1. INTRODUZIONE
1. INTRODUZIONE
1.1 Urbanizzazione e crescita demografica
Gli ecosistemi della Terra sono dominati dagli esseri umani in molti
modi. Fra questi il più incisivo e persistente consiste nell’abilità di alterare
il territorio con forme, modalità e regimi differenti (Vitousek et al., 1997c).
Il ventesimo secolo è stato testimone di un rapido processo di
urbanizzazione della popolazione mondiale. In questo periodo la
proporzione globale di popolazione urbana ha subito un netto incremento
(dal 13% nel 1900 al 29% nel 1950, al 49% nel 2005, in accordo con il
2005 Revision of World Urbanization Prospects – United Nations). Dal
momento che il mondo è attualmente proiettato verso una continua
urbanizzazione, ci si attende che dal 2030 il 60% della popolazione globale
vivrà nelle città. Il crescente numero di abitanti nelle aree urbane conferma
queste tendenze senza precedenti. La popolazione urbana, infatti, è
cresciuta da 220 milioni nel 1900 e 732 milioni nel 1950, a 3,2 miliardi nel
2005, cioè più di quattro volte rispetto al 1950.
L’Italia non si discosta da questo scenario; infatti, la percentuale
della popolazione italiana residente in aree urbane ha mostrato anch’essa
un’inesorabile crescita passando dal 54,1% nel 1950 al 66,7% nel 2005. La
stima proiettata al 2030 è del 74,6% (United Nations, 2006).
L’espansione delle popolazioni umane e del concomitante sviluppo
ha sempre più alterato l’ambiente naturale. Lo sviluppo incontrollato delle
città è, quindi, un’estrema forma di modificazione umana del paesaggio,
11
INTRODUZIONE
che porta ad un progressivo isolamento delle tipologie ambientali originarie
nei paesaggi urbanizzati. Lo sfruttamento antropico del territorio induce
una frammentazione delle aree naturali, una completa perdita di habitat,
cambiamenti nella copertura del suolo, nelle condizioni climatiche locali e
l’accumulo di rifiuti. Come conseguenza, esiste un crescente numero di
prove riguardo l’impatto di tali alterazioni sulla distribuzione e
1
sull’abbondanza di specie animali e vegetali (Wilson, 1988). Tra le tante
2
attività umane che causano perdita di habitat lo sviluppo urbano produce
alcuni dei maggiori tassi di estinzione locale di specie animali e vegetali
autoctone (McKinney, 2002; Hough, 2004).
Il primo ad usare il termine “urban sprawl” fu William H. Whyte in
un saggio del 1958 (Williams, 2000); con questo termine ci si riferisce ad
uno sviluppo caotico e privo di programmazione delle regioni
metropolitane, che si verifica a bassa densità ai margini dei centri urbani,
spesso con effetti a cascata a partire da nodi in cui lo sviluppo è più denso,
e che porta alla trasformazione di settori territoriali in un mosaico
ambientale costituito da residui di ambienti naturali e seminaturali inseriti
3
in una matrice antropizzata, quest’ultima dominante a scala di paesaggio
(Blair & Crosby, 2001; Battisti, 2004; Guccione & Bajo, 2004; Battisti &
Fraticelli, 2005; Soule, 2006).
Tale espansione radiale delinea, a partire dal quartiere centrale che
costituisce in genere il cuore economico, una serie di zone concentriche a
diverso grado di urbanizzazione e conseguente antropizzazione (Burgess,
1925; Dickinson, 1966; Berry, 1991). Cambiamenti fisici lungo il gradiente
1
Ehrlich & Ehrlich (1981), Dale & Hill (1996), Jokimäki et al. (1996) citati in Wilson (1988).
2
Czech et al. (2000) citato in McKinney (2002).
3
Vojnovic (1999) citato in Blair & Crosby (2001).
12
INTRODUZIONE
influenzano fortemente la disponibilità degli habitat per le specie
autoctone.
Le specie minacciate dall'urbanizzazione risentono anche di una serie
di processi ad essa collegati come la trasformazione dell’economia
agricola, lo sviluppo delle attività ricreative e delle strade, e di molti altri
impatti antropici, enfatizzando in modo univoco le trasformazioni di ampia
portata che accompagnano l'urban sprawl (McKinney, 2002). Varie
indagini (Sukopp & Werner, 1982; Medley et al., 1995; Pickett et al.,
2001) mostrano, muovendosi verso il nucleo urbano, aumenti in alcuni
parametri chimico-fisici: densità di popolazione umana, densità di
infrastrutture lineari, livello di inquinamento di aria, acqua e suolo,
temperatura ambientale media (effetto “isola di calore”), precipitazioni
medie annue, compattazione e alcalinità del suolo, e altri indicatori di
disturbo antropogenico. La percentuale di area costituita da superficie
impermeabile (pavimentazione, asfalto, edifici) oscilla tra il 50% e oltre nei
nuclei urbani a meno del 20% ai margini dell’area di espansione della città.
Inoltre, la quantità di materia importata per uso umano, disponibile per altre
specie, cresce verso il centro urbano (Beissinger & Osborne, 1982; Arnold
& Gibbons, 1996; Germaine et al., 1998; Collins et al., 2000; Pickett et al.,
2001).
I principali effetti di una così severa destrutturazione ecologica e
territoriale, che si verifica in una regione a seguito di un insediamento sono
(Chapin III et al., 1997; Marzluff, 2001; Western, 2001; McKinney, 2002;
Alberti, 2005; Alberti et al., 2003):
1) riduzione, frammentazione, isolamento e degradazione degli habitat
naturali (Dickman, 1987; Harris, 1988; Celada & Bogliani, 1993;
Johnson, 2001; Zapparoli et al., 2003; Battisti, 2004; Tews et al.,
13
INTRODUZIONE
2004; Battisti & Fraticelli, 2005; Lindenmayer & Fischer, 2006;
Fischer & Lindenmayer, 2007; Seilheimer et al., 2007; Evans et al.,
2009);
2) modificazione dei sistemi idrologici e dei regimi di sedimentazione
(Arnold & Gibbons, 1996; Crifasi, 2005);
3) notevole alterazione dei flussi energetici, dei cicli dei nutrienti e
4
delle proprietà del suolo (Odum, 1988; Arnold & Gibbons, 1996;
Vitousek et al., 1997a; Breuste et al., 2008);
4) alterazione del clima (“effetto isola di calore”) e della qualità
dell’aria (che a loro volta fungono da trappola per gli inquinanti
atmosferici) a seguito di una modificazione della natura delle
superfici (Oke, 1973);
5
5) semplificazione e omogeneizzazione della composizione in specie
(Western, 2001; Olden & Poff, 2004; McKinney, 2006; Olden &
Rooney, 2006; Devictor et al., 2007; Cassey et al., 2008; Lambdon
& Hulme, 2008; Sorace & Gustin, 2008);
6
6) introduzione di organismi alloctoni (Beissinger & Osborne, 1982;
Temple, 1992; Vitousek et al.,1997b; Manchester & Bullock, 2000;
Blackburn & Duncan, 2001; Marzluff, 2001; Ehrenfeld, 2008; van
Heezik et al., 2008).
4
Omernik (1976), Meybeck (1998), Wernick et al. (1998) citati in Alberti (2005).
5
L’omogeneizzazione è un processo che comprende un graduale rimpiazzamento dei bioti nativi con
quelli alloctoni e l’espansione delle specie alloctone a livello locale; esso sta riducendo rapidamente le
caratteristiche distintive degli ecosistemi mondiali terrestri ed acquatici.
6
Churcher & Lawton (1987), Mills et al. (1989), Pickett et al. (1997) citati in Alberti (2005).
14
INTRODUZIONE
1.2 Ecologia urbana
L’impatto delle attività umane sulle componenti naturali, comunque,
non va sempre considerato con un’accezione negativa: in alcuni casi la
presenza e la gestione dell’uomo può portare ad un incremento di
eterogeneità ambientale (mosaicizzazione). I frammenti (patches) di habitat
naturale e habitat urbano si compenetrano costituendo una specifica
7
configurazione nell’ecotessuto che può variare in funzione del grado di
alterazione indotto dall’uomo (Massa & Ingegnoli, 1999).
Anche gli esseri umani, come tutti gli organismi, modificano il loro
ambiente. La prospettiva e la natura di questa modificazione, ad ogni
modo, si sono drasticamente trasformate, di pari passo con la crescita della
popolazione umana e la diffusione del potere della tecnologia (Marzluff,
2001). Le ricerche ecologiche tradizionali indagano sugli ecosistemi in
termini di processi biofisici, ecologici ed evolutivi non condizionati
dall’influenza umana. Negli ultimi cento anni, evidenti progressi sono stati
fatti nella comprensione scientifica dei sistemi ecologici; infatti, gli ecologi
non considerano più gli ecosistemi come entità chiuse e che si autoregolano
ma, come sistemi in equilibrio dinamico, aperti, altamente imprevedibili e
soggetti a frequenti disturbi (Alberti et al., 2003).
Il concetto di “Ecologia Urbana” fu introdotto nel 1925 negli Stati
Uniti da un gruppo di biologi e sociologi dell’Università di Chicago che,
basandosi su di una visione meramente antropocentrica, focalizzarono
l’attenzione sui processi sociali (Burgess, 1925). Contrariamente, in
7
Il paesaggio è inteso come sistema di unità spaziali ecologicamente diverse, fra loro interrelate, cioè
come sistema di ecosistemi, o metaecosistema. Esso è caratterizzato da molteplici domini gerarchici di
scale spazio-temporali, e rappresenta inoltre un livello specifico della organizzazione della vita, superiore
all' ecosistema. Questa configurazione complessa di elementi (ecotopi), cioè di un ecomosaico
pluridimensionale, è chiamata ecotessuto paesistico, privilegiando l'aspetto gerarchico e la scala dei livelli
di organizzazione biologica. L'ecotessuto è quindi il primo importante insieme di elementi paesistici che
forma un’unità paesistica rilevabile (Ingegnoli, 2002).
15
INTRODUZIONE
Europa, nel 2002 con Sukopp, l’interesse si concentrò sull’importanza delle
interazioni tra componenti abiotiche e biotiche non umane (Marzluff,
2001). L’Ecologia Urbana iniziò come disciplina finalizzata a comprendere
le città come dei “super-organismi” che potevano essere caratterizzati dalla
loro crescita, dal metabolismo, dalla successione e dalla mobilità, visione
questa palesemente diretta agli abitanti umani delle città. Il campo poi si
evolse ad un approccio più riduzionista delle scienze naturali nel quale il
ruolo del ricercatore è orientato a indagare le nuove relazioni ecologiche
che interessano specifiche comunità animali e vegetali (Sukopp & Wittig,
1998). Tale visione esclude gli esseri umani e le loro attività sono viste
come forza motrice (driving force) che determina i processi nell’ambiente
urbano. Oggi in continua evoluzione, l’Ecologia Urbana guarda in maniera
più ampia ai grandi paesaggi che includono sia le core areas urbane che i
circostanti gradienti di urbanizzazione col tentativo di determinare il
funzionamento degli ecosistemi urbani, comprendendo in essi sia gli
abitanti umani che non umani intesi, entrambi, come forza trainante del
sistema (Marzluff, 2001).
L’Ecologia Urbana è, quindi:
− una scienza pratica, che studia gli ambienti urbani e i “problemi
ambientali” ad essi associati riguardanti l’inquinamento dell’acqua,
dell’aria e del suolo, l’estrazione di acqua potabile, la pianificazione
dei trasporti, l’inquinamento acustico, ecc.;
− una scienza biologica che si interessa della distribuzione e
dell’abbondanza delle specie vegetali e animali in ecosistemi
antropizzati e che permette di distinguere tra i livelli di
organizzazione di singoli individui, popolazioni e comunità (Rebele,
1994).
16
INTRODUZIONE
Come scienza applicata, gli studi ecologici urbani in genere mirano
ad esplicite applicazioni delle ricerche nella pianificazione e gestione delle
aree verdi urbane (Marzluff, 2001). Dal momento che l'ecologia non può da
sola fornire un'informazione completa riguardo l'influenza umana sugli
ecosistemi urbani, una ricerca interdisciplinare che coinvolga le scienze
sociali e naturali è imperativa per un approccio olistico finalizzato ad
integrare l'ecologia nel processo di pianificazione urbana (Niemelä, 1999).
1.3 L’ecosistema urbano: caratteristiche
Gli ecosistemi urbani sono molto simili in tutto il mondo in termini
8
di struttura, funzioni e vincoli. Essi differiscono per la loro localizzazione
geografica, le loro dimensioni e il tipo di paesaggio che modificano
(Savard et al., 2000).
I sistemi ecologici urbani sono costituiti da vari sottosistemi
interconnessi (sociali, economici, istituzionali ed ecologici), caratterizzati
da non semplici interazioni, ognuno dei quali rappresenta un sistema
complesso a sé stante e che influenza tutti gli altri a vari livelli strutturali e
funzionali. Tali interazioni danno origine a paesaggi eterogenei dominati
dall’uomo i quali, a loro volta, condizionano in modo significativo sia il
funzionamento degli ecosistemi terrestri, locali e globali, sia i servizi che
essi forniscono agli uomini e agli altri esseri viventi sulla terra (Alberti,
8
Come un regolamento cittadino limita gli individui nel loro comportamento, così l’ecosistema urbano
impone delle restrizioni allo sviluppo della biodiversità. Poiché la biodiversità trascende le varie scale
spaziali e temporali come anche i vari livelli di organizzazione (dai geni alle comunità), la sua gestione
dovrebbe essere incorporata in un sistema di decisioni gerarchico che enfatizza i collegamenti logici e
funzionali tra le scale, e nella gestione di alcune specie. In un tale sistema, i livelli più elevati limitano a
vario grado le azioni intraprese a livello più basso. È indispensabile adottare un approccio gerarchico
(Clergeau et al., 2006) per gestire correttamente la biodiversità a tutte le scale (in particolare in contesti
urbanizzati), in quanto tale approccio influenza le azioni a livello locale ogni volta che queste hanno
effetti indesiderati a scale più ampie. I vincoli, quindi, possono includere il coordinamento obbligatorio a
tutte le scale e a tutti i livelli.
17
INTRODUZIONE
2005). Essi, quindi, forniscono una serie di opportunità uniche per testare
ipotesi riguardo interazioni tra processi umani ed ecologici (Alberti et al.,
2003). Gli ecosistemi urbani hanno una complessità maggiore rispetto a
molti degli ecosistemi più naturali. Le principali differenze tra ecosistemi
urbani e non urbani sono la tipologia, l’intensità e la frequenza delle
influenze antropogeniche. Quindi, in quanto governati dalle azioni umane,
è importante considerare tali influenze quando si studia l’ecologia urbana
(Breuste et al., 2008).
Machlis et al. (1997) descrivono il paesaggio urbano come un
mosaico complesso di frammenti biologici e fisici con una matrice di
infrastrutture e una determinata organizzazione sociale. La sua eterogeneità
spaziale è generata da processi sia biofisici che socioeconomici, i quali
lavorano simultaneamente a vari livelli con importanti meccanismi di
feedback (Grimm et al., 2000; Pickett et al., 2000; Alberti & Marzluff,
2004; Alberti, 2005). Queste complicate interazioni tra decisioni umane e
processi ecologici danno luogo a fenomeni emergenti, le cui proprietà non
possono essere comprese studiando le proprietà dei sistemi ecologici e
9
socioeconomici in maniera separata (Grimm et al., 2000; Alberti et al.,
10
2003; Alberti, 2005). La resilienza ecologica degli ecosistemi urbani è
condizionata da tali influenze reciproche (Alberti & Marzluff, 2004).
La questione di come i modelli di insediamento umano incidono
sulle funzioni ecosistemiche sta divenendo sempre più importante in
ecologia (Collins et al., 2000; Grimm et al., 2000; Pickett et al., 2000). La
crescita urbana deve prendere in considerazione la creazione di ampie zone
ricreative che spesso, su richiesta dei cittadini, devono rimanere più
9
Alberti (1999) citato in Alberti (2005)
10
Il grado al quale essi tollerano le alterazioni prima di riorganizzarsi attorno a un nuovo insieme di
strutture e processi.
18
INTRODUZIONE
naturali possibili ed integrare considerazioni sia sociali che ecologiche per
evitare conflitti (Savard et al., 2000).
Cambiamenti nella copertura del suolo incidono su diversità biotica,
produttività primaria, qualità del suolo, quantità di rifiuti e tassi di
sedimentazione. Alterando la disponibilità di acqua e nutrienti, le attività
umane incidono inoltre sulle dinamiche di popolazione, di comunità e di
ecosistemi. Nelle città e nelle aree in fase di urbanizzazione la
frammentazione degli habitat naturali, la semplificazione ed
omogeneizzazione della composizione in specie, la destrutturazione dei
sistemi idrologici e l’alterazione dei flussi di energia e dei cicli dei nutrienti
riducono la resilienza a tutte le scale, lasciando i sistemi sempre più
vulnerabili ai cambiamenti (Pickett et al., 2001; Grimm et al., 2008).
La frammentazione dell'habitat può essere severa in ecosistemi
urbani e i suoi effetti si riscontrano a tutte le scale spaziali nei confronti di
tutti gli organismi, causando cambiamenti nella dimensione e nella forma
della patch così come un incremento degli habitat di margine e dei relativi
effetti (edge effects; Faulkner, 2004). I frammenti di vegetazione naturale,
prodotti da tale processo, possono essere troppo piccoli o anche troppo
isolati per supportare popolazioni vitali (Savard et al., 2000; Battisti, 2004).
I frammenti sono separati uno dall'altro da una matrice di ambiente
edificato che rende la dispersione difficile e rischiosa almeno per gli
organismi con scarsa vagilità (Gilbert, 1989). Gli habitat, terrestri ed
acquatici, in ambiente urbano possono essere seminaturali, incorporati in
una matrice urbana in costante evoluzione, o artificiali, prodotti seguendo
rigide pianificazioni (Mirabile, 2004).
Le città, considerate da una prospettiva ecologica, sono particolari
mosaici di siti costruiti per fini residenziali, commerciali, industriali ed
infrastrutturali, tra i quali si possono individuare diversi spazi verdi formali
19
INTRODUZIONE
(parchi, giardini e zone ricreative) e informali (patches residue di
vegetazione originaria meno modificata, siti industriali abbandonati,
giardini inselvatichiti e siti ruderali). Tale diversità di habitat può essere
studiata e compresa utilizzando gli approcci e i metodi dell’ecologia del
11
paesaggio, in particolare la teoria ecologica della biogeografia insulare
(Saint-Laurent, 2000; Fernandez-Juricic & Jokimäki, 2001; Breuste et al.,
2008).
Benché le aree verdi risultino spesso isolate e di ridotte dimensioni la
ricchezza in specie a livello di paesaggio è spesso alta in contesti
urbanizzati (Rebele, 1994; Zapparoli, 2002; Breuste et al., 2008). Ciò è
dovuto alla variazione nella composizione in specie tra i frammenti (β
diversità), che a sua volta è il risultato di una grande varietà di tipi di
habitat che vanno da quelli semi-naturali a quelli altamente antropogenici
(Rebele, 1994). La ricchezza in specie tende ad essere maggiore nelle aree
con più vegetazione rispetto alle aree del centro città, con elevata
percentuale di superficie asfaltata (Lancaster & Rees, 1979, Savard et al.,
12
2000). Secondo l’“Ipotesi del Disturbo Intermedio” (McKinney, 2002) è
possibile rilevare una ricchezza specifica più alta in siti moderatamente
disturbati rispetto a quelli disturbati pesantemente o non disturbati (per gli
uccelli: Jokimäki & Suhonen, 1993). Per esempio, studiando l’effetto della
mosaicità degli habitat urbani, focalizzata l’attenzione sulle piccole raccolte
d’acqua (ponds) urbane, è stata dimostrata una correlazione altamente
significativa tra la densità di questi ambienti e la ricchezza in specie
(Gledhill et al., 2008).
Per quanto riguarda la vegetazione semi-naturale e la sua relazione
con gli spazi verdi urbani, il numero di specie autoctone è correlato sia alla
11
MacArthur & Wilson (1967).
12
Connell (1978) citato in Breuste et al. (2008).
20
INTRODUZIONE
superficie di tali siti sia alla presenza umana: in spazi verdi di ampia
superficie e/o inseriti in quartieri con bassa densità abitativa, il numero di
specie autoctone aumenta (Pickett et al., 2001; Breuste et al., 2008).
È stato osservato, inoltre, che le aree urbane sono vulnerabili alle
invasioni di specie alloctone (vedi par. 1.5) (Rebele, 1994; Vitousek et al.,
1997b; Didham et al., 2005; Ehrenfeld, 2008; van Heezik et al., 2008). Il
fenomeno delle introduzioni, volontarie o accidentali, di specie alloctone
13
nelle realtà urbane ha un marcato impatto sulla biodiversità. Come, da un
lato, l’impatto di una città sugli ecosistemi limitrofi può essere consistente,
dall’altro, molto si può apprendere mediante l'applicazione di concetti di
biodiversità all'ecosistema urbano stesso. Le indagini riguardanti la
biodiversità in ambito urbano possono distinguersi per esempio in (1)
quelle che si concentrano sull'impatto della città stessa sugli ecosistemi
suburbani adiacenti; (2) quelle che si occupano di come conservare la
biodiversità nell'ambito dell'ecosistema urbano e (3) quelle connesse alla
gestione delle specie indesiderate (per es., sinantropiche invasive e/o
alloctone) all'interno dell'ecosistema. Può essere molto importante
valorizzare la biodiversità negli ecosistemi urbani in quanto alcune
evidenze suggeriscono che l'esposizione del pubblico generico alla
naturalità residua interna alle aree urbane è un fattore determinante per
creare sensibilità alle tematiche ambientali (Savard et al., 2000). Per
esempio, gli spazi verdi possono favorire la presenza, seppur residuale, di
numerose specie animali e vegetali ed inoltre contribuiscono positivamente
alla qualità dell’ambiente urbano fornendo siti cittadini per attività
13
La diversità biologica, o biodiversità, è la varietà della vita sulla terra. Comprende la
variabilità intraspecifica, interspecifica e degli ecosistemi. Essa si riferisce inoltre alle
complesse relazioni che si instaurano tra gli esseri viventi, e tra questi e il loro ambiente. La
biodiversità e le sue componenti forniscono una serie di beni e servizi che sostengono la nostra
vita, i nostri mezzi di sussistenza, e l'ambiente in cui viviamo (Convenzione sulla Diversità
Biologica, 1992; cfr. anche Mayer, 2006).
21
INTRODUZIONE
ricreative, oltre a svolgere importanti servizi ecosistemici (Breuste et al.,
2008). Inoltre, in quanto sistema ecologico altamente dinamico (Gilbert,
1989; Savard et al., 2000), la città può fornire indicazioni utili nella
gestione della biodiversità anche in altri ecosistemi (Savard et al., 2000).
1.3.1 Il disturbo di origine antropica
1415
I disturbi, siano essi di origine abiotica, biotica o antropica,
agiscono su tutti gli ambienti naturali e antropogenici (come quelli urbani).
Il concetto di disturbo racchiude in sé varie componenti e, per tale motivo,
è difficile darne una definizione univoca. I disturbi possono essere intesi
come un insieme di processi, discreti nello spazio e nel tempo, i quali
destabilizzano struttura e funzionalità di popolazioni, comunità ed
ecosistemi, modificano substrato ed ambiente fisico, e i cui effetti si
ripercuotono su altri processi e sistemi (White & Pickett, 1985; Farina,
2001). Per quanto concerne l’ecosistema urbano, la suddetta alterazione
degli equilibri, a tutti i livelli ecologici, è imputabile soprattutto alle attività
16
umane. Il disturbo antropico, infatti, presenta alcune decisive peculiarità
che lo contraddistinguono dal disturbo provocato da altri fattori o processi
di origine naturale: maggiore estensione, severità e frequenza (Farina,
2001; Battisti, 2004; Breuste et al., 2008). La risposta delle specie presenti
negli ambienti urbani a questi fattori muta in funzione della sensibilità e
della capacità competitiva delle specie. Le dinamiche presenti all’interno
dei sistemi ecologici dominati dall’uomo, per la loro elevata frequenza e
14
Per es.: radiazione solare, siccità, uragani, esondazioni, oscillazione del livello idrico nei bacini,
oscillazione della salinità, ecc.
15
Per es.: esplosioni demografiche, predazione, competizione, parassitismo, epidemie, calpestio
animale, ecc.
16
Per es.: agricoltura, attività venatorie, consumo delle risorse, fruizione degli spazi verdi a fini
ricreativi, ecc.
22
INTRODUZIONE
severità, favoriscono la permanenza di specie vagili (con buone capacità di
dispersione) e/o a sviluppo veloce (strategia r). Allo stesso modo, quando i
fattori di disturbo limitano moderatamente quelle specie con maggiori
capacità competitive (che sono dominanti in caso di disturbi infrequenti)
permettono la coesistenza di quelle che lo sono meno (aumentando, così, la
12
ricchezza specifica). Il dinamismo delle aree urbanizzate produce, come
visto, sistemi naturali frammentati. Tutto questo si traduce in cambiamenti,
nell’abbondanza e nella distribuzione delle specie animali e vegetali
sensibili all’interno dell’ecomosaico urbano, non solo dovuti alla differente
percezione interspecifica ed intraspecifica (variabile in funzione di sesso,
età, fitness, dimensioni corporee) dell’eterogeneità spaziale (Farina, 2001),
ma anche in base alla sensibilità delle varie specie al livello di disturbo
17
(edge effect) (per gli anfibi: Rubbo & Kiesecker, 2005; Parris, 2006; per
gli uccelli: Beissinger & Osborne, 1982; Celada & Bogliani, 1993;
Jokimäki & Suhonen, 1993; Elmberg et al., 1994; Reijnen & Foppen, 1994;
Clergeau et al., 1998; Germaine et al., 1998; Marsden, 2000; Clergeau et
al., 2001; Froneman et al., 2001; Marzluff, 2001; Burton et al., 2002; Blair,
2004; Chamberlain et al., 2004; Battisti & Fraticelli, 2005; Butler et al.,
2005; O'Neal Campbell, 2006; Platt & Lill, 2006; Burton, 2007;
Chamberlain et al., 2007; Gill, 2007; Fuller et al., 2008; van Heezik et al.,
2008; Evans et al., 2009; per i mammiferi: Baker et al., 2003; Zapparoli et
al., 2003; Traweger et al., 2006; Baker & Harris, 2007). Le popolazioni di
specie animali e vegetali presenti in aree urbane o suburbane sono esposte a
17
Con il termine generico di “effetto margine” si intendono una serie di effetti fisico-chimici ed
ecologici, di tipo deterministico, riscontrabili nelle aree di contatto e limitrofe fra tipologie ambientali
diverse. È un processo intra-fragment che induce una trasformazione della struttura vegetazionale, della
copertura del suolo e del microclima la quale provoca, a sua volta, effetti diretti, indiretti e specie-
specifici sulla distribuzione e abbondanza delle specie animali e vegetali. L’entità di tale effetto è
dipendente dalla tipologia ambientale del frammento e della matrice nel quale è inserito, dal tipo e grado
di frammentazione e dal tempo intercorso dall’inizio di questo processo (Davies et al., 2001; Battisti,
2004).
23
INTRODUZIONE
una nuova serie di disturbi rispetto alle popolazioni presenti nelle aree non
urbane. Questi disturbi, sebbene differenti, possono provocare stress negli
individui di queste specie, in modo tale da indurre modifiche ecologiche,
fisiologiche, comportamentali (per es., nell’attività di foraggiamento, nelle
dinamiche dispersive, nella fitness, ecc.; Ditchkoff et al., 2006).
Il disturbo antropico su specie e comunità animali si realizza in vari
modi:
• traffico pedonale (Fernandez-Juricic et al., 2001; Beale &
Monaghan, 2004; Platt & Lill, 2006);
• traffico veicolare (Klein, 1993; Fox et al., 1994; Gill et al., 1996;
Spellerberg, 1998; Stolen, 2003);
• apporto alimentare supplementare (Warren et al., 2006; Fuller et al.,
2008; Jones & Reynolds, 2008; Käßmann & Woog, 2008);
• presenza di animali domestici, soprattutto cani e gatti (Churcher &
Lawton, 1987; Tidemann, 1994; Fougere, 2000; Randler, 2003;
Randler, 2006);
• presenza di animali alloctoni (introdotti come pets) (Vitousek, et al.,
1997b; Murgui, 2001; Prévot-Julliard, et al., 2007);
18
• inquinamento acustico (Reijnen & Foppen, 1994; Forman &
Alexander, 1998; Spellerberg, 1998; Slabbekoorn & Ripmeester,
2007), chimico (Faulkner, 2004), e luminoso (Coppack & Pulido,
2004).
18
Per la legge italiana (Legge del 26 ottobre 1995 n. 447) l'inquinamento acustico può essere definito
come il danneggiamento dell'ambiente, dovuto ad una eccessiva esposizione a rumori di elevata intensità,
prodotti dall'uomo.
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INTRODUZIONE
Gli effetti del disturbo umano, diretto ed indiretto, sulle popolazioni
animali (cambiamenti nella distribuzione, nel comportamento, nei tassi
demografici e nelle dimensioni della popolazione) sono stati oggetto di
numerosi studi, mirati anche alla ricerca dei più idonei metodi di
quantificazione (Gill et al., 1996; Gill, 2007).
1.3.2 Le aree verdi nel paesaggio urbano: origini e funzioni
Il rapporto tra ambienti naturali e antropogenici in ambiente urbano è
definibile essenzialmente da due componenti: 1) il contrasto tra
l’espansione cittadina e la conseguente perdita di habitat; 2) l’opposizione,
attraverso l’uso di componenti naturali (principalmente vegetali), alla
frammentazione e depauperamento degli spazi naturali e seminaturali, col
tentativo di ripristinare gli spazi verdi (Guccione & Bajo, 2004). La
diversità delle attività umane nelle città crea e mantiene una grande varietà
di ambienti che vanno da quelli piuttosto naturali a quelli altamente
modificati, alcuni dei quali non si trovano altrove (Niemelä, 1999).
19
Ogni struttura insediativa include nei suoi confini “aree verdi” a
diverso grado di “naturalità”. Tra esse si possono distinguere varie
tipologie:
• aree risparmiate dalle pressanti dinamiche evolutive urbane (per es.,
parchi e riserve naturali);
• aree coltivate (per es., campi agricoli, orti, ecc.);
• aree abbandonate (per es., campi incolti, ex zone industriali, ecc.);
• aree pianificate e sottoposte a periodica manutenzione (per es.,
giardini pubblici e privati, parchi cittadini, ville storiche, ecc.).
19
Superficie delle diverse aree verdi (verde attrezzato, parchi urbani, verde storico, aree di arredo
2
urbano, aree speciali, aree protette e riserve naturali) sul totale della superficie comunale (m/ha)
(Legambiente, 2008; Chiesura, 2009).
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