INTRODUZIONE
A distanza di un ventennio dalla caduta del muro di Berlino e dunque dalla fine
della divisione del mondo in due blocchi il consuntivo che si può trarre è che
l’esperienza comunista non è stata considerata abbastanza e né abbastanza conosciuta è
la sua dimensione sociale e pedagogica. Quali i motivi? Innanzitutto il fatto che pochi
sono stati gli esperti italiani in materia e soprattutto pochi gli esperti disinteressati. Le
notizie che in Italia ci sono giunte circa l’impostazione pedagogica sovietica sono state
sempre riportate sempre attraverso un filtro ideologico, antisovietico o filosovietico, ma
(quasi) mai nella sua obiettività. Certamente il tutto va inserito in un contesto storico
che obbligava gli Stati, dopo il secondo conflitto mondiale, a schierarsi in maniera
chiara e netta a favore del blocco statunitense oppure di quello sovietico. Il caso italiano
ha rappresentato il questo un unicum dal momento che la posizione geografica del
nostro Paese, al centro tra i due blocchi e la presenza di un partito comunista che spesso
e volentieri contestava le scelte di Mosca, ha leggermente ammorbidito il clima di
guerra fredda maggiormente vissuto in altri paesi. Come è stato vissuto questo clima dai
pedagogisti e intellettuali italiani? La maggior parte si è dovuto schierare ora con il
fronte cattolico, maggioritario in Italia vista la presenza della Democrazia Cristiana,
primo partito che per un quarantennio ha governo il nostro Paese. A seguire il fronte
comunista – socialista, con i dovuti distinguo e infine il fronte laico che si poneva come
alternativa ai due poli menzionati. Nel lavoro di tesi si è cercato di illustrare quali
immagini della pedagogia sovietica furono elaborate in Italia nel periodo della Guerra
1
Fredda, quali atteggiamenti e considerazioni i nostri intellettuali, di ogni estrazione
politica e ideologica, ebbero rispetto all’impostazione pedagogica e scolastica del
mondo sovietico. Nel primo capitolo è stato esaminato il contesto storico e pedagogico
degli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale; la
divisione del mondo nei due blocchi (Est e Ovest) con tutto ciò che ne derivò nelle
scelte politiche e conseguentemente pedagogiche e scolastiche frutto dell’influenza del
blocco appartenente. Nel capitolo secondo vengono confrontati le ipotesi e i modelli di
educazione che emersero durante il periodo della guerra fredda: il modello cattolico, che
aveva come punto di riferimento le encicliche dei pontefici, nel quale si esprimeva il
magistero della Chiesa, e pedagogisti della portata di Maritain, Mounier, Stefanini,
Casotti; l’altro modello si esprimeva nelle tesi marxiste, comuniste e socialiste, nei
pensatori e pedagogisti del calibro di Marx, Gramsci, Makarenko, Sucholdoski, di cui si
fecero portavoce in Italia Manacorda, Dina Bertoni Jovine, l’esperienza dell’MCE di
Bruno Ciari e altri. Da ultimo il pensiero e il modello laico di Gentile e di Giuseppe
Lombardo Radice di cui si fece portavoce, tra gli altri, nell’Italia del dopoguerra sia
Lamberto Borghi sia Aldo Visalberghi. Il terzo capitolo è interamente dedicato al
sistema sociale e scolastico sovietico attraverso le testimonianze di intellettuali italiani
che conobbero da vicino quella realtà. In particolare è stata presa in considerazione i
due viaggi condotti in URSS dal prof.re Luigi V olpicelli, il quale nelle sue opere porta
avanti una vera e propria comparazione tra i due sistemi scolastici ed educativi: quello
italiano del fascismo e quello sovietico evidenziandone elementi di comunanza e di
dissonanza. La disamina di V olpicelli si spinge fino alla Legge Kruschev dallo stesso
2
presidente considerata come il vero cambiamento del sistema educativo sovietico.
L’ultimo capitolo è dedicato alla ricezione e alla diffusione della pedagogia sovietica nel
nostro paese; in primis l’attenzione è rivolta alla conoscenza che in Italia si aveva della
pedagogia di Makarenko, alla difficoltà di dare una esatta traduzione del suo pensiero e
delle sue opere. In questo ambito si colloca il Convegno tenutosi a Siena l’8 e il 9
dicembre del 1951 a cui parteciparono insigni pedagogisti e studiosi (Banfi, D’Abbiero,
Casagrande, Dina Bertoni Jovine, Lombardo Radice, Maria Maltoni ecc.) per discutere
sulla pedagogia e la scuola sovietica. Non mancarono in quel periodo altri convegni
come quello tenutosi a Roma nel 1968 organizzato dall’Associazione dei rapporti
culturali Italia-Urss sulla Educazione estetica nella formazione dell’infanzia.
Il lavoro di tesi è stato frutto di una ricerca di materiali bibliotecari (la biblioteca
della facoltà di scienze della formazione di Firenze e la biblioteca comunale di
Barletta); non sono mancati le ricerche telematiche, in maniera particolare sui siti
internet dedicati a Makarenko e ai lavori di ricerca ancora oggi portati avanti dal
professore Nicola De Cumis, docente all’Università Sapienza di Roma.
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CAP I “ANALISI STORICO-PEDAGOGICA NEL PERIODO DELLA GUERRA
FREDDA”
1.0 Introduzione.
Un’analisi storico-pedagogica che sia profonda e precisa richiederebbe, in questa
sede, che si interpellino la marea di studiosi, storici, pedagogisti che hanno calcato il
“palcoscenico” del secolo ormai conclusosi. Impresa ardua quanto impossibile dal
momento che ognuno ne rileverebbe il suo punto di vista che certo non ci aiuterebbe ad
averne una visione di insieme.
Per un’analisi che sia finalizzata a contestualizzare l’argomento della nostra tesi
all’interno del ‘900 è possibile fare riferimento a studiosi che ne hanno tracciato, del
secolo XX, i dispositivi fondamentali.
Il Novecento, secolo capolinea e secolo di svolta: capolinea in quanto ha dato un
imprinting e una struttura all’Occidente, sia nella concezione dell’Io e della natura, sia
nella struttura del pensiero e dei saperi, sia nelle diverse forme espressive della cultura;
di svolta in quanto i saperi, la società, il soggetto, la cultura, ecc. hanno assunto volti
nuovi, identità nuove, nuovi paradigmi.
4
Il Novecento un secolo da pensare e ripensare dal momento che è pieno di
contraddizioni: il secolo dei totalitarismi e delle democrazie, del capitale monopolistico
e del welfare state, delle masse e delle èlits, degli integralismi e della globalizzazione.
Il Novecento un secolo non riducibile a un solo slogan, proprio per il suo volto
polimorfo, un secolo “doloroso”, “smisurato”, “di utopie e di disincanti” al tempo
1
stesso, “nazionalista” e totalitario, ma anche “futuro-dipendente” e molto altro ancora.
Nel Novecento alcuni “eventi” si fissano come pilastri: la fine della tradizione e/o
l’accelerarsi della modernizzazione; l’ascesa della tecnologia; l’irruzione delle masse,
dei giovani, delle donne nella storia; l’orrore dell’Olocausto; l’avvento della
mondializzazione.
In tutto questo, la pedagogia che ruolo ha svolto?
Nel corso del Novecento la pedagogia si è rinnovata come sapere e si è imposta
come una pratica sociale sempre più centrale, articolata, diffusa. Sotto la spinta della
nuova società di massa, la pedagogia ha posto i processi educativi in forma diffusa in
tutta la società; la scienza e la tecnica, poi, hanno dato il loro contributo trasformando
saperi, pratiche sociali, la stessa vita quotidiana. L’educazione si è imposta come fattore
di sviluppo della società industriale e postindustriale, accumulandone i valori, riducendo
i conflitti sociali, attraverso un’opera di guida e conformazione ideologica.
Quali le innovazioni più significative della pedagogia del Novecento?
1
Cambi Franco, “Le pedagogie del Novecento”, Laterza, Bari, 2005, p.6;
5
Nell’ambito più strettamente pedagogico (ovvero della pedagogia come sapere) tre
sono state le innovazioni più significative alla base dell’avventura pedagogica del
Novecento:
1)l’affermarsi delle scienze dell’educazione e lo sviluppo dell’epistemologia
pedagogica;
2)il costituirsi di un modello di pedagogia critica, che si è imposto come un
neoparadigma nel pensiero pedagogico di fine millennio;
3)lo sviluppo della pedagogia sociale, attiva su molti fronti e che ha, via via,
investito di processi formativi tutto l’arco della vita umana e molti percorsi della
vita sociale.
Sul piano delle pratiche sociali l’educazione e la pedagogia si sono ridefinite
intorno a tre modelli: a) quello dell’alfabetizzazione; b) quello della cultura di massa; c)
quello dell’educazione per tutta la vita.
La pedagogia ha acquistato un nuovo volto: si è emancipata dalla filosofia come
metafisica, si è fatta scienza empirica, sapere critico, proprio per sfuggire alla cattura
ideologica da parte della società organizzata in cui pur opera e della quale viene ad
essere una funzione e una risorsa primaria. Ha anche ridefinito meglio il suo nesso col
politico: tra pedagogia e politica c’è vicinanza, doppio legame, sinergia, ma c’è anche
tensione, opposizione, relazione dialettica; tensionalità che va preservata, secondo il
prof.Cambi, proprio per garantire alla politica di non farsi esclusivamente gioco di
potere - mentre è anche (e soprattutto) servizio per l’uomo – e nel contempo per dare
alla pedagogia la propria autonomia e farle giocare il ruolo di critica e di utopia che essa
6
deve assumere, alla fine, rispetto al potere: a ogni potere, ma a quello politico in
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particolare.
Remo Fornaca, attento analista di pedagogia, nella sua ricostruzione storico-
pedagogica del Novecento afferma:
“La prima metà del Novecento ha registrato la presenza della cultura pedagogica idealista che sul
piano teorico e storico ha privilegiato l’approccio pedagogico di tipo filosofico con scarsa attenzione alle
problematiche educative nella loro dimensione esistenziale, personale, sociale, economica, scientifica.
Grande eccezione è stata la Montessori attenta alle questioni educative, specie, ma non solo infantili, ed il
metodo scientifico in pedagogia. In Gramsci forte era la convinzione del carattere classista
dell’educazione e della pedagogia che perdevano quell’aura di universalità che le aveva per gran parte
contrassegnate per misurarsi con i condizionamenti economici, sociali, di classe”.
Poi continua:
“Con la Liberazione e con il secondo dopoguerra si accentua di molto la sensibilità e l’attenzione
per le questioni educative, per i soggetti personali e sociali dell’educazione, per la ricerca pedagogica e
per il rapporto che si viene a stabilire tra competenze educative e pedagogiche. All’accettazione della
pluralità dei modelli educativi si accompagna quella della pluralità dei modelli pedagogici; purtroppo in
Italia si fa strada con parecchio ritardo la convinzione del carattere ipotetico, storico, pluralistico dei
modelli scientifici. La pedagogia italiana registra dei condizionamenti ideologici; condizionamenti ancor
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più evidenti nella gestione educativa e scolastica della nostra società”.
2
Cambi Franco, “Manuale di filosofia dell’educazione”, Laterza, Bari, 2000, pp. 3-24;
3
Fornaca Remo, “Modelli ideologici della pedagogia: una rilettura”, Goliardiche, Roma, 1999, pp.21-28;
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1.1 La pedagogia della “guerra fredda”.
Gli ultimi anni di guerra avevano fatto emergere con chiarezza la superiorità
economico-militare delle due principali potenze alleate nella lotta contro la Germania
nazista: Stati Uniti e URSS.
Nel giro di pochi mesi l’alleanza tra le due potenze vincitrici della guerra si
trasformava in un antagonismo sempre più marcato, che tra il 1946 e il 1947 sfociava in
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quella che fu definita la “guerra fredda”. Era inevitabile questo sbocco? Le sue radici
erano da ricercare nella diversità socioeconomica e nella contrapposizione politoco-
ideologica dei sistemi americano e sovietico o in un contrasto geopolitico tra le due
uniche potenze uscite rafforzate dalla guerra? E quanto pesavano, nella gestazione e
prosecuzione della guerra fredda, le motivazioni interne che entrambi i governi
dovevano tener presenti per rafforzare la propria stabilità e consenso, per riconvertire
l’identità nazionale e le aspirazioni della pubblica opinione alle necessità della
ricostruzione?
Vi è una data che segna l’avvio inarrestabile della guerra fredda: 12 marzo 1947.
Quel giorno, di fronte al Congresso riunito in seduta congiunta, Harry S. Truman
dichiarava che la sicurezza dell’America era minacciata da qualunque aggressione
contro la pace e libertà; e che, di conseguenza, occorreva “aiutare i popoli liberi che
resistono ai tentativi di asservimento di minoranze armate o di pressioni esterne”. La
4
Usato per primo dal finanziere americano Bernard Baruch nell’aprile 1947, in un discorso all’assemblea
legislativa della South Carolina, il temine “guerra fredda” viene reso popolare dal giornalista, studioso e
commentatore Walter Lippmann, autore di una serie di articoli apparsi nel luglio 1947 sul “New York
Harold Tribune” e riassume in un libro dal titolo The Cold War: A Study in U.S. Foreign Policy.
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“dottrina Truman” era così enunciata e diventava il perno della politica esterna
5
americana.
Meno di tre mesi dopo l’enunciazione della dottrina Truman, il nuovo segretario di
Stato americano, il generale George C. Marshall, indicava le linee generali del piano di
aiuti economici all’Europa che avrebbe preso il suo nome. Mentre gli incontri dei
ministri degli Esteri delle potenze vincitrici fallivano ripetutamente nel risolvere il
problema della Germania, gli Stati Uniti rafforzavano il proprio coinvolgimento politico
in Europa scendendo massicciamente sul terreno degli aiuti economici e finanziari. Nel
luglio, a Parigi, l’URSS respingeva ogni coinvolgimento nel piano Marshall e
costringeva i Paesi dell’Europa centro-orientale a fare lo stesso. La divisione
dell’Europa era ormai una realtà: il blocco occidentale era rappresentato proprio dal
piano Marshall, cui sarebbe seguito due anni dopo anche un organismo militare, la
NATO; il campo socialista veniva ufficializzato nel settembre 1947 con la creazione del
COMINFORM, l’Ufficio d’informazione cui partecipavano i partiti comunisti dei Paesi
dove essi erano al potere (Unione Sovietica, Jugoslavia, Ungheria, Polonia,
Cecoslovacchia, Bulgaria, Romania, Albania) con l’aggiunta di quelli francesi e
italiano.
Si è cercato, con scarsi risultati, di stabilire chi abbia dato inizio alla guerra fredda
e quale delle due superpotenze abbia avuto maggiori responsabilità. La guerra fredda,
infatti, fu il risultato di tutta una relazione, la modalità di un rapporto, l’estrinsecarsi di
una conflittualità che riguardava entrambe le potenze vittoriose. Essa costituì il terreno
5
Enciclopedia Storia Universale: Il Nuovo Ordine, cap. XX, Corriere della Sera, Milano, 2004, pp.
319-321;
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d’incontro tra le esigenze interne e le prospettive internazionali sia degli Stati Uniti sia
dell’Unione Sovietica. Il carattere del conflitto fu sostanzialmente ideologico e fu nel
sistema ideologico che avvenne la saldatura tra politica interna e politica estera. La
divisione delle sfere d’influenza e il sostanziale riconoscimento dei confini e delle
pretese territoriali erano stati risolti nelle conferenze internazionali del periodo di guerra
(Theran, Jalta, Potsdam). Il problema del dopoguerra era, per ciascuna delle due
superpotenze, duplice: individuare che tipo di relazione si potesse stabilire con l’altra e
trovare il modo di costruire una solida e stabile egemonia all’interno del proprio blocco.
Il problema principale, per l’URSS, era quello delle garanzie di sicurezza, in senso
politico e territoriale; per gli Stati Uniti era invece fondamentale poter espandere la
propria egemonia economica e commerciale.
L’ideologia e la propaganda furono il terreno che garantì la mobilitazione interna e
la legittimazione esterna come guida del proprio blocco. Il sistema ideologico che
prevalse fu quello, nel campo occidentale, del richiamo alla Carta Atlantica e
all’opposizione tra mondo libero e sistema totalitario; nel campo socialista quello
dell’appello al marxismo-leninismo e alla lotta contro l’imperialismo americano.
La guerra fredda, per la natura profondamente ideologica che la caratterizzò, fu
6
prevalentemente una guerra di comunicazione, di linguaggio, d’immagine, d’identità.
Cui si accompagnò una ripresa fortissima della corsa agli armamenti e del peso del
settore militare, la cui influenza nelle scelte interne e internazionali rimase elevata
anche negli anni successivi. L’irriducibilità ideologica e la contrapposizione politica,
6
Enciclopedia Storia Universale: Il Nuovo Ordine, cap. XX, Corriere della Sera, Milano, 2004, pp.
322-328;
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