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CAPITOLO I
IL DIRITTO ALLA FELICITA’ TRA PRESENZA E
ASSENZA NELLA TRADIZIONE GIURIDICA
DELL’OCCIDENTE DEMOCRATICO
Noi riteniamo che queste verità siano di
per sé evidenti, che tutti gli uomini sono
creati uguali e che sono dotati dal loro
creatore di certi inalienabili diritti fra i
quali quelli alla vita, alla libertà e al
perseguimento della felicità.
Dichiarazione d‟indipendenza degli Stati
Uniti d‟America (1776)
Art. 1. Scopo della società è la felicità
comune.
Costituzione della Repubblica francese
(1793)
1.1 La felicità come diritto. La fisionomia privatistica
del pursuit of happiness.
Quello che viene abitualmente indicato come
diritto alla felicità è, più propriamente nel contesto
statunitense, un diritto alla ricerca della felicità: un right
to the pursuit of happiness, più che un vero e proprio
right to happiness.
La distinzione non è marginale, perché consente di
mettere a fuoco quello che è l‟effettivo oggetto di tutela;
non la felicità in quanto tale, ma i comportamenti che il
soggetto intende tenere.
Il diritto alla felicità ha dunque, dietro di sé un
complesso di diritti individuali e si afferma sul
presupposto del loro riconoscimento; ha soprattutto dietro
9
di sé il concetto stesso di diritto individuale come
qualcosa che appartiene all‟individuo.
Il significato che, nei diversi contesti storici e
culturali, il concetto di felicità ha ricevuto è parte
essenziale della sua storia. Una ricostruzione di questa
figura mostra infatti come la felicità cominci ad essere
pensata come diritto solo quando il suo significato chiama
in causa la concretezza del vivere, e felicità diviene
termine di risposta a istanze, esigenze e bisogni connessi
alla concretezza del vivere; quando cioè la felicità esce
dalla dimensione astratta, contemplativa, per porsi come
possibilità concreta e come termine dell‟agire umano1.
La prima enunciazione di felicità come diritto è
contenuta nella Dichiarazione dei diritti proclamata nello
Stato della Virginia nel giugno 1776. L‟art. 1 proclamava
infatti che: “tutti gli uomini sono per natura ugualmente
liberi ed indipendenti, e hanno certi diritti innati dei quali,
quando entrano nello stato di società, non possono
mediante nessun patto spogliare o privare i loro posteri: e
cioè il godimento della vita e della libertà mediante
l’acquisto o il possesso della proprietà, e il perseguimento
della felicità e della sicurezza”2.
La medesima Dichiarazione prosegue affermando
che “tutto il potere risiede nel popolo, e per conseguenza
1
Hannah Arendt sottolinea con particolare efficacia questo aspetto; cfr. “Action and the pursuit of
happiness”(1960), in A. Dempt-H. Arendt-F. Engel Janosi, Politische Ordnung und Menschliche
Existenz, Verlag C. H. Beck, Munchen 1962, pp.1-16.
2
“Le carte dei diritti”, F.Battaglia, [a cura di], Sansoni, Firenze 1942, pp. 44 e sgg.
10
è da esso derivato”3, e che “il governo è e deve essere
istituito per la comune utilità protezione e sicurezza del
popolo”4. Appena un mese dopo, il diritto alla felicità
avrebbe trovato analoga e più definitiva formulazione
nella Dichiarazione di indipendenza americana:
“Tutti gli uomini sono creati uguali, e dotati dal
loro Creatore di certi diritti inalienabili, tra i quali la
vita, la libertà, e il perseguimento della felicità, per
assicurare questi diritti sono istituiti tra gli uomini i
governi, ai quali i giusti poteri provengono dal consenso
dei governanti, e ogni qual volta una forma di governo
diviene distruttrice di questi fini è diritto del popolo
modificarla o abolirla e istituire un nuovo governo
stabilendone i fondamenti e organizzandone i poteri nella
forma che gli sembra più idonea a realizzare la sua
sicurezza e felicità”5.
1.2 La comparsa del diritto alla felicità nella Dichiarazione
d’indipendenza americana
Nell‟anno 1787, durante una seduta del Congresso
che doveva approvare il testo della Costituzione
americana, il politico statunitense Benjamin Franklin
(1706-90), rispondendo alle domande di un deputato che
3
Ibidem.
4
Ibidem.
5
Ibidem.
11
insisteva nel chiedere come mai la felicità fosse stata
nominata nella Dichiarazione di indipendenza e non nella
Costituzione, rispose: “la Costituzione Americana dà al
popolo solo il diritto di cercare la felicità. Dopo di che
dovete costruirvela da voi stessi”.
In questa risposta è sintetizzata l‟espressione che nel
Novecento prende il nome di sogno americano, che si
manifesta con la speranza di migliorare la propria
condizione di vita attraverso il lavoro, il coraggio e la
determinazione.
La felicità non è precostituita e consegnata all‟uomo
come un qualcosa di già delineato ma va ricercata, nel
senso che a ognuno deve essere data la possibilità di
raggiungerla attraverso i propri meriti e le proprie
capacità.
Tale concetto, divenuto familiare con la
Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti
d‟America (1776), si pone in relazione al diritto
occidentale come obiettivo estrinseco all‟ordinamento
giuridico di ogni Stato democratico.
L‟America moderna è un luogo con poca storia, e
questo ha rappresentato indubbiamente un vantaggio
rispetto all‟Europa, che sente ancora oggi il peso del suo
passato.
La rivolta dei coloni americani, in un contesto
sociale senza un passato legato al territorio, ha
rappresentato così una straordinaria opportunità per
determinare nuove istituzioni, leggi, forme del vivere
12
sociale, finalizzate a creare le condizioni per una felicità
civile che non deve scontrarsi né con i limiti dettati dalla
natura, né con quelli imposti dall‟autorità.
“Quando nel corso degli eventi umani si rende
necessario ad un popolo sciogliere i vincoli politici che
lo avevano legato ad un altro […], un giusto rispetto per
le opinioni richiede che esso renda note le cause che lo
costringono a tale secessione. Noi riteniamo che le
seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti
gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati
dal loro creatore di alcuni diritti inalienabili, che fra
questi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità”.
Inizia con queste parole il famoso preambolo della
Dichiarazione d‟indipendenza degli Stati Uniti
d‟America6 scritta nel 1776 dal politico americano,
Thomas Jefferson (1743-1826).
6
IN CONGRESS, JULY 4, 1776.
“A DECLARATION
BY THE REPRESENTATIVES OF THE
UNITED STATES OF AMERICA”,
IN GENERAL CONGRESS ASSEMBLED.
“WHEN in the course of human Events, it becomes necessary for one People to dissolve the
Political Bands which have connected them with another, and to assume among the Powers of
the Earth, the separate and equal Station to which the Laws of Nature and of Nature‟s God
entitle them, a decent Respect to the Opinions of Mankind requires that they should declare
the causes which impel them to the Separation. WE hold these Truths to be self-evident, that
all Men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable
Rights, that among these are Life, Liberty, and the pursuit of Happiness.[…]
That to secure these Rights, Governments are instituted among Men, deriving their just
Powers from the Consent of the Governed, that whenever any Form of Government becomes
destructive of these Ends, it is the Right of the People to alter or abolish it, and to institute a
new Government, laying its Foundation on such Principles, and organizing its Powers in such
Form, as to them shall seem most likely to effect their Safety and Happiness”.
13
E‟ un documento molto importante per la storia
moderna in quanto affronta temi mai trattati prima che si
riveleranno utili e fondamentali per il buon
funzionamento della società.
La formulazione definitiva, riprende il testo
della precedente dichiarazione dei diritti della Virginia7,
scritta da George Mason (1725-1792), da cui ha inizio il
7
“DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELLO STATO DELLA VIRGINIA”
(Williamsburg, 12 giugno 1776) .Durante iI periodo della Rivoluzione americana la Virginia
fu la prima a darsi una Costituzione ( Williamsburg, 6 maggio - 29 giugno 1776), che
contenga come preambolo una « Dichiarazione dei Diritti ». La « Dichiarazione », redatta da
Giorgio Malon, fu adottata il 12 giugno e divenne il documento fondamentale al quale li
ispirarono le successive «Dichiarazioni» di altri Stati del Nord America e del Continente
europeo.
Dichiarazione dei diritti fatta dal corpo rappresentativo del buon popolo della Virginia, riunito
in piena e libera convenzione; questi diritti appartengono ad esso e alla sua posterità, come
base e fondamento del governo.
Sez. 1. -Tutti gli uomini sono da natura egualmente liberi e indipendenti, e hanno alcuni diritti
innati, di cui, entrando nello stato di società, non possono, mediante convenzione, privare o
spogliare la loro posterità; cioè, il godimento della vita, della libertà, mediante l'acquisto ed il
possesso della proprietà, e il perseguire e ottenere felicità e sicurezza. […]
Sez. 3. -Il governo è, o deve essere, istituito per la comune utilità, protezione e sicurezza del
popolo, della nazione o comunità. Di tutti i diversi modi e forme di governo, il migliore è
quello che è capace di produrre il maggior grado di felicità e di sicurezza, ed è di fatto il più
sicuro contro il pericolo di cattiva amministrazione. Quando un governo appaia inadeguato o
contrario a questi scopi, la maggioranza della comunità ha un sicuro, inalienabile e
indefettibile diritto a riformarlo, mutarlo o abolirlo, in quella maniera che sarà giudicata
meglio diretta al bene pubblico. […]
Sez. 1l. -Nelle controversie che riguardano la proprietà, e nelle liti che insorgano tra uomo e
uomo, l'antico giudizio per mezzo di giuria è da preferire a qualsiasi altro, e deve essere tenuto
sacro.
Sez. 12. -La libertà di stampa è uno dei grandi capisaldi della libertà, e non può mai essere
limitata che da governi dispotici. […]
14
lungo processo di incorporazione del concetto di felicità
all‟interno della carta costituzionale.
Di particolare rilievo per comprendere tale concetto
è l‟ultima parte dell‟articolo 1 della già citata
Dichiarazione dei Diritti dello stato della Virginia che
riporta tali parole:
“Tutti gli uomini sono per natura ugualmente liberi
e indipendenti, e possiedono diritti inerenti dei quali,
quando si associano tra di loro, non possono con
qualsiasi accordo privare la posterità; cioè il godimento
della vita e della libertà, unito ai mezzi per acquisire e
possedere la proprietà, ricercare e conseguire la felicità
e la sicurezza.”
Rispetto al testo virginiano, sopra riportato, nella
Dichiarazione di Indipendenza non si scrive più tanto di
proprietà e non si collega il raggiungimento della felicità
alla sicurezza che dipende dall‟autorità politica e dunque
rappresenta ancora il diritto come una concessione data
dai governi e sottratta dalla disponibilità dell‟individuo.
E‟ importante invece che la ricerca della felicità
rappresenti un‟opportunità data al singolo e sia inserita
quindi in una dimensione sempre più “privata”.
Nella seconda parte del preambolo alla
Dichiarazione di Indipendenza americana si scrive infatti
che il popolo ha il diritto ad istituire la forma di governo
che gli sembra più adatta “a procurare la sua sicurezza e
la sua felicità”. Qui il collegamento tra felicità e sicurezza
è ben marcato e ribadito, in relazione all‟istituzione di un
15
governo giusto, confermando che esistono due
dimensioni della ricerca della felicità, quella individuale,
(indicata nella prima parte del preambolo della
Dichiarazione di Indipendenza) e quella pubblica, di cui
deve farsi portavoce il governo.
Una volta spostata l‟attenzione sulla dichiarazione di
Jefferson, è possibile notare un‟altra questione che
riguarda il cambiamento semantico in quest‟ultimo testo
rispetto a quello di Mason del diritto di proprietà; come se
fosse stato spostato il significato che aveva
precedentemente, col passaggio da un testo costituzionale
all‟altro.
Anche in questo caso è necessario tornare al
contesto. Alla base della Dichiarazione d‟Indipendenza
c‟è una convergenza tra la tradizione europea della
cultura inglese del Bill of Rights (la legge sui diritti del
cittadino di cui si tratterà in seguito) e l‟opera di John
Locke in riferimento al “Secondo trattato sul Governo”8.
8
“Il Secondo Trattato sul Governo” è un tentativo di ricostruzione razionale della società civile,
ispirato al principio di una legge naturale che governa gli uomini e che è compito della nostra ragione
scoprire e della nostra volontà rendere efficace. I Due trattati sul governo (1689) di John Locke sono
il testo fondativo del liberalismo. Scritti nel corso della lotta del primo movimento per l'esclusione
dalla successione al trono del futuro Giacomo II ma pubblicati (quasi dieci anni più tardi) dopo la sua
abdicazione e a sostegno della nuova monarchia di Guglielmo d'Orango, i testi hanno un'importanza
storica e filosofica che va molto al di là delle circostanze della loro composizione e pubblicazione. Il
Secondo trattato, introduce le principali idee di quello che diverrà, nei due secoli successivi, il
liberalismo politico: la priorità dei diritti individuali sul potere politico; il governo limitato e basato
sul consenso; la divisione dei poteri; il diritto dei governati a controllare, e in casi estremi a
rovesciare, i governanti. Ma il suo radicale contenuto politico viene incluso in una cornice
filosoficamente originale e profonda di teoria sociale e morale. L'affermazione dei diritti individuali è
sostenuta da una concezione dei rapporti sociali come risultato della coordinazione spontanea della
condotta razionale tenuta dagli individui e da una teoria della proprietà come diritto naturale fondato
sul lavoro individuale. A sua volta, questa visione dell'ordine sociale, che sarà ripresa, un secolo dopo,
16
Nella cultura inglese infatti, Locke utilizza
ampiamente il concetto di proprietà ma in un senso molto
più esteso rispetto al significato attuale, includendovi il
potere dell‟uomo di disporre liberamente di se se tesso, di
preservare la sua vita, la libertà e i suoi beni e di
salvaguardarli dagli atti di disposizione degli altri uomini.
Con la dichiarazione di Jefferson è ormai chiaro come il
concetto della “proprietà” non abbia più il significato dato
da Locke, in quanto ormai indica, più modernamente,
solo “possesso dei beni”. A tal proposito sostituisce tale
espressione con quella più “americana” di “ricerca della
felicità”, un‟espressione che sembra poter riallacciare
tutti i significati del pensiero lockiano e indicare più
ampiamente un diritto naturale e quindi inalienabile, che
si esprime nella libertà di seguire tutte le opportunità che
si presentano all‟individuo.
Questo punto di trasformazione presente nel
preambolo è proprio la parte in cui l‟opinione del
Congresso americano fu effettivamente unanime.
Dall‟analisi del manoscritti delle successive stesure e
correzioni della Dichiarazione di Indipendenza
consultabili presso la Biblioteca del Congresso, si nota
infatti, che dopo una prima stesura del giugno 1776, in
dall'economia politica classica, si inserisce in una visione morale, centrata sul rapporto fra individuo
creato e Dio creatore, e sulla comunità di specie degli uomini, che resterà sullo sfondo delle
dichiarazioni dei diritti delle grandi rivoluzioni borghesi.
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cui figura l‟espressione “cammino verso la felicità”
(“road to happiness”), subito compare la versione
definitiva “raggiungimento della felicità” (“pursuit of
happiness”), che rimane tale anche dopo i cambiamenti
suggeriti per altre parti del testo da John Adams,
Benjiamin Franklin e da altri membri del comitato
incaricato dei lavori preparatori.
Benjamin Franklin aveva inviato il testo della
Costituzione a Gaetano Filangieri per cui partita
dall‟Italia la storia degli Stati Uniti, con la scoperta di
Colombo, ritorna all‟Italia con Filangieri, come in un
simbolico ritorno al padre che mostra il forte intreccio dei
destini dei nostri due popoli.
Filangieri idealista e giurista, ancora pensa che la
felicità possa arrivare dall‟esterno e crede come
Rousseau, che il cambiamento delle leggi, la repubblica,
la democrazia, la liberalizzazione delle istituzioni
politiche e civili, possano portare felicità ai popoli.
Rousseau nella prima pagina del “Contrat Social” osserva
che “l’uomo parla sempre di libertà “ma dovunque volgo
lo sguardo lo vedo in catene”9.
Anche James Madison include la formula del
raggiungimento della felicità nella Dichiarazione finale
dei diritti, votata quello stesso anno dai delegati delle
colonie, affermando che “un governo è istituito ed opera
per procurare il benessere del popolo; che consiste nel
9
Rousseau Jean-Jacques, in “Il Contratto Sociale”, Gatti R. [a cura di], BUR Biblioteca Universale
Rizzoli, (collana Classici del Pensiero), 2005, p. 5.
18
godimento della propria vita e della libertà, con il diritto
di acquistare ed usare la proprietà ed in generale di
cercare di ottenere felicità e sicurezza!”
Si distacca dal pensiero di Madison quello che si
legge attualmente nella rivendicazione dei diritti naturali
con cui si apre la Dichiarazione di Indipendenza
Americana, dove leggiamo che a tutti gli uomini vanno
riconosciuti il diritto “alla vita, alla libertà e al
perseguimento della felicità”.
Il documento stabilisce così che a ciascun individuo
va garantita la possibilità di costruirsi la propria strada
verso la felicità, mentre le istituzioni pubbliche assumono
il compito di tutelare la vita, la libertà e la sicurezza.
Viene dunque recepito il dettato dei diritti di matrice
giusnaturalistica e ad esso si aggiunge la felicità come
fine ultimo a cui ciascun individuo tende per il
perseguimento del proprio benessere e che è chiamato a
perseguire liberamente con le proprie scelte. Si insiste
sulla dimensione individuale della felicità, e si tratta di
una felicità su cui ancora la questione sociale non ha
proiettato alcuna ombra, alcuna inquietudine.
Nella cultura americana l‟individuo è posto al centro
dei percorsi che portano alla felicità personale, di cui è
responsabile, mentre l‟apparato pubblico è responsabile
nel porre in essere le condizioni affinché il singolo possa
raggiungere questo obbiettivo.
Vediamo come la società statunitense attuale, pur
essendo tramontati alcuni degli aspetti religiosi più intrisi
19
di tradizione validi nei primi tempi della conquista del
continente americano da parte degli europei, sia riuscita
nell‟ intento di costruire un tessuto sociale essenzialmente
“laico”; a questo fattore si deve necessariamente
aggiungere il contesto multirazziale che il paese, con alti
e bassi, vive quotidianamente, unitamente alla prevalenza
di determinate etnie che ormai sono parte integrante del
tessuto sociale nazionale.
La presenza di diverse culture, determinata
dall‟inesistenza di una cultura prevalente consolidata da
secoli di storia come nei paesi europei, ha generato uno
spontaneo punto di incontro attraverso la creazione di un
contesto sociale laico, in cui tutti i diritti umani risultano
svincolati da teorie religiose e si configurano in quella
che è la loro più pura essenza. Questo ha consentito di
poter garantire un sostanziale benessere dei singoli e della
collettività.
Tale impostazione politico-sociale ha determinato,
quindi, la razionalizzazione operata attraverso gli
“hedonic damages” (i danni esistenziali), del concetto di
felicità, che sin dalle origini dell‟umanità si è configurato,
data la sostanziale difficoltà della vita, come appartenente
ad una sfera non umana, soprannaturale, o comunque
dell‟immaginazione.
Da qui la consapevolezza per cui l‟essere umano,
non potendo ambire ad una condizione di felicità dal
carattere duraturo e costante, deve vivere di pochi attimi.
Attimi questi considerati come un vero e proprio diritto,
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che necessita quindi di una tutela attenta e irrinunciabile,
in quanto essi rappresentano una riserva mentale ed
intellettuale di primaria importanza. L‟individuo si sentirà
così appagato e soddisfatto delle sue azioni e avrà stimolo
per affrontare la vita con tutte le sue complessità positive
e negative.
Lo spirito individuale di ricerca della felicità è
divenuto fattore portante della società americana alla fine
degli anni venti, in quanto essenziale per la ripresa dai
periodi di crisi, come quello successivo alla Grande
depressione.
Secondo Roosevelt dalla depressione si poteva
passare ad una ripresa duratura. Le politiche di tutti i
governi precedenti si erano basate sul concetto liberista
del lasciar fare, secondo il quale, lo Stato non deve
intervenire negli affari dell'economia del cittadino, perché
la naturale ricerca del benessere di ogni individuo deve a
garantire una crescita economica personale ed una
prosperità globale.
D'altronde fin dall'inizio, gli Stati Uniti avevano
effettivamente percorso un cammino glorioso verso la
prosperità ma la crisi del „29 evidenziò che non tutto era
cosi semplice ed il sogno doveva fare i conti con la realtà.
La politica del lasciar fare aveva forse bisogno di
correttivi. Proprio in questo clima di profonda sfiducia, il
democratico Roosevelt, lanciò la sfida del “New Deal”,
facendo leva con essa sui valori tradizionali dell'etica del
lavoro e della capacità americana di ripresa nei momenti