4
Introduzione
Le motivazioni e gli spunti che hanno spinto al lavoro e la sua strutturazione.
Le motivazione che ha dato origine alla volontà di effettuare il lavoro di tesi sulle
politiche per lo sviluppo rurale in Calabria, è connessa al percorso di studi intrapreso
in questi anni.
Il percorso si è sostanziato nello studio della concezione dello sviluppo, inteso non
solo come mera crescita economica, ma come sviluppo complessivo delle aree rurali,
ovvero nella sua dimensione economica, sociale ed ambientale, all‟interno del quale
vengono applicate le politiche.
A partire dai corsi, dai seminari, dai convegni di studi e dal tirocinio formativo
effettuato presso la Sede Regionale dell‟Istituto Nazionale di Economia Agraria, si è
consolidato il pensiero che lo sviluppo delle aree rurali calabresi non può prescindere
da politiche che siano adatte e che rispecchino le potenzialità contestuali a cui si
riferiscono.
Quindi, partendo dal presupposto che la Regione Calabria è stata investita da
programmi e azioni tese alla promozione delle sviluppo nelle aree rurali, e che tali
programmi in linea di massima non sono stati capaci di innescare meccanismi di
sviluppo complessivo delle aree rurali, la ricerca effettuata mira a verificare, a livello
territoriale, la qualità e la quantità degli investimenti effettuati all‟interno dei territori
rurali calabresi, in funzione di verificare le problematiche che hanno portato a tale
insuccesso.
L‟idea di fondo che spinge la ricerca è quella di “districare la matassa estremamente
complessa e disarticolata, degli interventi attuati sotto il cappello delle politiche
agricole per lo sviluppo rurale1” a livello comunale nella regione.
L‟obiettivo che si vuole raggiungere è quello di verificare come all‟interno dei
territori le politiche si siano distribuite, sulla base degli interventi specifici che ogni
azione dei programmi prevedeva.
Ciò dovrebbe portare a verificare, se effettivamente le politiche messe in piedi dai
programmi comunitari, fossero più o meno adatte al contesto regionale di
1
Discorso pronunciato dalla Prof.ssa Ada Cavazzani nel seminario di presentazione del volume di
F.Mantino “Lo sviluppo rurale in Europa. Politiche, istituzioni e attori locali dagli anni ‟70 ad oggi”
2009.
5
riferimento, partendo dal presupposto che all‟interno della regione esistono aree
piuttosto diversificate.
La Regione Calabria è caratterizzata, in larga parte, da una produzione agricola di
carattere micro, che i programmi messi in piedi hanno trascurato e continuano a
trascurare, per perseguire una visione di sviluppo rurale imperniata sulla logica della
produzione di carattere agro-industriale.
Eppure il concetto di sviluppo rurale non presuppone tale visione, esso nasce sulla
base di una concezione che va nella direzione di intendere il rurale come
l‟interazione tra le varie dimensioni dello sviluppo.
Parlare di sviluppo rurale significa ancorare lo sviluppo dei territori alle
caratteristiche presenti in ognuno di essi, perseguire un approccio che parta dai
territori, “dal basso”, sostenibile in tutte le sue dimensioni: economica, sociale ed
ambientale.
Dunque, le politiche messe a disposizione delle aree rurali dovrebbero andare in
questa direzione, adattarsi a quelle che sono le specifiche caratteristiche del territorio
e dei modi di produzione, cercando di sopperire alle carenze in termini di servizi e
qualità della vita che mancano nelle aree rurali, promuovendo il ruolo
multifunzionale che l‟agricoltura può svolgere all‟interno di questi.
L‟analisi parte dalla constatazione che nei programmi, si sono amalgamati interventi
strettamente connessi al settore agricolo come fonte di produzione di alimenti
destinati ai mercati e interventi che presuppongono il ruolo dell‟attività agricola non
come mera produzione agricola, ma nella sua capacità di interferire con le dinamiche
economiche, sociali ed ambientali.
Queste due visioni si sono manifestate all‟interno dei programmi simultaneamente,
sarà attraverso la territorializzazione che si andranno a verificare, “sul territorio”,
quali di queste ha predominato nei periodi oggetto di analisi, cercando di cogliere i
condizionamenti a livello micro e macro, a livello di istituzioni e politica, che hanno
originato la volontà di puntare su una piuttosto che sull‟altra.
Il lavoro tenta di sopperire alla mancanza di valutazioni veritiere delle politiche,
cercando di coniugare la qualità acquisita in termini teorici negli anni di studio, ai
numeri che scaturiscono da quelle che in realtà poi sono le politiche messe a
disposizione dei territori.
6
La convinzione di fondo sta nella consapevolezza che una politica di carattere
produttivistico non può esser adatta al contesto rurale calabrese, è in questi termini
che si pone l‟analisi, cercando di promuovere quella che secondo noi sarebbe un
modello più auspicabile fondato su un concetto di agricoltura “altra”.
La ricerca va in direzione di promuovere le pratiche di mercato basate sull‟approccio
diretto tra consumatore e produttore “filiera corta”, nella convinzione che il modello
industriale non può esser perseguito, dimostrando l‟inefficacia delle politiche sino ad
ora promosse, e constatando che quest‟ultimo approccio porta vantaggi sia in termini
economici, sia in termini sociali e ambientali.
Nel primo capitolo si andrà ad analizzare l‟evoluzione della politica di sviluppo
rurale a livello comunitario, illustrando le concezioni dello sviluppo rurale che si
sono sviluppate all‟interno dei programmi e dei territori a cui sono state riferite.
Nel secondo e terzo capitolo verranno illustrati i programmi che si sono occupati di
sviluppo rurale nella territorio regionale, descrivendone le caratteristiche, i contenuti,
le modalità di attuazione e la spesa effettuata a livello finanziario.
Il quarto capitolo verterà sulla territorializzazione della spesa inerente lo sviluppo
rurale sul territorio per i periodi 1994-1999 e 2000-2006, illustrando la metodologia
utilizzata, la base dei dati, il raffronto finanziario fra i due periodi e i risultati scaturiti
dalla mappatura a livello comunale.
Il quinto capitolo riguarderà il raffronto della mappatura effettuata sulla base di tre
variabili, che caratterizzano i territori rurali, la popolazione, la superficie agricola
utilizzabile e il numero di aziende presenti a livello comunale, illustrando in
conclusione se c‟è o meno un cambiamento nella distribuzione delle risorse.
Il sesto capitolo sarà dedicato alla programmazione attuale, descrivendone gli
interventi e le azioni previste, l‟allocazione finanziaria e il raffronto con gli altri
periodi esaminati, con il fine di stabilire se c‟è un‟inversione di tendenza nel modo di
concepire la politica di sviluppo rurale.
Infine, verrà tracciato un bilancio di quella che è stata, e di quella che può esser la
politica di sviluppo rurale in Calabria, ovvero basata su una concezione di carattere
territoriale dello sviluppo, endogena, locale e basata sulla riconsiderazione del ruolo
che l‟agricoltura può svolgere all‟interno dei territori
7
Parte I
Il concetto di Sviluppo rurale e le Politiche Rurali in Calabria
Capitolo 1
L’evoluzione della politica agricola comunitaria.
1.1 Le diverse concezioni dello sviluppo rurale.
A partire dalla seconda metà degli anni ‟70 la Comunità Europea, non ancora
Unione, introduce il concetto di sviluppo rurale che nel corso degli anni a venire sarà
investito da continui mutamenti nella sua concezione.
Partendo dal quadro normativo e dagli interventi per lo sviluppo rurale cercheremo di
analizzare come la sua concezione sia mutata nel tempo.
Bisogna innanzi tutto ricordare che la sua evoluzione dipende da molteplici fattori,
che vanno dalla letteratura economica e sociale sviluppata nel corso degli anni sino
alle implicazioni politiche e commerciali a livello mondiale.
In altre parole, dal ruolo che l‟UE svolge nel contesto internazionale, ciò fa si che si
possa tranquillamente affermare che la politica di sviluppo rurale non si sia evoluta
autonomamente.
Inoltre, non sempre il quadro normativo e gli interventi sostenuti in sede comunitaria
sono stati in grado di rispondere alle reali esigenze che già di per se il concetto di
sviluppo rurale predisponeva.
Bisogna comunque affermare che la definizione di sviluppo rurale non è statica, ma
piuttosto, dinamica, non solo perché evolve nel tempo dalle interconnessioni tra
teoria e il ruolo che gli attori coinvolti svolgono, ma si evolve anche nello spazio.
Lo sviluppo rurale assume concezioni diverse nello stesso Stato Membro, nonché
nella stessa regione.
A livello europeo sono tre le concezioni che assumono una notevole importanza nelle
politiche:
1 la concezione dello sviluppo settoriale, caratterizzata dalla forte importanza che
viene attribuita alla modernizzazione dell‟agricoltura e dell‟agro-alimentare;
8
2 la concezione redistributiva, caratterizzata dal fine ultimo della riduzione dei
divari fra le aree rurali deboli rispetto al resto dell‟economia;
3 la concezione della dimensione territoriale dello sviluppo rurale, caratterizzata
dall‟obiettivo di valorizzare le risorse presenti in un‟area integrandole con i
settori e sistemi dell‟economia locale2.
Tali concezioni, come facilmente si può evincere, fanno riferimento a modelli diversi
che fungono da riferimento nel contenuto delle politiche di sviluppo rurale.
Per poter meglio comprenderle, diviene necessario analizzarne gli obiettivi per
l‟agricoltura, le funzioni che vengono attribuite agli altri settori, il ruolo assegnato al
territorio, il ruolo svolto dagli attori sociali e dalle istituzioni.
Partendo con ordine, il modello settoriale pone la sua enfasi sul settore agricolo,
l‟azione pubblica mira essenzialmente a rafforzarne la sua struttura produttiva,
puntando sull‟aspetto dimensionale.
Al centro viene posto l‟imprenditore professionale orientato al mercato, che con il
processo d‟integrazione dei mercati mira ad una forte specializzazione produttiva e,
di conseguenza, alla dipendenza di alcuni mercati.
Essendo orientato al mercato, fa ricorso sempre più ad input esterni tralasciando il
riuso all‟interno del processo produttivo. Inoltre, la forte specializzazione ne
accentua in maniera negativa la scarsa flessibilità reattiva nei confronti di
cambiamenti nello scenario dell‟agricoltura a livello globale.
Gli obiettivi delle politiche che perseguono questa concezione si limitano a garantire
parità di reddito con gli altri settori, l‟aumento della scala produttiva in relazione
all‟aumento delle dimensioni dell‟impresa e l‟aumento del capitale per unità di
superficie/lavoro3 .
La tipologia di politiche che viene utilizzata si riassume fondamentalmente nel
sostegno degli investimenti in azienda e negli aiuti diretti al reddito.
In questa concezione il ruolo del territorio figura come mero “contenitore” di
risorse/input per l‟agricoltura, il rurale viene inteso come mero spazio agricolo,
2
Tale concezione ben si identifica con il concetto di sviluppo locale applicato al rurale.
3
In gergo tecnico l‟intensificazione produttiva.
9
diviene lampante il dualismo tra aree urbane e aree rurali4, insomma, il contesto
locale è irrilevante.
Il senso di queste politiche può racchiudersi in tale affermazione: “senza un sistema
di imprese rafforzate e competitive, le aree rurali non hanno alcuna opportunità di
crescita”5.
Per quel che concerne il ruolo svolto dagli attori sociali, centralità assumono le
associazioni di categoria che sostengono fortemente questa impostazione in quanto la
loro idea è che debbano esser direttamente gli operatori agricoli a beneficiare di
queste politiche.
Di contro, il ruolo delle istituzioni diviene cruciale non solo nella fase di gestione ma
anche in tutta la fase programmatoria in quanto decide l‟allocazione finanziaria, i
criteri, le priorità e, quindi, i beneficiari.
L‟idea è che il governo delle politiche deve obbligatoriamente collocarsi a livello
nazionale o regionale presso le amministrazioni di settore.
Possiamo dunque affermare che il modello settoriale si rifà alle politiche strutturali
classiche, politiche che tutt‟oggi non sono sparite, ma che si protraggono nei vari
periodi di programmazione nelle politiche di sviluppo rurale.
Spostando l‟attenzione sulla concezione redistributiva si può affermare che i principi
cardine della sua azione si fondano sull‟esigenza di sviluppo delle aree più deboli e
sul riconoscimento che l‟agricoltura non può rappresentare l‟unica leva per
l‟eliminazione dei divari presenti fra i territori.
Dunque, tale concezione tende a concentrare le politiche nelle aree più deboli6 e, a
differenza della concezione settoriale, prende in considerazione l‟esigenza di
diversificare il reddito delle zone a vocazione agricola.
A differenza del precedente approccio il dualismo rurale/urbano assume connotati
diversi, la differenza qua diventa tra rurale debole/marginale e resto del territorio.
Tale concezione assume rilievo negli anni „80 in diversi documenti di
programmazione, fra tutti “Il futuro del mondo rurale”7.
4
In questo dualismo il rurale viene considerato come un insieme indistinto destinato ad offrire beni
alimentari alla popolazione che vive nelle aree urbane.
5
F. Mantino 2008. pag. 6.
6
Aree interne, di collina e montagna.
7
Commissione Europea, 1988.
10
La tipologia di politiche più utilizzate riguardano indennità compensative per zone
montane/svantaggiate, il sostegno di investimenti in azienda e nella diversificazione
dei redditi.
Il territorio assume un aspetto centrale in tale concezione, ponendo grande attenzione
nella definizione di area rurale “debole”.
A tal riguardo, vale la pena soffermarci partendo dalla prima definizione nella
politica strutturale classica degli anni ‟70 di aree montane e svantaggiate8 che
individuava tre zone a seconda degli handicap che la caratterizzavano in: zone
montane, zone svantaggiate con minaccia di spopolamento e zone caratterizzate da
svantaggi specifici.
A partire da “Il futuro del mondo rurale” e per tutto il periodo di programmazione
1988-1999, lo sviluppo rurale divenne una questione specifica delle aree marginali
che portò a ridefinire la delimitazione delle zone in declino in presenza di: basso
reddito pro-capite, esodo ed invecchiamento della popolazione9.
Dunque, si andava riconducendo il problema dello sviluppo rurale ad una questione
di aggiustamento strutturale interno all‟agricoltura. In altre parole, prendeva corpo
l‟esigenza di concentrare politiche e risorse nelle aree definite “marginali”.
La novità stava nel fatto che, oltre alla necessità di concentrare i classici strumenti di
politica agricola, queste aree potessero per la prima volta beneficiare di strumenti che
consentissero la diversificazione delle attività10.
Occorre sottolineare che è sempre in questa concezione che iniziano a mutare anche i
ruoli degli attori locali e delle istituzioni; per i primi cresce l‟attenzione nei confronti
degli attori rappresentativi non agricoli, per i secondi iniziano a diffondersi forme di
collaborazione ed integrazione con amministrazioni di diverso settore.
Ma, sé pur vero che tale concezione rispetto a quella settoriale apporta tanti elementi
che perseguono una strada più coerente, e, altrettanto vero che non è esule da
elementi che ne hanno condizionato l‟esito e l‟efficacia.
Pur apprezzando lo sforzo dei Programmi Operativi dell‟Obiettivo 1 e dell‟Obiettivo
5b, le risorse finanziarie messe a disposizione per le aree marginali non sono state in
8
Direttiva CEE n.268 del 1975.
9
Basti pensare ai criteri che differenziano le aree rurali nell‟Obiettivo 5b.
10
Da ciò si evince che questa concezione non puntava solo sul riequilibrio territoriale, ma anche ad
integrare risorse e strumenti diversi ch‟erano estranei alle politiche classiche.
11
grado di incidere in maniera sostanziale. Inoltre, in molti paesi (l‟Italia ne è un
emblema) la tendenza generale di affidare le competenze programmatorie e
gestionali alle strutture burocratiche-amministrative di settore non ha sortito l‟effetto
redistributivo che si prefissava.
Tenendo conto di quanto affermato per le due precedenti concezioni, il modello
territoriale si sviluppa in modo del tutto diverso.
Esso non considera più l‟agricoltura come unico e principale settore per lo sviluppo
rurale, ne tantomeno la modernizzazione e la concentrazione nelle aree marginali
(montagna e collina) come obiettivo delle politiche strutturali.
Piuttosto, cerca di cogliere le diverse funzioni che l‟agricoltura, insieme agli altri
settori, potrebbe svolgere nelle politiche di sviluppo, nonché, i ruoli diversi che il
territorio svolge nell‟implementazione delle stesse.
E‟ proprio la critica ai precedenti modelli che costituisce la base teorica di questa
concezione.
Sono quattro gli elementi d‟analisi che il modello territoriale utilizza:
1. la crisi del modello settoriale;
2. il diffondersi di un processo spontaneo di diversificazione;
3. l‟aumento della differenziazione interna nelle aree rurali;
4. nuove teorizzazioni sui modelli di sviluppo per le aree rurali.
Ormai è assodato che identificare lo sviluppo rurale come mero sviluppo agricolo
risulta esser inadeguato e, soprattutto, non sostenibile per tre chiare ragioni che il
sostegno alla modernizzazione da parte della PAC e la ricerca della parità dei redditi
con gli altri settori hanno ben messo in luce.
In primo luogo, il tentativo di riequilibrio tra domanda e offerta ha avuto effetti
negativi che si sono tradotti in eccedenze della produzione che hanno costretto alla
fissazione di quote e limitazioni di espansione; in secondo luogo, la ricerca della
sostenibilità di bilancio in realtà è stata ampiamente disattesa: ciò è verificabile
guardando all‟aumento della spesa per il sostegno; infine, di non poco conto, la
questione della sostenibilità ambientale, i processi produttivi basati sulla
modernizzazione, sull‟espansione dimensionale e le pratiche intensive hanno
generato tante esternalità negative per l‟ambiente.
12
A tali problemi, la ricerca di fonti di diversificazione delle attività e dei redditi è stata
la strategia alternativa alla modernizzazione.
Aumento dei costi per la continua introduzione di innovazione tecnologica, spinta dei
processi di globalizzazione e liberalizzazione dei mercati hanno fatto si che l‟attività
agricola si allontanasse sempre più dagli ecosistemi locali.
Tali fenomeni hanno gravato sui redditi familiari, ma allo stesso tempo hanno
stimolato le imprese a ricercare soluzioni per aumentare la produzione11 oltre i limiti,
e a ridurre il livello dei costi12.
Le soluzioni più diffuse sono: la gestione del paesaggio, la conservazione delle
risorse naturali, l‟agriturismo, la conversione della produzione in biologica, la ricerca
delle specialità regionali, la filiera corta nella commercializzazione, attività nel
campo dell‟agricoltura sociale, ecc.
Va ben sottolineato che il fenomeno della diversificazione, o meglio lo stimolo alla
pluriattività dell‟impresa agricola ha prodotto indirettamente altri impatti sullo
sviluppo delle zone rurali, che possono esser cosi riassunte:
ξ intensificazione dei rapporti tra il settore agricolo con gli altri settori del
sistema locale;
ξ diminuzione del fenomeno dello spopolamento e, quindi, il mantenimento di
servizi sociali all‟interno dell‟area;
ξ crescita del capitale umano familiare e, quindi, aumento del capitale sociale a
livello di area;
ξ reperimento di capitale esterno all‟area in un‟ottica di rivitalizzazione delle
imprese.
L‟evoluzione delle aree rurali negli anni a messo in evidenza come esse non
rappresentino un tutt‟uno indistinto, cosi come si evince dalle due precedenti
concezioni in cui: rurale era sinonimo di prevalenza di attività agricole e come parte
debole dell‟economia.
Studi condotti sulle aree rurali13[Saraceno e Terluin; Anania e Tenuta] hanno messo
in evidenza come in Europa vi siano aree rurali che mostrano tassi di crescita della
popolazione e dell‟occupazione più che positivi.
11
Per quanto riguarda l‟aumento della produzione, la ricerca di nuovi prodotti e mercati è stata la linea
più seguita.
12
Sul fronte dei costi la tendenza è stata quella di ricercare nuove forme di gestione.
13
Infine, la concezione territoriale si è arricchita dall‟analisi sui processi di sviluppo
che hanno interessato queste aree, incentrandosi sull‟origine dei percorsi di sviluppo
e sulla funzione svolta dal settore agricolo rispetto agli altri settori dell‟economia.
Per quel che concerne i percorsi la letteratura in larga parte concorda sulla natura
prettamente endogena dello sviluppo, cioè, fondata sulle risorse naturali, umane e
culturali specifiche dei territori, anche se, non mancano altre teorizzazioni14.
Non approfondiremo tale questione in questa sede, quel che ci preme sottolineare e la
nozione che assume il territorio nella concezione territoriale.
La diffusione di forme di progettazione locale ha fatto tramontare l‟impostazione
settoriale e redistributiva in cui il territorio era semplice contenitore di risorse per
l‟agricoltura o di risorse naturali e socio-economiche scarse.
La creazione di partnership per aggregare attori diversi nella definizione dei percorsi
di sviluppo ha messo in evidenza che il territorio rurale non è solo spazio in cui
agricoltura e foreste predominano, ma rappresenta uno spazio ove vi sono dotazioni
di capitale umano, sociale, culturale e naturale che sono i punti di forza per i percorsi
che si decidono di intraprendere.
Inoltre, in questa concezione non si può prescindere dal fatto che per la creazione e il
mantenimento delle attività locali sia necessario l‟instaurazione di relazioni
economiche, sociali e istituzionali, in altre parole, le cosiddette “reti formali ed
informali”, che in molti casi vanno al di là del livello locale.
Infine, nel modello territoriale anche il ruolo delle istituzioni assume connotati
diversi, in primis, viene loro attribuito notevole peso sia nella definizione che nella
realizzazione delle traiettorie di sviluppo, in secondo luogo il modello riconosce che
il successo delle politiche dipende anche dall‟efficace grado di coordinamento che i
diversi livelli di governo sono in grado di instaurare.
Dunque, l‟approccio territoriale apre la problematica della governance multilivello
che coinvolge molteplici attori, diversi livelli di governo, di funzioni, di relazioni e di
attori.
13
A tal proposito si rimanda ai testi di: E.Saraceno – Rural Development Policies and the Second
Pillar of the Common Agricultural Policy (2002) e I.J. Terluin – Theoretical Framework of Economic
Development in Rural Regions (2000).
14
Si pensi a P.Lowe in “Politiche, Governance e Innovazione per le aree rurali” in A.Cavazzani,
G.Gaudio e S.Sivini INEA (2006), dove lo sviluppo è dato dalla capacità di combinare risorse
endogene ed esogene.
14
Quelle che fino ad ora sembrano esser le esperienze che si ispirano al modello
territoriale dello sviluppo rurale sono quelle sperimentate nell‟ambito dell‟iniziativa
comunitaria LEADER a partire dagli anni ‟90.
Box 1. - I modelli per punti.
Fonte: Nostra Elaborazione (Mantino, 2008)
Obiettivi delle
Politiche
Concezione Settoriale
Ruolo dei
settori
Ruolo degli
attori sociali
Ruolo del
Territorio
Ruolo delle
istituzioni
Politiche
Privilegiate
Parità di redditi fra i
settori.
Aumento delle
dimensioni
dell‟impresa.
Intensificazione
produttiva
Investimenti in
azienda.
Aiuti diretti al reddito.
Contenitore di risorse
per l‟agricoltura.
Il rurale è sinonimo di
agricolo.
Contrapposizione tra
rurale e urbano.
Centralità dell‟impresa
agricola.
Integrazione
dell‟agricoltura nel
contesto globale.
Solo le organizzazioni
di categoria hanno un
ruolo rilevante
Politiche affidate alle
amministrazioni di
settore
Obiettivi delle
Politiche
Concezione Redistributiva
Ruolo dei
settori
Ruolo degli
attori sociali
Ruolo del
Territorio
Ruolo delle
istituzioni
Politiche
Privilegiate
Compensazione dei
svantaggi naturali e
socio-economici.
Ridurre il divario tra
aree rurali deboli e aree
urbane
Diversificare i redditi
Indennità
compensativa per le
zone montane e
svantaggiate
Sostegno agli
investimenti in
azienda.
Diversificazione dei
redditi dell‟impresa.
Centralità delle aree
rurali.
Attenzione nella
definizione di aree
rurali deboli.
Centralità
dell‟agricoltura.
Si tiene conto degli
altri settori come
opportunità di
diversificazione.
Dominanza delle
organizzazioni di
categoria del settore.
Forte attenzioni agli
attori non agricoli.
Politiche affidate alle
amministrazioni di
settore.
Diffusione di forme di
collaborazione/integraz
ione fra settori diversi.
Obiettivi delle
Politiche
Concezione Territoriale
Ruolo dei
settori
Ruolo degli
attori sociali
Ruolo del
Territorio
Ruolo delle
istituzioni
Politiche
Privilegiate
Valorizzazione risorse
endogene del territorio.
Diversificazione dei
redditi
Nuove forme di
riduzione dei costi
Diffusione di forme di
pluriattività
Creazione di attività
extragricole.
Sostegno alla
diversificazione dei
redditi.
Politiche di sviluppo
economico locale.
Sostegno ai servizi per
la popolazione locale.
Sostegno agli
investimenti aziendali.
Attenzione posta a tutti
i territori rurali.
Eterogeneità delle aree
rurali a tutti i livelli.
Definizione
multidimensionale del
rurale
Riduzione delle aree
rurali deboli rispetto
alle aree urbane
Centralità
dell‟agricoltura.
Centralità dei settori
che consentono la
diversificazione
economica locale.
Sviluppo rurale come
processo esteso.
Centralità delle
partnership.
Centralità delle reti.
Creazione di forme
decentrate di governo.
Governace multilivello
nelle politiche e nei
percorsi da seguire.
15
1.2 Le politiche per lo sviluppo rurale: dagli anni 70 agli anni 90.
In questo paragrafo ripercorreremo il percorso storico che ha portato al passaggio
dalle politiche per le strutture agricole degli anni 70 sino alle politiche per lo
sviluppo rurale degli anni 90.
Nel passato le finalità delle politiche strutturali si concentravano sui fattori produttivi
dell‟agricoltura, in particolare sulla dotazione di capitali, lavoro e terra con
l‟obiettivo di favorire rapporti più adeguati tra i fattori stessi, parità di reddito,
adozione di innovazione tecnologica, mobilità dei fattori sul mercato, ecc.
Tali finalità nel corso degli anni 80, e soprattutto negli anni 90, sono cambiate
adattandosi alle nuove funzioni delle politiche agricole e dell‟agricoltura nel suo
complesso.
L‟attenzione si è sempre più spostata verso la qualità dei fattori, qualità dei prodotti,
rapporto tra agricoltura e ambiente, multifunzionalità dell‟agricoltura e integrazione
con gli altri settori.
Il ri-orientamento verso tali finalità ha fatto si che cambiasse nelle politiche
strutturali la mera nozione di cambiamento delle strutture agricole verso quella di
sviluppo rurale.
Procedendo con ordine, la prima fase che comprende il periodo che va dall‟avvio
della politica comune nel 1957 sino agli inizi degli anni 70 è caratterizzata per larga
parte da politiche nazionali.
La normativa comunitaria inizia ad esercitare influenza a partire dal 1972 con le
direttive socio-strutturali15, a cui si aggiungeranno tre anni più tardi le direttive per le
zone svantaggiate16 e alcuni regolamenti che riguardano incentivi per la
trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agricoli17 e le associazioni di
produttori18.
Tali provvedimenti avevano una connotazione prettamente settoriale, compreso il
cosiddetto “pacchetto mediterraneo”, destinato a sostenere i prodotti mediterranei e il
miglioramento delle strutture produttive in Francia e in Italia.
15
Dir. 159/72, Dir 160/72 e Dir 161/72.
16
Dir. 268/78.
17
Reg 355/77.
18
Reg. 1380/78.
16
Il periodo successivo (1985-1991) si caratterizza per l‟introduzione di un nuovo
pacchetto strutturale19 che va a rimpiazzare le direttive socio-strutturali del 1972 e,
soprattutto, dall‟introduzione di una organica politica di sviluppo regionale con la
prima riforma dei Fondi Strutturali che si riferirà al periodo 1989-93.
Il nuovo “pacchetto” strutturale amplia gli obiettivi delle direttive socio-strutturali
degli anni 70, focalizzandosi sulla ricerca di una maggiore complementarietà tra la
politica dei prezzi e dei mercati al fine di un riequilibrio dei mercati stessi.
Il mutamento che più caratterizza questo periodo sta nel fatto che la politica delle
strutture in agricoltura ha trovato, grazie alla prima riforma dei fondi strutturali, un
effettivo aggancio con le politiche di sviluppo regionale.
I primi segnali della volontà di intraprendere un approccio integrato e territoriale
della politica di sviluppo rurale si può identificare già nel 1985 nei PIM (Programmi
Integrati Mediterranei), ma, è solo con la prima riforma dei fondi strutturali e con il
pacchetto di regolamenti applicativi20 che si materializza una impostazione del tutto
nuova nella definizione e gestione delle politiche strutturali e di coesione.
I principi che vengono introdotti da tale riforma sono:
ξ la programmazione pluriennale degli interventi;
ξ la concentrazione degli interventi su alcuni determinati obiettivi prioritari;
ξ la concertazione continua tra Commissione Europea, Stato e Regioni e il co-
finanziamento degli interventi;
ξ l‟addizionalità degli interventi comunitari rispetto a quelli nazionali.
Tali principi costituiranno la base del funzionamento dei fondi anche nei periodi
successivi, pur con qualche modifica.
E‟ sempre in questo periodo che nel campo dello sviluppo rurale viene introdotto per
la prima volta l‟approccio LEADER, attraverso una specifica iniziativa comunitaria
finanziata nell‟ambito della PAC nel tentativo di innescare progetti di sviluppo a
scala locale facendo leva sull‟innovatività [Pesce A. e Gaudio G 1997 - Gaudio G, e
Gaudio F. 2001].
Notevole importanza nell‟evoluzione delle politiche per lo sviluppo rurale viene data
al periodo 1992-1999 per due grandi eventi:
19
Reg. 797/85.
20
Reg. 2052/88.
17
1. La Riforma della PAC;
2. L‟Uruguay Round.
La riforma della PAC, nota come “Riforma Mac Sharry”, introduce una riduzione dei
prezzi garantiti per una quota significativa della produzione agricola, che viene
compensata attraverso aiuti diretti alle imprese e disaccoppiati dalla produzione.
Ma, la vera novità sta nell‟introduzione di un pacchetto di misure
d‟accompagnamento a carico del Feoga – Garanzia, tali misure sono:
ξ il prepensionamento (Reg. 2079/92);
ξ l‟agroambiente (Reg. 2078/92);
ξ la forestazione (Reg. 2080/92).
Queste misure non alterano l‟impianto della politica strutturale in quanto i nuovi
regolamenti sulle strutture aziendali21 e sulla trasformazione/commercializzazione22
rappresentano un‟evoluzione dei precedenti senza modificarne gli orientamenti.
Nonostante ciò, alla Riforma Mac Sharry va il merito di aver introdotto una nuova
dimensione, quella ambientale, che nella nuova logica comunitaria diverrà una delle
principali componenti negli anni a venire.
Si può tranquillamente affermare che più che assistere ad una riforma radicale, si
sviluppano nuovi ambiti che caratterizzeranno Agenda 2000.
Bisogna infine ricordare che accanto ai regolamenti ambientali è sempre in questo
periodo che si sviluppano i regolamenti per la qualità dei prodotti (DOP e IGP)23 e
per l‟attestazione di specificità24.
L‟ultimo periodo, che corrisponde al periodo di programmazione 2000-2006, è
quello caratterizzato dalla nascita di Agenda 2000.
Partendo dagli accordi siglati durante il Consiglio Europeo di Berlino, Agenda 2000
si proponeva di rafforzare la politica di coesione economica e sociale, e di proseguire
in modo più rilevante il processo di riforma della PAC avviato dalla Riforma Mac
Sharry.
Agenda 2000 rappresenta un momento di rottura rispetto ai periodi precedenti,
l‟obiettivo ambizioso si proponeva di “costruire una più organica politica di sviluppo
21
Reg. 950/97.
22
Reg. 951/97.
23
Reg. 2081/91.
24
Reg. 2082/91.
18
rurale cercando di razionalizzare e riorganizzare tutti gli strumenti che erano stati
messi in piedi sino ad allora nel quadro giuridico comunitario”25.
Tale obiettivo non finiva nell‟approvazione dei regolamenti e del bilancio per il
periodo di riferimento, ma, proseguiva nello stesso con la Riforma di medio termine
che apportava nuovi strumenti e nuove risorse alla politica di sviluppo rurale.
Prima di proseguire nell‟analisi ebbene soffermarci più dettagliatamente sui periodi
che ci interesseranno nel proseguimento della ricerca.
Come già affermato, a partire dal 1992 la politica agricola comunitaria è oggetto di
una profonda riforma, riforma che condizionerà gli obiettivi stessi della politica
strutturale.
La riforma Mac Sharry e la riforma delle politiche strutturali e di coesione producono
un inversione di rotta nel percorso della modernizzazione “tradizionale” per due
ordini di motivi.
La prima tendenza si concentra in direzione di una strategia di modernizzazione che
non va più alla ricerca della parità intersettoriale dei redditi e del binomio aumento di
scala/intensificazione produttiva, ma, viene sottoposta ad una serie di vincoli
produttivi e di obiettivi (sostenibilità e qualità) che ne modificano l‟impostazione
originaria.
La seconda tendenza percorre una strada del tutto nuova, quella dei sostegni
finalizzati a strategie di sviluppo territoriale integrato.
Nel periodo che va dal 1988 al 1999 gli obiettivi della modernizzazione diventano
più articolati, la ristrutturazione aziendale non è più mero ampliamento della
superficie, ma, essa avviene “anche” attraverso la riduzione dei costi, la
riconversione produttiva e la diversificazione delle attività.
Il cosiddetto “piano di sviluppo aziendale” viene tramutato in un semplice piano di
miglioramento che si caratterizza per la sua maggiore flessibilità.
L‟impostazione di una strategia “vincolata” non va ad influire solo sull‟impresa
agricola, ma, si ripercuote anche sul sistema degli incentivi strutturali.
Il Feoga – Orientamento con l‟approvazione del nuovo regolamento26 introduce
nuovi vincoli e restrizioni agli investimenti attraverso orientamenti comunitari a cui
gli Stati Membri devono far riferimento.
25
F.Mantino (2008) pag. 37.