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Introduzione
La materia del crimine organizzato è un argomento ancora attuale, specialmente nel
nostro paese, dove questo fenomeno sociale si è originato e allargato divenendo
internazionale.
In questo scritto ho cercato di ricostruire la storia della criminalità organizzata italiana,
trascrivendo i punti principali, i passaggi storici che l‟hanno pian piano delineata, cogliendo
i motivi quasi antropologici della sua esistenza e del suo successo in una regione che ha
da sempre dovuto subire l‟influsso delle dominazioni straniere; in particolare, nel primo e
nel secondo capitolo, dopo aver definiti l‟argomento del mio elaborato, ne ho descritto gli
eventi strutturali e storici; nel terzo capitolo ne ho raccontato l‟aspetto più attuale, facendo
riferimento alla struttura e organizzazione, non tralasciando di accennare a altre forme di
criminalità organizzata, nel quarto capitolo ho narrato un po‟ quella che è la situazione
attuale, e nel quinto capitolo ho parlato di legalità; dopo averne messo in luce gli eventi
storici di maggior rilievo, la trasformazione e l‟organizzazione, sforzandomi di essere il più
neutrale e oggettiva possibile, ho voluto trattare i riflessi che un contesto come la
criminalità organizzata porta nelle persone che vi vivono a stretto contatto, in particolar
modo nei giovani, che sono i più pronti a reagire, ma anche i primi a esserne contaminati,
specialmente se adolescenti, visto che questo periodo costituisce un passaggio delicato
nella vita di ogni essere umano.
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Capitolo 1: criminalità organizzata: dall’origine alla nascita di Cosa Nostra.
Cos’è la criminalità organizzata?
Non vi è accordo completo tra gli studiosi su quella che è la definizione di criminalità
organizzata poiché il termine è troppo vasto da spiegare con un'unica accezione; di solito
con questa espressione ci si riferisce a un insieme di imprese che 1”forniscono beni e
servizi illeciti e che si infiltrano nelle attività economiche lecite”; per beni e servizi illeciti si
intende il gioco d‟azzardo, la prostituzione,la vendita di droga, l‟usura, il commercio di armi
[…]; si potrebbe dire in generale che la criminalità organizzata è una sorta di impresa, con
una propria organizzazione, proprie regole, propri obbiettivi, così come una normale
azienda, solo che illegale, inoltre è dotata di carattere polivalente nel senso che mira
all‟acquisizione sia di profitti finanziari che del potere politico, ed è anche in grado di
spostarsi da un ambito all‟altro con grande facilità.
Esistono tante forme di crimine organizzato ma quella su cui verterà la mia analisi è la
mafia, più precisamente cosa nostra, con riferimento alla realtà siciliana.
Il problema della origini
Parlare di mafia in riferimento alle sue origini e quindi alla realtà siciliana è abbastanza
complesso e richiede una analisi approfondita; dal punto di vista sociologico e storico
molto è stato scritto nel tentativo di dare una definizione di mafia, di trovare l‟origine, le
caratteristiche fondamentali le cause e la stessa data di nascita del fenomeno, ma questo
tentativo è molto complesso perché alla oggettiva difficoltà di ricerca si aggiunge il fatto
che spesso non è oggettivo neppure il dato preso in considerazione come oggetto di
analisi; gli studiosi sono comunque concordi che alla mafia moderna si è giunti attraverso
profonde trasformazioni, che cercherò di sintetizzare.
Oggi le associazioni criminali di tipo mafioso sono comunemente chiamate criminalità
organizzata, (o grande criminalità organizzata); questo termine racchiude in sé tutte le
altre organizzazioni presenti in Italia, chiamate „ndrangheta, camorra, mafia, sacra corona
unita, i nomi sono diversi ma hanno caratteristiche praticamente analoghe tra di loro; in
generale quindi le associazioni di tipo mafioso sono grandi imprese criminali gestite con
1
Ponti G., “Compendio di criminologia”, Raffaello cortina editore, Milano, 1999-(p. 324-329ss);
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criteri manageriali ed estensione operativa trans-nazionali 2; è necessario distinguere le
associazioni di questo tipo da quelle criminali (non mafiose) , così come recita il codice
civile: “l’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono
della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e
di omertà che ne deriva, per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la
gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di
appalti e servizi pubblici, o per realizzare profitto o vantaggi ingiusti per sé o per gli altri,
ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio di voto o di procurare voti a sé o
agli altri in occasione di consultazioni elettorali”.3 Le associazioni di tipo mafioso si
caratterizzano quindi per l‟estensione multinazionale dell‟area di traffici eseguiti in regime
di monopolio, per le diverse fonti di reddito, lecite o illecite, per il riciclaggio di denaro
sporco, per la tipologia dei reati da essa compiuti e per l‟organizzazione interna della loro
struttura.
Le organizzazioni di tipo mafioso inoltre hanno la caratteristica di essere un fenomeno di
lungo periodo, che sopravvive in Italia da circa due secoli, la cui origine si fa ricondurre
alla antica mafia siciliana, o alla „ndrangheta calabrese, o alla camorra napoletana, o alla
sacra corona unita pugliese; per raccontare il fenomeno si possono distinguere quattro
linee evolutive:
-l‟antica mafia tradizionale dei gabellotti, che si innesta sulla proprietà terriera latifondista e
conservatrice siciliana;
-una mafia italo-americana, sviluppatasi con l‟emigrazione di alcune famiglie siciliane in
America negli anni ‟30, e che poi ha assunto il monopolio del traffico internazionale della
droga;
- la mafia in Italia del primo dopo guerra;
-e infine la mafia più recente che ha cambiato strategia.
Ma da dove e in che modo si è originato questo complesso fenomeno che caratterizza la
realtà italiana?
2
Art. 416 bis, Codice Penale in Ponti G., “Compendio di criminologia”, Raffaello cortina editore, Milano, 1999 - (p. 324-
329ss).
3
Ponti G., “Compendio di criminologia”, Raffaello cortina editore, Milano, 1999- (p. 324-329ss).
6
Molti studiosi si accontentano di registrare che la mafia comincia ad apparire nei
documenti ufficiali dopo la formazione del regno d‟Italia, nelle relazioni di alcuni prefetti
della destra storica; solo a partire dal 1863 diventa ufficiale il termine “mafia” , comparso
per la prima volta in un testo teatrale di Giuseppe Rizzotto, dal titolo “i mafiosi di vicaria”;
nel 1865 il prefetto di Palermo Filippo Antonio Gualterio intuì lucidamente il rapporto
esistente tra mafia e politica con riferimento alle rivoluzioni politiche del 1848 e del 1860, il
termine allora veniva scritto e detto con due “f”, maffia; nel 1868 Antonio Traina inserì
questa parola sul nuovo vocabolario siciliano-italiano: “mafia, neologismo per indicare
azione parola o altro di chi vuole fare il bravo, sbraceria, braveria; sicurtà d’animo,
insolenza arroganza, alterigia, fasto: spocchia”; è chiaro che non è sufficiente
accontentarsi della registrazione storiografica e lessicale di una parola per comprenderla
in pieno, il problema è ancora più lontano. Forse risalente al seicento, collegandosi con la
dominazione spagnola in Italia; secondo Gaetano Mosca, un quadro rappresentativo
potrebbe essere quello descritto da Manzoni nel romanzo “I Promessi Sposi”, in
riferimento a Don Rodrigo e ai suoi Bravi, oppure ai capricci dell‟Innominato, ma questo
non spiega perché i primi frutti “mafiosi” non abbiano avuto diffusione in Lombardia dove
invece il romanzo è ambientato; il problema va ricondotto allora al lungo processo di
formazione e riproduzione di interessi delle diverse dominazioni che per secoli hanno
caratterizzato l‟Italia e in particolare la Sicilia.
Il sistema siciliano è stato per lungo periodo un sistema statico; gli elementi di staticità
sono senz‟altro da ricondurre all‟allora vigente ordinamento feudale, che aveva una
impalcatura gerarchico -piramidale, e poi a una sovranità statale che è appartenuta “quasi
senza soluzione di continuità, per nove secoli” a una dominazione straniera. In una tale
situazione le classi dirigenti siciliane si sarebbero avvalse a partire dal 1129, di un organo
di rappresentanza, il parlamento, creato dal normanno Ruggero II, che avrebbe dato vita a
un ceto politico locale, mentre di contro le varie dominazioni straniere avrebbero esercitato
il loro diritto di sovranità tramite discontinue dinastie, a volte anche solo impiantate
nell‟isola attraverso un autonomo ordinamento presidiato da un vicerè; da queste parole
potrebbe sembrare che la Sicilia sia sempre riuscita a mantenere una propria autonomia,
un proprio stato nello stato, ma questo è vero in minima parte perché lo stato “fu sempre
poco più che la informale impalcatura del potere degli stranieri” 4; l‟intera esperienza
storica dell‟isola sarebbe stata contrassegnata da una trattativa permanente tra
4Renda F., “Storia della Sicilia”, 1983-1987 in Giuseppe Carlo Marino, “Storia della mafia”, Newton Compton editori,
Roma 2006, (p. 21-22 ss.);
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dominazione e potere locale, per arrivare a dei patti per la gestione del potere, quindi il
sistema che si è formato in Sicilia potrebbe definirsi una società senza stato, e da ciò ne
derivano due cose fondamentali: la prima è appunto l‟ estrema debolezza del potere
statale, costretto sempre a patteggiare la sua legittimità col ceto politico siciliano, il
secondo risultato è sicuramente la tendenza del ceto politico e delle classi dirigenti locali a
rappresentarsi in contrapposizione allo stato, con il continuo tentativo di strumentalizzarlo
per il sostegno dei cosiddetti interessi siciliani. La storia della sistematica elusione dello
Stato, con la sua connaturata predisposizione all‟illegalità è la matrice di tutti i possibili
comportamenti mafiosi5; in una realtà in cui i privilegi, le immunità stavano in alto ed
equivalevano alla legge, non è difficile pensare che una forza del genere nascesse dal
basso.
Il fenomeno mafioso non va però visto come una costante lotta dei più deboli contro i più
ricchi, al contrario, l‟obbiettivo del mafioso era un‟avvicinarsi il più possibile al potere, fino
a sovrapporsi con esso (questa è una caratteristica che da sempre rimarrà peculiare della
mafia), e quindi non vi doveva essere di certo una lotta continua, bensì un progressivo
avvicinamento, una sempre più stretta collaborazione con gli organi di potere; il mafioso
era quindi un elemento “sveglio” del popolo, che aveva ben capito la lezione dei potenti, e
con la sua continua fedeltà al sistema dei privilegi sarebbe diventato un perfetto servo-
padrone e un sempre più affinato professionista in proprio; in base poi alla capacità del
mafioso di assicurare privilegi e amministrare bene un certo territorio si sarebbe allargato il
suo potere, anche in base a una fitta rete organizzativa fatta di amicizie, cosche,
fratellanze.
Circa nel 1812 ci fu “una rivoluzione dall‟alto”, re Ferdinando fu costretto dall‟invasione
napoleonica a lasciare Napoli a Gioacchino Murat e a cercare scampo in Sicilia dove per
conservare la corona dovette trattare con i siciliani che gliela riconfermarono a caro
prezzo: pretesero e ottennero la riconvocazione dell‟antico parlamento siciliano, ed
elaborarono e fecero firmare al re una costituzione che sancì la nascita di uno stato
siciliano a misura dei privilegi aristocratici; questa alleanza è senz‟altro la matrice storica di
un omertoso rapporto stabilitosi tra il baronaggio politico e la sua base mafiosa, e anche la
volontà di difendere una certa sicilianità.
5
Lupo S., “La mafia dall’origine ai giorni nostri”, 1993 in Giuseppe Carlo Marino, “Storia della mafia”, Newton
Compton editori, Roma 2006, (p. 21-22 ss.);
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Nel 1860 venne la volta di Garibaldi, ed è quindi necessario fare una breve parentesi
storica per rievocare la vicenda; la figura di Giuseppe Garibaldi è centrale nel quadro del
Risorgimento italiano, ed è senz‟altro uno degli autori che firmarono e resero possibile
l‟unificazione d‟ Italia […]6.Nel 1860 Garibaldi organizzò una spedizione per conquistare il
regno delle due Sicilie; raccolto un corpo di spedizione composto da circa mille uomini (le
Camicie rosse), Garibaldi raggiunse via mare la Sicilia partendo da Quarto presso
Genova. Sbarcò nel porto di Marsala proclamandosi dittatore della Sicilia in nome di
Vittorio Emanuele II, da lui appellato re d'Italia. Dopo essere sbarcato a Marsala, il 14
Maggio si diresse verso Salemi dove venne accolto con grande entusiasmo dalla
popolazione. Grazie all'aiuto del barone di Alcamo assunse il dominio in nome di Vittorio
Emanuele Re d'Italia. In quell'occasione l'Eroe dei Due Mondi issò la bandiera tricolore
proclamando Salemi la prima capitale d'Italia titolo che mantenne per un giorno. In
seguito, rinforzato da alcune centinaia di volontari batté i Borbonici a Calatafimini. Fece poi
marcia su Palermo e diede l'assalto alla città: assalì le carceri lasciate indifese e liberò i
detenuti, dei quali molti si unirono a lui e con le famiglie delle borgate povere della città
dettero vita ad una insurrezione popolare, tanto che i borbonici reagirono bombardando i
quartieri ribelli. La guarnigione del Regno delle Due Sicilie accettò un armistizio che
consentì loro di imbarcarsi e fare ritorno sul continente. Aggirò e sconfisse i borbonici a
Reggio Calabria. Cominciò una rapida marcia verso nord, che si concluse, sette
Settembre, con l'ingresso a Napoli. La capitale era stata abbandonata dal re Francesco II,
che aveva portato l'esercito a nord del fiume Volturno, dove le forze garibaldine respinsero
brillantemente l'attacco dell'esercito borbonico, riorganizzato a nord di Napoli da
Francesco II. Anche se Francesco II aveva perso le speranze di recuperare Napoli,
Garibaldi non disponeva delle forze necessarie a condurre l'assedio delle fortezze in cui
l'esercito sconfitto si era ritirato. Grazie all‟arrivo dell'esercito del regno di Sardegna
l‟esercito si risollevò. Garibaldi incontrò Vittorio Emanuele II il 26 Ottobre nei pressi di
Teano dove gli consegnò la sovranità sul regno delle Due Sicilie, Garibaldi accompagnò
poi il re a Napoli e, il giorno seguente, si ritirò nell'isola di Caprera rifiutando di accettare
qualsiasi ricompensa per i suoi servigi. Tale atteggiamento basta da solo a confermare
come egli non avesse mai immaginato di formare una repubblica garibaldina in Sicilia o a
6
Romeo R., “Il Risorgimento in Sicilia”, 1950 in Giuseppe Carlo Marino, “Storia della mafia”, Newton Compton editori,
Roma 2006, (p. 21-22 ss.);
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Napoli, bensì restare fedele al motto che aveva fatto proprio all'inizio del 1859: Italia e
Vittorio Emanuele[…].
Dopo questa breve parentesi storica sulle gesta di Garibaldi è necessario riflettere un
attimo: la storiografia ci informa di come questa impresa sarebbe stata impossibile senza
l‟aiuto della mafia; Garibaldi era si un uomo profondamente rivoluzionario, ma la sua
azione non sarebbe stata possibile senza la collaborazione del baronaggio siciliano, che
aveva una precisa strategia di classe come rivela questo breve stralcio di testo: “…tutti i
baroni come tutti i proprietari delle città come dell’interno hanno sempre avuto una forza
che stava intorno a loro e della quale essi si sono sempre serviti per farsi giustizia da sé
senza ricorrere al governo e della quale forza si sono serviti ogni qualvolta si è dato il
segnale della rivoluzione[…]; per qualunque oggetto in altre occasioni si sarebbe dovuto
correre all’ autorità, si ricorreva a questa gente, ecco per me qui sta l’origine della mafia.”7
Il documento testimonia il clima generale del tempo, e quindi della consapevolezza del
popolo dell‟esistenza del baronaggio e la sua intenzione a aiutarlo, dando l‟aiuto a
Garibaldi, probabilmente in nome della filosofia espressa successivamente anche nel
“Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa, “cambiare tutto per non cambiare niente”; l‟idea era
che una volta liquidato lo stato di Napoli, dal Piemonte sarebbe solo venuto un qualche
fastidio, risolvibile semplicemente con l‟accordo tra il potere siciliano e i re piemontesi; fu
in questo modo che molti personaggi divennero allora picciotti (collaboratori, bravi,
mafiosi) e ci fu nel giro di qualche anno una rapida diffusione del fenomeno mafioso, che
occupò tutti i paesi della Sicilia; tutto questo fu reso possibile dal fatto che furono adottati “i
membri più adottati e spregiudicati della nascente borghesia agraria”; forzando un poco la
realtà storica si potrebbe dire che lo stato italiano nacque in Sicilia nell‟ambito di una
strategia politica di tipo mafioso.
Dopo il 1861 la società siciliana si divise in due: da una parte il piccolo gruppo dei liberali
unitari, dall‟altra il fronte dei liberali autonomisti; il primo era il fronte della legalità
nazionale, il secondo era la diretta espressione della base sociale larga, gli autonomisti
erano i più autorevoli esponenti del baronaggio politico e l‟autonomismo era appunto
l‟obbiettivo di questo gruppo sociale, era la nuova versione, se così si può chiamare, del
sicilianismo; i mafiosi risultavano quindi preziosi sia per il baronaggio interessato a
7
Duca Gabriele Colonna di Cesarò in Giuseppe Carlo Marino, “Storia della mafia”, Newton Compton Editore, Roma,
2006-(p. 34);