Introduzione
La crescita urbana di Roma ha subito una fortissima accelerazione a partire
dalla seconda metà dell'Ottocento, periodo in cui la città è stata proclamata
capitale d'Italia (1870) e si è avviata a trasformarsi in una metropoli moderna.
Nel 1870 Roma era un piccolo agglomerato racchiuso all'interno delle antiche
Mura Aureliane, con una superficie di 1400 ettari, di cui 383 edificati, e una
popolazione di circa 200.000 abitanti. Soltanto a nord e a nord-ovest, in
prossimità di piazza del Popolo e Castel Sant'Angelo, le mura ne
rappresentavano il confine; nelle altre zone le ultime abitazioni si affacciavano
su giardini privati, pascoli, vigne o aperta campagna. In poco più di un secolo
la nuova capitale italiana è cresciuta ben oltre il limite delle Mura Aureliane,
raggiungendo le sue attuali dimensioni metropolitane, con un territorio
comunale di 1285 Kmq e una popolazione che supera i due milioni e mezzo di
abitanti.
Nella prima parte del lavoro ho illustrato le principali tappe di questa crescita,
con riferimenti specifici all'evoluzione del sistema dei trasporti. Nella seconda
ho descritto la situazione attuale della mobilità romana, in relazione all'ambito
giuridico-amministrativo e organizzativo, alle caratteristiche degli spostamenti,
alle principali infrastrutture del trasporto.
A partire dal secondo dopoguerra, da quando cioè si è affermata la
motorizzazione privata, la mobilità romana si è basata prevalentemente sul
trasporto su strada: Roma è priva di una vera e propria rete di metropolitane e
le due linee attive, completate tra il 1980 e il 1990, coprono soltanto una
piccola porzione del territorio urbano; dal 1960 ad oggi, inoltre, la rete dei
filobus è stata soppressa (anche se recentemente sono stati ripristinati alcuni
collegamenti), quella tramviaria ridotta a meno di un terzo, mentre il numero
di autobus in circolazione è aumentato da mille a tremila e quello delle
autovetture ha raggiunto la cifra di quasi due milioni (oggi Roma presenta un
4
tasso di motorizzazione, cioè il numero di autovetture ogni mille abitanti, tra i
più elevati al mondo).
La rete viaria invece, che assorbe la maggior parte degli spostamenti, risulta in
molti tratti incompleta o insufficiente.
A fronte di questa situazione, che determina gravi problemi di traffico, di
inquinamento e di collegamento, negli anni Novanta dello scorso secolo è stato
avviato dal Comune di Roma e dagli altri organi che gestiscono la mobilità un
processo di ristrutturazione del sistema, i cui obiettivi sono ricostruire un
rapporto integrato tra gli insediamenti e le infrastrutture del trasporto e
potenziare la mobilità su ferro, cioè quella esercitata su binari (metropolitane,
tram, filobus e ferrovie).
Per raggiungere il secondo obiettivo si è puntato, da un lato, sulla
realizzazione di quattro nuove linee di metropolitana e, dall'altro,
sull'attivazione di un servizio ferroviario di tipo metropolitano con elevata
frequenza di treni e soste molto ravvicinate nei tratti urbani. Roma disponeva
infatti di una consistente rete di ferrovie regionali su cui potevano essere
inseriti maggiori collegamenti e nuove fermate.
Oggi due delle quattro nuove linee di metropolitana previste sono in corso di
realizzazione, mentre il servizio metropolitano è attivo su tutte le ferrovie
regionali.
L'obiettivo del lavoro è stato quello di analizzare il ruolo della ferrovia Roma-
Viterbo nel sistema della mobilità romana, con particolare riferimento al
servizio metropolitano, sulla base delle informazioni e dei dati statistici forniti
da Trenitalia.
5
I. L'evoluzione del sistema dei trasporti di Roma dall'Unità al 1945
1. Premessa al primo e al secondo capitolo
L'evoluzione del sistema della mobilità romana si integra nello sviluppo
complessivo della città, sviluppo che ha avuto una fortissima accelerazione a
partire dalla seconda metà dell'Ottocento, periodo in cui Roma è diventata
capitale d'Italia (1870) e si è avviata a trasformarsi in una metropoli moderna.
1.1. Le fasi della crescita urbana
La storia urbana di Roma contemporanea può essere divisa in cinque periodi:
1870-1895, insediamento di Roma capitale, primi quartieri a est e a ovest e
prime grandi attrezzature; 1896-1920, sviluppo successivo tutto intorno alla
città; 1921-1945, trasformazioni mussoliniane, scissione tra centro e periferia
e trionfo della radiocentricità del sistema di relazioni; 1946-1970, ampliamento
del dopoguerra e rottura della forma urbana compatta;
1
1970-2005, esplosione
della città nel territorio e decentramento amministrativo. A metà circa di
ciascuna fase cade l'approvazione dei piani regolatori (1883, 1909, 1931,
1962). L'ultimo piano è quello di quest'anno (2006).
1.2. Le caratteristiche generali dello sviluppo
Per quanto riguarda l'estensione dello spazio edificato, Roma si è espansa
alternando periodi di intensa attività edilizia a momenti di stasi più o meno
sensibile.
1
Cfr. Lorenzo Berna, Campo Marzio in Roma dal 1870 al 1970, La Goliardica Editrice, Roma,
1979, p. 9.
Per quanto riguarda le prime quattro fasi, la descrizione dell'estensione dello spazio edificato, delle
tendenze demografiche, della distribuzione delle principali attività urbane e della struttura del
sistema dei trasporti viene sviluppata nei successivi paragrafi utilizzando come fonte principale
l'opera citata. Le altre fonti sono indicate in nota.
6
I periodi di maggiore attività, individuabili attraverso un esame dell'aumento
numerico dei vani esistenti nei palazzi per abitazione, sono stati quello 1881-
1887 in cui il numero dei vani è aumentato di un terzo, quello 1921-1941, in
cui il numero dei vani è raddoppiato e quello 1951-1961, in cui il numero dei
vani è raddoppiato di nuovo.
2
Nel primo periodo l'aumento dell'attività edilizia è legato alle dinamiche di
sviluppo innescate dall'annessione della città allo stato italiano. Nel secondo a
quelle innescate dalla gestione cittadina da parte del regime fascista. Nel terzo
a quelle innescate dalla ricrescita economica successiva alla seconda guerra
mondiale.
Fino al 1930 la città è cresciuta per fasce concentriche: si occupavano gli
spazi vicini a quelli già costruiti. Tra il 1930 e il 1949 questo processo si è
sviluppato in molti punti della periferia, ma hanno cominciato anche ad
apparire i primi nuclei isolati distanti dalla massa continua degli edifici e
circondati da paesaggi rurali. Dal 1950 in poi Roma si è espansa in tutte le
direzioni, seguendo prima il tracciato delle antiche vie consolari e poi
colmando i vuoti.
3
Lo sviluppo spontaneo, realizzato attraverso accordi tra il comune e i privati
sotto la spinta della speculazione edilizia, ha rappresentato il tratto costante
dell'urbanistica romana.
4
Il ruolo del potere pubblico è rimasto spesso in
secondo piano: i piani regolatori, oltre che come scenari guida dell'espansione,
sono serviti come strumenti per legalizzare e razionalizzare quanto era stato
avviato in precedenza da proprietari e costruttori.
5
Per quanto riguarda la distribuzione delle funzioni e dei principali assi di
comunicazione, la città si è sviluppata, già a partire dagli ultimi anni
2
Cfr. Anne-Marie Seronde Babonaux, Roma. Dalla città alla metropoli, Editori Riuniti, Roma,
1983, pp. 23-24.
3
Cfr. op. cit. nota precedente, p. 22.
4
Cfr. Roberto Cassetti, Roma e Lazio: idee e piani 1870-2000, Cangemi Editore, Roma, 2000, p.
16.
5
Cfr. Italo Insolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica. 1870-1970, Einaudi, Torino,
1993 (l'intera opera analizza il ruolo della speculazione edilizia nella crescita urbana di Roma
contemporanea).
7
dell'Ottocento, secondo uno schema fortemente radiocentrico: i poli direzionali
(decisione politica ed economica, istruzione superiore, cultura e ricerca, servizi
rari) si sono distribuiti in maniera prevalente nel centro antico e
dell'espansione ottocentesca (o già erano lì), zona in cui sono confluite anche
le principali arterie stradali e ferroviarie.
6
Questa situazione ha prevalso fino agli anni Sessanta del Novecento, periodo
in cui si è posto il problema del decentramento amministrativo (per
riorganizzare in maniera più integrata il rapporto tra il centro e la periferia del
territorio urbano e quello tra la città e il suo hinterland geografico, economico
e sociale) e le funzioni direzionali e terziarie hanno cominciato a localizzarsi
anche in zone diverse dal centro.
7
Lo sviluppo economico è stato caratterizzato, in particolare fino al secondo
dopoguerra, dalla mancanza di crescita di un forte settore industriale e dalla
concentrazione di funzioni di carattere politico e amministrativo.
8
La configurazione prevalentemente terziaria dell'economia romana è dovuta in
gran parte alla volontà politica dei governi che si sono succeduti dal 1870 al
fascismo di tenere lontana l'industria perché non si voleva che si formasse un
proletariato operaio accanto al governo e al cuore del mondo cattolico, ma
anche ad alcuni fattori di carattere economico e sociale che hanno agito fino al
processo di ricostruzione successivo alla seconda guerra mondiale, quali
l'arretratezza agricola del territorio circostante, la carenza di manodopera
specializzata, le difficoltà di comunicazione con gli altri mercati (dovute
all'isolamento di Roma in una vasta zona di tipo rurale poco popolata). Anche
la speculazione edilizia, determinando una distribuzione quasi univoca del
6
Cfr. Lorenzo Berna, Campo Marzio in Roma dal 1870 al 1970, La Goliardica Editrice, Roma,
1979, p. 37. Cfr. anche Anne-Marie Seronde Babonaux, Roma. Dalla città alla metropoli, Editori
Riuniti, Roma, 1983, da p. 430 a p. 462.
7
Cfr. Piero Maria Lugli, Urbanistica di Roma. Trenta planimetrie per trenta secoli di storia, Bardi
Editore, Roma, 1998, p. 194.
8
Cfr. Anne-Marie Seronde Babonaux, Roma. Dalla città alla metropoli, Editori Riuniti, Roma,
1983, da p. 25 a p. 33, da p. 215 a p. 238 e da p. 393 a p. 423. Cfr. anche Mario Brutti, L'attività
produttiva, in Luigi De Rosa (a cura di), Roma del Duemila, Laterza, Bari, 2000, da p. 203 a p.
224.
8
capitale, ha contribuito a rallentare lo sviluppo industriale.
9
Per quanto riguarda lo sviluppo demografico, la popolazione di Roma è
cresciuta costantemente fino agli anni Ottanta del Novecento e l'incremento si
è realizzato in maniera prevalente attraverso un movimento migratorio di
grandi dimensioni.
10
Dal 1981 è cominciata una fase di decremento, dovuta sia
al calo delle nascite che all'aumento delle partenze.
11
I periodi in cui l'immigrazione ha raggiunto i livelli più alti sono stati quello
1875-1891, caratterizzato dalla forte attrazione esercitata dalla nuova capitale
italiana, quello 1921-1941, caratterizzato dall'esaltazione dell'idea di Roma da
parte del governo fascista e quello 1951-1966, corrispondente alla ricrescita
del secondo dopoguerra.
12
I nuovi abitanti sono arrivati soprattutto dal Lazio e dalle altre regioni
dell'Italia centrale. Per quanto riguarda le altre zone di provenienza, fino al
1886, sono state soprattutto le regioni settentrionali a fornire il maggior
numero di immigrati. Questo a causa dell'avvio delle attività governative e del
ruolo esercitato dal Piemonte nel nuovo regno. Il flusso migratorio proveniente
dal settentrione si è poi mantenuto e a continuato a rinnovarsi regolarmente.
Dal 1886, l'Italia meridionale è andata assumendo nel movimento migratorio
un ruolo sempre più importante, determinando una diminuzione percentuale
dell'apporto del nord: nel 1901 il contributo delle regioni meridionali risulta
quasi equivalente a quello delle regioni settentrionali, con un leggero scarto a
favore del settentrione. A partire dal decennio successivo, l'apporto del sud è
diventato superiore rispetto a quello del nord.
13
Gli immigrati sono andati ad abitare soprattutto nei nuovi quartieri di sviluppo
9
Cfr. Alberto Aquarone, Grandi città e aree metropolitane in Italia, Zanichelli, Bologna, 1961, pp.
259-260.
10
Cfr. Anne Marie Seronde Babonaux, Roma. Dalla città alla metropoli, Editori Riuniti, Roma,
1983, p. 194.
11
Cfr. Antonio Golini, La popolazione, in Luigi De Rosa (a cura di), Roma del Duemila, Bari, 2000,
p. 128.
12
Cfr. Anne-Marie Seronde Babonaux, Roma. Dalla città alla metropoli, Editori Riuniti, Roma,
1983, da p. 15 a p. 17.
13
Cfr. Anne-Marie Seronde Babonaux, Roma. Dalla città alla metropoli, Editori Riuniti, Roma,
1983, p. 200.
9
e hanno trovato lavoro principalmente nei rami più forti dell'economia romana:
nella pubblica amministrazione (personale nei ministeri e impiegati statali),
nell'industria edilizia (operai), nei trasporti (conduttori di tram, autisti di
autobus e taxi), nel commercio e nell'artigianato.
14
La città ha inoltre rappresentato, durante tutto il periodo di crescita, il polo di
attrazione più importante della regione, sia per quanto riguarda l'immigrazione
dal Lazio che quella dal resto del Paese. Questo a causa dell'enorme divario
economico tra Roma e gli altri centri.
15
Il continuo aumento di popolazione ha determinato anche altre due costanti
nella vita municipale: la mancanza di case (quindi il rialzo degli affitti) e il
carovita (comune a tutte le grandi città europee con una struttura sociale
analoga).
16
Per quanto riguarda le modalità della crescita nel territorio, fino agli anni
Cinquanta del Ventesimo Secolo la condizione della città è rimasta quella di
una capitale isolata in una vasta campagna poco popolata. Tra gli studiosi dei
fenomeni urbani vi era un generale accordo sul fatto che Roma non poteva
configurarsi come area metropolitana, ma semmai come fulcro di essa.
17
“Il caso di Roma è del tutto particolare: la capitale rappresenta, infatti, un
esempio del tutto atipico di metropoli senza area metropolitana circostante, di
grande città che, da molti lati almeno, anziché prolungarsi nella consueta
fascia semiurbanizzata fino a perdersi gradatamente nella campagna, finisce
repentinamente in quest'ultima, con una transizione che si potrebbe definire
brutale dalla solida e compatta continuità edilizia al campo aperto e ai
pascoli”
18
.
14
Cfr. Anne Marie Seronde Babonaux, Roma. Dalla città alla metropoli, Editori Riuniti, Roma,
1983, da p. 200 a p. 209.
15
Cfr. Alberto Aquarone, Grandi città e aree metropolitane in Italia, Zanichelli, Bologna, 1961, da
p. 250 a p. 256.
16
Cfr. Mario Sanfilippo, Le tre città di Roma: lo sviluppo urbano dalle origini ad oggi, Laterza,
Bari, 1993, p. 99.
17
Cfr. Fabrizio Bartaletti, Le aree metropolitane italiane. Un'analisi geografica, Bozzi Editore,
Genova, 2000, p. 299.
Nella pagina successiva riporto la definizione di area metropolitana di Bartaletti.
18
Alberto Aquarone, Grandi città e aree metropolitane in Italia, Zanichelli, Bologna, 1961, p. 245.
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