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Introduzione
Come molti, anche io sono un appassionato di televisione, perché la ritengo il migliore dei mass
media e come molti, col passare del tempo, mi sono disinnamorato dei programmi che ci vengono
propinati dalle nostre emittenti pubbliche o private; col tempo, anzi, mi sono ritrovato deluso del
livello delle attuali trasmissioni di intrattenimento, trovando soddisfazione solo nei vecchi
programmi, visti in rare selezioni di altre trasmissioni.
Così col passare del tempo, mi sono dedicato a ricercare programmi del passato per ritrovare quel
tipo di intrattenimento che riuscisse a soddisfarmi.
Per di più, studiando le linguistica, mi sono imbattuto in una serie di studi sui media che mi hanno
ispirato nella mia tesi.
Delineare le caratteristiche della nostra lingua nella televisione delle origini, prestando attenzione
all‟intento pedagogico che questa doveva avere per essere fruibile ad un pubblico così vasto e al
tempo così poco istruito.
Nella mia tesi cercherò di individuare le peculiarità della lingua italiana utilizzata nei più comuni
programmi dell‟epoca (Telegiornali, Annunci di programmi, Musichiere, Lascia o raddoppia, Non
è mai troppo tardi, Carosello), evidenziando, dove possibile, i tratti di Italiano Standard,
Neostandard e Substandard, al fine di capire se realmente gli autori volessero istruire gli spettatori,
per unificare la lingua nazionale o cercare un italiano che fosse fruibile per tutti senza preoccuparsi
troppo di elevare il livello culturale.
Dando per scontato che la televisione, comunque, sia servita agli italiani per unificare la propria
lingua livellandola da un Substandard a un Neostandard di sicuro più corretto, il mio obiettivo è
cercare di capire se questo fosse un intento voluto o meno.
Visionando alcuni dei programmi più seguiti dell‟epoca li ho separati secondo le differenti
peculiarità che qui riporto:
ξ Carosello, buffo giocoso, più adatto ai bambini che agli adulti, con una spiccata propensione
al linguaggio sloganistico, di sicuro più attento alla vendita dei prodotti pubblicitari che al
linguaggio, benché nei caroselli solo una minima parte era dedicata allo slogan in sé ed il
resto era puro intrattenimento;
ξ Lascia o raddoppia, programma indubbiamente serio, che ad una prima analisi poteva
sembrare quello dal linguaggio più controllato e vicino allo standard per come lo
conosciamo, con un presentatore abilissimo nel mantenere un parlato corretto e evitare tratti
del parlato o colloquiale (in realtà non era proprio così);
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ξ Il Musichiere, l‟alterego di Lascia o raddoppia, con un linguaggio molto più familiare e
colloquiale, con temi molto meno culturali e simbolo di un intrattenimento più frivolo e
disimpegnato ed un conduttore molto più vicino ad un istrionico attore che ad un impostato
presentatore;
ξ Le Inchieste del telegiornale Rai, dove il linguaggio è pensato da noi come sicuramente
standard , ma nello spirito giornalistico della testimonianza in presa diretta diviene specchio
di quel italiano medio tanto vicino agli spettatori;
ξ Gli annunci Rai assolutamente standard, testimonianza del lavoro degli autori e della
volontà di essere il più grammaticamente corretti possibile;
ξ Non è mai troppo tardi, ulteriore testimonianza dell‟intento pedagogico della televisione
italiana alle origini, dove un elementare linguaggio di un paziente insegnante era il mezzo
per istruire i partecipanti, analfabeti.
Come descritto in seguito con le innovazioni legislative e l‟apertura delle frequenza anche a privati
il linguaggio si è discostato dai mestieranti della televisione: conduttori, annunciatrici e autori, fino
ad arrivare al pubblico che interviene da casa ed agli attuali talk show dove il controllo del
linguaggio si limita ad una scansione temporale e censura di turpiloqui.
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Capitolo I
La lingua italiana: varietà del repertorio
La lingua italiana, per come la conosciamo noi, altro non è che il normale modo con cui ci
esprimiamo e solo di rado cerchiamo dei termini più adatti al contesto in cui ci troviamo, ma in
realtà la nostra lingua ha un vastissimo panorama di sfumature e diversità.
Il grado di cultura è sicuramente il primo piano di differenziazione, ma molteplici sono gli altri
gradi:
ξ Il mezzo attraverso il quale si svolge la comunicazione, quindi il contesto che intercorre tra
emittente e ricevente. (componente diamesica)
ξ Il tempo e i cambiamenti linguistici che fanno mutare il linguaggio nel corso di questo.
(componente diacronica)
ξ La situazione comunicativa: la confidenza, il registro formale o informale, o l‟argomento
trattato, eleva o meno il livello della comunicazione. (componente diafasica)
ξ La posizione sociale dei parlanti, dal sesso, all‟età, rapporti che intercorrono tra emittente e
ricevente e fanno variare il livello della comunicazione. (componente diastratica).
Poi la presenza dei dialetti, le inflessioni regionali (componente diatopica), i forestierismi derivanti
dalle lingue straniere e molti altri fattori fanno dell‟italiano una lingua molto più complessa di
quanto si pensi.
Qui di seguito cercherò di illustrare le principali differenze della lingua italiana, dando maggior
importanza alla componente culturale.
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1
L’italiano standard o “lingua della letteratura”
La lingua standard esiste in Italia dal „500 (grazie ai normativi; primo dei quali è il Bembo) con
tutte le specificità che la contraddistinguono, restando statica per molti anni, senza subire
mutamenti, dato il suo quasi esclusivo utilizzo scritto.
Posso asserire che nessuno, salvo minime eccezioni possiede l‟italiano standard come lingua nativa;
questa, infatti, è frutto di un addestramento e proprio questa sua artificiosità lo rende tanto
distaccato dall‟utilizzo comune della lingua benché comunque sia presente nella vita di molti di
parlanti acculturati che lo adoperano di consueto (alludo a molte figure professionali).1
Con il passare degli anni, c‟è stato un lento passaggio dallo scritto al parlato, che ovviamente portò
ad un‟esemplificazione, con alcune perdite di quelle peculiarità di cui l‟italiano standard si
caratterizzava, come la drastica riduzione della polimorfia, cioè la presenza di più forme per
indicare lo stesso concetto.
Un esempio illustre di queste esemplificazioni c‟è dato dalle famosissime correzioni apportate da
Alessandro Manzoni nell‟edizione definitiva dei suoi Promessi Sposi, nella quale ci fu un palese
adeguamento della lingua a quella di uso più comune, cioè a quella parlata dalle persone colte della
Firenze del tempo.
Queste semplificazioni furono poi accolte nell‟italiano di uso comune e fortunatamente il processo è
stato biunivoco apportando tante semplificazioni allo scritto quante normativizzazioni al parlato,
con tutta una nuova serie di regole che sono diventate i pilastri della nuova lingua, quella detta neo-
standard o di uso medio.
Ho parlato molto d‟italiano standard, ma forse è il caso di precisare di cosa si intende per lingua
standard: l‟uso linguistico che l‟intera comunità dei parlanti riconosce come corretto2, dunque il
modello di lingua proposto nelle grammatiche e che non è naturale, ma deve essere studiata: la
lingua ufficiale dello stato.
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Berruto 1999
2
D‟Achille 2003
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2
L’italiano neostandard o di “uso medio”
Nell‟ampio panorama delle varietà linguistiche italiane quella che più si avvicina al parlato comune
è di sicuro l‟italiano di “uso medio”, che si caratterizza per alcune, ma specifiche differenze dalla
lingua detta standard o letteraria.
Ia prima differenza è sicuramente la presenza di tratti regionali, (prima relegati solo al parlato, che
ora sono passati anche nello scritto creando l‟italiano di uso medio altrimenti detto italiano
regionale colto o neostandard)3.
Adesso vorrei presentare alcuni dei tratti principali della fonologia, della morfosintassi e del lessico,
che caratterizzano l‟uso prevalentemente parlato (ma anche scritto) in situazioni di media formalità
e talvolta anche di informalità4.
Fonologia
1. Stenta a subentrare nell‟uso medio la distinzione tra vocali chiuse ed aperte, sia per
mancanza di una grafia differente, sia per il massiccio apporto di correnti linguistiche del
nord e del sud che non utilizzano distinzioni dando vita a quella che potremmo definire
neutralizzazione a tale opposizione fonologica.
2. Anche la distinzione tra la sillabante sorda e sonora intervocalica stenta a entrare nell‟uso
corrente. Infatti la distribuzione di pronuncia è diversa nel centro e nel sud: si predilige la
pronuncia sorda al centro-sud e viceversa sonora al nord, questo a causa dell‟assenza di
distinzione grafica.
3. Poco avvertito se non assente il raddoppiamento fonosintattico, assente nei settentrionali e
nei sardi, ma presente nei centro meridionali ad esempio i toscani dopo da, come, dove (es:
da pparte, dove vvai, come vvuoi).
4. Le forme ad e ed vengono spesso limitate ai casi d‟incontro con la stessa vocale (es: scrivo
ad Anna, salutami Michele ed Emilia); od è pressoché sparita.
5. Molto più rari i casi di elisione (es: m’è capitato, s’è aggiunta) e troncamento (es: vengon
detti, far ombra).
3
D‟Achille 2003
4
Sabatini 1985
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Morfologia e sintassi
In questi ambiti l‟italiano neostandard presenta:
6. Forme aferetiche come sto e sta in luogo di questo e questa, (es: Sta cosa non mi convince)
questo tratto è consolidato dalla presenza di forme come stamattina stasera ecc. presenti
nello standard.
7. Presenza di questo e quello (es: Questo non è giusto, Quello che dici è vero), (molto raro
ciò) e il pronome lo con funzione di neutro (es: Lo so, Lo credo bene).
8. Gli dativale onnivalente in luogo di a lei, a lui e a loro.
9. Lei lui e loro in funzione di soggetto al posto egli, ella, essa, essi, esse riservate solo ad un
uso di altissima formalità.
10. Trovano buona accoglienza le forme dei dimostrativi questo e quello rafforzate da qui e lì
(es: Quest’uomo qui, Quella casa lì).
11. Di uso molto frequente la combinazione di una preposizione con l‟articolo partitivo (es:
Condiscilo con dell’olio crudo, Mi sono rivolto a delle persone fidate).
12. L‟utilizzo di ci o ce in luogo di vi o ve, con valore di avverbi nella lingua parlata (ES: Ci
resto, Ci metto e Piazziamoci piuttosto che Piazziamovici).
13. Larghissimo uso della particella ci con verbi essere e avere, con valore di avverbio di luogo
(ES: Oggi c’è sciopero, Adesso non ci sono treni) con essere e avere perde il suo uso
originario e assume un ruolo di rinforzo, il ci è obbligatorio con il verbo essere con
significato di esistere, con avere funzione attualizzante.
14. Benché nello scritto siano condannate le forme pleonastiche con ripresa nominale, sono
molto utilizzate nella lingua di uso medio dando vita a quella che è definita enfasi (ES: È
per questo che …, È a lui che devi dirlo).
Altri esempi di enfasi ci sono forniti:
ξ Dall‟errata posizione del soggetto e del predicato (ES: Canta Piero, in luogo di Piero
canta).
ξ Dalla frase segmentata con temetizzazione del dato noto (ES: I soldi te li do io, Il
libro lo leggo da solo).
ξ Anacoluto, dove il tema è una semplice enunciazione (ES: Piero, quello si che è un
tipo losco, I figli, lui non se ne cura affatto ).
ξ La frase scissa dove in due frasi distinte in una c‟è il noto e nell‟ altra il verbo essere
che lo mette in luce (ES: E’ lui che mi ha detto così, Quand’è che partirai per il
Canada)? .
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15. Alla presenza di un verbo così detto “servile” il pronome clitico tende a risalire e passare da
enclitico a proclitico del verbo (ES: L’anno scolastico si può dire oramai finito, oggi si
comincia la costruzione).
16. La tendenza alla proclisi si manifesta anche in presenza di imperativo (ES: Non ti muovere).
17. Viene utilizzato molto di più il che polivalente, ecco alcuni esempi:
ξ Con valore temporale (ES: La sera che ti ho incontrato).
ξ Come congiunzione di due frasi scisse (ES: E qui che ci siamo incontrati martedì).
ξ Con apparente funzione di soggetto o oggetto (ES: Quel mio amico che gli hanno
rubato la macchina).
ξ Come sostitutivo di una congiunzione finale, consecutiva o causale (ES: Aspetta che
te lo spiego, Vieni che ti pettino).
18. Si predilige l‟utilizzo di che o cosa in luogo di che cosa (ES: Che importa, Che me ne
frega).
19. Il che viene molto più usato di il quale in funzione di aggettivo interrogativo (ES: Che via
mi consigli, Che libro mi compro?).
20. Alcuni nessi relativi, che all‟interno della frase esprimono un legame dichiarativo o causale
sono stati ridotti con ellissi dell‟elemento nominale (ES: Ricorda che con la macchina
arriveresti prima).
21. L‟uso del parlato ha portato ad una notevole selezione tra i tipi di congiunzione causale,
finale ed interrogativa:
La causale: Si da netta prevalenza a siccome o dato che rispetto a poiché o giacché.
Le finali: Primeggia l‟uso di affinché.
Le interrogative: Si utilizza molto di più come mai rispetto all‟uso di perché.
22. È molto impiegato l‟avverbio allora ma con valore consecutivo (ES: Siccome non
rispondeva al telefono, allora siamo andati a citofonargli).
23. C‟è una notevole tendenza ad utilizzare l‟indicativo in luogo del congiuntivo (ES: Non so se
è vero in luogo di Non so se sia vero).
24. La concordanza tra il participio passato e il soggetto/oggetto sotto forma di pronome relativo
antecedente è di rado rispettata e se il participio è accompagnato dall‟ausiliare essere il
participio concorda col soggetto (ES: La birra che ci siamo bevuti), se è accompagnato col
verbo avere resta più spesso nella forma maschile singolare (ES: Le vacanze che ho passato
in Sardegna) a meno che non ci sia un clitico che precede il verbo ( ES: la mela l’ho
mangiata).
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25. È più accettata di un tempo la costituzione dei verbi con forma pronominale, per indicare
una partecipazione affettiva, quest‟uso è detto “costruzione riflessiva apparente o di affetto”
(ES: Alle undici mi bevo un caffè).
26. Costrutti impersonali realizzati mediante la terza persona plurale (ES: Bussano alla porta), o
mediante un pronome indefinito (ES: Uno se ne sta per i fatti suoi e poi guarda!), o il tu
generico (ES: Tu credi di poter stare tranquillo e invece), il più utilizzato di sicuro è il
passivo senza agente (ES: È stato annunciato lo sciopero).
27. L‟uso di niente in funzione di aggettivo (ES: Ragazzi niente scherzi).
28. La giustapposizione di due sostantivi, ecco qualche esempio:
ξ Il caso in cui il secondo ha funzione di aggettivo che determina il primo (ES: Treno
lampo, Notizia bomba.)
ξ Il caso in cui è stata soppressa una preposizione (ES: Treno merci in luogo di Treno
per le merci).
ξ Il caso più comune è quello con presenza del determinante sul determinato (ES:
Automobile, Televisione).
29. La ripetizione dello stesso sostantivo per esaltare il significato (ES: Vorrei farmi una
vacanza vacanza, come per dire una vacanza come si deve).
30. Infine ecco alcuni elementi lessicali che svolgono però funzioni sintattiche, specie a livello
testuale:
ξ Ci vuole / ci vogliono al posto di occorre / occorrono.
ξ Si capisce al posto di è ovvio.
ξ Si vede che al posto di è probabile.
ξ Mi sa al posto di penso che.
ξ Lo stesso al posto di allo stesso modo.
ξ Sennò al posto di altrimenti.
ξ Per forza al posto di obbligatoriamente.
ξ Affatto e assolutamente con funzione negativa al posto di niente affatto e
assolutamente no.
ξ Solo che al posto di tuttavia e però.
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Lessico
Il lessico contribuisce fortemente alla caratterizzazione della lingua, ma se si analizzano
singolarmente molti vocaboli risultano polivalenti (ES: faccia, in senso anatomico o in senso
figurato, Non guardare in faccia, La faccia della luna).
Possiamo però sicuramente identificare molti vocaboli di uso strettamente medio (ES:
fregare, ficcare, pigliare).
Questo per dire cosa? Che sicuramente c‟è uno strato nazionale di lessico che ricorre
tipicamente nell‟uso medio della lingua e corrisponde al bisogno di comunicare in maniera
semplice e più diretta, indipendentemente dalla volontà di aggiungere connotazioni
espressive.
Alla luce dei tratti descritti in precedenza, posso affermare che sono tratti tutti inquadrabili
in varietà diafasiche e diamesiche ed assolutamente non inquadrabili nelle altre varietà,
quindi, l‟italiano di uso medio è una varietà nazionale, questo senza avere nulla da eccepire
sul fatto che questi tratti si trovano anche in altri tipi di linguaggio come l‟italiano regionale
popolare (o italiano substandard) e il dialetto, cioè la varietà propriamente diastatiche e
diatopiche.