Introduzione
Lo studio delle serie storiche finanziarie è un argomento che ha sempre suscitato
particolare interesse sia tra ricercatori sia tra semplici appassionati di finanza.
Comprendere le dinamiche che regolano l’andamento dei titoli azionari e riuscire a
tradurle in termini rigorosamente statistici è un obiettivo che in molti si sono posti negli
ultimi decenni, affascinati dall’idea di poter utilizzare le rappresentazioni ottenute a scopi
previsionali.
Il problema, tuttavia, non era di facile soluzione, in quanto le serie storiche
finanziarie hanno sempre presentato caratteristiche tali da renderle differenti da ogni altra
tipologia di serie storica, rendendo le tecniche fino ad allora utilizzate, non adeguate al
compito proposto.
La situazione si sbloccò nel 1982, quando Robert Engle propose i modelli ARCH
(AutoRegressive Conditional Eteroschedasticity), per i quali vinse il premio Nobel per
l’economia del 2003. L’idea alla base di questo modello era di applicare una tecnica già
ampiamente diffusa, come quella dell’autoregressione, alle varianze condizionate delle
serie storiche dei rendimenti.
A questa rappresentazione seguì, quattro anni più tardi, una generalizzazione,
proposta da Bollerslev, che consentì una maggiore parsimonia nei parametri utilizzati.
Questo modello, che prese il nome GARCH (Generalized ARCH), costituisce tuttora il
pilastro fondamentale da conoscere per intraprendere studi di questo tipo.
I modelli ARCH e GARCH, se da un lato hanno avuto il grande merito di indicare
la giusta strada da percorrere per ottenere delle previsioni sui titoli azionari, dall’altro
avevano una grande lacuna da colmare: sono modelli simmetrici. Ciò significa che le
reazioni causate da variazioni positive e negative dei titoli sono considerate nella stessa
identica maniera. La realtà empirica, al contrario, dimostra che le reazioni a shock negativi
sono molto più forti rispetto a quelle causate da shock positivi. Per questo motivo furono
sviluppati i modelli asimmetrici, il cui scopo è appunto quello di trovare una soluzione a
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questo problema. Tra le principali proposte a riguardo ricordiamo i modelli EGARCH
(Exponential GARCH, Nelson 1991) e i modelli TGARCH (Threshold GARCH, Zakoian 1994).
Il passo successivo nello sviluppo della letteratura fu quello di allargare il campo di
ricerca ad analisi di tipo multivariato. Si rese possibile in questo modo raffinare
ulteriormente la modellazione delle serie storiche prendendo in considerazione il fatto che,
oltre a causa degli shock di mercato interni, la volatilità di un titolo possa essere
influenzata anche da shock esterni al mercato preso in esame.
La prima proposta a riguardo si deve a Bollerslev, Engle e Wooldridge, che, nel
1988, proposero la rappresentazione vech, la quale altro non è che la trasposizione in forma
matriciale del modello GARCH.
Tra le soluzioni più interessanti presentate successivamente, un ruolo
assolutamente primario spetta ai modelli multivariati che stimano separatamente le
varianze condizionate e i coefficienti di correlazione condizionati, come ad esempio il
modello CCC (Constant Conditional Correlation), suggerito da Bollerslev nel 1990, ed il
recentissimo DCC (Dynamic Conditional Correlation), ideato da Engle nel 2002.
Quest’ultimo risulta essere piuttosto interessante, in quanto, seppur con alcuni
limiti che saranno analizzati nel corso della trattazione, consente di sviluppare un’analisi
storica sui coefficienti di correlazione tra mercati appartenenti a diversi paesi, andando a
verificare quanto questi siano legati tra loro e come questi reagiscano ad alcuni shock
comuni, quali ad esempio interventi di politica economica o periodi di crisi.
L’obiettivo di questo elaborato è ripercorrere la strada che, dal 1982, nascita del
modello ARCH, ad oggi è stata effettuata. Per motivi di tempo e per non appesantire
troppo il lavoro, non saranno sviluppate tutte le proposte pubblicate, ma solamente quelle
che hanno portato ad un reale passo avanti nella ricerca e che appartengono comunque
alla famiglia GARCH; per gli altri modelli, ci si limiterà ad una semplice classificazione e
ad un richiamo alla letteratura esistente.
Per ogni rappresentazione presa in considerazione verranno analizzate le
derivazioni matematiche che la caratterizzano, le motivazioni che ne hanno portato alla
nascita, le problematiche che questa è in grado di risolvere e le questioni che invece
vengono lasciate aperte.
Il lavoro è composto di quattro capitoli. Nel primo vengono forniti gli strumenti
statistico-matematici necessari per comprendere a pieno gli argomenti trattati. Nel
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secondo viene eseguita una panoramica sullo sviluppo dei principali modelli univariati,
partendo dall’ARCH di Engle e proseguendo con le varie estensioni cui diversi autori
hanno dato seguito. Nel terzo capitolo si passerà alla presentazione dei modelli
multivariati, dando una spiegazione del perché la letteratura si sia posta il problema di
arrivare al loro sviluppo e classificandoli in base alle differenti tecniche di stima. Infine,
nell’ultimo capitolo sarà eseguita una breve applicazione del modello multivariato DCC,
utilizzando come dati storici le quotazioni di sette indici azionari europei.
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Capitolo 1
Analisi quantitativa dei mercati finanziari
Prima di concentrarci nel vero oggetto del lavoro, appare opportuno effettuare una
breve descrizione del contesto nel quale verranno effettuate le successive analisi. In
particolare, il presente capitolo si propone di fornire una sintesi delle variabili che
entreranno in gioco nel proseguo della trattazione e di come esse possano essere utilizzate
da un punto di vista statistico-metodologico.
Per prima cosa si esporranno le principali tipologie di strumenti finanziari presenti
sui mercati finanziari nonché i loro più importanti parametri di valutazione, ovvero
prezzo, rendimento e volatilità.
In seguito verranno effettuati dei richiami agli strumenti statistici necessari per lo
sviluppo degli argomenti trattati nei successivi capitoli, come ad esempio il concetto di
variabile casuale, il quale rappresenta lo strumento teorico fondamentale per
rappresentare in modo probabilistico l’andamento delle variabili suddette, le principali
distribuzioni teoriche e gli indici di posizione e variabilità.
Infine, dopo aver accennato misure alternative di volatilità, saranno evidenziate le
somiglianze fra il comportamento di alcuni mercati finanziari europei; analogie che
inducono ad una loro analisi statistica di tipo multivariato.
1.1 Tre fondamentali oggetti d’analisi: prezzi, rendimenti e volatilità
Ogni giorno nei mercati finanziari di tutto il mondo milioni di soggetti (traders)
eseguono operazioni di compravendita sui titoli quotati. Negli ultimi anni poi, con lo
sviluppo delle tecnologie informatiche e con la possibilità di poter effettuare operazioni
anche dal salotto di casa propria (il cd trading online), il volume medio giornaliero delle
transazioni effettuate è aumentato notevolmente, rendendo lo studio di questa disciplina
di estrema attualità.
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Le motivazioni che spingono un individuo ad operare nei mercati finanziari
possono essere di varia natura. Alcuni traders possono agire per esigenze di utilità, come
ad esempio un investimento sui propri risparmi, oppure una divisione o una copertura dei
rischi su operazioni future incerte che questi dovranno compiere; altri, come ad esempio
gli speculatori o i dealers, operano con lo scopo principale di conseguire un profitto.
Esistono diverse tipologie di strumenti finanziari, ciascuna con le proprie
peculiarità, sulle quali poter effettuare le proprie operazioni. Tra le principali ricordiamo:
Le azioni, con le quali si acquisisce una quota del capitale sociale dell’emittente.
L’azionista acquisirà sia diritti patrimoniali, primo fra tutti la partecipazione agli
utili, sia diritti amministrativi per quanto riguarda la gestione politica della società.
Le azioni sono scambiate su mercati specializzati, che possono essere primari (dove
si trovano i titoli di nuova emissione) o secondari (dove si scambiano i titoli in
circolazione).
Durante i giorni di trattative l’incontro fra domanda e offerta di azioni determina il
prezzo di mercato dell’azione. Poiché questo varia in continuazione nel corso della
giornata, vengono effettuate delle registrazioni sia all’apertura dei mercati (prezzo
Open) sia alla chiusura (prezzo Close); inoltre vengono solitamente registrati il
prezzo più alto della giornata (prezzo High) e quello più basso (prezzo Low);
ultimo dato che viene registrato durante il giorno di trattative è il volume delle
azioni scambiate per il titolo;
Le obbligazioni, con le quali si acquisisce un credito nei confronti della società
emittente, la quale si impegna a rimborsare il capitale, maggiorato degli interessi
stabiliti dal contratto, ad una certa scadenza e, qualora previsto, al pagamento
periodico delle cedole;
Le valute, sulle quali si può investire sia per cercare di sfruttare l’andamento dei
tassi di cambio per trarne un vantaggio, sia per ottenere una copertura in caso di
compravendite internazionali;
I prodotti derivati, come ad esempio le opzioni, ossia strumenti finanziari il cui
valore è legato al prezzo di altri strumenti principali, detti sottostanti (materie
prime, valute, tassi di interesse, titoli o indici azionari).
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In questo modo, un investitore che vorrà semplicemente mantenere il valore dei
propri risparmi, potrà acquistare obbligazioni, mentre un altro che vorrà speculare, magari
sulla base di proprie aspettative future su una determinata società, potrà investire sulle
azioni da questa emesse.
Esiste poi una terza categoria di soggetti che opera prevalentemente nei mercati
valutari, nota come arbitraggisti, che sfrutta la presenza di diverse quotazioni della stessa
valuta in mercati diversi, in modo da poter trarre un rapido profitto. Se, ad esempio, a
New York il tasso di cambio dollaro/euro è quotato a 1,1 $/€, mentre a Londra è quotato
1,2 $/€, un arbitraggista potrebbe scambiare 1000 dollari a New York ottenendo in cambio
909 euro (1000$/1,1$/€) e subito dopo scambiare i 909 euro a Londra ottenendo 1090
dollari (909€*1,2$/€), ricavando così un profitto di 90 dollari in pochi minuti. Ovviamente,
l’aumento della domanda di euro nel mercato americano ed il contemporaneo aumento
dell’offerta di euro nel mercato inglese, farà in modo che si arrivi rapidamente ad una
quotazione identica (compresa tra 1,1 $/€ e 1,2 $/€) in entrambe le piazze.
Indipendentemente dal titolo oggetto di investimento, chiunque desideri operare in
borsa in maniera efficiente necessiterà di alcune informazioni essenziali.
La prima di queste informazioni è lo studio sull’andamento del prezzo di ogni
singolo titolo a cui si è interessati, alla cui base troviamo una disciplina nota come analisi
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tecnica, nella quale, principalmente tramite analisi grafiche, si valuta il possibile
andamento futuro del titolo.
Economicamente, il prezzo di un titolo rappresenta il costo di ogni singola azione e
può essere indicizzato dall’istante temporale t al quale viene osservato
P P(1r),
tt1t
moltiplicando il valore del prezzo per la quantità totale di azioni quotate dalla stessa
società si ottiene la capitalizzazione di questa. Sommando le singole capitalizzazioni
presenti nel mercato di riferimento si ottiene la capitalizzazione di mercato e, infine,
sommando le singole capitalizzazioni di mercato, si ottiene la capitalizzazione mondiale.
La capitalizzazione è uno dei fattori maggiormente utilizzati per la classificazione
delle azioni. Potremo trovare dunque mercati specializzati nei titoli ad elevata
1
Per un approfondimento della disciplina si veda Pring (1991) ed Edwards e Magee (1992).
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capitalizzazione (tecnicamente definiti blue chips), solitamente più esposti all’interesse del
pubblico, e mercati specializzati nei titoli a medio-bassa capitalizzazione (mid e small caps).
Il prezzo di mercato di un’azione, però, non è certo il fattore di maggior interesse per chi
effettua un investimento e il motivo è facilmente intuibile: chi opera nei mercati finanziari
è interessato ai guadagni e alle perdite che i singoli titoli comportano e non al valore
nominale che questi assumono a fine giornata; per questo motivo, a partire dai prezzi, si
calcolano i rendimenti dei titoli, i quali rappresentano una buona approssimazione del
tasso di variazione percentuale.
Matematicamente, il rendimento di un titolo può essere interpretato come segue
PP
tt1
rlogPlogP.
ttt1
P
t1
Terzo e ultimo fattore di importanza cruciale è la volatilità del titolo, ossia il rischio,
che si corre, effettuando l’investimento, di subire una perdita. E’ stata ampiamente
dimostrata l’esistenza di una correlazione negativa tra rischio (volatilità) e rendimento,
2
sulla quale è stata fondata da Markowitz la teoria moderna del portafoglio, ovvero
l’insieme delle tecniche che consentono di massimizzare il rendimento ottenibile dal
proprio portafoglio, dato un prefissato valore del rischio.
Riuscire ad effettuare corrette previsioni sull’andamento della volatilità è un
obiettivo che molti studiosi si sono posti negli ultimi anni, riuscendo in alcuni casi ad
ottenere ottimi risultati.
Vedremo più avanti diversi metodi con i quali è possibile calcolare la volatilità e le
caratteristiche che questa presenta nelle serie storiche finanziarie.
1.2 Indici azionari
Tutte le analisi che affronteremo in questo lavoro avranno come oggetto i principali
indici azionari europei (tabella 1.1).
Un indice azionario è un indicatore di sintesi sull’andamento di determinati titoli,
quotati nei mercati azionari di appartenenza presenti nel paniere di riferimento.
Solitamente vengono considerati i titoli con le più elevate quote di capitalizzazione sul
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The journal of finance, vol. 7, No. 1, (Mar., 1952), pp. 77-91.
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mercato, quelli più rappresentativi di un determinato settore, quelli che rappresentano
maggiormente il peso relativo delle attività economiche, e così via.
Ciascun indice azionario può essere ricondotto ad una delle seguenti categorie:
indici come media aritmetica dei prezzi di tutti i k titoli presenti nel paniere
k
1p
it
I.
t
fk
i1
t
Il valore f viene detto fattore di correzione e serve per correggere le alterazioni
t
subite dai titoli nel tempo quali gli splits (ripartizione del capitale sociale su un
numero maggiore di azioni), le ricapitalizzazioni e il cambiamento nella
composizione dell’indice. In questo modo si può correttamente eseguire un
confronto sui valori assunti dall’indice nel corso del tempo anche a seguito di
modifiche dello stesso.
Uno dei problemi principali degli indici così calcolati è che l’influenza di
un’azienda all’interno dell’indice non dipende dalla sua capitalizzazione, ma dal
prezzo che le proprie azioni assumono sul mercato;
indici “ponderati per il valore”, che hanno il vantaggio di eliminare il problema
visto sopra per l’altra tipologia di indici. Matematicamente vengono determinati
come media aritmetica ponderata
kP
it
W
i0
i1
P
1
i0
I
t
k
f
W
t
i0
i1
dove k indica il numero di titoli che compongono il paniere su cui l’indice viene
calcolato, P è il prezzo della i-esima azione rilevato al tempo base, P è il prezzo
i0it
dell’azione al tempo t e W sono i pesi utilizzati per ciascun titolo, che ovviamente
i0
dipenderanno dal valore di capitalizzazione della società. Anche in questo caso il
fattore f serve per garantire la continuità dell’indice qualora il paniere di
t
riferimento subisca aggiornamenti, sia per composizione che per pesi attribuiti a
ciascuna azione anche in conseguenza di aumenti di capitale circolante.
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