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PARTE I
La musica messa in scena: la performance
CAPITOLO I
Qualcosa da vivere assieme
1. Dal rito alla performance
Performance: luogo della celebrazione del rituale di comunicazione tra il divo e il fan.
Quella del pop, come altri tipi di performance, consiste in un’esecuzione davanti a un
pubblico. Un evento capace di coinvolgere una collettività, anche corposa e che per
questo necessita svariati punti di vista di osservazione. Probabilmente la caratteristica
essenziale della performance consiste nel generare una tensione tra due polarità che
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meglio sono espresse dai termini “efficacia” e “intrattenimento”. Che una specifica
performance sia definita efficace o d’intrattenimento dipende per lo piø dal contesto e
dalla funzione. La si qualifica in un modo o nell’altro in ragione del luogo in cui è
eseguita, dagli esecutori e dalle circostanze. Il concerto pop è un intrattenimento per il
pubblico e per chi si concentra su quello che avviene in scena, ma se si allarga la
prospettiva e si considera il complesso sistema artistico-economico-sociale che sta
dietro e sorregge lo spettacolo (le prove, le selezioni, gli investimenti economici, i
comportamenti del pubblico, i ruoli e gli obiettivi che ciascun individuo svolge e
proietta nella sua partecipazione) appare chiaro che la medesima performance è molto
piø che intrattenimento, ma anche rituale, merce, e un microcosmo che riproduce la
struttura sociale.
Per comprendere meglio il concetto di performatività è necessario riflettere sull’idea
stessa di performance come pratica corporea necessaria ad una ridefinizione critica del
reale e potenziale non-luogo di margine e di passaggio da situazioni sociali e culturali
definite a nuove aggregazioni sperimentali. La performance “dal vivo” è un atto in
praesentia e per questo riveste le caratteristiche di un momento di liberazione, di
verifica e confronto con la propria audience.
Il performer è un soggetto capace di comunicare in maniera rituale, e le sue abilità e le
sue competenze arrivano direttamente dalla sfera della cerimonia e soprattutto del rito di
passaggio.
Richard Schechner, Magnitudini della performance, Roma, Bulzoni Editori, 1999, p. XVII.
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Rifacendosi alle teorie dell’ etnologo francese Arnold Van Gennep, che nel 1909
pubblicò il libro I riti di passaggio, Victor Turner riprende questa riflessione critica,
soffermandosi sulla fase di passaggio da una situazione culturale istituzionalizzata a
nuove aggregazioni spontanee, che possono originarsi nell’atto di tracciare i solchi del
nuovo e del non familiare.
Per entrambi gli studiosi, i riti di passaggio sono quelli che accompagnano il mutamento
dello status sociale di un individuo, o di un gruppo di individui, e riguardano le fasi
critiche della vita umana. I primi sono “individuali”, legati al ciclo biologico, e che
segnano un avanzamento progressivo del soggetto, mentre i secondi sono “calendariali”,
che si ripetono stagionalmente e che coinvolgono la collettività senza alcun
cambiamento di status. Se i primi tendono ad abbassare le persone durante la fase
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marginale per poi restituirle con una condizione piø elevata, le seconde le innalzano
temporalmente per riportarle alla condizione abituale. Ma ad un certo punto la teoria di
Victor Turner si fa piø complicata, in quanto la studioso attua un’ulteriore distinzione
tra riti liminali e riti liminoidi. Nella liminalità la gente gioca con gli elementi della
sfera familiare e li rende non familiari, cercando di mettere in gioco una serie di simboli
rituali, provando ad attuare un’ibridazione e uno sconvolgimento degli attributi sociali
con cui l’individuo era precedentemente connotato. Il liminale rappresenta quindi un
contesto di ibridazione sociale e culturale, zona di confine in cui potenzialmente
potrebbero sorgere nuovi modelli o paradigmi. Victor Turner sostiene che l’essenza
della liminalità consiste nella scomposizione della cultura nei suoi fattori costitutivi e
nella ricomposizione libera e ludica dei medesimi in ogni e qualsiasi configurazione
possibile, per quanto bizzarra. In questo settore culturale libero e sperimentale, possono
essere introdotti nuovi elementi socioculturali e nuove regole combinatorie e soprattutto
è possibile operare una riflessione critica a partire dalla messa in scena performativa del
proprio corpo. Nelle società occidentali è importante agire attraverso il gioco e lo svago,
infatti mediante la componente di sperimentazione libera e spontanea che il gioco offre,
è possibile vivere determinate esperienze creative, imparando a scomporre e a
frammentare il nostro immaginario collettivo, ricombinando gli elementi culturali
secondo inusuali aggregazioni e riflettendo sullo status quo. Ciò che differenzia il
liminoide dal liminale è la componente maggiormente libera e spontanea dei generi
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liminoidi, ed il fatto che determinate pratiche sono una questione di scelta e non di
obbligo. Il fenomeno liminoide è pervaso di volere, quello liminale di dovere.
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Lo studio di Arnold Van Gennep analizzava i rituali d’iniziazione che riguardavano i momenti di
passaggio da uno status sociale ad un altro (come nel caso dell’entrata nella vita adulta da parte di un
giovane di un clan) e che di solito comportano lunghi periodi di isolamento e d’allontanamento
dell’iniziando dalla vita sociale normativizzata, confinandolo in una zona liminale. Dopo la separazione
dalla routine dalla vita quotidiana, i novizi intraprendono una fase intermedia, di transizione, che Arnold
Van Gennep chiama appunto limen, o margine, una zona di ambiguità.
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I generi liminoidi sono i generi d’intrattenimento della società industriale: letteratura, teatro, sport. La
partecipazione è volontaria, come volontaria e soggettiva è la loro interpretazione.
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Parlando di performance “dal vivo” il liminale coincide e non coincide con il liminoide.
Il pubblico è prevalentemente liminoide in quanto possiede il libero arbitrio. Coloro che
partecipano ad un concerto non sono obbligati ad invertire il loro comportamento, come
avviene nei riti tribali di Arnold Van Gennep. Il concerto si differenzia da un rito tribale
per il fatto che si può parteciparvi oppure evitarlo, prendervi parte come attori o come
semplici spettatori, come si vuole. ¨ un genere di svago, non un rituale obbligatorio, è il
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gioco separato dal lavoro. L’artista, se pensato come ad una persona che svolge
essenzialmente la propria professione, è sicuramente liminale. Il suo essere liminale non
deve però essere considerato in modo individualistico. Assieme al suo pubblico invade
completamente la zona liminale, in quanto luogo dove i ben definiti legami e vincoli
sociali normativi crollano, senza che nulla venga a sostituirli. La liminalità fornisce un
contesto favorevole allo sviluppo di confronti diretti, immediati e totali fra identità
umane differenti, è creativa e in piø stimola alla riflessione e alla critica. Quando la
liminalità è socialmente positiva rappresenta, direttamente o implicitamente, un
modello di società umana che è una communitas omogenea non strutturata, i cui confini
coincidono idealmente con quelli della società umana. Quando anche due persone
credono di sperimentare tra loro una simile unità, esse sentono, anche per un attimo,
tutti gli uomini come una cosa sola. L’esperienza della communitas diventa la memoria
6
della communitas.
Per l’ascoltatore il concerto è l’esperienza fondante della musica pop, perchØ la musica
sembra rivelare tutto il suo potenziale comunicativo. Ci si diverte a giocare con i fattori
della cultura, raccogliendoli in combinazioni solitamente di carattere sperimentale,
talvolta casuali, grotteschi, improbabili, sorprendenti, sconvolgenti. La liminalità
contiene tanto la potenzialità dell’innovazione culturale, quanto i mezzi per effettuare
trasformazioni strutturali all’interno di un sistema socio-culturale relativamente stabile,
perchØ qui gli schemi conoscitivi che danno senso e ordine alla vita quotidiana non
valgono piø, ma sono sospesi.
Riassumendo, il liminoide assomiglia ad una merce – e in realtà spesso è una merce, che
si sceglie e per la quale si paga – piø del liminale, che suscita sentimenti di fedeltà ed è
collegato all’appartenenza, o all’aspirazione all’appartenenza, dell’individuo a qualche
gruppo dotato di una forte coesione interna. Si lavora al liminale, si gioca con il
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liminoide.
La musica diventa autonoma, non piø una componente di un rituale focalizzato su
qualcos’altro. Il concerto “dal vivo” è innanzitutto un evento sociale pubblico
fortemente ritualizzato. Mantiene la funzione di unire un gruppo di persone, tipica del
rituale religioso-civile, e il ruolo della musica da complemento diventa protagonista. La
musica diventa insomma un fattore di socializzazione e d’identità: un gruppo di persone
si trova e si riconosce grazie ad un comune legame a un evento musicale. Le aree
5
Victor Turner, Dal rito al teatro,Bologna, Il Mulino, 1986, p.84.
6
Ivi, p. 91.
7
Ivi, p. 104.
7
attrezzate per le performance sono utilizzate su basi occasionali piuttosto che regolari e
costanti; per gran parte del giorno, e spesso per giorni interi, restano relativamente
inutilizzate. Invece, quando inizia lo spettacolo questi spazi vengono sfruttati
intensamente, dato che attraggono grandi folle che vi si recano per gli eventi
programmati; e sono caratteristicamente organizzati in modo che un gruppo molto
numeroso possa osservare un gruppo piø piccolo e nello stesso tempo divenire cosciente
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di sØ. Un siffatto assetto alimenta sentimenti celebrativi e cerimoniali. In questi spazi in
cui la realtà è messa in atto c’è un ringiovanimento espressivo ed una riaffermazione dei
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valori morali della comunità.
Fin dalle origini dell’esecuzione pubblica si affermano una serie di codici
comportamentali: la fruizione in silenzio dell’evento, il divieto di altre attività che non
siano l’ascolto (non si parla, non si beve e non si mangia), si esprime il godimento solo
ad esecuzione terminata con l’applauso; si richiedono i bis all’esecutore quando questo
ha terminato la performance lasciando la scena. Alcuni di questi rituali si sono
consolidati in ogni performance musicale, come l’esecuzione di bis al termine: ormai
data per scontata e codificata in ogni esibizione. É talmente codificata che nella musica
pop solitamente gli artisti lasciano questo momento alle loro canzone piø celebri. I
rituali di seduzione dell’esecuzione e i modelli di risposta da parte del pubblico vengono
progressivamente modificati a seconda del tipo di performance. Nella musica pop il
concerto dal vivo è un evento pubblico che implica da parte dell’audience una scelta
intenzionale di ascolto. Per accedervi è necessario pagare un biglietto, e questo è il
primo rituale. L’acquisto diventa a volte una ricerca, quando l’accesso all’evento è
particolarmente ambito. Questo rituale implica che lo spettatore attui una pre-
valutazione del musicista, o meglio una pre-comprensione di ciò a cui andrà ad
assistere:quest’artista mi piace e di conseguenza lo vado a vedere dal vivo. Il liminoide
del concerto “dal vivo”, ossia l’intenzionalità e la scelta di ascoltare un determinato
concerto significa anche festività: è un evento che richiede di mettere a disposizione un
tempo sociale che esula dalla vita quotidiana. Infatti, andare a vedere un concerto
prevede un adeguamento spazio-temporale unico e definito: la data e il luogo
dell’esibizione. In base a questo, il concerto è molto piø festivo di altri riti sociali
istituzionalizzati, perchØ non ha una scadenza fissa; capita quando capita, sia durante la
settimana che nel week-end.
Il luogo della performance è probabilmente la parte fondamentale del concerto: la sua
scelta cambia per importanza e popolarità dell’artista, e quindi per la sua capacità di
attirare piccole o grandi masse. Spesso e volentieri l’ascoltatore deve viaggiare per
vedere l’artista.
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Questa autoconsapevolezza è una funzione sia delle attività che dello spazio in cui le attività hanno
luogo. L’autoconsapevolezza del pubblico è sia informale che formale; quella formale è instillata dagli
applausi, dalle reazioni di comprensione, parlate e/o cantate, dall’incitamento organizzato e via dicendo.
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Ogni luogo dove si compie qualcosa che sottolinei i valori ufficiali diffusi nella società, o là dove il
professionista incontra il cliente, è uno spazio celebrativo.
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Le due caratteristiche principali del rito del concerto, l’intenzionalità e la festività, sono
in grado di spiegare i codici di comportamento di performer e pubblico. Il primo è
responsabile e a conoscenza della percezione di unicità dell’evento per chi vi partecipa,
mentre il secondo è pieno di aspettative, e quindi si sente in dovere di apportare una
valutazione alla performance. Il pubblico della musica pop, differentemente da quello
della musica classica, non deve rimanere in silenzio durante le esecuzioni. Esprime il
suo gradimento in ogni momento e soprattutto partecipa: l’artista spesso incita il suo
pubblico a prendere parte all’esecuzione, lo invita a cantare quasi come se stesse
chiedendo conferma della validità della sua prova.
Il concerto è ritualizzato anche a monte, ossia dal punto di vista dell’artista. ¨ un evento
ripetitivo e ripetuto: l’artista parte per il tour e porta sul palco una serie di spettacoli
simili, organizzati con continuità in luoghi diversi e collocati in uno spazio temporale
preciso. Il concerto è un momento promozionale insostituibile: rilancia l’immagine del
cantante e contribuisce a tenerla viva nel cuore dei fans, rinnova l’interesse per la sua
produzione discografica recente e passata, assicura introiti, non solo con la vendita dei
biglietti ma anche dei gadgets. Il tutto comporta un grande investimento di denaro e di
energie.
Se per il pubblico il concerto è un evento festivo, per il performer è invece un evento
quotidiano: fa parte di una routine consolidata che si ripete nel corso della carriera. Per
il musicista il concerto corrisponde ad una produzione di testi ben consolidata, e che in
ogni esibizione conferma la sua credibilità autoriale. Il concerto è il momento della
musica “dal vivo”, prodotta qui e ora. Il cantante acquista credito quando è capace di
creare davanti ad un pubblico quello che quest’ultimo ha ascoltato nella versione
registrata in studio ed incisa su un supporto. Un buon motivo per andare ad un assistere
ad una performance pop è la possibilità di consumare l’aura che si perde nella musica
10
riprodotta.
Il concerto dal vivo è una tipologia di performance ripetitiva, fortemente progettata
nella sua messa in scena. L’audience ha l’illusione di trovarsi di fronte ad un atto di
creazione straordinario: l’artista che esprime la sua opera. Partecipare però a due
concerti dello stesso artista in qualche modo spezza l’incantesimo: le stesse canzoni
sono per lo piø suonate allo stesso modo, nello stesso ordine e spesso con la stessa
11
interpretazione.
10
La musica popolare d’inizio secolo viene scritta per seguire due percorsi: essere incisa e riprodotti (sui
fonografi, sui media) o eseguita (per un pubblico, per i media). Questo è il modello di sfruttamento
commerciale della musica imposto da Tin Pan Alley, basato sulla gestione delle entrate derivate dai diritti
connessi alle esecuzioni di una canzone.
11
Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, Milano, Bompiani, 2003, pp. 169-172.
9
2. Performer
Il modello della performance musicale alla metà del XX secolo era quello
confidenziale, il cantante è un intrattenitore e la musica torna ad essere un sottofondo (la
si ascolta mentre si cena, si beve, ecc). Questo modello cambia totalmente negli anni
Cinquanta con l’avvento del rock’n’roll e con l’ascesa al successo di Elvis Presley: il
sua corpo diventò carta bianca sulla quale si potè delineare un personaggio, capace di
attrarre a sØ grandi pubblici.
Il bisogno di performance dell’uomo scaturisce da questo scenario come una necessità
antropologica: Victor Turner parlava di Homo performans, una specie che fatalmente
finisce col mettere in scena, in una spirale di autoriflessività, testimoniando che il
bisogno profondo agito da ogni performance è sempre l’autorappresentazione, la messa
12
in scena di se stessi. Le pop stars non vendono solo musica ma anche il loro
narcisismo, il loro stile edonistico e la celebrazione del sex appeal, attraverso una
combinazione di elementi visuali e musicali. La performance diventa un fenomeno
mitico-rituale, dove una parte del potere delle pop stars consisterebbe nella loro capacità
di evocare, con il loro aspetto, immagini primordiali. Sono una sorta di pubblici stregoni
sia nell’immagine in costume che nella loro esibizione, che permettono al pubblico di
partecipare ad un rito, creando celebrità che sono l’equivalente romantico degli eroi del
mito antico e dei racconti popolari. Con loro la vita può essere affascinante e magica,
perchØ sono i moderni eroi e le divinità che potrebbero guidare tutti in un regno di
energia e gioia. Molti artisti si travestono con costumi iconici, i quali divengono mezzi
per mascherare la personalità quotidiana, facendo emergere il proprio “io” nascosto e
privo di inibizioni e deresponsabilizzare il suo comportamento. Chi agisce è un altro: la
pop star si traveste per il palcoscenico, dove può apparire onnipresente e dove deve
mostrare solo il suo lato vincente. Il suo look deve far trasparire una personalità sicura
di sØ, pena la fine del suo successo. Non necessariamente deve sempre essere così,
infatti l’artista pop non deve per forza recitare una parte, ma, trovandosi su un palco e
realizzare una performance, mettendo in atto quella convenzione artistica chiamata
canzone, di certo ricopre un ruolo.
Il divo è un capo carismatico e il suo fascino risiede nel poter fare quello che l’uomo
13
comune non può fare; è come se fosse un alter ego della società.
To perform significa produrre qualcosa, portare a compimento qualcosa, o eseguire un
dramma, un ordine o un progetto. E secondo Victor Turner nel corso dell’ esecuzione si
può generare qualcosa di nuovo. La performance trasforma se stessa. Le regole possono
incorniciarla, ma il flusso dell’azione e dell’interazione entro questa cornice può portare
12
Enrica Tedeschi, Vita da fan, Roma, Meltemi, 2003, p. 28.
13
Chiara Santoianni, Popular music e comunicazione di massa. Tutto quello che avreste voluto sapere
sulla musica “dei giovani”, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1992, pp. 116-117.
10
a intuizioni senza precedenti e anche generare simboli e significati nuovi, incorporabili
14
in performance successive.
La performance ha quindi un carattere sperimentale e allo stesso tempo critico:
attraverso l’agire psicofisico è possibile vivere e portare a compimento un’esperienza e
nella messa in scena del nostro corpo è possibile riflettere sull’esperienza stessa. Si
tratta di una creazione in corso, dove emerge una necessità estetico-artistica,
un’occasione in cui l’artista si rende presente e dimostra le proprie capacità
interpretative. Il corpo dell’artista è usato come uno strumento di comunicazione,
manipolato e gestito come un testo. Un rito in cui non la musica e nemmeno la canzone
ma il performer è al centro dell’attenzione: è lui il mattatore assoluto della scena. Il
culto del concerto esplode come cerimonia, rito, luogo magico e speciale in cui
potevano essere liberate energie profonde e liberatorie, con l’idea che la dimensione del
concerto delimiti un’area speciale, una vera e propria bolla di anomalia rispetto al reale,
così potente da essere vissuta come un frammento di un mondo parallelo. La musica
ritrova la sua purezza originaria nel momento della sua rappresentazione.
La performance di oggi è una riattivazione caricaturale della macchina mitologica del
passato, il performer attuale è colui che si fa carico della propria visibilità come
soggetto sociale, come attore portatore di bisogni simbolici e comunicativi. Il suo
profilo socio-psicologico chiama in causa categorie che il senso comune giudica
ambigue e inquietanti: il narcisismo, il protagonismo, l’esibizionismo. L’artista pop
vuole essere visto, conosciuto, compreso e in certa misura idolatrato, altrimenti non
farebbe ciò che fa. Il senso della sua esistenza pop segue la sua notorietà, ossia la
risposta che riceve dal suo pubblico. La scena in questo modo s’inserisce nella piø
ampia sfera pubblica di cui la messa in scena e i relativi regimi di visibilità
costituiscono caratteri determinanti. La performance spettacolare consiste nel voler
essere visti e nel mettere il pubblico in condizioni di poter vedere. Oltre a questa norma
generica, l’artista performer può articolare la propria visibilità secondo il regime della
15
messa in scena. Ecco come si pone attraverso i regimi di visibilità:
Spazio Atteggiamento Modalità Regime
Stage ostentazione voler essere visto pubblico
Backstage pudore voler non essere privato
visto
Camerino mancanza di non voler non pubblico del privato
imbarazzo essere visto
Prova modestia non voler essere privato del pubblico
visto
14
Victor Turner, Dal rito al teatro, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 145.
15
Lucio Spaziante, Sociosemiotica del pop. Identità, testi e pratiche musicali, Roma, Carocci, 2007, p.
53.
11
Esistono diversi modi in cui l’artista pop decide di far aderire la propria identità
esistenziale alla propria identità estetica, tramite una visibilità pubblica. L’artista pop è
tale dal momento in cui diviene un soggetto pubblico e si inserisce in un vero e proprio
sistema comunicativo. L’individuo, le sue forme dell’apparire, le sue dichiarazioni, i
giudizi costituiscono un insieme inscindibile e nel caso dell’artista sussiste una sorta di
16
inscindibilità tra arte e vita. La cultura di massa ha avvicinato le divinità e le ha rese
umane moltiplicandone le relazioni con il pubblico. Imitabili e inimitabili al tempo
stesso, esse sono divinità, eroi dotate di una duplice natura in grado di generare un mito,
dunque proiezione, e assieme possibilità d’ identificazione. Essere un divo musicale
vuol dire accedere ad uno stile di vita privilegiato, facendo musica, divertendosi,
girando il mondo con migliaia di fan ovunque, ma soprattutto vivendo una vita diversa
dallo schema tradizionale. La costruzione dell’identità scaturisce anche da ogni
passaggio attraverso cui essa stessa viene tradotta, ad esempio gossip, dichiarazioni
fornite alla stampa, voci su forum on line. La performance musicale, quindi l’insieme
tra registro verbale, esecuzione e registro musicale, cioè l’insieme, il luogo della
celebrazione di un rituale di comunicazione a due vie tra il divo e il fan. L’artista
costruisce un mondo in cui può anche non esserci differenza tra ruolo impersonificato e
vita quotidiana. Non sempre la pop star recita una parte ma, trovandosi su un palco a
realizzare una performance, di certo assume un ruolo nel mettere in scena quella
convenzione artistica detta canzone. L’artista tende di norma ad essere posto e a porsi su
un livello divino che è inevitabilmente superiore e separato rispetto al proprio pubblico,
una collettività di individui che l’artista si augura vogliano vedere, ascoltare, capire,
interpretare e vivere la sua opera. Senza questo pronostico non ci sarebbe da parte
dell’artista il volere di rendere pubblica la propria produzione privata. La pop star ha la
capacità di creare nel proprio pubblico meccanismi di identificazione e
personalizzazione (voler essere una pop star), e assieme di adorazione (voler entrare in
contatto con la pop star). Poter essere visti ma insieme non voler essere toccati. Per
quanto sussista una volontà strategica di voler essere non visti o addirittura il vero
desiderio di non voler essere visti, la visibilità per un artista pop è fondamentale.
L’identità di un artista pop è composta da differenti forme di discorsività congiunte. ¨
poeta quando scrive, cantante quando esegue, performer quando si esibisce su di un
palco. La sua opera si basa soprattutto sulla forma-canzone, forma che prevede una
procedura enunciativa sincretica tra il poetico, il recitativo e il finzionale: la soggettività
17
viene ampliamente messa in gioco. Spesso un cantante prima di eseguire un brano ne
annuncia il titolo al pubblico, e magari lo spiega, inframmezzandolo con considerazioni
varie. Qui produce una comunicazione diretta, o meglio una sorta di conversazione uno-
16
Il divo ha la possibilità di avere una doppia identità, ossia quella della finzione e quella della persona
nella vita reale, privata e pubblica. Infatti è reale ed è separato dal personaggio, ma i due sono vissuti
dall’ammiratore come un’identità entità, perchØ ciò che fa amare un divo è essenzialmente quello che
interpreta. Il divo è entrato a far parte di quel meccanismo promozionale-pubblicitario e viene utilizzato
per vendere quei prodotti che, per i fan, ne caratterizzano la vita e lo stile.
17
Lucio Spaziante, Sociosemiotica del pop. Identità, testi e pratiche musicali, Roma, Carocci, 2007, p.
49.
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