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INTRODUZIONE
Il CWB (Counterproductive Work Behaviour) è un costrutto ampiamente studiato nella
letteratura internazionale di Psicologia delle organizzazioni e del lavoro. Questo perché
non è importante studiare e analizzare solo i comportamenti funzionanti ed efficaci per
l’organizzazione in cui si lavora, ma è molto importante anche studiare i comportamenti
antiproduttivi e dannosi e le loro cause; comportamenti messi in atto intenzionalmente
contro l’organizzazione per cui si lavora e verso colleghi, collaboratori, ma anche clienti,
consumatori e supervisori. Non considerare questi comportamenti, le loro cause e non
cercare di trovare delle risoluzioni organizzative adeguate può portare a conseguenze
molto gravi, sia per la produttività e l’efficienza dell’organizzazione sia per chi ci lavora,
poiché se questo comportamento dannoso non viene preso in tempo, per eliminarlo
definitivamente saranno poi prese in considerazione risoluzioni legali e drastiche come
ad esempio il licenziamento.
Il lavoro che verrà presentato nelle pagine successive sarà costituito di due parti. Nella
prima parte, verrà spiegata la definizione del costrutto dei CWB, e presentato uno dei
modelli esistenti che hanno cercato di studiare le cause e le conseguenze del mettere in
atto un comportamento dannoso e violento. Il modello preso come punto di riferimento
teorico è il Modello Stressor-Emotion di Spector e Fox (2004). Una volta presentato il
modello in generale - l’influenza del Controllo, della Personalità, delle Emozioni
Negative, degli Stressor ambientali e percepiti sul mettere in atto o meno un
comportamento dannoso - analizzeremo nel particolare il ruolo del Trait Anger e Trait
Anxiety sull’agire in maniera violenta e controproduttiva sul posto di lavoro e contro i
colleghi e collaboratori. Nella parte finale verranno presentate possibili risoluzioni
organizzative, quali l’approccio disposizionale e l’approccio ambientale.
La seconda parte sarà caratterizzata dal contributo empirico vero e proprio, illustrando il
campione a cui è stato somministrato il questionario; questionario che non indaga solo
le dimensioni considerate dal modello di Spector e Fox, ma anche altre dimensioni che
abbiamo ritenuto possano influenzare gli individui nel mettere in atto comportamenti
controproduttivi; come ad esempio il Disimpegno Morale, l’Equità Percepita e la Self
Efficacy. Dopo aver presentato il campione, verranno illustrati gli strumenti, le
procedure, l’analisi dei dati con i risultati emersi ed infine le conclusioni.
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PARTE PRIMA: RIFERIMENTI TEORICI
1. Definizione del costrutto di CWB
Sebbene molte ricerche sui comportamenti al lavoro si siano focalizzate sui fattori che
conducono l’impiegato a lavorare in maniera efficace, non dobbiamo dimenticare che
esistono anche fattori ed azioni che portano a svolgere il lavoro in maniera inefficace e
distruttiva.
I CWB (counterproductive work behaviour) consistono infatti in azioni volitive che
danneggiano o cercano di danneggiare l’organizzazione (in questo caso le persone
sono vittime indirette) per cui si lavora o le persone con cui si lavora (collaboratori,
clienti e supervisori). I maggiori CWB sono: l’aggressione fisica e verbale contro gli altri,
l’ostilità, il sabotaggio, il furto, svolgere le proprio mansioni in modo errato
intenzionalmente, il cattivo uso e distruzione della proprietà le assenze, creare dei
problemi ai supervisori, chiamare per avere un giorno di malattia anche se non si è
malati, i ritardi e il turnover. La caratteristica chiave di questi tipi di comportamenti è che
sono azioni intenzionali e non accidentali, sono comportamenti che vanno contro gli
interessi legittimi dell’organizzazione (Sackett’s, 2002). Ciò significa che, se una
prestazione è scadente ma non volutamente (ad esempio per causa di uno scarso
possesso di competenze o strumentazioni) non è un CWB, perché l’intenzione
dell’individuo non è quella di svolgere male il proprio lavoro, ma ciò accade per una sua
impossibilità a fare diversamente. Se non è presente l’intento di lavorare in modo
inefficace e se il danno all’organizzazione non è il risultato di azioni intraprese
intenzionali, allora non si può parlare di CWB.
I CWB sono stati studiati secondo diverse prospettive, usando diversi termini per riferirsi
a loro, ricoprendo così la maggior parte di atti dannosi, tra cui l’aggressione, la
devianza, la vendetta, il mobbing, il bullismo, l’abuso emotivo e la ritorsione. Il ―CWB‖
quindi è un termine generale che riunisce diversi costrutti affini, ma ben diversi. Ad
esempio è molto simile al concetto di aggressione sul posto di lavoro, (Neuman &
Baron, 1997, 1998; O’Leary-Kelly, Griffin & Glew, 1996; Spector 1975, 1978)
caratterizzato da comportamenti che mirano a danneggiare l’organizzazione e le
persone con cui si lavora. La distinzione con i CWB riguarda il fatto che questi ultimi
non richiedono uno specifico scopo di danneggiare, ma è sufficiente l’intenzione di
mettere in atto il comportamento.
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La violenza è un termine che si usa per far riferimento ad alcune forme di aggressione,
e in base a quale definizione viene presa in considerazione, violenza e CWB sono
sinonimi. La differenza è che il costrutto di violenza è più circoscritto e si focalizza
soprattutto sul danno causato piuttosto che sull’intenzione di mettere in atto il
comportamento.
La ritorsione è un comportamento messo in atto come risposta ad una percezione di
un’ingiustizia organizzativa intesa a punire la o le parti percepite come causa (Skarlicki
& Folger, 1997). La ritorsione è un comportamento intenzionale volto a recare danno,
ma poiché lo scopo è quello di ristabilire equità e giustizia, costituisce un caso
particolare di aggressione e si differenzia pertanto dal CWB.
La vendetta (Bies, Tripp & Kramer, 1997) consiste in atti rivolti ad agenti percepiti come
dannosi o che vanno contro l’ordine sociale. La vendetta può accadere non solo in
risposta ad un’ingiustizia, ma anche in risposta ad altri eventi minacciosi. Questo tipo di
azioni consistono generalmente in comportamenti aggressivi o controproduttivi; ma
rispetto ai ―classici‖ CWB possono anche portare ad esiti produttivi, come ad esempio
regolare i rapporti interpersonali (Bies et al, 1997).
La devianza è un comportamento volontario che viola le norme organizzative e reca
danni all’organizzazione e a chi ci lavora (Hollinger, 1986; Robinson & Bennett, 1995).
Le norme sono definite dal vertice dell’organizzazione e sono costituite da regole,
standard e consuetudini sia formali che informali. Sebbene la devianza includa molti
comportamenti considerati CWB, ne esclude altri che possono danneggiare ma che non
sono antagonisti alle norme (come nel caso di stili di supervisione abusivi che possono
recare danni, ma che sono normativi).
In diverse ricerche è emersa l’importanza di distinguere i CWB diretti contro le
organizzazioni (CWB-O) da quelli diretti contro le persone (CWB-P) (Baron & Neuman,
1996; Bennett & Robinson, 2000; Fox et al., 2001; Goh, Bruursema, Fox & Spector,
2003; Robinson & Bennett, 1995). Diversi studi dimostrano che alcune variabili hanno
relazioni diverse con le due categorie del CWB, avvalorando l’ipotesi che questa
distinzione è fondata.
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2. Il modello Stressor-Emotion di Spector e Fox
Il modello di Spector e Fox (2004) è basato su una integrazione dello studio
sull’aggressione umana e lo stress occupazionale (Anderson, Deuser e DeNeve, 1995).
Il lavoro originario di Dollard e altri (1939) sull’ipotesi della frustrazione-aggressione
viene considerato un modello per molti altri lavori successivi sull’aggressione lavorativa.
Il loro modello suggeriva che la frustrazione (le interferenze con gli obiettivi o le attività
di una persona) porterebbe all’aggressione. Dagli studi seguenti, come ad esempio
quelli di Fox e Spector (1999) è emersa una connessione tra la frustrazione -
considerata condizione ambientale - le risposte emotive a questa condizione, gli
elementi cognitivi e l’aggressività. Le conclusioni di questi studi suggeriscono che
diverse azioni aggressive vengono messe in atto come risposta a provocazioni che
inducono rabbia. Un importante elemento cognitivo in risposta alla frustrazione
ambientale (interferenze agli obiettivi) è l’attribuzione che la persona fa riguardo
all’intenzione dell’agente della frustrazione. Pastore (1952) notò che atti messi in atto
percepiti come arbitrarie e intenzionalmente frustranti influenzano gli individui a
compiere atti aggressivi, rispetto a quando le azioni sono percepite come non
intenzionali, quindi l’intenzione dell’agente di provocare danni è più importante della
natura aggressiva della situazione. Folger e Bron (1996) hanno studiato il legame con il
sentimento di ingiustizia, valutando l’aggressione come una risposta agli avversi e non
piacevoli stati emotivi, considerando gli atti intenzionali compiuti precedenti di emozioni
negative. Situazioni percepite come ingiuste e non garantite inducono alti livelli di
emozioni negative hanno un’alta probabilità di condurre a risposte aggressive.
Gli elementi chiave del modello:
ξ il modello include molto più di interferenze agli obiettivi, ossia condizioni che
sviluppano emozioni negative, come ad esempio situazioni lavorative stressanti;
ξ non solo il tratto della rabbia è correlato ai CWB, ma anche altre emozioni
negative;
ξ il controllo è un importante moderatore tra l’aggressione e la frustrazione;
ξ la personalità è un altro significativo elemento del modello, poiché date
determinate condizioni, non tutti reagiscono allo stesso modo.
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FIGURA 1. IL MODELLO STRESSOR-EMOTION DI SPECTOR E FOX (2004)
Il modello (FIGURA 1) è caratterizzato da un nesso causale che va dall’ambiente e la sua
percezione/valutazione, fino alle emozioni e ai CWB. Il controllo percepito è un
importante moderatore sia delle percezioni che delle reazioni comportamentali, come
anche la personalità, in particolare le disposizioni affettive, che giocano un importante
ruolo nella percezione, nel comportamento e nelle risposte emotive (Spector, Fox &
Domagalski, 2005). Naturalmente questo modello non rappresenta l’unico nesso
causale possibile, la causalità infatti corre in più possibili direzioni. Per esempio i CWB
producono effetti sull’ambiente rendendolo a loro volta più stressante. Anche lo stato
emotivo a sua volta ha ripercussioni sul modo di percepire e valutare una situazione.
Ciò significa che un evento affrontato in uno stato affettivo negativo sarà percepito con
maggior probabilità come stressor, rispetto a quando lo stato emotivo è positivo. Anche
la personalità può essere considerata sia causa che effetto, come ad esempio quando
si ha una tendenza ad esporsi ad eventi estremi che scatenano emozioni (Spector,
Zapf, Chen & Frese, 2000).
CONTROLLO
PERCEPITO
STRESSOR
AMBIENTALI
STRESSOR
PERCEPITI
EMOZIONI
NEGATIVE CWB
VALUTAZIONE
PERSONALITA’
RABBIA
ANSIA
LOCUS OF CONTROL
NARCISISMO
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Nel cuore del modello c’è la connessione che va dall’ambiente alla percezione, con
ripercussioni sulle emozioni, per giungere poi ai CWB, messi in atto intenzionalmente e
subito o in un secondo momento. Il processo inizia a sinistra con gli stressors causati
dall’ambiente di lavoro, lo stress è una condizione ambientale che porta a reazioni
emotive negative (Spector, 1998). E’ importante ai fini della comprensione del modello,
la distinzione tra stress ambientali e stress percepiti, lo stress ambientale è una
caratteristica obiettiva del contesto lavorativo che tende ad essere percepito come uno
stress dai dipendenti. Per quanto riguarda gli stress percepiti, questi mostrano una
correlazione con le emozioni negative, per questo motivo è infatti considerato più critico
degli stress ambientali. In ogni caso questo non significa che gli stressor ambientali non
siano importanti, anzi: il processo sottostante che collega la realtà oggettiva alle
percezioni e alle risposte emotive è un tema di grande rilevanza per la ricerca (Frese &
Zapf, 1999; Schaubroeck, 1999).
Inoltre le persone che siano a lavoro o no, monitorano i loro ambienti, e gli stimoli con le
informazioni sono continuamente percepiti ed interpretati (Lazarus & Folkman, 1985) -
processo di valutazione - con il quale le persone interpretano le situazioni come stress.
Altro elemento importante è il grado con cui l’individuo percepisce una minaccia al
benessere, il grado con cui le situazioni possono interferire con gli obiettivi o con le
attività future, e le attribuzioni individuali delle cause degli eventi. Perrewé e Zellars
(1999) hanno discusso come specifiche attribuzioni possano scaturire in varie emozioni
negative. Per esempio l’insuccesso nello svolgere un compito correttamente può
condurre ad un senso di colpa se l’individuo attribuisce la causa alla sua mancanza di
sforzo o, alla rabbia se l’insuccesso è attribuito alle richieste irragionevoli del
supervisore. Martinko, Gundlach e Douglas (2002) hanno studiato in dettaglio il ruolo
delle attribuzioni nei CWB, evidenziandone il ruolo fondamentale nella maggior parte
delle teorie.
Sebbene la valutazione sia un processo altamente individuale, ci sono classi di eventi e
situazioni che possono essere considerati stress obiettivi perché tendono ad essere
percepiti come stress dalla maggior parte delle persone. Frese (1985) ha confrontato il
report sugli elementi stressanti di un lavoratore, con quelli di osservatori e colleghi,
riscontrando una convergenza da 0,30 a 0,61. Anche Kirmeyer (1988) ha trovato una
correlazione di 0,59 tra le misure oggettive del carico di lavoro e quelle percepite dal
lavoratore. Allo stesso modo, Spector (1992) ha condotto una meta-analisi
considerando gli studi in cui era stata esaminata tale convergenza, studi nei quali quindi
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le percezioni dei lavoratori erano state correlate con altre fonti d’informazione sugli
stressor. Le correlazioni più importanti che sono emerse vanno da 0,11 (per l’ambiguità
di ruolo) a 0,42 (per il carico di lavoro).
In una meta analisi, Spector e Goh (2001) dimostrarono che i tratti di aggressività e
ansia correlavano entrambi con una varietà di stress lavorativi percepiti (.29
ansia/conflitto di ruolo - .49 rabbia/costrizioni organizzative). Infine Fox, Spector e Miles
(2001) trovarono che gli stress lavorativi (conflitto con gli altri e costrizioni
interpersonali) correlavano con diverse misure delle emozioni negative, queste misure
correlavano anche con la percezione di ingiustizia, considerata un altro tipo di stress
lavorativo.
2.1 Gli stressor e i CWB
Alcuni dei lavori più recenti sui CWB si sono basati sulla letteratura riguardante
l’aggressione umana che ha collegato il comportamento alla frustrazione. Spector
(1975) ha dimostrato che la frustrazione al lavoro è legata ai CWB auto riportati. Storms
e Spector (1987) hanno confermato che i CWB sono significativamente collegati a
misure delle costrizioni organizzative (che possono essere psicologiche, fisiche o
comportamentali, Jex & Beehr, 1991), che consistono in condizioni di lavoro che
interferiscono con la performance lavorativa. Una misura auto riportata delle costrizioni
correla significativamente con diverse categorie auto riportate di CWB, tra cui
l’aggressione (0,36), l’ostilità e le lamentele (0,47), il sabotaggio (0,29), l’assenteismo
(0,36) e i sentimenti di frustrazione (0,55).
Chen e Spector (1992) hanno incluso misure dell’ambiguità e conflitto di ruolo, conflitti
interpersonali, carico di lavoro e costrizioni organizzative. Tutti e cinque correlavano in
modo significativo con l’ostilità, e tutti tranne il carico di lavoro correlavano
significativamente con l’aggressione e il sabotaggio. Studi successivi hanno confermato
nessi tra diversi stressor lavorativi e i CWB, anche se ricerche recenti hanno impiegato
misure generali del CWB (Miles, Bornam, Spector & Fox, 2002; Penney & Spector,
2002, 2003) o hanno classificato i comportamenti seguendo la tassonomia di Robinson
e Bennet (1995) che distingue i comportamenti diretti verso le persone quelli diretti
verso l’organizzazione (Fox & Spector, 1999; Fox et al., 2001; Goh, Bruursema, Fox &
Spector, 2003).
Questi studi hanno indagato tre stressor, due dei quali sono stati ripetutamente
associati ai CWB. Le costrizioni organizzative sono state valutate in tutti gli studi e sono
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emerse correlazioni in maniera costante con i CWB quando tutte le variabili erano auto
riportate (correlazioni da 0,26 per i CWB diretti verso le persone, a 0,48 per il CWB
generale). Alcuni di questi studi includono il conflitto interpersonale, che correla in modo
significativo in tutti i casi tranne con il CWB diretti all’organizzazione (Goh et al., 2003)
da 0,19 per il CWB generale, a 0,40 per quanto riguarda invece il CWB diretti alle
persone. Negli studi di Fox et al. (2001) e di Goh et al. (2003), il CWB-P correla
maggiormente che il CWB-O con il conflitto interpersonale; ciò indica che le risposte
degli individui di fronte al conflitto sono più probabilmente indirizzate verso le persone
che verso le organizzazioni. Per quanto riguarda il carico di lavoro, Miles et al. (2002)
hanno trovato una correlazione significativa di 0,21 con il CWB generale, ma Goh et al.
(2003) non sono stati in grado di replicare lo stesso risultato.
Glomb (2002) ha intervistato degli impiegati sulle loro esperienze di CWB-P; un’analisi
del contenuto ha dimostrato che l’antecedente più frequente di uno scontro aggressivo
è uno stressor lavorativo. In altre ricerche invece sono stati considerati l’ingiustizia
percepita, le minacce percepite, i conflitti interpersonali sia legati al lavoro che come
problemi personali. I risultati di questi studi sono coerenti con gli studi di Spector e Fox,
(2004) che impiegano scale quantitative.
Diversi studi hanno collegato i CWB all’ingiustizia, nonostante alcuni risultati abbiano
dimostrato esiti poco soddisfacenti, soprattutto per quanto riguarda la giustizia
distributiva (Spector & Fox, 2004). Considerando invece i CWB-P, sono emerse
correlazioni significative in diverse ricerche (per esempio Aquino, Lewis & Bradfield,
1999; Skarlicki & Folger, 1997), ma in altre no (Bennett & Robinson, 2000; Fox et al.,
2001). Greenberg e Barling (1999) hanno dimostrato che il target dei CWB può
rappresentare un elemento critico: dalle loro ricerche è emerso che i CWB diretti verso i
superiori sono legati alla giustizia distributiva, mentre i CWB che mirano i colleghi o i
subordinati non lo sono; nel caso dei CWB diretti verso l’organizzazione, le correlazioni
tra giustizia distributiva e CWB-O non sono significative (Aquino et al., 1999; Bennett &
Robinson, 2000; Fox et al., 2001). I risultati ottenuti con il costrutto di giustizia
procedurale sono più convincenti: per la maggior parte degli studi (Aquino et al., 1999;
Bennett & Robinson, 2000; Skarlicki & Folger, 1997) tale costrutto risulta
significativamente correlato con il CWB-P, mentre in altre ricerche non si ottengono le
stesse conclusioni (Fox et al., 2001). Per quanto riguarda la relazione con i CWB-O,
Bennett e Robinson (2000) e Fox et al. (2001) hanno riscontrato correlazioni
significative, mentre non è stato il caso per Aquino et al. (1999). Risultati significativi
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sono stati pubblicati invece per quanto concerne la giustizia interpersonale (Aquino et
al., 1999; Bennett & Robinson, 2000; Skarlicki & Folger, 1997).
In generale questi studi supportano l’idea che i CWB costituiscano una risposta agli
stressor lavorativi e ad altre condizioni che procurano emozioni negative. Il numero di
studi risulta piuttosto limitato, ma dimostrano comunque che il conflitto interpersonale, le
costrizioni organizzative, l’ambiguità di ruolo, il conflitto di ruolo e anche il carico di
lavoro sono elementi importanti. Anche l’ingiustizia è potenzialmente importante,
nonostante le correlazioni con i CWB siano variabili; ciò suggerisce che ci sono ulteriori
fattori moderatori che potrebbero aiutare a capire quali sono i casi in cui l’ingiustizia può
condurre ai CWB (Spector & Fox, 2004).
2.2 Relazioni dei CWB con le Emozioni e la Soddisfazione Lavorativa
Il modello di Spector e Fox (2004) considera i CWB una risposta a situazioni
organizzative che suscitano emozioni, in particolar modo frustrazione e rabbia. Diversi
autori sono arrivati a questa conclusione usando varie classificazioni dei CWB (Fox &
Spector, 1999; Storms & Spector, 1987). Chen e Spector (1992) hanno riscontrato che
una misura della rabbia sul luogo di lavoro correlava maggiormente con i CWB di
alcune misure della frustrazione, hanno anche trovato relazioni significative tra
frustrazione e aggressione e tra frustrazione e ostilità, mentre non hanno trovato
relazioni significative con sabotaggio e furto. Comunque sia, tutte e quattro le scale
correlavano in maniera significativa con una misura della rabbia.
In tre studi (Fox et al., 2001; Goh et al., 2003; Miles et al., 2002), il CWB è stato messo
in relazione con una misura più generale delle emozioni positive e negative al lavoro,
con l’ausilio della Job-Related Affective Well-Being Scale (Van Katwyk, Fox, Spector &
Kelloway, 2000), uno strumento che valuta l’esperienza di diverse emozioni al lavoro.
Le correlazioni sono scaturite significative per tutte le emozioni negative, con
correlazioni fino a 0,45; mentre non è stato il caso per le emozioni positive, in cui solo
un terzo delle correlazioni erano significative, però in tutti i casi il CWB era associato
negativamente con l’esperienza emotiva positiva.
Diversi studi hanno dimostrato che la soddisfazione lavorativa correla con i CWB (Chen
& Spector, 1992; Duffy, Ganster & Shaw, 1998; Fox & Spector, 1999; Goh et al., 2003;
Kelloway, Loughlin, Barling & Nault, 2002; Penney & Spector 2003). Per quanto
riguarda i CWB-O, le correlazioni sono risultate maggiori rispetto ai CWB-P:
rispettivamente -0,45 e -0,14 nelle ricerche di Fox e Spector (1999) con solo il dato
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riguardo i CWB-O significativo. Risultati simili li troviamo anche negli studi di Goh et al.
(2003).
2.3 CWB e Controllo
Nel loro modello, Spector e Fox (2004) ritengono che il controllo sia un elemento
centrale nel processo di CWB, e sono due i momenti in cui presumibilmente può
produrre effetti. Innanzitutto le situazioni controllabili sono più difficilmente percepite
come stressor, e perciò più difficilmente degenerano in emozioni negative (Spector,
1998).
Consideriamo ad esempio una situazione in cui un individuo lavora con scadenze
strette, quando arriva una richiesta urgente dalla direzione, se la persona crede che
potrà gestire il carico di lavoro abituale, verrà considerato come un fastidio minore che
potrà ritardare il normale completamento di un compito per poco tempo; se invece la
persona in questione non riterrà di poter riorganizzare il tempo e le priorità, molto
probabilmente avrà una reazione di rabbia o ansia dovuta all’impossibilità di terminare il
lavoro. La reazione potrà essere anche estrema se le conseguenze del non avere
completato il lavoro sono severe (essere licenziato) e se la persona non ha accesso ad
ulteriori risorse.
Spector (1998) sostiene che per esercitare un’influenza sulla percezione degli stressor,
il controllo deve essere esercitato sugli stressor ambientali stessi. Ad esempio, essere
autonomi nel gestire il proprio carico di lavoro, può essere efficace per diminuire la
percezione dello stesso in quanto stressor lavorativo, ma probabilmente ha uno scarso
impatto sugli elementi sociali di stress. Nella maggior parte dei casi, gli strumenti di
misura del controllo indagano una sezione limitata del controllo, che si focalizza
soprattutto sull’autonomia nello svolgimento del lavoro.
Il secondo momento in cui si aspetta un effetto del controllo, riguarda il momento della
risposta di rabbia e come questa porti ai CWB. Si pensa che l’aggressione umana, che
sia contro persone o no, può essere considerata un risposta ad un senso d’impotenza.
Allen e Greenberger (1980) hanno esaminato la possibilità che un individuo ricorra alla
violenza per riequilibrare un senso di controllo.
Tutto ciò suggerisce che il controllo dovrebbe essere legato al CWB moderando la
relazione tra la risposta emotiva e la messa in atto dei CWB (Spector, 2004). Purtroppo
sono pochi gli studi sugli effetti del controllo sui CWB. Fox et al. (2001) hanno incluso
una misura dell’autonomia nei loro studi sui CWB; è emerso che questa correlava
15
significativamente con il CWB-O (-0,25) ma non con il CWB-P (-0,05). Tuttavia negli
studi di Goh et al. (2003) che hanno replicato la ricerca, l’autonomia non correlava con
nessuna delle due misure dei CWB. Fox et al. (2001) hanno condotto uno studio che
indagava il ruolo dell’autonomia come moderatore tra stressor e CWB, evidenziando un
effetto significativo in due casi su otto, tra i CWB-P e i conflitti interpersonali e CWB-P e
costrizioni organizzative, ma entrambe in direzioni opposte rispetto alle aspettative. I
partecipanti con alta autonomia erano più soggetti a mettere in atto i CWB di fronte ad
elevati livelli di stress: apparentemente un’elevata autonomia moltiplica le probabilità di
rispondere agli stressor con CWB-P, nonostante gli individui con elevata autonomia
avessero minori probabilità di agire dei CWB-P. Probabilmente questi risultati riflettono il
fatto che le persone con maggiore autonomia sono in posizioni di potere più elevate, e
quindi per loro è più facile rispondere agli stressor reagendo con CWB rivolti verso le
persone. A supporto di questa conclusione, Fox e Spector (1999) hanno riscontrato che
l’abilità percepita di ―danneggiare la propria compagnia o fare confusione al lavoro‖
senza essere visti, predice sia i CWB rivolti verso l’organizzazione che verso le persone
(rispettivamente 0,39 e 0,30).
2.4 CWB e Personalità
E’ ovvio dire che ci sono differenze individuali nel mettere in atto CWB, e che la
personalità gioca un ruolo critico (Spector, 2004). Molte ricerche hanno cercato di
stabilire le misure che predicono il furto e altri comportamenti controproduttivi. Alcune di
queste presumono l’uso di test della personalità, generalmente indagata tramite il
modello dei cinque grandi fattori (Big Five). Le conclusioni basate su meta-analisi hanno
evidenziato che tali test predicevano i CWB, e in particolar modo la coscienziosità era il
miglior predittore (Salgado, 2002; Hough & Ones, 2001; Sackett & DeVore, 2001). Il
limite maggiore di questo lavoro è che la maggior parte di esso non propone un’analisi
del processo sui CWB ma piuttosto è condotto per scopi di applicazione nella selezione
del personale.
Nel modello troviamo diverse variabili di personalità per il loro legame con il controllo e
le emozioni negative, e queste variabili comprese nel modello fanno riferimento a delle
differenze individuali nel mettere in atto determinate reazioni emotive e sono: la ―Rabbia
di tratto‖ –Trait Anger– (Spielberger, Krasner & Solomon, 1988), L’‖Ansia di tratto‖ –
Trait Anxiety–, il narcisismo e il locus of control. Analizziamo in particolare le prime due
variabili.
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Trait anger (Spielberger, Krasner e Solomon, 1988) è la tendenza a rispondere alle
situazioni con rabbia, le persone con una rabbia di tratto elevata riportano frequenti
esperienze di rabbia e sono ipersensibili alle provocazioni. Trait anxiety è simile ma fa
riferimento alla tendenza di vivere le situazioni con ansia.
Diverse tendenze affettive sono comprese nel costrutto NA (Watson e Clark, 1984),
Negative Affectivity, ossia la tendenza ad avere esperienze di emozioni negative nel
tempo e in diverse situazioni.
Tornando al modello, le emozioni negative sono considerate dei precursori del mettere
in atto CWB, il che significa che i tratti di personalità che fanno riferimento a risposte
emotive potrebbero essere rilevanti e influenzare la presenza di CWB. Prendendo in
considerazioni gli studi svolti, sono state trovate alte correlazioni del tratto della rabbia
con i CWB (Douglas e Martinko, 2001; Fox e Spector, 1999; Fox et all, 2001; Miles et
all, 2002; Penney e Spector, 2002). Ad esempio Douglas e Martinko trovarono una
correlazione di .68 tra il tratto della rabbia e i CWB. Fox e Spector trovarono invece una
correlazione di .57 tra il tratto ei CWB organizzativi (CWB-O) e di .50 tra il tratto i CWB
personali (CWB-P). Fox et al. (2001) hanno condotto una regressione moderata per
determinare se la rabbia moderi la relazioni tra stressor e CWB. Solo una delle otto
analisi è risultata statisticamente significativa, fornendo quindi scarso supporto a questa
ipotesi. Il limite delle ricerca è il fatto che si basava interamente su valutazioni auto
riportate, così il test di moderazione era tra la percezione dello stressor e il CWB;
potrebbe darsi quindi che l’effetto della rabbia sia nella percezione dell’ambiente e così
potrebbe moderare la relazione tra lo stressor ambientale e lo stressor percepito, che
porterebbe in seguito alla rabbia e poi ai CWB. In altre parole, nel momento in cui è
valutata la percezione, l’effetto moderatore della rabbia si è già verificato.
Tornando ad analizzare il tratto della rabbia, Spielberger e colleghi suddivisero questo
tratto in due fattori: Angry Temperament (T-anger/T) e Angry Reaction (T-anger/R). Il
primo descrive differenze individuali nella disposizione generale di vivere la rabbia
senza che venga provocata, mostrando temperamenti di impulsività e rabbia non
provocati. Il secondo descrive invece reazioni di rabbia a specifiche situazioni
caratterizzate da frustrazione e critica, queste reazioni possono poi essere espresse o
represse. Fox e Spector (1999) trovarono che t-anger/t correlava con i CWB personali,
mentre t-anger/R correlava con i CWB organizzativi. Anche il tratto di ansia mostra
correlazioni con i CWB ma in misura minore rispetto alla rabbia, il tratto di ansia correla
infatti con i CWB per valori compresi tra lo .20 e lo .40 (Fox e spector, 1999; Fox 2001).
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Questi studiosi hanno ugualmente condotto dei test di regressione, e hanno evidenziato
effetti di moderazione significativi in due casi su otto: tra conflitto interpersonale e CWB-
P e tra costrizioni organizzative e CWB-P. In entrambi i casi, gli individui con elevati
livelli nell’ansia hanno mostrato una inclinazione maggiore a reagire con i CWB di fronte
agli stressor lavorativi. Come nel caso della rabbia, parte del problema nel trovare
supporto all’effetto di moderazione è che esso potrebbe verificarsi prima della
percezione, anziché dopo.
Analizziamo ora le altre due variabili di personalità considerate centrali come la rabbia e
l’ansia. Le due variabili sono il narcisismo e il locus of control.
Penney e Spector (2002) hanno indagato il ruolo del Narcisismo nei CWB basandosi su
una teoria della minaccia del sé e dell’aggressione (Baumeister, Smart & Boden, 1996),
e ipotizzando che gli individui narcisistici metterebbero in atto con maggiori probabilità
CWB, specialmente in risposta alle minacce. La teoria suggerisce che alcuni individui
sono più sensibili alle minacce nei confronti del proprio ego; eventi o situazioni che
compromettono la visione favorevole del proprio sé, che porterebbero quindi a risposte
sproporzionate di rabbia e aggressione. L’individuo narcisistico ha una visione di sé
ingrandita e irrealistica delle proprie capacità; si aspetta di essere migliore degli altri e di
dominare in diverse situazioni. Ogni informazione che può smentire questa visione
infondata di sé è considerata una minaccia, e facilmente si assiste a reazioni di rabbia e
di conseguenza a CWB. Gli autori hanno trovato conferma di questa teoria in quanto il
narcisismo correla in maniera significativa con il CWB (0,27).
Il locus of control (Rotter, 1966) è un tratto più cognitivo che affettivo, e riguarda le
credenze generalizzate di una persona sul controllo che può esercitare sugli eventi che
hanno la potenzialità di gratificare o di recare danno. Gli individui con un locus of control
interno ritengono di esercitare un controllo, mentre gli individui con un locus of control
esterno credono che il controllo non risieda in loro. In quanto variabile di personalità, il
locus of control riflette una tendenza individuale e si distingue dalla percezione di
controllo in particolari situazioni. Come evidenziato dal modello suggerito
precedentemente, il controllo è un elemento fondamentale nel processo di attuazione
dei CWB, e dunque il locus of control risulta importante in quanto riflette la tendenza di
un individuo nel credere nella controllabilità degli eventi.
Nello studio di Perlow e Latham (1993) è emersa la migliore prova a sostegno del
collegamento tra locus of control e CWB: i punteggi nella scala del locus of control
predicevano il licenziamento di operatori per aggressioni a pazienti ricoverati in un
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centro di cure. Due ricerche hanno successivamente replicato la relazione tra locus of
control e CWB (Fox & Spector, 1999; Goh et al., 2003), e in entrambe è emersa una
relazione significativa con i CWB diretti verso l’organizzazione (0,19 e 0,32) ma solo
nello studio di Fox e Spector (1999) è emersa una correlazione significativa per i CWB
diretti verso le persone. Storms e Spector (1987) hanno testato l’effetto moderatore del
locus of control sulla relazione tra frustrazione e CWB avvalorando l’ipotesi che gli
individui con locus of control esterno erano più propensi a reagire alle frustrazioni
mettendo in atto dei CWB, utilizzando sia la regressione che confronti sulle correlazioni
dei sottogruppi.
2.5 Problemi metodologici
La ricerca sui CWB costituisce una sfida a causa della natura dannosa e a volte illegale
di questi atti. Per questa ragione, si è fatto spesso ricorso a questionari anonimi self-
report: l’anonimato consente ai partecipanti di essere onesti nelle loro risposte, poiché
essere colti mentre si mettono in atto questi comportamenti potrebbe condurre in
sanzioni o anche azioni legali. I questionari sono una modalità necessaria visto che
l’individuo è nella migliore posizione per sapere quello che ha fatto, e i motivi che aveva
per farlo. La maggior parte di questi comportamenti sono eseguiti di nascosto,
soprattutto quelli verso l’organizzazione. Considerando che le persone sono contrarie
ad ammettere di avere commesso atti impropri o illegali, è ragionevole pensare che
nonostante il questionario sia anonimo, l’incidenza dei CWB sia sotto-stimata. Ciò
implica che le correlazioni che emergono tra i CWB e le altre variabili siano attenuate,
perché alcune persone saranno meno oneste di altre nelle loro risposte, producendo
errori nella valutazione (Spector, 2004). E’ possibile che gli individui che mettono
maggiormente in atto dei CWB siano paranoici e temano di essere colti, quindi
tenderanno a negare, a dispetto magari di quelli che attuano minori CWB che
probabilmente lo ammetteranno con maggiore facilità.
L’affidamento ad un’unica fonte d’informazione limita l’affidabilità delle conclusioni
raggiunte: possibile quindi che le correlazioni tra i CWB ed altre variabili (valutate
attraverso misure self-report) siano invece determinate da terze variabili che non
vengono misurate. La relazione tra CWB ed altre variabili potrebbe essere il risultato di
alcuni bias condivisi tra scale, insieme di risposte, fattori ambientali non misurati o
caratteristiche personali non riconosciute. Per esempio, Perlow e Latham (1993), hanno
somministrato una scala del locus of control ad un campione di operatori che sono stati