9Introduzione
La disabilità intellettiva rappresenta a tutt’oggi un fenomeno sociale al centro di
numerose riflessioni; una realtà, ancora troppo spesso, densa di pregiudizi e luoghi comuni.
Coloro che vengono percepiti “diversi” conducono spesso un’esistenza segnata dalla
solitudine e dall’emarginazione sociale: ma chi sono i “diversi”?
Nella nostra società vengono considerati “diversi” coloro che non possiedono
caratteristiche “vincenti”, coloro che non si uniformano allo standard della popolazione. Ma è
realmente così?
Questo mio studio cerca di accendere una luce nell’ombra del pregiudizio, affrontando
il tema dell’inserimento dei disabili intellettivi in un’ampia realtà sociale, quale è il mondo del
lavoro.
Spesso le persone credono che il disabile intellettivo non sia in grado di integrarsi in
un gruppo e non abbia le capacità necessarie al raggiungimento di un obiettivo comune.
Tuttavia molte volte coloro che incontrano sulla loro strada un “diverso” rimangono sorpresi
non solo dalle sue numerose risorse affettive ed umane, ma anche da quelle cognitive.
Il mio lavoro di tesi è suddiviso in due parti e si articola complessivamente in cinque
capitoli; i primi tre costituiscono la parte teorico-bibliografica, mentre i restanti due
descrivono la ricerca da noi effettuata.
Nel primo capitolo vengono esposte varie tesi teoriche riguardanti il tema della
disabilità intellettiva: lo scopo non è quello di fornire notizie troppo specifiche ma di offrire
una vasta panoramica su tale argomento.
Il secondo capitolo presenta le teorie formulate dagli studiosi a proposito del
pregiudizio. Ci siamo soffermati sulla possibile natura, ruolo e sulle conseguenze del pensiero
pregiudiziale. In particolare, è stata trattata l’ipotesi del Contatto formulata da Allport, i
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modelli di Brewer e Miller, il modello dell’Identità Comune di Gaertner e quello di Hewstone
e Brown riguardante il contatto intergruppi.
Nel terzo capitolo abbiamo approfondito il ruolo delle emozioni nella riduzione del
pregiudizio. Nello specifico abbiamo considerato l’ansia e l’empatia all’interno del contatto,
descrivendo i contributi empirici di numerosi studiosi.
Il quarto capitolo introduce la nostra ricerca: abbiamo spiegato le ipotesi da noi
formulate, la metodologia adottata e gli strumenti utilizzati per raggiungere gli obiettivi
prefissati.
Nel quinto capitolo sono stati riportati l’analisi dei dati raccolti: ad una prima verifica
di attendibilità degli strumenti usati segue l’analisi delle correlazioni tra le variabili oggetto di
studio, la Path Analysis e un’analisi di Moderazione.
Nella parte conclusiva vengono commentati i risultati sulle analisi svolte e spunti su
possibili ricerche future.
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CAPITOLO I
Disabilità mentale, stereotipi
e inserimento lavorativo
Le cose veramente importanti nel mondo
sono state realizzate da persone che hanno continuato
a tentare laddove sembrava che non ci fosse alcuna speranza
(Dale Canegie)
1.1 Ritardo mentale e incidenza nella popolazione
I tentativi tradizionali di definire la condizione di Ritardo Mentale rientrano in tre
categorie: quelli basati su prove di efficienza intellettuale generale, quelli basati su una
generale incompetenza sociale e quelli basati su certi tipi di danno cerebrale.
La definizione accolta dai sistemi nosografici attuali è quella elaborata negli anni
Sessanta dall’Associazione Americana per il Deficit Mentale che rappresenta una fusione dei
primi due tipi di approccio. ”Una persona classificata mentalmente ritardata deve ottenere un
punteggio in almeno due deviazioni standard al di sotto della media per il proprio livello di
età ad un test standard di misurazione dell’intelligenza e deve, inoltre, essere
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significativamente alterata nella sua capacità di adattamento al suo specifico ambiente di
vita. I deficit si devono verificare nell’infanzia o nell’adolescenza.”
Questa definizione non considera le cause che possono essere uniche o multiple,
connesse al patrimonio genetico, o a lesioni neurologiche acquisite, oppure all’associazione
tra uno sviluppo neuro-biologico non ottimale ed un’esperienza di vita poco favorevole.
Ci troviamo di fronte al Ritardo Mentale quando assistiamo alla presenza di tre fattori:
1. un funzionamento intellettivo al di sotto della media : un Q.I. di circa 70 o inferiore;
2. concomitanti deficit o compromissioni del funzionamento adattivo attuale in almeno due
delle seguenti aree: comunicazione, cura di sé, vita in famiglia, capacità sociali e
interpersonali, uso delle risorse della comunità, autodeterminazione, capacità del
funzionamento scolastico, lavoro, tempo libero, salute e sicurezza;
3. esordio prima dei 18 anni.
Nonostante i numerosi progressi compiuti negli ultimi anni, il 30%-40% dei soggetti
colpiti da Ritardo Mentale presenta un’eziologia sconosciuta. In generale i principali fattori
predisponenti includono:
- l’ereditarietà (circa il 5%) ovvero errori congeniti del metabolismo trasmessi appunto per
via autosomica recessiva (per es. malattia di Tay-Sachs), anomalie di un singolo gene a
trasmissione mendeliana e ad espressività variabile (per es. sclerosi tuberosa), aberrazioni
cromosomiche (per es. Sindrome dell’X fragile);
- alterazioni precoci dello sviluppo embrionale (circa il 30%) che includono mutazioni
cromosomiche (per es. Sindrome di Down), o danni prenatali dovuti a sostanze tossiche
(per es. uso di alcool da parte della madre, infezioni);
- problemi durante la gestazione e nel periodo perinatale (circa il 10%) ovvero
malnutrizione del feto, prematurità, ipossia, infezioni virali e traumi;
- condizioni mediche generali acquisite durante l’infanzia e la fanciullezza (circa il 5%)
ovvero infezioni, traumi e avvelenamenti;
- influenze ambientali e altri disturbi mentali (circa il 15-20%) che includono la mancanza
di accudimento e di stimolazioni sociali verbali o di altre stimolazioni e disturbi mentali
gravi (per es. Disturbo Autistico).
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Il Ritardo Mentale si caratterizza per uno scarso adattamento all’ambiente, uno
sviluppo incompleto della psiche nonché un mancato raggiungimento del pensiero logico-
astratto, accompagnati da una scarsa autoconsapevolezza e senso di responsabilità.
Le persone colpite da Ritardo Mentale possiedono un rischio 3 o 4 volte maggiore,
rispetto a individui non ritardati, di sviluppare forme psicopatologiche. Tali patologie
comprendono il disadattamento con iperattività, disturbi dell’umore (atteggiamenti depressivi,
maniacali, bipolari), disturbi della sfera motoria, disturbi generalizzati dello sviluppo. Il
Ritardo Mentale si suddivide in quattro gradi: lieve, medio, grave e profondo. Inizialmente
esisteva anche un quinto grado detto “borderline” oggi definito “Funzionamento intellettivo
minimo” caratterizzato da un Q.I. che tende ad avvicinarsi alla norma.
Il Ritardo Mentale di grado lieve interessa circa l’85% della popolazione ed ha origini
sia ambientali che organiche; i soggetti colpiti possiedono un Q.I. pari al 50-70% e
dimostrano un età mentale simile a quella di un bambino di circa 11 anni. Tali individui
sviluppano capacità sociali e comunicative negli anni prescolastici (da 0 a 5 anni d’età), hanno
una compromissione minima delle aree sensomotorie, e spesso non sono distinguibili dai
bambini senza ritardo. Durante l’età adulta essi acquisiscono capacità sociali e occupazionali
adeguate, ma possono aver bisogno di appoggio, specie se sottoposti a forti stress.
Opportunamente sostenuti questi soggetti possono condurre un’esistenza quasi normale.
Il Ritardo Mentale di grado medio presenta un’eziologia prettamente organica e
interessa il 10% dei soggetti che hanno un Q.I. pari al 49% ed un’età mentale corrispondente a
quella di un bambino di 7-8 anni. La maggior parte di questi soggetti acquisisce le capacità
comunicative durante la prima fanciullezza; essi possono sviluppare abilità sociali e lavorative
e in età adulta riuscire a svolgere lavori semispecializzati, in ambienti di lavoro normali.
Il Ritardo Mentale di grado grave ha origini organiche, colpisce il 45% dei soggetti che
possiedono un Q.I. pari al 20% ed un’età mentale simile ad un bambino di 4-6 anni. Nella
prima fanciullezza essi possono acquisire, anche se a livello minimo, un linguaggio
comunicativo; in età adulta possono arrivare a svolgere compiti semplici in ambienti protetti.
Il Ritardo Mentale profondo colpisce l’1% dei soggetti; l’origine è prettamente di tipo
organico e chi ne è interessato possiede un Q.I. minore del 20% ed un’età mentale di un
bambino al di sotto di 4 anni. Durante la prima infanzia essi mostrano una considerevole
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compromissione del sistema sensomotorio. Uno sviluppo adeguato può verificarsi in un
ambiente altamente specializzato, con assistenza e supervisione costanti, e soprattutto grazie
ad una relazione positiva e personalizzata con la figura di riferimento. Lo sviluppo motorio,
le capacità comunicative e sociali possono essere potenziate qualora venga fornito loro un
supporto efficace; questi soggetti possono infatti svolgere compiti semplici in ambienti
altamente controllati e protetti.
Come già precedentemente affermato il Ritardo Mentale è diagnosticabile attraverso la
misurazione del quoziente intellettivo, mediante una divisione tra Età Mentale ed Età
Cronologica e moltiplicando il risultato per 100. Mentre la seconda è l’età effettiva del
soggetto, la prima viene attribuita dopo la risoluzione di problemi affrontati con esito positivo
da soggetti coetanei.
Le ricerche indicano una prevalenza di persone affette da Ritardo Mentale nella
popolazione generale compresa tra 1 e 3%. Ciò significa che, in un paese come l’Italia,
rientra in questa categorie un numero di persone compreso tra 500.000 e 1.500.000.
Il modo in cui le società industrializzate hanno affrontato il tema dell’assistenza a
queste persone è variato nel tempo. Uno specialista autorevole (Boekhoff, 1996) ha suggerito
la possibilità di raccontare la storia di questi modelli assistenziali assumendo come chiave di
lettura il tipo di status che la società ha, di volta in volta, assegnato a queste persone.
In un primo periodo, che inizia storicamente alla fine dell’Ottocento, la persona con
Ritardo Mentale si vede assegnare lo status di “malato” e l’assistenza che le è rivolta ha la
stessa logica della terapia medica: guarire il Ritardo Mentale, così come i disturbi associati, in
Istituzioni apposite come ospedali (modello medico dell’assistenza).
In un secondo periodo, che inizia storicamente alla fine degli anni Cinquanta, la
persona con Ritardo Mentale si vede assegnato lo status di “scolaro” e l’assistenza si focalizza
sul tema dell’apprendimento declinato secondo la regola ”gli specialisti sanno ciò che per
questa persona è utile imparare”(modello pedagogico dell’assistenza).
Nel periodo attuale, il cui esordio si può far risalire a pochi decenni fa, la persona con
Ritardo Mentale si vede assegnato lo status di “cittadino” e l’assistenza si assume il compito
di ascoltarla nell’espressione dei suoi desideri oltre che di accompagnarla nella realizzazione
dei suoi diritti (non esiste, quindi, un modello specifico di assistenza).
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La sintesi di Boekhoff permette di delimitare a grandi linee alcuni periodi e offre lo
spunto a due tipi di considerazioni. La prima è che il tipo di status che l’organizzazione
sociale attribuisce a queste persone varia nel tempo in funzione di concezioni antropologiche
derivate da un particolare momento culturale (Ruggerini e Guaraldi, 1999).
La seconda è che agli operatori di assistenza è richiesto uno sforzo di presa di
coscienza e di consapevolezza delle radici storiche del proprio operare: solo un atteggiamento
di questo tipo, infatti, può favorire una disposizione intellettuale utile ad accogliere quanto di
nuovo viene, di volta in volta, proposto dalla comunità culturale e scientifica e allontanare,
per questo, le strettoie per la persona con Ritardo Mentale della autoreferenzialità di chi la
assiste.
Oggi è possibile identificare un insieme di concezioni che possono costituire lo sfondo
culturale o ecotipo entro il quale questa assistenza viene o potrebbe venire realizzata. Questo
sfondo ha almeno tre dimensioni che si intersecano in vario modo: una dimensione sociale,
una dimensione filosofico-antropologica, una dimensione clinica (Ruggerini, Solmi, Neviani,
Guaraldi, 2004). Nella prima dimensione, sociale, si afferma il concetto di “Normalizzazione”
che stabilisce la necessità di avvalersi in ogni campo dell’educazione e dell’assistenza a
queste persone degli stessi mezzi che si utilizzano per le persone prive di limiti intellettuali.
Questa filosofia è stata originata dalla constatazione sociale degli insuccessi della pratica
istituzionale condotta secondo un modello medico e ha costituito il manifesto sul quale
costruire i modelli assistenziali attuali.
Per quanto riguarda la dimensione filosofico-antropologico va sottolineato che tutta la
medicina è percorsa da una ricorrente aspirazione a tenere presente, in ogni branca
dell’assistenza, l’unità somato-psichica dell’individuo, come risposta, sul campo,
all’eccessiva frammentazione dei saperi specialistici (Engel, 1977).Questa aspirazione è
particolarmente presente nell’assistenza psichiatrica, in cui la definizione nosografica di un
disturbo può, di fatto, essere fatta coincidere con i contorni stessi dell’individuo, con la sua
totalità (Moravia,1993). Il supporto filosofico di questa dimensione è costituita dal livello
attuale della riflessione sul tema del rapporto mente-cervello che sembra avere una soluzione
“anti-mentalistica”: l’essenza dell’uomo non confina con la sua mente e tanto meno con il suo
cervello (Moravia,1986).
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Per quanto riguarda la dimensione clinica va sottolineato che i sistemi nosografici
attuali, che raccolgono le concezioni condivise dalla comunità scientifica, hanno subito
recentemente subito cambiamenti di assoluta rilevanza. Nel DSM-III-R (1987), ad esempio, il
Ritardo Mentale non è più classificato come un disturbo mentale dell’Asse I, in cui si
classificano i disturbi dell’umore, la schizofrenia i disturbi d’ansia ecc., ma tra i disturbi
dell’Asse II, insieme ad un’unica altra categoria nosografica costituita dai disturbi di
personalità. Il Ritardo Mentale viene classificato come una caratteristica dell’individuo, un
suo modo di essere, una sua condizione esistenziale, in cui l’efficienza intellettuale si
allontana eccessivamente dagli standard che i parametri attuali definiscono medi e ha come
risultato una difficoltà di adattamento autonomo all’ambiente. La condizione di Ritardo
Mentale si accompagna ad uno stato di Salute Mentale oppure ad un Disturbo Mentale
(concetto di doppia diagnosi); il legame tra Ritardo mentale e Disturbo Mentale è frequente
ma non necessario: quando è presente va compreso e spiegato.
1.2 Disabilità, handicap, menomazione
Nel 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblicò un primo documento dal
titolo “International Classification of Impairement, Disabilities and Handicaps (ICIDH). In
esso erano chiaramente differenziati i tre ambiti, quello delle menomazioni, delle disabilità e
degli handicap, che nel linguaggio comune venivano spesso confusi. Con il termine
“menomazione” si designano perdite o anormalità, transitorie o permanenti, a carico di
strutture o funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche; essa rappresenta
l’esteriorizzazione di uno stato patologico e in linea di principio riflette i disturbi a livello
d’organismo. L’ICIDH, dopo la definizione, propone di differenziare le menomazioni
considerando i seguenti nove raggruppamenti:
1.Menomazioni della capacità intellettiva
2.Altre menomazioni psicologiche
3.Menomazioni del linguaggio
4.Menomazioni dell’udito
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5.Menomazioni visive
6.Menomazioni viscerali
7.Menomazioni scheletriche
8.Menomazioni deturpanti
9.Menomazioni generalizzate, sensoriali e di altro tipo.
L’espressione ”disabilità” si riferisce a qualsiasi restrizione o carenza (conseguente ad
una menomazione) della capacità di svolgere un’attività nel modo o nei limiti ritenuti normali
per un essere umano. Essa rappresenta l’oggettivazione della menomazione e come tale
riflette disturbi a livello di persona. La disabilità può avere carattere transitorio o permanente,
essere reversibile o irreversibile, progressiva o regressiva, insorgere come conseguenza diretta
di una menomazione o come reazione di un soggetto, specialmente da un punto di vista
psicologico, ad una menomazione fisica, sensoriale o di altra natura. Essa si riferisce a quelle
capacità funzionali estrinsecate attraverso atti e comportamenti, che per generale consenso,
costituiscono aspetti essenziali della vita quotidiana. Come per le menomazioni l’ICIDH
propone una classificazione delle disabilità considerandone nove tipologie:
1.Disabiltà nel comportamento
2.Disabilità nella comunicazione
3.Disabilità nella cura della propria persona
4.Disabilità motorie
5.Disabilità inerenti la propria sussistenza
6.Disabiltà nella destrezza
7.Disabilità circostanziali
8.Disabiltà in particolari attività
9.Altre limitazioni all’attività
Per quanto concerne il concetto di “handicap” la prima edizione dell’ICIDH precisava
che per handicap si intende una condizione di svantaggio vissuta da una determinata persona
in conseguenza di una menomazione o di una disabilità che limita o impedisce la possibilità di
ricoprire un ruolo normalmente proprio a quella persona, in relazione all’età al sesso e ai