2. INTRODUZIONE
Attualmente la maggior parte delle strategie utilizzate nella cura delle patologie
tumorali utilizza farmaci non selettivi nei confronti delle cellule cancerose,
portando sia alla regressione della massa tumorale che alla distruzione dei
1
tessuti sani, con forti ricadute fisiche sul paziente.
Fra i target più interessanti per lo sviluppo di farmaci antitumorali possono essere
incluse le chinasi, un’ampia famiglia di proteine di membrana coinvolte in diversi
processi di trasduzione del segnale intracellulare. Caratteristica generale di
questi enzimi è quella di essere in grado di trasferire una funzione fosfato da ATP
o GTP a specifici residui amminoacidici (serina, treonina, tirosina) appartenenti a
substrati proteici diversi. A seconda dell’amminoacido fosforilato le proteinchinasi
2
vengono classificate in serin-treoninchinasi o tirosinchinasi.
Quando una proteinchinasi viene attivata e fosforilata, essa promuove a sua
volta la fosforilazione, e conseguente attivazione, di una seconda chinasi, dando
il via ad un processo a cascata che porta all’amplificazione del segnale.
Risulta evidente come la deregolazione o la sovraespressione di questi enzimi
possano compromettere severamente le normali funzionalità cellulari.
Infatti, alterazioni che coinvolgano chinasi implicate nel processo di replicazione
possono essere alla base di patologie iperproliferative, come il cancro.
Per tale motivo le chinasi rappresentano uno dei target più interessanti per la
progettazione e lo sviluppo di farmaci antitumorali, che possiedano selettività nei
confronti dei tessuti malati rispetto a quelli sani.
Fra le diverse classi di proteinchinasi, negli ultimi anni particolare attenzione è
stata posta nei confronti delle tirosinchinasi.
3
Introduzione
3
2.1. LE TIROSINCHINASI DI MEMBRANA
Le tirosinchinasi (Tyrosine Kinases, TK) sono delle proteine ad attività chinasica
con la peculiare capacità di fosforilare residui tirosinici nelle catene proteiche di
specifici substrati. Tali enzimi possono a loro volta essere suddivisi in due classi,
le TK citoplasmatiche (fra cui ricordiamo src, lck e abl) e le TK di membrana (o
Recettoriali, Receptor Tyrosine Kinases RTK, fra cui ricordiamo EGFR, VEGFR-2
e PDGFR).
I recettori tirosinchinasici possiedono un dominio extracellulare, dove è presente
il sito di legame per il ligando, un dominio transmembrana e un dominio
intracellulare ad attività chinasica, che si può dividere in due porzioni: un dominio
catalitico, con i siti di legame per l’ATP e per il substrato, e una porzione
carbossi-terminale, dove sono presenti i residui tirosinici per l’autofosforilazione
(Figura 3).
Dominio per glicosilazione
Dominio di riconoscimento
per il Fattore di Crescita
Dominio catalitico per il
legame con l’ATP e per la
tirosin fosforilazione
Dominio transmembrana
Tyr
Tyr
Tyr
COOH
Figura 3. Rappresentazione schematica di una RTK.
4
Introduzione
I ligandi naturali per le RTK vengono anche definiti fattori di crescita, in quanto, a
seguito del loro legame con il dominio recettoriale extracellulare, viene attivata
una cascata di segnali che porta alla proliferazione cellulare. In particolare, la loro
azione si esplica consentendo il passaggio della cellula dalla fase G0
(quiescienza) alla fase G1 del ciclo cellulare.
Una volta attivata, la RTK va incontro alla formazione di un dimero capace di
autofosforilare i propri residui tirosinici, presenti nella porzione carbossi-
4
terminale, diventando così in grado di fosforilare un’ulteriore chinasi (Figura 4).
Figura 4. Meccanismo di attivazione di una RTK.
La maggior parte delle RTK è codificata da proto-oncogeni: mutazioni genetiche
in grado di portare alla sovraespressione di questi recettori o alla produzione di
forme costitutivamente attive sembrano essere una delle principali cause
dell’insorgenza di malattie tumorali.
Poichè studi recenti hanno messo in luce come le RTK siano fondamentali sia
per lo sviluppo fetale e adolescenziale che per il cancro, ma perdano di
importanza nell’organismo adulto sano, la loro inibizione mirata può costituire una
valida strategia antitumorale a basso impatto in termini di tossicità per i tessuti
5
sani.
5
Introduzione
6,7
2.1.1. RECETTORE DEL FATTORE DI CRESCITA EPIDERMICO
Il recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR, Epidermal Growth Factor
Receptor) è una RTK di 170 KDa appartenente alla famiglia ErbB/Her, costituita
da 4 membri: Her-1 (EGFR appunto), Her-2, Her-3 ed Her-4. Questi recettori
rappresentano il centro di una complessa cascata di segnali intracellulari che
modula la proliferazione, l’adesione, la migrazione e la differenziazione cellulare.
Il dominio extracellulare è poco conservato fra i diversi membri della famiglia e
questo spiega perché i recettori presentino una diversa affinità per i ligandi
appartenenti alla classe dei fattori di crescita epidermici (EGF).
Il processo di dimerizzazione recettoriale a seguito dell’attivazione può portare
sia alla formazione di omodimeri (costituiti dall’unione di due recettori uguali tra
loro) che di eterodimeri (costituiti dall’unione di due recettori diversi). Tale
processo è in grado di aumentare l’efficienza della trasmissione del segnale, ma
ha conseguenze drammatiche nella terapia antitumorale basata sull’inibizione di
EGFR. Questa RTK, infatti, risulta sovraespressa nella maggior parte dei tumori
solidi, e in particolare nel tumore al polmone non a piccole cellule (Non Small
Cells Lung Cancer, NSCLC) e nel tumore mammario, dove l’espressione del
recettore passa da 40.000-100.000 unità per cellula (nei tessuti sani) a 2.000.000
di unità per cellula.
6
Introduzione
2.1.2. RECETTORE DEL FATTORE DI CRESCITA DELL’ENDOTELIO
8
VASCOLARE
In alcuni tumori solidi umani è spesso evidenziabile una sovraespressione di
un’altra famiglia di recettori tirosinchinasici: i recettori del fattore di crescita
dell’endotelio vascolare (VEGFR, Vascular Endothelial Growth Factor Receptor).
Questi recettori, una volta attivati, danno inizio ad una serie di fenomeni
intracellulari, che portano alla proliferazione delle cellule endoteliali.
I VEGFR sono di tre tipi (VEGFR-1, VEGFR-2 e VEGFR-3) e sono i principali
regolatori del fenomeno dell’angiogenesi, processo che porta alla formazione di
nuovi vasi sanguigni a partire da quelli già esistenti. Tale fenomeno gioca un
ruolo importante sia dal punto di vista fisiologico (formazione della placenta,
ovulazione e rigenerazione dei tessuti), sia dal punto di vista patologico, poiché
l’iperproliferazione vasale è alla base di numerose malattie, come la psoriasi, la
retinopatia diabetica, l’artrite reumatoide e il cancro: una ricca vascolarizzazione
infatti aiuta la crescita della massa tumorale ed è una delle cause del fenomeno
della metastasi. La principale RTK coinvolta nel cancro è VEGFR-2 (o KDR,
Kinase Domain Receptor), ma studi attuali hanno messo in luce come anche
VEGFR-1 possa essere coinvolto nella patogenesi tumorale, anzichè essere
9
solamente un decoy-receptor per VEGF, come inizialmente supposto.
Appare quindi evidente l’importanza dello sviluppo di farmaci con attività anti-
angiogenica: questi, infatti, inibiscono la crescita dei vasi raggiungendo senza
difficoltà l’endotelio, bloccando la crescita del tumore e il processo di metastasi.
In letteratura sono riportate diverse strutture di farmaci inibitori di VEGFR-2 e
alcuni di questi presentano lo stesso scaffold chinazolinico degli inibitori di EGFR.
Le vie metaboliche regolate dai due recettori sono tra di loro interconnesse:
recenti studi hanno dimostrato che l’inibizione di VEGFR-2 è in grado di
aumentare la sensibilità del tumore agli inibitori di EGFR e che l’inibizione
dell’azione mediata da EGF porta alla riduzione della secrezione di VEGF (il
ligando naturale per i VEGFR).
L’associazione farmacologica di inibitori dei due recettori è un argomento di
grande attualità, in quanto questo tipo di terapia consente di colpire il tumore su
diversi fronti:
7
Introduzione
l’inibizione di EGFR porta all’arresto della crescita della massa tumorale
(inibizione diretta della progressione cancerosa);
l’inibizione di VEGFR-2 porta al blocco della vascolarizzazione tumorale,
impedendo così l’arrivo di nutrienti alla massa neoplastica (inibizione
indiretta della progressione cancerosa);
l’arresto dell’angiogenesi porta ad una minor probabilità di metastasi,
essendo i vasi sanguigni tumorali il primo veicolo per la disseminazione
delle cellule metastatiche nell’organismo.
La possibilità di avere degli inibitori duali permetterebbe di evitare di dover
ricorrere ad associazioni di più farmaci.
2.2. STRATEGIE PER L’INIBIZIONE DI EGFR E VEGFR-2
La ricerca nel campo dell’inibizione delle RTK ha portato all’individuazione di tre
10
possibili strategie terapeutiche (Figura 5), costituite dall’uso di:
1. anticorpi monoclonali, impiegati come singoli farmaci o come vettori di
radionuclidi, tossine, o profarmaci; agiscono legandosi al dominio
extracellulare delle RTK, impedendo l’interazione con il fattore di crescita;
2. piccole molecole organiche, che fungono da inibitori competitivi ATP-
mimetici;
3. oligonucleotidi antisenso e ribozimi, che agiscono bloccando i meccanismi
deputati alla produzione delle RTK.
Attualmente, le strategie terapeutiche sono basate solo su farmaci appartenenti
alle prime due classi sopracitate.
8
Introduzione
Figura 5. Schematizzazione delle strategie di inibizione di RTK.
1 = anticorpi monoclonali;
2 = inibitori ATP-mimetici;
3 = oligonucleotidi antisenso.
Tuttavia, le cellule possono sviluppare diverse strategie per acquisire resistenza
alla terapia adottata (Figura 6) e attualmente, per ovviare a questo problema, ci si
basa su terapie multi-farmaco.
Figura 6. Meccanismi di resistenza all’inibizione delle RTK.
1 = resistenza agli anticorpi monoclonali;
2 = resistenza agli inibitori competitivi ATP-mimetici;
3 = resistenza agli oligonucleotidi antisenso.
9
Introduzione
Quindi, in funzione del tipo di strategia di inibizione adottata, la cellula può
diventare resistente secondo uno o più dei seguenti meccanismi:
1. modifica del recettore che diventa costitutivamente attivo e in grado di
dimerizzare senza intervento del fattore di crescita;
2. modifica strutturale della tasca di interazione con l’ATP che diventa meno
sensibile all’azione degli inibitori ATP-mimetici;
3. mutazioni genetiche e variazione dell’mRNA per la codifica delle TK.
In ogni caso, fra le diverse strategie inibitorie, la più promettente risulta
attualmente quella basata sugli inibitori competitivi dell’ATP (TKI), sia per la
maggior facilità di somministrare piccole molecole organiche rispetto a strutture
proteiche o nucleiche, sia per la possibilità di individuare TKI multitarget, cioè in
grado di inibire contemporaneamente e in maniera efficace più RTK. Va inoltre
considerato che i TKI mantengono la loro attività inibitoria anche in presenza di
mutazioni alle RTK che le rendano costitutivamente attive.
I TKI possono presentare scaffold estremamente diversi e a seconda della classe
di composti che si utilizza ci si può indirizzare verso l’inibizione dell’una o l’altra
RTK. Di particolare interesse sono risultati i derivati 4-anilinochinazolinici, in
grado di inibire EGFR o VEGFR-2 (a seconda della decorazione dello scaffold)
già a concentrazioni nanomolari.
Fra gli inibitori selettivi di EGFR a struttura chinazolinica vanno menzionati
11
Erlotinib (approvato nel novembre del 2004 dall’FDA per la cura del NSCLC,
1213
primo inibitore selettivo di EGFR a entrare in terapia), Gefitinib e PD153035
(Figura 7).
10
Introduzione
Figura 7. Strutture di inibitori 4-anilinochinazolinici selettivi per EGFR.
L’analisi cristallografica del complesso EGFR-Erlotinib (Figura 8) ha permesso di
individuare i punti di interazione fra inibitore e recettore, evidenziando che l’azoto
769
in posizione 1 interagisce con il gruppo ammidico della Met, l’azoto in 3
766
interagisce con la Thr attraverso un ponte idrogeno mediato da una molecola
di acqua, le catene alcossiliche in posizione 6 e 7 si trovano esposte al solvente
e, infine, la porzione acetilenica si inserisce in una tasca idrofobica non presente
14
in altre chinasi (come ad esempio le CDK), conferendo selettività verso EGFR.
Figura 8. Punti di interazione fra Erlotinib ed EGFR.
11
Introduzione
In letteratura, accanto alle osservazioni spettroscopiche, compaiono anche
numerosi studi virtuali per la progettazione e lo studio in silico di derivati 4-
anilinochinazolinici come inibitori selettivi di EGFR.
In particolare, uno studio 3D-QSAR, eseguito su una vasta libreria di derivati (174
molecole), si è occupato di identificare i requisiti sterici, idrofobici e idrofilici dei
15
sostituenti con cui funzionalizzare adeguatamente lo scaffold chinazolinico
(Figura 9).
Gruppi in grado di formare
Gruppi ingombranti e
ponti idrogeno
idrofobici
Gruppi alchilici o
poveri di elettroni
HN
R
3
R
1
N
RN
2
Figura 9. Schematizzazione dei risultati dello studio 3D-QSAR.
Dallo studio emerge che:
l’azoto anilinico non deve avere sostituenti: anche la presenza di un metile
porta ad una significativa riduzione di attività;
R e R devono contenere atomi elettronegativi legati a catene
12
idrofobiche, formando ad esempio derivati amminici o alcossilici;
R deve essere un gruppo idrofobico, preferibilmente in posizione meta
3
rispetto all’azoto anilinico. All’interno della serie degli alogeni l’ordine di
potenza è: Br > Cl > I > F.
Un gruppo ingombrante vicino a R, R o R potrebbe diminuire la potenza
123
inibitoria.
Di più recente scoperta rispetto ad Erlotinib è, invece, un derivato 4-
anilinochinazolinico (Vandetanib, Figura 10) in grado di inibire in maniera
efficiente sia EGFR che VEGFR-2: attualmente Vandetanib è l’unico TKI
duale a struttura anilinochinazolinica in fase di sperimentazione clinica.
12