LEGISLAZIONE E REGOLAMENTAZIONE DELL’ALLEVAMENTO ITTICO BIOLOGICO
I
GENERALITA’SULLE PRODUZIONI BIOLOGICHE
Il concetto di alimento biologico e la sua definizione spesso vengono
erroneamente recepiti o interpretati dal consumatore, che associa a
tali prodotti unicamente un’idea di salubrit e di naturalit , idea
che spesso non trova per riscontro nella realt della definizione o
nella struttura del prodotto in commercio. Questo perch non si pu
definire un alimento come “biologico” in quanto tale, dato che non
l’alimento stesso ad essere biologico ma la modalit con cui tale
alimento viene prodotto, cio i criteri che l’agricoltore o
l’allevatore seguono durante il ciclo di produzione dello stesso.
La confusione del consumatore pu nascere per molteplici motivazioni,
in quanto se vero che da una parte l’informazione in materia di
biologico risulta spesso scarsa o non completamente esauriente,
dall’altra la stessa informazione spesso pu trarre in inganno con
delle definizioni molto similari che di fatto per corrispondono a
modalit di produzione differenti.
E’ d’obbligo quindi fare una prima distinzione sostanziale tra
agricoltura convenzionale e agricoltura sostenibile.
La prima prevede un metodo di coltivazione generalmente intensivo che
utilizza prodotti chimici per la fertilizzazione e la difesa delle
piante. Questo modello agricolo pu comportare il ritrovamento di
residui nei prodotti (che devono comunque rimanere entro i limiti
previsti dalla legge vigente) e problematiche ambientali legate ad
alcune pratiche, come ad esempio la monocoltura o l’impiego
continuativo dello stesso principio attivo, che possono nel tempo
creare delle disfunzioni a livello produttivo.
L agricoltura sostenibile un modello agricolo che consiste invece
in una concezione pi ampia di sostenibilit in termini sociali,
ambientali ed economici, dove col termine sostenibile si intendono
tecniche agricole in grado di rispettare l’ambiente, la biodiversit
e la naturale capacit di assorbimento dei rifiuti da parte della
terra, ma anche la capacit dell’intera produzione agroalimentare
mondiale di far fronte alla domanda globale.
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Racchiuse nello spazio delimitato da queste due concezioni produttive
apparentemente agli antipodi, almeno dal punto di vista del rispetto
dell’ambiente, possiamo trovare ulteriori differenziazioni delle
modalit di produzione agricola tra cui anche quella definita come
biologica. In particolare infatti, possiamo ulteriormente distinguere
tra agricoltura integrata, biodinamica, eco-compatibile e biologica.
L’agricoltura integrata intesa come un sistema di produzione che
privilegia tecniche colturali di tipo agronomico e di lotta guidata e
che mette come ultima risorsa l impiego di mezzi chimici. Questo tipo
di azione interviene quando il danno ancora inferiore al costo
d intervento (calcolato come numero di fitofagi su pianta) e
solamente quando il rapporto costi/benefici diviene svantaggioso
verranno utilizzati i prodotti di sintesi per debellare la malattia
od il parassita. L’evoluzione naturale della lotta guidata stata la
la lotta biologica, cio la possibilit di sfruttamento degli
antagonismi naturali fra insetti per combattere i parassiti.
L’agricoltura biodinamica segue invece specifici calendari per le
varie attivit agricole, mentre per la gestione delle fertilit del
terreno e la difesa dalle infestanti e patogeni sono impiegati
preparati naturali derivanti da sostanze non di sintesi con uno
scarso uso di sostanze chimiche .
Con agricoltura eco-compatibile si intendono tutti quei sistemi
produttivi in grado di ridurre l impatto ambientale dando prodotti a
basso o nullo contenuto in residui, definizione che di fatto una
generalizzazione che include le due precedentemente descritte.
Ed infine vi l’agricoltura biologica che pu essere definita come
tutto ci che viene ottenuto attraverso un metodo produttivo che non
ricorra a prodotti di sintesi e che rispetti una serie di norme che
vincolano il produttore nel modo di operare.
E’ evidente che in questo “mare” di possibili metodi di coltivazione,
pi o meno naturali, risulta difficile dare una definizione precisa e
completa di agricoltura biologica in quanto bisogna considerare
molteplici aspetti, sia da un punto di vista prettamente agricolo che
passando per il sociale attraverso anche delle considerazioni a
carattere economico e di sostenibilit ambientale.
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Una definizione abbastanza esaustiva di agricoltura biologica pu
essere quella fornita dal IFOAM (International Federation of Organic
agriculture Movements) che la qualifica come “tutti i sistemi agricoli
che promuovono la produzione di alimenti e fibre in modo sano
socialmente, economicamente e dal punto di vista ambientale”. Questi
sistemi hanno come base della loro capacit produttiva la fertilit
intrinseca del suolo e, nel rispetto della natura, delle piante,
degli animali e del paesaggio mirano ad ottimizzare tutti questi
fattori interdipendenti. L’agricoltura biologica si basa sulla
drastica riduzione dell’impiego di input esterni attraverso
l’esclusione di fertilizzanti, pesticidi e medicinali chimici di
sintesi, utilizzando la forza delle leggi naturali per aumentare le
rese e la resistenza alle malattie.
Il cambiamento degli stili di vita e l aumento del benessere
individuale hanno portato il consumatore a ricercare alimenti che
possano garantire sia la presenza di un servizio aggiunto (i
cosiddetti conveniences) che un alto contenuto salutistico e
qualitativo. Al contempo, la crescente paura di frodi alimentari e
l’aumento di fenomeni di sofisticazione/adulterazione di tali
prodotti come conseguenza di un mercato in forte espansione, ha
indotto il consumatore ad includere nelle proprie priorit di domanda
una maggiore sicurezza e garanzia sulla merce da parte dei produttori
e dei trasformatori attraverso una maggiore tracciabilit di tutta la
filiera produttiva.
Il consumatore europeo oggi sempre pi attento ai diversi aspetti
della qualit e, oltre a quelli intrinseci del prodotto, anche e
soprattutto ad altri che possono essere definiti “valori aggiunti
culturali” come la tipicit , la denominazione d origine, le “ecolabel”
ossia le garanzie che le tecniche utilizzate nella filiera produttiva
siano a ridotto impatto ambientale.
Per riuscire a garantire e soddisfare le aspettative del consumatore
ed al contempo orientarlo verso un mercato “pi sano” necessario
creare un sistema di controllo che sia attivo lungo l’intero processo
di produzione degli alimenti “dal campo al piatto”.
La qualit del prodotto pertanto, intesa sia a livello nutrizionale
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che produttivo e di impatto ambientale, non va controllata soltanto
alla fine del processo ma va seguita e gestita in ogni sua fase in
modo trasparente e facilmente comprensibile anche da parte del
consumatore.
Il sistema di controllo per questo motivo deve porsi due obiettivi
principali da raggiungere, da una parte la rintracciabilit dei
prodotti intesa come la possibilit di conoscere la “storia”
dettagliata del bene e di tutte le sue fasi di produzione,
trasformazione e commercializzazione sino alle nostre tavole e
dall’altra, la conferma della percezione da parte del consumatore di
avere acquistato un prodotto di qualit . La nuova frontiera della
sicurezza alimentare da raggiungere, dopo aver garantito una giusta
disponibilit di cibo ed una sua sicurezza e salubrit , quindi la
valorizzazione della qualit e della diversit degli alimenti.
In questa ottica sempre maggiore favore incontrano i prodotti tipici
e quelli dotati di marchi di qualit e/o certificazioni come ad
esempio i prodotti biologici. Infatti, il consumatore si sente
maggiormente rassicurato quando pu sapere l’origine di un prodotto e
quando ha la garanzia che tale prodotto stato sottoposto ad un
controllo sistematico durante tutte le fasi che caratterizzano la sua
vita commerciale.
Questa maggiore sicurezza, abbinata ad una maggiore consapevolezza e
coscienza alimentare ed ambientale, fa s che il consumatore sia
disposto a riconoscere un valore aggiunto a determinati prodotti,
garantiti qualitativamente, anche in termini di rapporto
qualit /prezzo.
E’ proprio in questo contesto di globalizzazione commerciale in cui
il consumatore, con un andamento quasi controcorrente rispetto alle
leggi di mercato, ricerca sempre di pi prodotti in grado di
fornirgli delle garanzie nutrizionali, salutistiche ed ecologiche,
dei prodotti di nicchia, che l’acquacoltura biologica individua nuovi
orizzonti possibili di mercato e di sviluppo.
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II
STATO DELL’ARTE DELL’ACQUACOLTURA MONDIALE ED EUROPEA
Acquacoltura: “allevamento o coltura di organismi acquatici mediante
l impiego di tecniche finalizzate ad aumentare, al di l delle
capacit naturali dell ambiente, la resa degli organismi in
questione; questi ultimi rimangono di propriet di una o pi persone
fisiche o giuridiche durante tutta la fase di allevamento o di
coltura, compresa la raccolta”. Questa la definizione che viene
riportata dal Reg.(CE)1198/2006 riguardante i fondi comunitari per
l’acquacoltura e che viene ripresa dal Reg.(CE)834/2007 relativo alla
produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici.
Secondo la definizione dell Unione Europea e della FAO (Food and
Agriculture Organization), l acquacoltura considerata, dal punto di
vista giuridico, come un attivit agricola e come tale stata
considerata sino alla nascita della Politica Comune della Pesca (PCP)
nel 1983 che riunisce in una unico intento, sviluppo e aumento della
produttivit , i comparti agricoltura, pesca ed acquacoltura.
L’acquacoltura un comparto in contro-tendenza rispetto a quello
della pesca in quanto negli ultimi anni si registrato un costante e
sostanziale aumento di produzione e di fatturato in concomitanza ad
una sostanziale stasi delle catture a livello mondiale.
Il rapporto FAO inerente “Lo stato mondiale della pesca e
dell’acquacoltura 2008” riporta che nel 1980 il pesce proveniente
dall’acquacoltura rappresentava soltanto il 9% di quello consumato
mentre nel 2006 questa percentuale era cresciuta sino ad arrivare al
43%. Questo incremento corrisponde ad un fatturato di oltre 60
miliardi di dollari e ad un volume complessivo di produzione pari a
45.5 milioni di tonnellate.
Sostanzialmente dagli anni ’80 si assiste, per quel che riguarda le
catture, ad un andamento stabile con valori che oscillano attorno ai
90-93 milioni di tonnellate/anno mentre, al contrario, l’acquacoltura
ha fatto registrare nello stesso periodo un incessante incremento con
una media annua di circa l’8%, arrivando ad un valore di produzione
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totale in volume ad oggi di circa 51 milioni di tonnellate. E’
evidente come l’acquacoltura nel corso degli ultimi venti anni abbia
rappresentato un indotto sia economico che quantitativo in continuo
crescendo arrivando a coprire pi del 30% della produzione mondiale a
livello ittico.
Attualmente, a livello globale i dati complessivi derivanti dalla
somma delle catture e dell’allevamento si attestano su circa 143
milioni di tonnellate di pesce commercializzato (Tabella 1; Dati
Ismea 2009).
Produzione mondiale 2002-2007 per comparti produttivi:
Anno Produzione 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Pesca 90.991 88.243 92.280 92.183 89.863 90.064
Acquacoltura 36.782 38.909 41.890 44.282 47.322 50.329
Totale produzione 127.773 127.153 134.169 136.465 137.185 140.393
Pesca
Acque interne 8.429 8.635 8.612 9.393 9.795 10.035
Acque marine 82.562 79.608 83.668 82.790 80.068 80.029
Totale pesca 90.991 88.243 92.280 92.183 89.863 90.064
Acquacoltura
Acque dolci 20.809 21.784 23.788 25.287 27.019 29.028
Acque salmastre 2.450 2.990 3.280 3.683 4.161 4.508
Maricoltura 13.522 14.135 14.822 15.312 16.141 16.793
Totale
acquacoltura
36.782 38.909 41.890 44.282 47.322 50329
Tabella 1: Produzione mondiale di pesce 2002-2007 divisa per comparti produttivi in
migliaia di tonnellate (Tratto da Ismea 2009)
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Di questo valore pi del 70% utilizzato per il consumo umano mentre
il restante viene sfruttato per la produzione di farine ed oli di
pesce impiegati principalmente nell’alimentazione e nelle
composizioni zootecniche.
Tale utilizzo pu sembrare un controsenso ed in particolare quando
applicato all’acquacoltura. La contraddizione di fondo nasce dalla
prassi di utilizzare pesce derivante da cattura convenzionale come
nutrimento di soggetti allevati, soggetti che verranno poi utilizzati
ai fini alimentari umani. Questa pratica deriva per dalla necessit
di apportare proteine nobili durante le fasi di allevamento ed in
particolare durante quelle di accrescimento post-larvale in quanto
stato dimostrato essere essenziale per un corretto sviluppo del
prodotto. Attraverso studi effettuati da diversi Enti di ricerca,
molti tuttora in corso, si cercato di sostituire tali farine
animali con alcune di origine vegetale (es farina di soia) ad alto
contenuto proteico. I risultati ottenuti hanno dimostrato come solo
una sostituzione parziale delle farine animali con quelle vegetali
possa consentire una crescita corretta ed il raggiungimento di valori
di taglia e peso adeguati alla commercializzazione senza che vi sia
la presenza di carenze nutrizionali che possono causare deformit
rendendo quindi il prodotto invendibile. Questi studi evidenziano
l’importanza dell’integrazione alimentare con proteine nobili di
origine animale e di fatto la necessit di avere a disposizione
quantitativi crescenti di prodotto ittico utilizzabile anche in
questo settore.
Basandosi sui dati del report FAO 2008 si vede come il comparto
acquacoltura abbia una tendenza produttiva in continua crescita a
partire dagli anni 50, con una stima che nei prossimi vent’anni
l’acquacoltura eguaglier in volumi di produzione quelli derivanti
dalla pesca tradizionale. La FAO stima che nel 2030, per soddisfare i
bisogni alimentari mondiali con l’attuale tasso di crescita
demografico ed il conseguente aumento della richiesta, saranno
necessarie almeno altre 30 milioni di tonnellate di prodotto ittico
in aggiunta alle 140 gi utilizzate attualmente.
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Nello stesso report viene evidenziato come lo sfruttamento delle
principali specie ittiche selvatiche commercializzate a scopi
alimentari e catturate attraverso la pesca, sia al limite delle
possibilit di rigenerazione della maggior parte di esse se non
addirittura in una condizione di sovra-sfuttamento. Su circa 600
specie, monitorate dall’Agenzia nel 2006, il 52% sfruttato al
massimo delle sue capacit mentre il 25% sfruttato in eccesso (17%)
o esaurito (7%) o in fase di ripresa da una situazione di totale
impoverimento (1%). Della restante parte soltanto un 20%
moderatamente sfruttato ed un esiguo 3% sotto-sfruttato.
Questa condizione, al limite del disastro sia economico che
ecologico-ambientale, ha indotto la FAO a definire quindi come scelta
“obbligata” ed unica sensata un incremento del settore
dell’allevamento sia per colmare la futura necessit alimentare sia
per poter ridurre l’impatto che l’attivit umana di pesca ha sugli
stock selvatici.
Nel mondo si allevano pi di 350 specie diverse d acqua dolce e
marina, con la maggior parte della produzione concentrata nelle
regioni asiatiche.
Dai dati FAO il maggior incremento nella produzione mondiale ittica
viene registrato nei paesi asiatici in via di sviluppo, in primis la
Cina, con valori che complessivamente coprono quasi il 90% della
produzione mondiale. Il comparto acquacoltura della Cina solo nel
2007 ha prodotto oltre 30 milioni di tonnellate di pesce, con
preponderanza di specie dulciacquicole come la carpa, confermandosi
leader nel settore dell’allevamento ittico a livello mondiale. A
questa situazione vanno aggiunte le produzioni derivanti da altri
paesi asiatici in forte via di sviluppo come l’India, il Vietnam e
l’Indonesia che sommandosi a quelle Cinesi coprono un valore
complessivo di circa 44 milioni di tonnellate/anno su un totale
mondiale di poco pi di 50 milioni di tonnellate/anno.
I dati delle catture sostanzialmente ricalcano, anche se con un
divario pi contenuto l’andamento riscontrato nell’acquacoltura, con
valori che si attestano per i paesi asiatici attorno al 50% delle
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catture totali. Anche in questo caso una parte predominante a
carico della Cina con oltre 14 milioni tonnellate/anno e dei paesi
asiatici in via di sviluppo, confermando come in tali paesi il
comparto ittico risulti essere a livello economico un indotto
fondamentale per il sostentamento della popolazioni (Tabella 2,3;
Dati Ismea 2009).
Produzione mondiale 2002-2007 per settori produttivi e continenti:
Acquacoltura
Anno 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Asia 32.358 34.170 36.890 39.200 41.873 44.566
Americhe 1.800 1.934 2.129 2.152 2.363 2431
Europa 2.042 2.160 2.171 2.131 2.169 2.340
Africa 454 520 560 648 756 825
Oceania 128 125 139 151 160 169
Totale 36.782 38.909 41.890 44.282 47.322 50.329
Pesca
Asia 43.003 44.049 43.752 44.482 45.654 46.510
Americhe
24.22
2
20.778 25.573 24.743 22.499 21.854
Europa 15.227 14.562 13.896 13.806 13.390 13.260
Africa 7.015 7.328 7.534 7.604 7.004 7.134
Oceania 1.210 1.258 1.366 1.440 1.244 1.241
Altri 314 268 158 107 72 65
Totale 90.991 88.243 92.280 92.183 89.863 90.064
Tabella 2: Produzione mondiale di pesce 2002-2007 distinta in acquacoltura e pesca nei vari
continenti in migliaia di tonnellate (Tratto da Ismea 2009)
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