta è datata 1894, ed è un vero e proprio statuto dell’ordinamento sportivo internazionale, su
cui si basa la regolamentazione del neonato “Comitato interministeriale dei Giochi Olimpici”,
divenuto poi nel 1900 “Comitato olimpico internazionale” (CIO).
2
La Carta, approvata dall’UNESCO nel 1978, pone lo sviluppo dell'educazione fisica e dello sport al
servizio del progresso umano, al fine di favorire e diffondere la pratica sportiva.
1
un’analisi delle fonti comunitarie, delle norme poste dall’ordinamento
sportivo e delle decisioni giurisprudenziali intervenute per opera della Corte
di giustizia dell’Unione europea. Partendo da una definizione di lavoratore
comunitario, si analizza, poi, la libera circolazione delle persone, la quale si
specifica in tre fondamentali diritti: quello della libera circolazione dei
lavoratori (artt. 39-42 del trattato CE), quello di stabilimento (artt. 43-48) e
quello di libera prestazione di servizi (artt. 49-55). Ovviamente, correlato
alla libertà di circolazione e alla libera prestazione di servizi, assume
notevole importanza nella dottrina comunitaria il principio di non
discriminazione.
Dopo aver definito il quadro giuridico comunitario inerente, l’analisi si
focalizzerà sulla relazione esistente tra sport e diritto comunitario,
tracciando le linee generali dell’azione comunitaria nel settore dello sport e
facendo riferimento alla disciplina attinente alla libera circolazione dei
lavoratori, applicabile al lavoratore sportivo; a conclusione del secondo
capitolo sarà riportata la giurisprudenza della Corte di giustizia in materia,
con due sentenze che hanno posto le basi della famosa sentenza Bosman, la
quale ha rivoluzionato la libera circolazione degli sportivi nell’Unione
europea. Proprio da quest’ultima sentenza discende una copiosa
giurisprudenza, che porterà ad un nuovo approccio verso lo sport e ad un
crescente interesse in ambito comunitario per tale settore. Saranno passati
in rassegna casi, tratti dalle più svariate discipline, di atleti comunitari,
extracomunitari (in senso stretto) ed extracomunitari provenienti da paesi
che godono di accordi di cooperazione e libera circolazione con l’Unione
europea.
Infine, si analizzeranno quelle che sono le misure adottate da diversi
attori nazionali ed internazionali (leghe, federazioni) per conciliare la tutela
dei vivai, che permette di sopravvivere e di salvaguardare l’aspetto
economico delle società, con il rispetto dei principi di libera circolazione e
non discriminazione in ambito comunitario; l’Unione europea, tramite la
giurisprudenza della Corte di giustizia, è entrata più volte in contrasto con i
suddetti attori internazionali, al fine di salvaguardare i principi in questione.
In particolare la normativa UEFA (home grown players) e la normativa
FIFA (6+5) (per rimanere nel calcio, ma federazioni di altri sport hanno
seguito la stessa strada) dirette a tutelare vivai e rappresentative nazionali,
2
hanno acuito lo scontro con l’Unione europea, fino a raggiungere un
compromesso che, probabilmente, non accontenta nessuno.
Il dibattito su tali questioni presentate in ultima analisi è sempre acceso
ed in continua evoluzione di questi tempi: l’obiettivo di questo elaborato è
quello di tracciare delle possibili vie di sviluppo in questa diatriba più che
mai attuale in ambito comunitario.
3
CAPITOLO 1: LA LIBERA CIRCOLAZIONE
DEI LAVORATORI
1. Aspetti generali
Quando si parla di diritto, un riferimento esclusivo e limitato alla normativa
nazionale sarebbe riduttivo e poco corretto, visto che il nostro Paese fa parte
della Comunità europea fin dal 1957, a seguito della stipulazione del
1
Trattato che istituisce la Comunità economica europea.
Tra i settori in cui il diritto comunitario ha svolto e svolge la sua funzione
preponderante di uniformatore spicca sicuramente il diritto del lavoro.
L’estrema rilevanza della disciplina della libera circolazione delle
2
persone, sottolineata già dall’originario Trattato di Roma, emerge anche
dalla conferma dell’affiancamento ad altre libertà riconosciute come quelle
delle merci, dei servizi e dei capitali, nel Trattato CE: le quattro libertà
fondamentali sono,quindi, associate all’obiettivo dell’attuazione del mercato
interno, infatti la libera circolazione ha una caratterizzazione prettamente
economica all’interno del Trattato, funzionale al raggiungimento degli
obiettivi della Comunità.
Tale caratterizzazione viene rispecchiata nella premessa del Regolamento
n.1612/1968, laddove si afferma che “la mobilità della manodopera nella
Comunità deve essere uno dei mezzi che garantiscano al lavoratore la
possibilità di migliorare le sue condizioni di vita e di lavoro e di facilitare la
1
Trattato firmato a Roma il 25 marzo 1957 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1958, istituisce e
disciplina la Comunità economica europea (CEE).
2
L’art. 3 del Trattato istitutivo della Cee prevedeva “la libera circolazione delle merci, delle persone,
dei servizi e dei capitali”.
4
sua promozione sociale, contribuendo nel contempo a soddisfare le
3
necessità dell’economia degli Stati membri”.
Tra le quattro libertà fondamentali, la libera circolazione dei lavoratori è
essenziale per garantire quella mobilità della manodopera che, assicurando
una migliore allocazione delle risorse e favorendo l’integrazione tra i diversi
popoli, è garanzia di progresso economico e sociale.
E’ evidente come la Corte affermi, in maniera univoca, che quelli attribuiti
dall’art.39 del Trattato sono diritti soggettivi che i giudici nazionali devono
tutelare: “la suddetta norma impone agli Stati membri un obbligo preciso,
che non richiede l’emanazione di alcun ulteriore provvedimento da parte
delle istituzioni comunitarie o degli Stati membri e non consente a questi
4
ultimi alcuna discrezionalità sulla sua applicazione”.
Nel corso del tempo sono seguite numerose modifiche al Trattato CEE:
l’Atto Unico Europeo (1987), che attua il mercato unico; il Trattato di
Maastricht (1992), che istituisce l’Unione Europea; il Trattato di
Amsterdam (1997) che modifica il Trattato sull'Unione europea; il Trattato
di Nizza (2003), che modifica, in particolare, l’articolazione giudiziaria
della Comunità; il Trattato di Atene (2003) con le modifiche conseguenti
all’allargamento della Comunità ai paesi dell’Est; infine, la recente entrata
in vigore del Trattato di Lisbona (2009), che rafforza la partecipazione
democratica sul territorio europeo e la capacità dell'Unione europea di
promuovere quotidianamente gli interessi dei propri cittadini, dotando l'UE
di mezzi adeguati per rispondere in modo efficace ed efficiente alle sfide del
mondo attuale.
Come già detto in precedenza, una delle libertà fondamentali previste dal
Trattato CE è proprio la libera circolazione dei lavoratori all’interno della
Comunità europea; prima che la giurisprudenza comunitaria, e in seguito il
legislatore, intervenisse ed estendesse questa libertà al semplice fatto
dell’essere cittadini, la possibilità di circolare liberamente in tutto il
territorio comunitario era collegata alla qualità dell’essere un lavoratore
3
Roccella M., Treu T.: Diritto del lavoro della Comunità Europea, IV edizione, 2007, CEDAM,
Padova.
4
Corte di Giustizia, causa C-41/74, Van Duyn – Home Office, 1974, p.to 6.
5
subordinato. Solo successivamente il principio di libera circolazione è stato
5
esteso al semplice fatto dell’essere cittadino europeo.
Questo significa che i lavoratori, o anche aspiranti tali, possono svolgere la
propria attività lavorativa in qualsiasi Stato membro alle stesse condizioni
dei lavoratori cittadini dello Stato ospitante; non è ammessa alcuna
discriminazione fondata sulla nazionalità per quanto riguarda l’accesso, lo
svolgimento del rapporto di lavoro e la retribuzione, fatte salve le
limitazioni previste dalla normativa comunitaria (paragrafo 5 del corrente
capitolo).
Il contenuto fondamentale del diritto di libera circolazione è
identificabile, infatti, nella garanzia di parità di trattamento in materia di
accesso al lavoro, in ogni Stato membro, fra lavoratori nazionali e lavoratori
provenienti da altri paesi della Comunità. Il divieto di discriminazione in
relazione all’accesso al lavoro permette di rendere operativo il principio
generale stabilito dall’art.7 del Trattato, secondo il quale “è vietata ogni
6
discriminazione effettuata in base alla nazionalità”.
Per approfondire il tema della libera circolazione, strettamente collegato,
come anticipato, all’applicazione del principio di non discriminazione,
ritengo necessario procedere con l'individuazione delle fonti di tale diritto
tutelato a livello comunitario, per passare, poi, ad esaminare la nozione
comunitaria di lavoratore, utile per comprendere meglio l’attuazione di tali
principi comunitari.
2. Il diritto di libera circolazione nelle fonti
7
Il tema della libera circolazione è delineato già nel Trattato CECA e nel
8
Trattato Euratom, per trovare, poi, pieno riconoscimento nell’art.48 del
Trattato CEE (Trattato di Roma 1957), ora art. 39 TCE.
5
L’art.17 del Trattato di Amsterdam istituisce il concetto di cittadinanza dell’Unione, secondo cui “è
cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza
dell’Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima”.
6
Roccella M, Treu T., Diritto del lavoro della Comunità europea, IV edizione, 2007, CEDAM,
Padova, p.86.
7
Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, 1951.
6
910
Spetta al Consiglio, mediante l’emanazione di direttive o regolamenti e
deliberando a maggioranza qualificata, il compito di mettere in atto le
misure necessarie per l’attuazione ed il rispetto del diritto di libera
circolazione sul territorio comunitario.
In via preliminare, l’art.18 del Trattato CE definisce il concetto di
cittadinanza europea, prevedendo che “ogni cittadino dell'Unione ha il
diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati
membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente
Trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso”. In questo
senso, appare evidente, quindi, come la libertà di circolazione non sia solo
principio fondamentale dell’ordinamento comunitario, ma anche,
unitamente al diritto di soggiorno, “diritto fondamentale del cittadino
europeo ai sensi dell’art.18 n.1 TCE, non subordinato all’esercizio di
11
un’attività economica”.
Più recente è, invece, un’altra fonte rilevante ai fini della libera
circolazione dei lavoratori, cioè la Carta di Nizza (2000), il cui art.15
disciplina la “Libertà professionale e diritto di lavorare”, secondo cui:
- ogni persona ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione
liberamente scelta o accettata;
- ogni cittadino dell'Unione ha la libertà di cercare un lavoro, di
lavorare, di stabilirsi o di prestare servizi in qualunque Stato
membro;
- i cittadini dei paesi terzi che sono autorizzati a lavorare nel territorio
degli Stati membri hanno diritto a condizioni di lavoro equivalenti a
quelle di cui godono i cittadini dell'Unione europea.
8
Trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica, 1957.
9
Le direttive non hanno portata generale, ma vincolano solo lo Stato o gli Stati membri destinatari, e
non sono obbligatorie in tutti i loro elementi, in quanto impongono ai destinatari un obbligo di
risultato, lasciando alla loro discrezione la scelta dei mezzi. Le direttive non sono direttamente
applicabili, ma hanno efficacia mediata, ossia creano diritti e obblighi soltanto in seguito all'adozione
da parte dei singoli Stati membri degli atti con cui vengono recepite.
10
I regolamenti hanno portata generale, i destinatari sono, infatti, tutti i soggetti giuridici comunitari,
Stati membri e persone fisiche e giuridiche degli Stati stessi; la portata generale del regolamento è
sottoposta alla verifica della Corte di giustizia sotto il profilo della sua impugnabilità da parte dei
singoli, visto che possono impugnare solo quegli atti che li riguardino direttamente e individualmente,
cioè gli atti che non abbiano portata generale. Si tratta, inoltre, di strumenti obbligatori in tutti gli
elementi: le norme che essi pongono in essere sono destinate a disciplinare la materia e vanno
osservate come tali dai destinatari.
11
Di Martino A., Diritto di cittadinanza dell’Unione europea ed interpretazione estensiva del diritto
di circolazione e di soggiorno, Associazionedeicostituzionalisti.it, 2006.
7
I diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea assumono, con l’entrata in vigore dell’art.6 del Trattato
di Lisbona (2009), la forza giuridica dei trattati comunitari, entrando di
fatto, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tra le fonti
vincolanti dell’ordinamento comunitario. Tuttavia, sul valore della Carta di
Nizza si ritornerà nel corso del capitolo in tema di discriminazione e rispetto
dei principi fondamentali dell’Unione europea (paragrafo 5).
Per procedere ad un esame completo delle fonti del diritto di libera
circolazione all’interno del territorio comunitario, è necessario analizzare il
cosiddetto diritto comunitario derivato.
Bisogna risalire fino al 1961 per trovare la prima disciplina in materia di
libera circolazione dei lavoratori, si tratta del Regolamento n.15 del 1961
“relativo ai primi provvedimenti per l’attuazione della libera circolazione
dei lavoratori all’interno della Comunità”; la norma di apertura di tale
regolamento prevede che “ogni cittadino di uno Stato membro è autorizzato
ad occupare un impiego subordinato sul territorio di un altro Stato membro,
qualora per il posto vacante non sia disponibile nessun lavoratore idoneo tra
la manodopera appartenente al mercato regolare del lavoro dell’altro Stato”,
sancendo di fatto la priorità del mercato nazionale del lavoro.
Accanto al Regolamento n.15 del 1961 è stata emanata la Direttiva del 16
agosto 1961 “in materia di procedure e di pratiche amministrative relative
all’ingresso, all’occupazione e al soggiorno dei lavoratori di uno Stato
membro, nonché delle loro famiglie, negli altri Stati membri della
Comunità”; sia il regolamento, che la direttiva hanno mantenuto l’esigenza
del rilascio al lavoratore migrante comunitario di un permesso di lavoro,
tuttavia la direttiva ha facilitato la mobilità intracomunitaria, abolendo
l’obbligo del visto d’entrata sia per il lavoratore migrante che per i suoi
familiari, consentendo di subordinare l’ingresso all’interno di ciascuno Stato
membro alla sola presentazione di una carta di identità valida o di un
passaporto, rilasciati dal paese d’origine.
La seconda fase del processo di attuazione della libera circolazione dei
lavoratori è stata avviata con il Regolamento n.38 del 1964 per giungere,
poi, all’adozione del Regolamento n.1612 e della Direttiva 360, entrambi
datati 1968.
8
Il regolamento n.38/64 ha esteso l’ambito soggettivo dei beneficiari del
diritto di libera circolazione ad alcune categorie di lavoratori fino ad allora
escluse (stagionali, frontalieri) ed ha sostituito il criterio di priorità del
mercato nazionale del lavoro con l’opposto criterio della priorità del
12
mercato comunitario del lavoro: la priorità del mercato comunitario del
lavoro ha trovato, tuttavia, una limitazione nel mantenimento della clausola
di salvaguardia, in forza della quale a ciascuno Stato membro è riconosciuta
la facoltà di sospendere l’applicazione del principio (di priorità del mercato
comunitario) fissato dal regolamento, qualora si fosse verificata una
13
situazione di eccedenza di manodopera in una data regione o professione.
Infine, è doveroso ricordare la Direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei
lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi, ove è previsto che per
una serie di condizioni di lavoro e di occupazione si applichi al rapporto di
lavoro del lavoratore distaccato il diritto dello Stato nel quale egli svolge la
14
prestazione.
I lavoratori distaccati, infatti, a differenza dei lavoratori definiti dall’art.39,
non accedono direttamente al mercato del lavoro del paese membro ospite,
ma seguono il datore di lavoro, che svolge la propria prestazione
transnazionale di servizi rimanendo stabilito prevalentemente nel proprio
15
paese d’origine.
La Direttiva ha portato a definire un quadro di regole alle quali gli Stati
membri hanno dovuto attenersi nella definizione delle condizioni di lavoro e
di occupazione dei lavoratori distaccati temporaneamente sul proprio
territorio da imprese stabilite in altro Stato membro: in particolare l’intento
12
Regolamento 38/1964 art. 1.1: “diritto di ogni cittadino di uno Stato membro di occupare un
impiego subordinato sul territorio di un altro Stato membro quando il posto vacante sia stato
segnalato al competente ufficio del lavoro e di rispondere a qualsiasi nuova offerta d’impiego in
qualsiasi regione o professione”.
13
Roccella M., Diritto del lavoro della Comunità europea, IV edizione, 2007, CEDAM, Padova,
p.74 ss.
14
Corte di Giustizia, causa C-279/80, Procedimento penale a carico di A.J. Webb, 1981, p.to 16:
“l’art. 60 comma III, ha anzitutto lo scopo di rendere possibile al prestatore di servizi l’esercizio della
propria attività nello Stato membro destinatario della prestazione, senza alcuna discriminazione nei
confronti dei cittadini di tale Stato. Esso non implica, tuttavia, che qualsiasi disciplina nazionale che
si applichi ai cittadini di tale Stato e si riferisca normalmente ad un’attività permanente delle imprese
stabilite in tale Stato, possa essere integralmente applicata anche ad attività di carattere temporaneo
esercitate da imprese aventi sede in altri Stati membri”.
15
Giubboni S. Libera circolazione dei lavoratori e libera prestazione dei servizi nell’ordinamento
comunitario, Urge working paper 1/2009, p.6.
9
è stato quello di assicurare una “tendenziale parità di trattamento tra le
imprese che svolgono una prestazione di servizi transnazionale e quelle del
16
paese ospitante”. È posta in primo piano, quindi, la necessità difendere le
imprese interne dalla concorrenza di quelle estere, le quali avrebbero potuto
avvantaggiarsi dal fatto che il costo del lavoro fosse più basso, e si è puntato
a tutelare l’attività dei lavoratori interni, proteggendo le imprese che li
avessero impiegati.
Le tre ipotesi considerate dalla Direttiva n.96/71 sono: un’impresa che
distacchi un lavoratore “per conto proprio e sotto la propria direzione, nel
territorio di uno Stato membro, nell’ambito di un contratto concluso tra
l’impresa che lo invia e il destinatario della prestazione di servizi che opera
in tale Stato membro, purché durante il periodo di distacco esista un
rapporto di lavoro tra il lavoratore e l’impresa che lo invia” (art.1, par.3,
lett.a); un’impresa che distacchi un lavoratore “nel territorio di uno Stato
membro, in uno stabilimento o in un’impresa appartenente al gruppo,
purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il
lavoratore e l’impresa che lo invia” (art.1, par.3, lett. b); infine, è
considerata l’impresa di lavoro temporaneo o che svolga attività di cessione
temporanea di lavoratori, la quale distacchi un lavoratore “presso
un’impresa utilizzatrice avente la sede o un centro di attività nel territorio di
uno Stato membro, purchè durante il periodo di distacco esista un rapporto
di lavoro tra il lavoratore e l’impresa di lavoro temporaneo o l’impresa che
lo cede temporaneamente” (art.1, par.3, lett.c).
In tutti e tre i casi è necessario che venga mantenuto un rapporto
giuridico diretto tra lavoratore distaccato e impresa di appartenenza, per
tutta la durata del distacco; ciò presuppone l’esistenza di criteri che
permettano di definire chiaramente chi è il datore di lavoro del lavoratore
distaccato, e “sarebbe opportuno che tali criteri venissero definiti dalla
17
Commissione, o in via interpretativa, dalla Corte di giustizia”.
Tuttavia, la Direttiva 96/71 si presenta come uno strumento di tutela della
concorrenza, volto ad individuare regole ben definite per le imprese e limiti
16
Carabelli U., Una sfida determinante per il futuro dei diritti sociali in Europa: la tutela dei
lavoratori di fronte alla libertà di prestazione dei servizi nella CE, RGL I/2007.
17
Borelli S., Un possibile equilibrio tra concorrenza leale e tutela dei lavoratori. I divieti di
discriminazione, LD, 2008, p.138.
10
alle normative poste in essere dagli Stati membri per tutelare i mercati
nazionali; la tutela dei lavoratori viene così posta in secondo piano, come
obiettivo da raggiungere in via indiretta, infatti “gli interventi dell’Unione
europea sono spesso finalizzati a rafforzare il mercato ed a tutelare le libertà
economiche, che, al tempo stesso, si propongono di fungere da strumenti di
18
protezione lavoratori, con il risultato di fallire entrambi gli obiettivi”.
In sintesi si può parlare di una direttiva che “lascia alla Corte di Giustizia
il compito di vegliare a che la protezione dei lavoratori non superi il limite
19
consentito dal principio di libera circolazione dei servizi”.
Proseguendo nell’analisi relativa alle fonti comunitarie nel campo dei
20
servizi, nel nuovo millennio la Direttiva 2006/123 mira a realizzare, entro
il 2010, un mercato interno dei servizi volto ad agevolare la libertà di
stabilimento dei prestatori di servizi e la libera prestazione degli stessi negli
Stati membri dell’UE, il tutto in un’ottica di maggiore competitività ed
equilibrio dei mercati;. tuttavia, alcuni dubbi sull’effettivo valore della
Direttiva 2006/123/CE sorgono in riferimento al caso di evidente contrasto
con altre disposizioni contenute in documenti comunitari precedenti, infatti
21
saranno queste ultime a prevalere.
Nel dettaglio, tale direttiva sui servizi riconosce l’esigenza di “valutare
taluni requisiti nazionali non discriminatori che, per le loro caratteristiche
proprie, potrebbero sensibilmente limitare, se non addirittura impedire,
l’accesso ad un’attività o il suo esercizio nell’ambito della libertà di
22
stabilimento”.
Tra le principali novità della cosiddetta “Direttiva Servizi” vi è sicuramente
il principio della libertà di prestare servizio, il quale prevede, in base ai
principi di non discriminazione, necessità e proporzionalità, il divieto per gli
Stati di imporre al prestatore di servizi di un altro Stato membro requisiti
aggiuntivi rispetto a quelli richiesti ai propri operatori, che non siano
18
Orlandini G., La disciplina comunitaria del distacco dei lavoratori fra libera prestazione di servizi
e tutela della concorrenza: incoerenza e contraddizioni nella direttiva n.71 del 1996, ADL 2/1999.
19
Orlandini G., La disciplina comunitaria del distacco dei lavoratori fra libera prestazione di servizi
e tutela della concorrenza: incoerenza e contraddizioni nella direttiva n.71 del 1996, ADL 2/1999.
20
La Direttiva 2006/123/CE sulla libera prestazione dei servizi nel mercato interno è conosciuta
anche come Direttiva “Servizi” ed è stata approvata il 12 dicembre 2006.
21
Malatesta A., Principio dello Stato di origine e norme di conflitto dopo la direttiva 2006/123/CE
sui servizi nel mercato interno: una partita finita?, RDIPP, 2007, p.293 ss.
22
Direttiva 2006/123/CE, considerando n.69.
11
giustificati da ragioni di pubblica sicurezza, protezione della salute e
dell’ambiente. Tale principio si è sostituito, nella versione finale della
direttiva, al cosiddetto principio del paese d’origine, in base al quale il
prestatore di servizi sarebbe soggetto alle disposizioni dello Stato membro
di provenienza, previsto nella prima formulazione della proposta
2324
Bolkestein, che tante polemiche ha suscitato.
Dal punto di vista dottrinale i vari strumenti di diritto derivato si
differenziano tra loro per quel che riguarda, ad esempio, l’efficacia e
l’applicabilità diretta, la motivazione, la forza giuridica, la procedura di
adozione e la destinazione.
L’art. 249 sancisce la tipologia degli atti a mezzo dei quali le istituzioni
comunitarie esercitano le competenze loro attribuite: regolamenti, direttive e
252627
decisioni, raccomandazioni e pareri. Questi atti sono posti in essere dal
Consiglio e dalla Commissione o dal Parlamento europeo congiuntamente
28
con il Consiglio, secondo la procedura di codecisione; inoltre, è il caso di
precisare che gli atti in questione non possono avere l’effetto di restringere o
modificare la portata di una norma del Trattato o della giurisprudenza
relativa a quella stessa norma.
Infine, nel sistema delle fonti del diritto comunitario va considerata,
ovviamente, anche la giurisprudenza comunitaria e la dottrina comunitaria
in materia, sempre più cospicua con il passare degli anni ed in grado di
influenzare gli orientamenti comunitari.
23
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea relativa ai servizi
nel mercato interno, presentata dalla Commissione europea nel febbraio 2004. La direttiva è stata
definitivamente approvata da Parlamento e Consiglio, profondamente emendata rispetto alla proposta
originaria, il 12 dicembre 2006, divenendo formalmente la direttiva 2006/123/CE .
24
Orlandini G., Giubboni S., La direttiva Bolkestein e diritti dei lavoratori europei, URGE sulla
direttiva Bolkestein, 2007.
25
Le decisioni sono obbligatorie in tutti gli elementi per i destinatari da esse designati. Caratteristica
essenziale è la portata individuale, pertanto, quando è rivolta ai singoli individui, essa costituisce
espressione di un'attività amministrativa piuttosto che normativa.
26
Le raccomandazioni hanno il preciso scopo di sollecitare il destinatario a tenere un determinato
comportamento giudicato più rispondente agli interessi comuni; ai sensi dell'art. 249 del Trattato CE,
possono essere emanate dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione.
27
I pareri possono essere emanati oltre che dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla
Commissione, anche dalla Corte di giustizia, dal Comitato economico e sociale europeo e dal
Comitato delle regioni. Il parere tende a fissare il punto di vista dell’istituzione che lo emette, in
ordine ad una specifica questione.
28
Art. 251 Trattato di Maastricht, è definita ora procedura ordinaria secondo l’art.294 del Trattato di
Lisbona.
12