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PARTE I
Premessa
Non voglio tediare nessuno con la storia della mia vita professionale di
consulente e formatore, ritengo però sia indispensabile chiarire come siano
avvenuti tutta una serie di cambiamenti che mi hanno portato a delle scelte
professionali molto radicali come abbandonare quasi totalmente l’aula
tradizionale per approdare al Counseling in impresa con “Brain
Whispering”, un modello di mia ideazione.
Questi passaggi laboriosi sono durati una ventina d’anni e mi hanno aiutato
a capire che per ottenere dei cambiamenti è stato per me necessario essere il
primo, pur nella stabilità della mia professione, a sapermi e dovermi
adattare alle situazioni.
Charles Darwin diceva che “non sopravvive il più forte o il più intelligente,
ma chi si adatta più velocemente al cambiamento”. Questa che sembra
essere solo teoria è una realtà tangibile soprattutto nel mondo aziendale:
periscono quelli che non sanno adattarsi o non portano cambiamenti.
Ho sempre creduto che la formazione possa aiutare in tal senso sviluppando
menti più aperte e creando motivazione continua, ma per farlo mi sono reso
conto che non mi era sufficiente adattarmi semplicemente a dei modelli di
formazione standard; sentivo la necessità di inventare qualcosa di nuovo,
avere il coraggio di sperimentarlo e di proporlo. Questa mia ricerca, oggi
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ancora in atto, mi ha portato a definire nuovi modelli, metterli a punto,
aggiungerne altri, modificarli per renderli più rispondenti alle necessità del
momento e agli utilizzatori finali in modo che potessero trarne il massimo
dei benefici. I denominatori comuni sono sempre stati una grande passione
per le persone e per il mio lavoro, ma soprattutto parlare e agire tanto con la
ragione quanto con il cuore.
La mia storia personale parte dall’aula tradizionale, arriva a quella
sperimentale, ai gruppi di lavoro e all’uso delle metafore nella formazione
esperienziale, secondo modelli unici di mia ideazione, per approdare prima
al Counseling e poi al Counseling Breve.
Gli inizi
Faccio formazione da almeno vent’anni. Quando circa dieci anni fa ho
deciso di dare una svolta alla mia professione cambiando metodi e approcci
di lavoro e abbracciando la formazione esperienziale, mai avrei pensato di
arrivare non solo all’ideazione di nuove metodologie, ma anche di
approdare al Counseling e di strutturare Brain Whispering un percorso di
mia ideazione adatto alle aziende.
Con la creazione di Abbey Programme (vedi scheda pagina seguente) il mio
intento era quello di rivedere la formazione in termini non solo teorici e
metodologici, ma soprattutto pratici. Oggi come a quel tempo le mie ferme
convinzioni sono che una persona, al termine di un percorso formativo, deve
S T U D I O B I A N C H I
S T R A T E G I E D ’ I M P R E S A
I CORSI
Sono articolati, di solito, in tre giornate presso le principali Abbazie o Monasteri
benedettini italiani (Praglia - Padova, Noci - Bari, Sant'Agata sui Due Golfi -
Sorrento, Grandate - Como, Santa Marta - Firenze, Castelmadama - Roma).
Abbey Programme non è un ritiro spirituale o di preghiera o solo una formazione in
un luogo particolare; è un’esperienza fuori dagli schemi tradizionali e unica nel suo
genere perchè è basato sulla completa “immersione” dei partecipanti nella vita
dell'Abbazia o del Monastero. Paolo G. Bianchi, il formatore che dirige il corso, è
la guida, l'interfaccia e il punto di collegamento tra i due mondi.
Abbey Programme studia il modello di gestione aziendale descritto nella
Regola Benedettina e utilizzato dai monaci. Questo modello, antico di
1500 anni, è estremamente pratico e coniuga tra loro l’attività lavorativa,
l’aggiornamento continuo, il tempo libero, la vita individuale e in gruppo.
Non a caso la Regola Benedettina è stata definita il primo manuale di management
della storia ed è materia di studio nelle più grandi università e scuole di direzione
aziendale del mondo. Abbey Programme è stato oggetto di numerose conferenze
e di tre tesi di laurea (Università Cattolica di Milano, Università di Milano Bicocca,
Università di Pavia). La rassegna stampa di Abbey Programme è altrettanto ricca
e conta un'ottantina di articoli sulla stampa nazionale ed estera tra cui il Financial
Times.
Paolo G. Bianchi, da anni studioso della Regola Benedettina, è l’ideatore di Abbey
Programme e il depositario esclusivo per l’Italia. Presso l'Editore Xenia ha pubbli-
cato “Ora et Labora: la Regola Benedettina applicata alle strategie d’impresa e al
lavoro manageriale” dove riporta le esperienze di imprenditori e dirigenti che nell’ar-
co degli ultimi anni hanno partecipato ad Abbey Programme.
ABBEY PROGRAMME
F O R M A Z I O N E E S P E R I E N Z I A L E N E I M O N A S T E R I B E N E D E T T I N I
A B B E Y
PROGRAMME
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STUDIO B IANCHI STRATEGIE D ’ IMPRESA SRL - SOCIO UNICO -
V IA DEGL I ARCONAT I , 32 B IS 22074 LOMAZZO (COMO) i n f o . s tud i ob i anch i@gma i l . com
www. fo rmaz i oneze ro .b l ogspo t . com
ABBAZIA DI PRAGLIA (PADOVA)
GLI OBIETTIVI
Confrontarsi con il modello dell’Abbazia per sviluppare le propria managerialità alla
luce di nuovi comportamenti organizzativi e relazionali:
- individuare strategie aziendali alternative
- creare maggiore interazione nel gruppo
- eleborare una comunicazione più efficace
- valorizzare il proprio tempo
Durante i corsi sono previste visite guidate all’Abbazia o al Monastero, inclusi alcuni
ambienti solitamente non aperti al pubblico, e l'incontro con monaci o monache
che ricoprono ruoli chiave all'interno della struttura.
COME VIVERE AL MEGLIO ABBEY PROGRAMME
Ai corsi possono partecipare sia uomini che donne (anche in gruppi misti) di
qualsiasi età, credo religioso o politico; il numero massimo è 10 persone.
La partecipazione può essere individuale o in gruppi sia aziendali che multia-
ziendali.
ABBIGLIAMENTO: comodo e informale.
S ISTEMAZIONI : in camera singola con bagno personale. L’Abbazia fornisce
lenzuola, coperte, asciugamani. Le camere sono ampie e alcune con “zona
studio”.
PASTI : sono tutti serviti all’interno dell’Abbazia secondo le modalità previste
dalla Regola Benedettina. Spesso i cibi e le bevande sono prodotti dalle azien-
de dell’Abbazia. Chi segue diete particolari può segnalarlo al momento del-
l’iscrizione.
MOMENTI D I PREGHIERA CON I MONACI : sono sempre facoltativi. Li consigliamo
per la bellezza del canto gregoriano che li accompagna e per la serenità che
infondono. Particolarmente suggestiva è la Compieta, l’ultima preghiera, che
termina nel buio della notte.
[email protected]
www.formazionezero.blogspot.com
Abbey Programme è un'ideazione dello Studio Bianchi Strategie d'Impresa srl
S T U D I O B I A N C H I
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STUDIO B IANCHI STRATEGIE D ’ IMPRESA SRL - SOCIO UNICO -
V IA DEGL I ARCONAT I , 32 B IS 22074 LOMAZZO (COMO) i n f o . s tud i ob i anch i@gma i l . com
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ABBAZIA DI PRAGLIA (PADOVA)
IL CHIOSTRO PENSILE
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poter incominciare ad avviare processi di cambiamento all’interno del suo
sistema di lavoro.
Nella mia visione delle cose questo non significava certo arrivare al termine
dei tre giorni di formazione esperienziale con l’idea chiara di cosa attuare in
azienda, ma almeno avere una traccia comparativa di aspettative e obiettivi
e un progetto da ottimizzare man mano arricchendolo di dettagli e di
passaggi concatenati tra loro secondo una logica ben precisa.
Questa mia convinzione è ancora oggi più solida che mai e la richiesta di
aggiungere ad Abbey Programme altri percorsi similari, paralleli,
progressivi e correlati altro non ha fatto altro che confermarmi che questa è
la strada da seguire.
Ma facciamo un passo indietro, indispensabile per capire l’evoluzione.
L’evoluzione
La scelta di passare dai metodi d’aula tradizionali, che trasferiscono solo
informazioni e nozioni, alla formazione di tipo esperienziale non è casuale.
La mia prima convinzione è che ogni persona ha bisogno di ricevere degli
insegnamenti “su misura”. Intendo dire che se la formazione non è “su
misura” è come comperare un bel vestito, di cui abbiamo scelto stoffa,
colore, modello, ma la taglia è sbagliata: troppo piccola o troppo grande.
Nel primo caso significa che gli insegnamenti della formazione “vanno
stretti”: troppo nozionistici, poco adatti allo sviluppo del pensiero
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autonomo, schematizzati e difficili da accettare. È quella che viene definita
una situazione “esercito vecchio stampo”: le procedure non devono dar
luogo a incomprensioni e non c’è tempo per le ripetizioni per chiariscano
quello che va fatto.
Tornando al nostro vestito, se va “troppo largo” significa che le
informazioni ricevute non sono sufficientemente precise per cui la persona
per poter avere ciò che le serve deve approfondirle ulteriormente con
notevole dispendio di energie personali e finanziarie. Costruire un abito “su
misura”, lo sappiamo tutti, è più difficile: richiede tempo, pazienza,
correzioni, scelte dettagliate, prove su prove e solo alla fine il risultato c’è e
si vede.
Purtroppo tutti questi passaggi, che sono indispensabili per un buon risultato
formativo, non esistono in azienda. Nessuna impresa al giorno d’oggi è
disponibile a fare degli investimenti nel lungo periodo, soprattutto per
qualcosa di intangibile come la formazione.
La svolta
La svolta che ho voluto dare alla mia attività di formatore è stata proprio
quella di trovare un modo pratico, nuovo, ma allo stesso tempo profondo e
con ricche radici storiche affinché la persona coinvolta nel processo potesse
avere una parte formativa tecnico-nozionale, ma soprattutto una continua
verifica del percorso fatto, una modalità di riflessione e una spinta al
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cambiamento dettato da una forte motivazione. Voi direte che questo è
impossibile. Posso dimostrarvi il contrario.
Durante i corsi di formazione tradizionale mi sono accorto che
fondamentalmente le persone coinvolte si dividono in tre gruppi:
- i disinteressati
- gli ambiziosi
- i neutrali
La mia prima riflessione è stata quella di cercare di capire che cosa
accomunasse i tre gruppi non sotto il classico profilo della psicologia dei
gruppi, ma dal punto di vista antropologico.
Il lavoro che svolgevo mi portava a notare un unico aspetto comune a tutti:
la mancanza dell’appagamento. Mi spiego.
Partiamo dai disinteressati: se non c’è una forte motivazione di base il
formatore è costretto a spendere buona parte delle sue energie a valorizzare
il suo lavoro agli occhi di queste persone. Se è bravo ci riuscirà, ma solo in
parte perché il compito di evidenziare i motivi per i quali queste persone
sono state scelte e mandate in aula non spetta a lui. Se l’azienda non
chiarisce il perchè ha adottato un determinato percorso formativo, molti
faranno fatica a capire perché devono partecipare a un corso di formazione.
La situazione peggiora se queste persone hanno ottenuto dei risultati
nell’arco degli anni. La loro domanda sarà “Come mai ora viene messo in
dubbio tutto il mio lavoro che fino ad oggi andava bene?”. L’impresa non
deve dare spiegazioni circa le proprie politiche aziendali, ma deve motivare
le scelte formative soprattutto se vengono imposte dall’alto.
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Le persone diventano disinteressate alla formazione perchè l’azienda lo è
stata nei loro confronti.
Veniamo al secondo gruppo, gli ambiziosi. Chi vuole emergere lo fa perché
caratterialmente vuole sentirsi protagonista e anche di fronte a un esperto
che viene dall’esterno deve poter dimostrare a se stesso e all’azienda che sa
fare bene il lavoro e non ha bisogno d’interferenze. Sono i più opportunisti
che vedono in qualsiasi situazione un modo, non tanto di imparare, ma di
dimostrare la loro bravura. In questo caso manca la motivazione a vedere il
cambiamento non come un vantaggio per l’azienda, ma come
un’opportunità di crescita personale all’interno dei sistemi. Al formatore
non basta sostenere nuove idee, deve saperle condividere in modo attivo e
propositivo perché gli ambiziosi alla prima difficoltà abbandoneranno il
campo senza riprovare e denigreranno quanto appreso sostenendo che era
irrealizzabile nonostante i loro sforzi.
Infine per quanto riguarda il terzo gruppo, i neutrali, devo dire che
generalmente sono persone che vogliono semplicemente svolgere il loro
lavoro senza troppi coinvolgimenti e soprattutto non vogliono essere messe
in competizione con il gruppo degli ambiziosi. Anche l’aula rivela quello
che normalmente succede in azienda: qualcuno deve essere sopraffatto e il
più forte deve vincere. Ai neutrali manca la motivazione ad essere se stessi,
a non avere paura dei “fuochi di paglia” prodotti dagli ambiziosi, a lasciarsi
andare e provare a ricercare possibilità alternative alla solita routine,
cercando di uscirne con una visione nel lungo termine.
Come vedete in tutti e tre i gruppi manca l’appagamento.
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Appagare
La logica è molto semplice: per fare qualcosa si deve capire qual è il
tornaconto personale. E’ evidente che a questo punto non conta più quello
che il formatore può e deve dire in generale, ma come lo deve dire a
ciascuno dei partecipanti. Per diventare efficace il suo intervento deve
diventare un “abito di sartoria”. Ma allora quali strumenti gli mancano per
poterlo realizzare? Praticamente tutti o quasi.
Spesso le aziende sono refrattarie a fornire informazioni utili sui
partecipanti: si limitano a descriverne il ruolo, le mansioni, le esperienze, gli
avanzamenti di carriera e soprattutto le aspettative.
Difficilmente il responsabile delle risorse umane parlerà della persona in
termine di carattere, inserimento nel gruppo, stima dei colleghi, valore
aggiunto, dedizione personale ecc. Questi invece sono dati fondamentali
perché sono la porta attraverso la quale il formatore può fare breccia e
aiutare la persona a realizzare il cambiamento necessario.
C’è poi un altro punto cruciale: le persone vorrebbero-dovrebbero scegliere
il loro percorso personale in maniera autonoma rispetto alle scelte
dell’azienda. Se le persone non sono convinte di quello che andranno a fare
l’esperienza resterà fine a se stessa, magari bella, interessante, ma mai
efficace. Quindi mi sono reso conto che dovevo appagare l’anima delle
persone per riuscire a portarle sulla strada dei cambiamenti utili a loro
stesse.
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Il bivio
Per fare breccia nelle persone coinvolte nei processi formativi era
indispensabile trovare delle alternative impostate alla persona e le possibili
modalità erano solo due:
1) La prima prevedeva il tacito consenso e lasciare che le cose producessero
risultati solo in chi voleva: era un po’ come essere un torrente in piena
costretto a scorrere tra argini troppo alti. Non lo reputavo e non lo reputo
una buona modalità anche se mi accorgo che è la più utilizzata. Significa, in
altre parole, accettare l’incarico, fare bene il proprio lavoro, ma in modo
non così coinvolgente da essere determinante.
Per poter ottenere risultati efficaci e duraturi è indispensabile fare qualcosa
di più che possa segnare nettamente la differenza tra il mio lavoro e quello
di altri consulenti, non solo in termini tecnici, ma soprattutto come metodo
di lavoro.
2) La seconda modalità implica risalire la corrente, andare alla fonte e
cercare di rendere più scorrevole l’alveo del fiume cercando di lavorare
sull’appagamento delle persone.
Naturalmente ho scelto questa seconda via e, ancora oggi, visti i risultati
ottenuti, non ne sono affatto pentito.
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Le maschere
Il primo ostacolo da abbattere sono state le “maschere”. Ogni persona è
portata a recitare un ruolo ben preciso: è per questo che troviamo una
grande diversità tra la vita privata, pubblica e quella lavorativa.
Con quale di queste tre persone devo parlare? La risposta che pare ovvia è
con quella “aziendale” visto che è l’azienda a pagare, ma nella mia visione
non è così. L’appagamento di una persona parte da dentro: bisogna scoprire
“chi si è” prima del “cosa si fa”.
Affinché una persona si tolga la maschera è indispensabile conquistarne la
fiducia. Questa è una complicazione perché la fiducia si crea solo con il
tempo e in momenti particolari.
L’idea quindi è stata quella di ricercare delle situazioni, fuori dal contesto
aziendale, informali, ma comunque in ambiti gerarchicamente chiari. Ho
pensato che se mettevo tutto il gruppo in una situazione “sconosciuta” e la
svelavo man mano questa avrebbe lasciato ai partecipanti sia l’emozione
della “prima volta” sia quella degli aspetti che più li avevano colpiti che,
sicuramente, avrebbero ricordato a distanza di tempo. Così ciascun
partecipante avrebbe potuto cogliere ciò che gli sarebbe servito
focalizzandosi sul proprio vissuto.
Per ottenere questo risultato è fondamentale spiegare come è organizzata la
formazione, tranquillizzando le persone e puntando soprattutto sugli aspetti
positivi di carattere personale come per esempio essere lontani dal lavoro,
potersi riposare, fare una cosa diversa senza correre dei rischi ecc.
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In una situazione come questa è difficile mantenere le maschere per lungo
tempo per una serie di motivi. Il primo è che non stando in azienda non ci si
rapporta al contesto lavorativo anche se si è insieme ai colleghi. Il secondo è
che non si è nemmeno in famiglia dove si devono rispettare dei ruoli ben
precisi. Il terzo è che non ci si può permettere l’amicalità che si avrebbe con
i compagni di bar, di palestra o del tennis.
Quando la persona esce allo scoperto, allora e solo allora è possibile
cominciare a formare o meglio a fornire alla persona gli strumenti per
autoformarsi.
È ovvio che un risultato simile è quasi impossibile con la formazione di tipo
tradizionale. Proprio per questo è necessario cambiare approccio nei
confronti dell’azienda, dell’aula, dei metodi ma soprattutto delle persone.
L’azienda
Cambiare approccio nei confronti dell’azienda significa farla compartecipe
del fatto che non è più sufficiente informare, dare nozioni, ma bisogna far
sperimentare. Ancora oggi quando propongo Abbey Programme a volte mi
risulta difficile fare capire che non ci si ritira in un monastero per un
generico relax o la preghiera, ma per ricercare motivazioni alla luce di una
saggezza storica che ha governato sistemi operativi da 1500 anni, li ha
unificati durante il Medioevo con una “rete” molto efficiente di
collegamento permettendo a studiosi e ricercatori di muoversi agevolmente
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e liberamente in tutta Europa. Allo stesso modo, a volte, non è facile far
comprendere che durante un Samurai Lab (vedi scheda alla pagina
seguente) non giochiamo per due giorni con delle spade di legno, ma
proviamo, anche attraverso il corpo, equilibri fino a quel momento
sconosciuti e codici di saggezza antica che hanno permesso un governo di
pace per millenni.
L’azienda ha bisogno di vedere sempre risultati e in breve tempo e garanzie
che l’investimento porti i suoi frutti. Il mio modo di fare formazione
esperienziale tiene conto di questo: è necessario fissare finalità e obiettivi e
farli combaciare con i contenuti in un contenitore nuovo: costruire un piano
formativo esperienziale condivisibile da tutti.
L’aula
Dopo lo scoglio dell’azienda c’è quello dell’aula. La scelta della location è
determinante soprattutto sulla base dello spirito di adattamento dei
partecipanti. Per esempio con Abbey Programme è necessario adattarsi allo
stile di vita dei monaci benedettini che è immutato da 1500 anni.
L’aula tradizionale con i tavoli a “ferro di cavallo” nelle mie formazioni
esperienziali diventa facilmente la sala immersa nel silenzio di un chiostro,
un giardino, una palestra di arti marziali, un luogo adibito alla meditazione,
un centro benessere attrezzato, una base aeronautica o la cucina di un
ristorante. Capite che trasportare manager in un chiostro o sotto un