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INTRODUZIONE
La sessualità umana ha rappresentato da sempre uno degli argomenti
più trattati dalla Psicoanalisi. Non è un mistero che Freud, nei suoi
scritti, ne abbia fatto il fulcro delle sue teorie, indagandola sin dalle
prime manifestazioni infantili. Il concetto di bambino “perverso
polimorfo” ha aperto un dibattito molto ricco tra i vari esperti dell’epoca,
tracciando una prima distinzione tra la sessualità legata alla riproduzione
e quella fine a se stessa. La diversità biologica tra l’uomo e la donna e le
sue implicazioni sul piano sessuo-affettivo hanno instillato, inoltre, il
sospetto che il gentil sesso possieda costitutivamente caratteristiche di
passività e sottomissione.
Questo precoce interesse per l’erotismo non deve, tuttavia, lasciar
pensare che l’argomento sia stato esaurito in ogni suo aspetto. Lo scopo
di questo lavoro è, dunque, quello di approfondire un nucleo tematico
che a tutt’oggi risulta essere lacunoso nei dibattiti degli studiosi: le
Perversioni Femminili. La sessualità della donna, considerata nelle sue
forme devianti, appare, difatti, un argomento relativamente nuovo. Per
molti anni si è dibattuto sulle parafilie esclusivamente da un punto di
vista maschile, come se solo il sesso forte fosse coinvolto in pratiche
erotiche bizzarre e “aberranti”. La donna, in nome di una presunta
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passività psicofisica, sembrava esserne immune ed i pochi casi riportati
in letteratura erano spesso spiegati attribuendo alle protagoniste
caratteristiche androgine; in altri termini la loro femminilità aveva
abdicato a favore di tratti mascolini. Questa “superficialità” nei confronti
della sessualità femminile, ha sostenuto e validato nel corso del tempo il
maggior interesse per quella maschile.
Nel presente lavoro si analizzeranno le riflessioni, le teorie ed i
dibattiti che hanno coinvolto alcuni tra i maggiori esponenti di stampo
psicoanalitico, integrate da considerazioni di natura biologica. Verranno,
inoltre, proposte alcune ricerche recenti, che testimoniano l’attualità
dell’argomento e si tenterà di fornire correlazioni tra passato e presente
per mostrarne il suo excursus storico.
Nella prima parte l’attenzione sarà rivolta alle varie definizioni di
“perversione sessuale”. Partendo dalle pioneristiche classificazioni di
Kraft-Ebing e Freud, si analizzeranno il contributo della scuola inglese e
degli psicoanalisti delle relazioni oggettuali, quelli scaturiti dagli studi
della Mahler sul rapporto simbiotico madre-bambino ed i più recenti
apporti della Chasseguet-Smirgel e di Stoller, con l’intento di
contestualizzare ogni teoria al periodo storico di riferimento. Lo stesso
vocabolo utilizzato per definire le perversioni ha subito nel tempo varie
revisioni, influenzato dalle connotazioni sociologiche e moralistiche che
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di volta in volta gli sono state attribuite. Le considerazioni dell’American
Psychiatric Association, unitamente a quelle dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità sono parte fondante del secondo paragrafo, dove
verranno riportati i criteri diagnostici utilizzati nel DSM-IV TR e
nell’ICD 10. L’intento è quello di distinguere nel continuum del
comportamento sessuale umano aspetti di “normalità” da componenti più
patologiche. Nel terzo paragrafo, infine, saranno descritte le parafilie più
comuni, correlate da una breve analisi eziologica.
Il capitolo successivo affronterà il tema della sessualità femminile. La
disamina dello sviluppo psico-affettivo della donna ha permesso di
poterne individuare con maggior precisione gli aspetti “anomali”.
Inizialmente si è dato spazio ad un’analisi anatomo-fisiologica,
attraverso una panoramica sull’apparato genitale dalla nascita alla prima
età adulta. Successivamente si è descritto il ciclo di risposta sessuale,
passando in rassegna vari contributi teorici, da quelli più remoti fino al
modello della Basson. Le proposte eziologiche sull’erotismo femminile
sono state divise su base temporale: le idee avanzate in ambito
psicoanalitico fino agli anni ’40; le teorie emerse sino agli anni ’70 e
quelle relative agli ultimi decenni.
La terza ed ultima parte di questo lavoro sarà dedicata allo studio delle
parafilie femminili, prendendo le mosse dalle considerazioni della
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Kaplan e dal successivo dibattito da esse sollevato. Un’attenzione
particolare sarà data alle cause che originerebbero le “strategie perverse”
femminili, rintracciabili in primis nel ruolo degli stereotipi sociali di
genere. In un secondo momento verranno presentate in dettaglio le
quattro forme patologiche individuate dall’Autrice, ossia la
sottomissione estrema, il mascheramento di femminilità, la cleptomania
e le mutilazioni (tricotillomania e autolesioni), proponendone per
ciascuna alcuni casi clinici. Il tema verrà approfondito attraverso la
disamina di una ricerca-pilota effettuata da un gruppo di studiosi italiani
sulle autolesioni, mostrando le analogie e le differenze con quanto
enunciato dalla Kaplan. Per quanto riguarda la pedofilia femminile, si è
preferito dedicarle un paragrafo a parte vista l’attualità del tema e la sua
peculiarità. In quest’ottica si è scelto di proporre anche i contributi di
criminologi, operatori sociali e giuristi. A conclusione del capitolo si
proporranno delle riflessioni sulle “perversioni soft”, tratte dai lavori di
Pasini e da una recente ricerca-pilota italiana che ne indaga fantasie e
principali pratiche, al fine di evidenziare l’esistenza di condotte sessuali
non patologiche in senso stretto, seppur oggetto di condanna da parta
della società.
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CAPITOLO I
LE PARAFILIE
1.1 Le teorie del „900: da Kraft-Ebing a Stoller
Nel corso del XX secolo, la tematica delle Perversioni Sessuali ha
interessato molti Autori, soprattutto di matrice psicodinamica, che hanno
dato vita a numerose ed eterogenee teorie circa la loro eziologia e la loro
definizione (Freud, 1905; Fenichel, 1945; Stoller 1975).
Il primo lavoro di una certa rilevanza è stato “Psychopathia Sexualis”
(1866) dello psichiatra austriaco Kraft-Ebing, testo che fu considerato in
maniera molto controversa all’epoca, soprattutto negli ambienti clericali.
L’Autore spiegava le perversioni in un’ottica strettamente genetica,
attribuendole a fattori ereditari, escludendo il ruolo svolto da influenze
ambientali o strategie apprese dall’individuo. Nella sua classificazione
egli le raggruppò in tre grandi categorie:
1) le degenerazioni originate dalla sessualità in senso stretto
(pedofilia, autosessualismo, zoofilia, iperestesia psicosessuale,
gerontofilia);
2) quelle in cui l’erotica è abnorme e le finalità dell’atto sono
perverse (feticismo, sadismo, masochismo, esibizionismo);
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3) l’omosessualità e alcune sue varianti, la bisessualità e il
travestitismo (ibidem).
Nel corso dei decenni le analisi in merito alle “deviazioni sessuali”
sono state influenzate dal contesto che le ha prodotte. In una cultura che
considerava la normalità erotica in termini relativamente ristretti, Freud
(1905) definì l’attività sessuale come perversa sulla base dei seguenti
criteri: 1) essa è focalizzata su regioni del corpo non genitali; 2) piuttosto
che coesistere con l’abituale pratica con un partner dell’altro sesso, la
soppianta e la sostituisce del tutto; 3) tende ad avere caratteristiche di
esclusività. Nella sua lunga attività clinica Freud notò il rapporto di
passività o attività tipico di ognuna delle perversioni e la loro
complementarietà, laddove una perversione per così dire “attiva” stimoli
una controparte “passiva” e viceversa. Nel primo dei “Tre saggi sulla
teoria sessuale” (1905), le Aberrazioni Sessuali, egli classificò le
deviazioni rispetto all’oggetto (Inversione, Attrazione per persone
sessualmente immature e animali) e rispetto alla meta (Prevaricazione
anatomiche, Fissazioni a mete sessuali provvisorie), considerando come
perversioni proprio queste ultime. Mentre nei suoi primi lavori indicò
nell’angoscia di castrazione la causa prima delle perversioni, nelle
successive opere pose l’accento sull’angoscia del vuoto, in relazione
all’assenza materna, e sull’inesistenza del padre, manifestata attraverso
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la sua negazione da parte dell’individuo (Freud, 1905; 1919; 1927;
1938). Il comportamento deviante venne spiegato come un meccanismo
(conflittuale) teso ad annullare la fusione con l’oggetto primario
onnipotente, comunque sempre desiderato.
Nella loro “Enciclopedia della Psicoanalisi” Laplanche e Pontalis
(1967) fanno eco a Freud aggiungendo che: “più in generale si designa
come perversione l’insieme del comportamento psicosessuale che si
accompagna a tali atipie nell’ottenimento del piacere sessuale”
(pag.378).
Con Abraham (1912) si ha una rilettura della perversione molto vicina
ai concetti freudiani: essa è considerata come una fissazione ed una
regressione a livelli di sviluppo pregenitali, laddove nell’atto deviante la
pulsione dominante si evidenzia liberamente, al contrario che nella
nevrosi dove viene, invece, rimossa ed appare un sintomo manifesto.
Tra i post freudiani, la McDougall (1982) pone l’accento sui conflitti
pre-edipici con la madre. Ella ritiene che il bambino compierebbe una
interiorizzazione dei copioni familiari e, perciò, sarebbe coinvolto in un
teatro psicologico inconscio, derivante dai desideri e dai conflitti erotici
dei genitori. Nel momento in cui attiva la rappresentazione inconscia
“scritta” da loro, il piccolo proteggerebbe gli oggetti introiettati dalla sua
aggressività, facendo fronte alla paure di perdere l’identità e di
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disintegrazione del Sé (ibidem). L’Autrice afferma anche che nei
soggetti perversi non vi sarebbe stato un processo d’interiorizzazione del
“giusto” oggetto; ciò non avrebbe consentito di utilizzare oggetti
transazionali per separarsi dalla figura materna. Le manifestazioni
parafiliche sarebbero, quindi, caratterizzate da rigidità e ripetitività
ossessiva oltre che da totale indifferenza nei confronti della vittima. In
ultima analisi la McDougall sottolinea l’assoluta normalità nell’avere
fantasie perverse non correlate a tratti compulsivi, accogliendo di fatto la
variabilità del comportamento sessuale (ibidem).
Boss, nel suo lavoro “Senso e contenuto delle perversioni sessuali”
(1949), propone una trattazione critica del nascente punto di vista
antropologico che riduceva la deviazione sessuale ad un mero impulso
distruttivo, affermando che essa, al contrario, è espressione di una
fusione e amplificazione dell’essere.
Gabel, Lebovici e Mazet (1995) ritennero la parafilia una condizione
psicopatologica caratterizzata dall’assenza di colpa, dovuta ad una scelta
narcisistica dell’individuo, a scapito di una scelta d’oggetto, operata per
soddisfare il desiderio.
La Chasseguet-Smirgel in “Creatività e perversione” (1985),
prendendo le mosse da questa considerazione, si focalizzò sulla falsità
che si manifesta nella idealizzazione delle pulsioni e degli oggetti