Introduzione
Oggi più che mai il rischio di credito rappresenta un argomento di notevole
interesse, attorno al quale, trattandosi di un area molto complessa, si sviluppano
numerosi studi. Innanzi tutto operare in una situazione di rischio significa operare
in una situazione di incertezza, all’interno della quale nulla può essere previsto e
dove, quindi, diventa fondamentale dotarsi di adeguati strumenti per la
misurazione e la gestione del rischio stesso. In secondo luogo, il concetto di
rischio di credito non è così semplice come potrebbe sembrare. Secondo una
definizione, ormai condivisa nel mondo accademico, per rischio di credito si
intende "la possibilità che una variazione inattesa del merito creditizio di una
controparte, nei confronti della quale esiste un’esposizione, generi una
corrispondente variazione inattesa del valore di mercato della posizione
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creditoria".
Questa definizione implica infatti diverse riflessioni che saranno nel seguito
analizzate. Innanzitutto, ritengo utile sottolineare che, dalla lettura di tale
definizione, appare evidente che per rischio di credito non si intende solamente
l’eventualità che il soggetto debitore diventi insolvente, ma anche la sola
possibilità che il merito creditizio del soggetto debitore subisca una variazione
inattesa, tale da generare una variazione del valore di mercato dell’esposizione.
Come si vedrà in seguito, non tutti i modelli per la misurazione e gestione del
rischio di credito prendono in considerazione questo aspetto; quando ciò avviene
si parla di modelli multistato. I modelli che considerano solamente l’evento di
insolvenza sono invece conosciuti come modelli default mode.
Un noto modello multistato è il modello CreditMetrics, sviluppato e pubblicato
nel 1997 da J.P. Morgan. CreditMetrics è uno strumento in grado di determinare i
vari valori di mercato che un portafoglio di esposizioni creditizie potrebbe
assumere nei diversi scenari prospettabili per il futuro. Più precisamente, ognuno
dei titoli presenti nel portafoglio può assumere nel futuro un diverso giudizio di
rating e ogni scenario rappresenta una combinazione dei rating assegnati ai titoli
componenti il portafoglio. A tal fine il modello si avvale dell’utilizzo delle matrici
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Cfr. Sironi (2000)
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di transizione, un input fondamentale che gioca un ruolo molto importante. Le
matrici di transizione sono, infatti, delle tabelle che contengono le probabilità di
migrazione per le diverse categorie di rating. Nel caso si adotti il sistema di rating
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di Standard & Poor’s, le categorie di rating sono sette più lo stato di default. Così
la matrice ha dimensione 8 x 8 cui corrispondono 64 entrate (le probabilità di
migrazione). Ad ognuno degli 8 rating iniziali corrispondono infatti otto
probabilità: la probabilità di rimanere nella stessa classe, più le probabilità di
migrazione verso ciascuna delle 7 classi di rating rimanenti.
La procedura seguita dalle agenzie di rating per la stima delle probabilità di
migrazione è un approccio frequentista noto come metodo cohort: le stime sono
ottenute semplicemente registrando le frequenze passate. Questa procedura,
tuttavia, presenta dei punti deboli che hanno suscitato alcune critiche. Innanzitutto
si assume che le matrici di transizione siano indipendenti rispetto al tempo e
quindi insensibili rispetto all’andamento del ciclo economico, mentre potrebbe
essere più coerente, per una specifica migrazione, stimare differenti probabilità
legate a differenti situazioni del ciclo economico. Inoltre, basandosi
sull’osservazione degli eventi passati, le matrici di migrazione forniscono
probabilità nulle per quelle transizioni che non si verificano affatto nel corso del
periodo campionario, ma che nella realtà potrebbero manifestarsi (seppure con
probabilità molto basse). Infine le matrici di transizione si basano su dei processi
markoviani. Un processo markoviano è un processo stocastico nel quale le
probabilità degli stati futuri sono indipendenti dal passato e dipendono quindi
solamente dallo stato presente. Applicata al nostro contesto tale proprietà significa
che le probabilità di migrazione sono influenzate solo dallo stato di rating
corrente, mentre a nulla servirebbe la conoscenza delle osservazioni passate. Si
tratta evidentemente di una proprietà discutibile sulla cui validità sono infatti stati
compiuti numerosi studi empirici che hanno portato al suo rifiuto.
Ognuna di questi aspetti sarà analizzato in maniera più approfondita per poi
individuare delle possibili vie alternative che consentano di superarne i limiti.
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È bene sottolineare che lo stato di default non rappresenta un vero e proprio giudizio di rating. Si
tratta infatti di una situazione oggettiva in cui si rileva l’insolvenza di una controparte, mentre un
giudizio di rating rappresenta una valutazione di natura soggettiva.
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Questa tesi si compone di 4 capitoli. Il primo è dedicato al rischio di credito, del
quale si analizzano le implicazioni contenute nella sua definizione, per poi
analizzarne altri aspetti inerenti con il prosieguo del lavoro. Nel secondo capitolo
è descritto in modo approfondito il modello CreditMetrics, la fonte principale è il
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documento tecnico ufficiale, scaricabile dal sito www.riskmetrics.com. Nel terzo
capitolo si riportano le proprietà basilari di una matrice di transizione e le
metodologie esistenti per la loro elaborazione. Infine, nel quarto capitolo, sono
riassunti due modelli innovativi per la stima delle matrici di transizione che
superano l’ipotesi di markovianità e che quindi lasciano le probabilità di
migrazione dipendere dalla storia di rating.
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Cfr. Gupton et al. (1997).
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Capitolo 1: IL RISCHIO DI CREDITO
1.1 Una definizione di rischio di credito
Il rischio di credito nel corso degli ultimi venti anni ha assunto progressivamente
sempre più importanza e, contestualmente, sono stati sviluppati sistemi sempre
più complessi per la sua misurazione e gestione. Sono molte le motivazioni che
giustificano la spinta del sistema bancario verso l’adozione di strumenti di
gestione del rischio sempre più puntuali e mirati, fra le quali se ne possono
individuare tre di maggiore importanza.
In primo luogo sono sorte nuove opportunità per la gestione del rischio in
questione, fra le quali tre in particolare: lo sviluppo di operazioni di
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titolarizzazione degli attivi bancari, la crescita di un mercato secondario dei
prestiti bancari (loan sales) e la nascita degli strumenti derivati per la gestione del
rischio di credito (credit derivates). Queste evoluzioni spostano l’attività della
banca verso l’erogazione di servizi che in buona parte sono proprio rappresentati
da servizi di gestione dei rischi e rendono quindi necessario un miglioramento
delle competenze dell’istituto bancario in tale ambito.
Un secondo elemento che ha contribuito alla crescita dell’attenzione verso la
gestione del rischio di credito è l’aumento della concorrenza nei mercati finanziari
di tutto il mondo. Sono stati rimossi infatti vari vincoli che impedivano la
concorrenza a livello internazionale.
Infine, in tema di vigilanza, la regolamentazione nei principali paesi sviluppati è
diventata più stringente. In particolare il noto Comitato di Basilea ha sancito la
possibilità per le banche di utilizzare un modello interno per la determinazione del
requisito patrimoniale il che ha perciò spinto le banche a sviluppare modelli
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Tale termine indica una tecnica che consiste nella possibilità da parte di un intermediario
finanziario o di un’impresa (originator) di trasformare attività più o meno illiquide in titoli
negoziabili sul mercato dei capitali. Questa conversione avviene attraverso una specifica
operazione finanziaria imperniata su una società veicolo (Special Purpose Vehicle – SPV)
chiamata ad acquistare le attività oggetto di cessione e ad emettere titoli negoziabili caratterizzati
da flussi finanziari connessi agli assets sottostanti. Da ciò derivano le ABS (Asset Backed
Securities), ossia i valori mobiliari che si generano dalla suddetta metamorfosi, nonché il termine
titolarizzazione (dall’inglese securitization) che identifica, in senso ampio, l’intero processo
commutativo.
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sofisticati per la misurazione del rischio di credito e la conseguente valutazione
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dell’assorbimento patrimoniale connessa a questa tipologia di rischio.
Prima di approfondire l’argomento è opportuno definire il rischio di credito.
Infatti il concetto di rischio di credito non è per niente scontato e richiede alcune
riflessioni. Come anticipato, secondo una definizione ormai condivisa nel mondo
accademico, per rischio di credito si intende "la possibilità che una variazione
inattesa del merito creditizio di una controparte, nei confronti della quale esiste
un’esposizione, generi una corrispondente variazione inattesa del valore di
mercato della posizione creditoria". A ben vedere un primo aspetto rilevante
risiede nel fatto che per rischio di credito non si intende soltanto la possibilità che
la controparte vada in default ma anche la possibilità che subisca un
deterioramento del merito creditizio il quale causa una variazione negativa del
valore di mercato dell’esposizione. Nel primo caso si parla di credit default risk
mentre il secondo tipo di rischio è noto come credit spread risk. Il valore di
mercato di un attività finanziaria è infatti dato dalla somma dei flussi di cassa
scontati per un opportuno tasso. Opportuno perché deve tener conto del rischio ed
è quindi costituito da una componente base, il tasso risk free, maggiorata da una
seconda componente che tenga conto del rischio, ovvero lo spread.
Un secondo concetto implicito nella definizione di rischio di credito è quello di
evento inatteso. Affinché si possa realmente parlare di rischio è cioè necessario
che la variazione del merito creditizio della controparte sia inattesa. Se infatti una
banca dovesse affidare una controparte pur nella consapevolezza che questa
ultima subirà un deterioramento della propria qualità (redditività, solvibilità,
liquidità ecc.), significa che tale deterioramento sarà stato opportunamente
valutato e tenuto nella dovuta considerazione nel momento della decisione di
affidamento e in sede di determinazione del tasso attivo. In sintesi, le prospettive
di evoluzione delle condizioni economico-finanziarie dell’affidato saranno state
adeguatamente considerate in sede di determinazione della probabilità di
insolvenza, giudicata compatibile con un puntuale pagamento dei flussi di
interessi e con il rimborso del capitale e del connesso tasso attivo. Pertanto, in
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Cfr Sironi, Marsella (1998)
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questo contesto, il concetto di rischio viene propriamente confinato alla possibilità
di eventi che, seppure stimabili, risultano inattesi.
Un terzo aspetto riguarda il grado di estensione del concetto di esposizione. In
particolare il concetto di rischio di credito non si limita ai soli impieghi in titoli o
in prestiti in bilancio, ma si estende anche alle posizioni fuori bilancio come
quelle rappresentate dagli strumenti derivati negoziati in mercati over the
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counter.
Infine, la definizione data fa riferimento al valore di mercato di una posizione
debitoria e ciò rappresenta un problema in quanto la maggior parte delle posizioni
debitorie di un’istituzione finanziaria rispondono a una logica di tipo contabile più
che ad una logica di valori di mercato. Una corretta misurazione del rischio di
credito richiederebbe invece che a valutazioni di tipo contabile si sostituissero
valutazioni basate sul verosimile valore economico che un mercato secondario
attribuirebbe a tali posizioni. Tuttavia per la maggioranza delle posizioni debitorie
assunte da un istituzione finanziaria non esistono ancora mercati secondari
sviluppati ed un valore di mercato può dunque essere stimato soltanto attraverso
un appropriato modello interno basato su valutazioni soggettive.
1.2 Le componenti del rischio di credito
Le componenti del rischio di credito sono essenzialmente due: la perdita attesa (o
Expected loss, EL) e la perdita inattesa (o Unexpected loss, UL).
La perdita attesa viene stimata ex-ante ed è compresa nella determinazione del
tasso d’interesse per i titoli di debito o per i prestiti, nell’ambito di quella attività
di pricing che deve riflettere in modo adeguato il profilo di rischio di un impiego.
Proprio in quanto stimata a priori quindi, la perdita attesa non costituisce il vero
rischio di un’esposizione creditizia, ma si configura piuttosto come un elemento di
costo, incorporato già nelle aspettative dell’investitore. In altri termini, essa
consente di tener conto del rischio medio di insolvenza della controparte, che
viene quantificato, nella determinazione del pricing, da uno spread che misura il
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Tale estensione è stata esplicitamente riconosciuta dalla stessa autorità di vigilanza in sede di
determinazione dei requisiti patrimoniali relativi al rischio di credito.
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premio rispetto ad un investimento privo di rischio. Per perdita inattesa si intende
invece il grado di variabilità del tasso di perdita intorno al proprio valore atteso. A
differenza della perdita attesa, la perdita inattesa può essere significativamente
ridotta mediante un adeguata politica di diversificazione del portafoglio. In
particolare, la variabilità della perdita risulta tanto minore quanto minore è il
grado di correlazione fra i singoli impieghi. La distinzione tra perdita attesa e
perdita inattesa risulta particolarmente rilevante anche da un punto di vista
contabile. Se infatti da un lato la quota di perdita che ci si attende in un
portafoglio di impieghi dovrebbe dare luogo a una corrispondente rettifica del
valore dell’attivo o a un accantonamento a fondo rischi, e in questo modo
dovrebbe passare attraverso il conto economico di una banca, dall’altro la quota di
perdita inattesa dovrebbe trovare adeguata copertura nel patrimonio della banca.
Così come gli azionisti beneficiano di eventuali risultati superiori alle aspettative
derivanti da perdite inferiori a quelle attese, analogamente devono sopportare,
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mediante una copertura patrimoniale, le perdite superiori alle aspettative.
1.3 Tipologie di rischio di credito
Oltre alla suddivisione tra perdita attesa e inattesa, è interessante notare l’esistenza
di svariate determinanti del rischio di credito, che può assumere, essenzialmente,
sei forme:
- Rischio di insolvenza: è il rischio che il soggetto debitore non sia in grado
di adempiere ai propri impegni e diventi quindi insolvente. La misurazione
di tale rischio avviene attraverso un giudizio sintetico (il cosiddetto rating)
emesso da apposite agenzie specializzate, o dalle banche stesse. Ad ogni
classe di rating viene infatti associata una specifica probabilità relativa
all’eventualità che il debitore vada in default.
- Rischio di migrazione: è il rischio che si verifichi un deterioramento del
merito creditizio di un debitore, che trova riscontro in un declassamento
del rating da parte delle varie agenzie internazionali o da parte della banca
stessa.
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Cfr Sironi, Marsella (1998)
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- Rischio di spread: rappresenta il rischio che, a parità di merito creditizio,
aumenti il premio al rischio , ossia lo spread richiesto dal mercato. In
presenza di un fenomeno di aumento dell’avversione al rischio degli
investitori, è infatti possibile che la curva degli spread per classe di rating
subisca un aumento di inclinazione, ossia che il differenziale di spread fra
i titoli di migliore qualità e titoli di peggiore qualità subisca un aumento
(tale fenomeno viene anche detto flight to quality). In un simile caso il
valore di mercato dei titoli di merito creditizio inferiore, subisce una
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diminuzione senza che il merito creditizio dell’emittente sia peggiorato.
- Rischio di recupero: si riferisce alla possibilità che il tasso di recupero
connesso alle esposizioni nei confronti di controparti divenute insolventi si
rilevi, al termine della liquidazione delle attività, inferiore a quanto
originariamente stimato dall’istituzione creditrice. Questa diminuzione
può trovare origine in diversi fattori, quali ad esempio un allungamento dei
tempi connessi alla conclusione del processo di recupero o un minore
valore di realizzo del credito (aumento dei tassi di interesse o diminuzione
del valore dei beni a garanzia).
- Rischio paese: indica il rischio che una controparte non residente non sia
in grado di adempiere alle proprie obbligazioni a causa di eventi di natura
politica o legislativa, quali, per esempio, l’introduzione di vincoli valutari,
che impediscono alla stessa controparte di rimborsare il proprio debito.
Seppur assimilabile al rischio di insolvenza, tale tipologia di rischio è
normalmente considerata come una categoria a sé stante a causa delle
peculiarità connesse alla sua valutazione, la quale richiede di analizzare
aspetti quali la dotazione di riserve valutarie del paese in esame, il saldo
della sua bilancia dei pagamenti ecc..
- Rischio di esposizione: rappresenta il rischio che la dimensione
dell’esposizione nei confronti di una controparte aumenti in modo
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Ad esempio, durante la crisi asiatica della seconda metà del 1998, gli spread richiesti dal
mercato obbligazionario agli emittenti sono sensibilmente aumentati pur a parità di rating delle
controparti. Ciò significa che un emittente con rating ad esempio BBB si è trovato, senza che le
sue condizioni economiche-finanziarie subissero alcuna variazione, a sostenere un costo maggiore
per raccogliere fondi nel mercato dei capitali.
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inaspettato in corrispondenza del periodo appena antecedente il verificarsi
dell’insolvenza. Tale rischio è naturalmente confinato alle sole esposizioni
per le quali il debitore gode di una forma di discrezionalità – o optionality
– come è ad esempio il caso per le aperture di credito in conto corrente.
Poiché queste forme di finanziamento sono molto diffuse nel nostro paese,
questa tipologia di rischio va considerata della massima rilevanza.
Sostanzialmente si tratta quindi di varie forme di rischio di credito distinte in
ragione della fonte del rischio stesso.
1.4 I modelli per la misurazione della perdita attesa
I modelli per la stima della perdita attesa vengono suddivisi in tre categorie:
modelli analitici di natura soggettiva, modelli di scoring e modelli basati sui dati
del mercato dei capitali. Prima di discutere di tali modelli è utile mostrare che la
perdita attesa (Expected loss, EL) connessa a un esposizione creditizia è
scomponibile in tre componenti. Analiticamente si ha:
EL = PD * LGD * EAD = PD * (1 – RR) * EAD (1.1)
PD: probabilità di default
LGD: loss given default
EAD: exposure at default
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Come noto la PD rappresenta la probabilità che la controparte vada in default.
La LGD rappresenta invece la percentuale di perdita della singola esposizione nel
caso in cui dovesse verificarsi l’evento di default, può quindi essere espressa in
funzione del tasso di recupero (Recovery Rate). L’EAD infine è l’ammontare delle
esposizioni al momento del default e diventa rilevante per le esposizioni a importo
incerto, come le linee di credito.
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Più precisamente, secondo gli accordi di Basilea 2, rappresenta la probabilità che la controparte
vada in default nei 12 mesi successivi al periodo di valutazione.
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