Fatta questa premessa occorre ora definire la natura del rapporto tra cinema e storia,
così nuovo sia nel quadro storiografia in generale sia per quanto riguarda la legittimità
delle fonti. Le domande che mi sono posta, e che per primi si sono posti Marc Ferro e
Pierre Sorlin, di fronte alla grande quantità di filmati, soprattutto relativi alle guerre
mondiali, sono se esiste una visione filmica della storia, se attraverso il cinema si possa
ricostruire il passato e in che modo anche la cinematografia di finzione possa aiutare la
ricerca storica. Sorlin risponde a questi quesiti definendo la storia come “attività di
restituzione e di riordinamento del passato”
4
che lo storico mette in forma attraverso lo
strumento della scrittura. Per Sorlin la “messa in forma” della storia può avvenire anche
attraverso un altro mezzo, quello filmico e, inequivocabilmente, arriva a sostenere che
“nel futuro, lo storico dovrà usare insieme la lingua e la pellicola per risuscitare il
passato. (...). Oggi, siamo ancora sul terreno della storia scritta, una storia che deve
includere il cinema tra le sue fonti”
5
.
Marc Ferro, storico marxista, sostiene che primo compito dello storico è quello di
"restituire alla società la storia di cui gli apparati istituzionali la espropriano", per fare
questo lo storico deve servirsi di ogni mezzo, compreso quello filmico, per "filmare,
interrogare quelli che non hanno mai diritto alla parola, coloro che non possono lasciare
testimonianze"
6
.
4
SORLIN P., Storia e cinema: tra immagini e realtà, in AA. VV., La cinempresa e la storia. Cit., p. 8.
5
Ibid., p. 9.
6
FERRO M., Cinema e storia .Cit., p. 89.
Altri storici invece danno risposte più articolate distinguendo tra semplici riprese del
reale, documentari, film costruiti con immagini reali e film di fantasia, e quindi
analizzano tali prodotti attraverso forme diverse di interpretazione storica. Alcuni storici
non attuano la distinzione tra “fiction” e documentario, come nel caso di Nicola
Tranfaglia e di Gianni Rondolino
7
, i quali ritiengono che anche nel documentario
l’autore non può prescindere da sè stesso, nel senso che anche chi monta immagini del
reale o riprende degli episodi nel momento in cui questi stanno accadendo lascia nei
suoi lavori un’impronta personale indelebile.
Tuttavia, a parere di Antonio Mura non tutti i documentari o film definiti storici hanno
un valore storico: occorre scegliere attraverso studi diversificati per argomenti
riguardanti l'immagine, la colonna sonora, le didascalie.
La conclusione alla quale giungono però i diversi approcci relativamente all'utilizzo del
mezzo filmico nella ricostruzione del passato è unanime
8
. Riprendendo il pensiero di
Benedetto Croce secondo cui "tutta la storia è storia contemporanea" Mura giunge al
nodo centrale della sua analisi sostenendo che i film interessano indirettamente lo
storico nel senso che essi sono "documenti del modo di intendere la storia in un dato
ambiente e in una data epoca"
9
. Per Mura tutti i film riflettono quelle che erano le
concezioni storiografiche degli ambienti cinematografici, ma anche della società nel suo
complesso, di ciascun paese, nel tempo in cui i film furono girati. E' invece molto
7
TRANFAGLIA N., Fonti visive e divulgazione storica. Appunti su storia, cinema e televisione, in
AA.VV., La cinepresa e la storia. Cit., pp. 17-21.
8
Vedi anche AA. VV., Cinema, stora, Resistenza (1944-1985), atti della rassegna-convegno
“Antifascismo e Resistenza nella storia della cinematografia italiana” organizzato dall’Istituto Storico
della Resistenza in Valle D’Aosta, Pont-Saint-Martin 1 febbraio-3 marzo 1985, Franco Angeli, Milano,
1987; MIDA M. e VENTO G., Cinema e Resistenza, Luciano Landi Editore, Firenze, 1959.
9
MURA A., Film, storia, storiografia. Cit., p. 154.
critico nei confronti di quei film o documentari storici che vorrebbero svolgere una
funzione didattica e non reputa importante l'analisi della autenticità degli eventi
raccontati se non allo scopo di cercare le ragioni che hanno portato un certo autore o un
certo regime alla falsificazione delle fonti. Mura però mantiene un punto fermo nella
sua analisi ed è quello di ritenere comunque tutti i film storici “solo opere di fantasia"
10
.
Ferro giunge ad una analoga conclusione attraverso un percorso analitico simile a quello
di Mura; anch'egli parte dalla visione crociana della storia e dall'approccio attualizzante,
ma il suo punto di arrivo è un’interpretazione più radicale. Per Ferro "la storia è
analizzata dal punto di vista di chi si è attribuito la gestione della società"
11
e quindi
attraverso il cinema si può ricercare l'immagine che i detentori del potere hanno della
storia e della società del passato. In più Ferro riconosce nella gerarchia delle fonti, che
si è formata nel corso dei secoli, la gerarchia del potere e pertanto alla fine degli anni
'70 come all'inizio del XX secolo la cinematografia ne occupa il gradino più basso.
L'autore è però ottimista e ritiene che nonostante la censura o la finzione “anche se
sorvegliato un film testimonia”
12
e permette quindi allo storico la scoperta di ciò che un
regime avrebbe voluto nascondergli.
Per ritornare al discorso della funzione didattica del film storico, che Mura esclude,
Brunetta sostiene che il film ha un impatto diretto sul pubblico e ne “dilata la capacità di
comprensione (...) E' una narrazione che non innova nei confronti della ricerca storica
ma ne recepisce i risultati più consolidati”
13
. Il film è pertanto opera di sintesi e di
10
Ibid., p. 154
11
FERRO M., Cinema e storia. Cit., p. 95.
12
Ibid., p. 99.
13
BRUNETTA G.P., La cultura cattolica di fronte alla cinematografia sulla Resistenza, in AA. VV.,
Cinema, storia, resistenza. Cit., p.42.
divulgazione non analitica ma descrittiva. Il Neorealismo stesso assolve, in parte, anche
alla funzione didattica; vedremo che molti film sulla Resistenza sono di impronta
neorealistica e pertanto ritengo di dover far mia l’idea della funzione anche didattica
della cinematografia dell’immediato dopoguerra. Tranfaglia ritiene, inoltre, che l’uso
delle fonti visive nell’insegnamento sia importante pur ritenendo necessario integrare i
diversi strumenti didattici
14
per evitare “l’appiattimento del passato” dal quale ci mette
in guardia lo storico Valerio Castronovo
15
sulla scorta di precedenti analisi condotte dal
sociologo delle comunicazioni Mc Luhan.
Se si analizza il cinema non dal punto di vista semiologico o estetico, ma come oggetto
con significati nuovi e diversi da quelli prettamente cinematografici, si vedrebbe che il
film non vale solo per ciò che testimonia, ma come specchio (anche negativo) del
mondo che lo circonda con il quale è necessariamente in rapporto. Portando avanti
questo tipo di analisi è importante mettere in rapporto il film con il suo autore, pubblico,
produttore ma anche con la critica e il regime nel quale esso è venuto alla luce, nel
tentativo così di comprendere la realtà contenuta nell'opera ma soprattutto la realtà che
sta al di fuori dell'opera stessa. Questo è uno degli argomenti che Ferro sviluppa
giungendo a definire la storia nel cinema una "contre-histoire pour autant que, fiction ou
pas, une image est toujours depassée par son contenu: ainsi elle n'est pas la simple
reproduction du "réel", de ce que l'operateur juge etre la réalité"
16
.
14
TRANFAGLIA N., Fonti visive e divulgazione storica, in AA. VV., La cinepresa e la storia. Cit.
15
CASTRONOVO V., Mass media e storia contemporanea, in “Società e storia”, 1981, n° 11.
16
FERRO M., L'histoire sous sourveillance, science et conscience de l'histoire, Paris, 1985, p. 96.
Questo sarà e potrà essere il punto di partenza di un diverso tipo di approccio
storiografico alla cinematografia. La ricerca di quella che è la visione del passato da
parte della società contemporanea e, inoltre, la ricerca delle ragioni e dei nessi che
hanno prodotto quel tipo di visione della storia in una determinata società.
2) Il cinema e la Resistenza
Date queste indicazioni di ordine teorico, intraprendo lo studio di un definito periodo
della storia italiana: la Resistenza. Il mio interesse verso questo tipo di analisi è stato
stimolato da diversi fattori, primo fra tutti l’idea di potermi servire di fonti alternative a
quelle tradizionali per la ricostruzione storica, e in particolare delle fonti visive. Ho
illustrato più sopra come, nel corso degli ultimi decenni, alcuni storici abbiano
riconsiderato l’uso di documenti filmici, e non solo di tipo documentaristico, riuscendo
a distinguere nell’analisi le diverse implicazioni artistiche e stilistiche da quelle invece
più vicine alla loro disciplina.
Personalmente, ho voluto applicare questo tipo di approccio della ricerca storica a un
periodo, per me, di grande interesse quale è la Resistenza. La scelta di studiare la guerra
italiana tra il ‘43 e il ‘45 non è stata casuale in anni in cui è stato riaperto un dibattito
storiografico (che comunque ha subito vari mutamenti nel corso dei decenni che ci
separano dagli eventi) teso a rivalutare e ad analizzare aspetti poco visitati negli anni
precedenti. Inoltre, il mio interesse personale nasce dall’esigenza (giovanile, di chi ha
sentito parlare di Resistenza e di Guerra Mondiale solo in qualche racconto di persone
anziane o in qualche romanzo di Levi, di Calvino, di Fenoglio) di scoprire quali sono
state le implicazioni della Resistenza stessa nella storia italiana e quali le influenze che
hanno portato il paese alla sua attuale fisionomia.
Naturalmente anche l’interesse per il cinema come forma artistica e di svago ha avuto la
sua parte nella scelta del tipo di ricerca da portare avanti.
La Resistenza nel cinema italiano ha avuto una importante posizione, con periodi più
ricchi di produzioni e periodi più poveri. La cinematografia resistenziale è suddivisibile
in due momenti fondamentali secondo una classificazione uniformemente accettata
17
e
facilmente riscontrabile nella cronologia delle produzioni. Esiste un primo ciclo che va
dal 1945 al 1951 detto della "Resistenza vissuta" e un secondo ciclo tra il 1959 e il
1963, periodo di ripresa del tema, il quale invece fu praticamente abbandonato tra il
1951 e il 1959. Dopo il 1964 ci fu una caduta del tema resistenziale nella cinematografia
italiana, ma la produzione ha mantenuto un certo ritmo, nel proporre film sulla guerra di
liberazione, che giunge fino ai giorni nostri
18
.
Lo studio della succesione nel tempo dei film sull'argomento Resistenza è già un punto
di partenza, o potrebbe diventarlo, per cercare di comprendere e spiegare come la
cinematografia italiana abbia ricordato e rappresentato un'importante fase della storia
del nostro paese. Anche la cinematografia ci può aiutare nella conoscenza di un periodo
controverso che se alle origini, cioè alla fine della Seconda Guerra Mondiale, era
interpretato univocamente, nel corso degli anni è stato rivisitato con nuovi approcci
storiografici che si sono fatti avanti. Il cinema sembra anticipare, nei primi decenni, le
17
Cfr. CEREJA FEDERICO, La cinematografia sulla Resistenza nella storia italiana (1944-1964), in
AA. VV., Cinema, storia, Resistenza. Cit., p.17.
18
Cfr. saggi di Cereja, De Luna, Sorlin, Brunetta, Giannarelli, Gobetti in AA. VV., Cinema, storia,
Resistenza. Cit.; Sorlin, Tranfaglia, Brunetta, Ortoleva, Flores, Campari in AA. VV., La cinepresa e la
storia. Cit.; MURA A., Film, storia, storiografia. Cit.
fasi dello sviluppo della storiografia sulla Resistenza, ma quando la storiografia riesce a
rendersi autonoma dalla letteratura, il cinema prosegue per un percorso indipendente.
Ciò ha contribuito al fiorire di nuovi settori di ricerca, nel campo del rapporto tra
cinema e storia, soprattutto a partire dagli anni '70 con l'emergere di nuovi soggetti
politici e della storia dei marginali che hanno prodotto quella che Jean-Claude Schmitt
chiama "una rivoluzione copernicana"
19
.
De Luna
20
colloca i film sulla Resistenza all'interno di questo contesto storiografico per
poi analizzarli come forma peculiare di storiografia e come fonte per la storia della
storiografia e valutarne in un secondo tempo il livello di autonomia rispetto alla
storiografia in senso proprio.
Nella sua analisi Federico Cereja va invece alla ricerca delle ragioni che hanno condotto
lo sviluppo della cinematografia resistenziale e lo fa riferendosi ai film e ai loro autori
visti nel loro tempo, cioè inquadrando le pellicole nel periodo in cui sono state girate e
prodotte per fare un tipo diverso di storia. Nell'analisi della Resistenza attraverso il
cinema italiano non si vuole fare nè la storia del cinema nè la storia della Resistenza; lo
scopo di questo tipo di ricerca è quello di svelare i rapporti tra una società e il suo
passato, tra gli uomini del presente e quelli del passato.
Nel campo cinematografico saranno i cattolici che alla fine della Seconda Guerra
Mondiale daranno un grande impulso, grazie soprattutto al numero di sale di proiezione
a loro disposizione. Inoltre, i "cattolici sono la forza più organizzata in campo
19
SCHMITT JEAN-CLAUDE, La storia dei marginali, in LE GOFF (a cura di), La nuova storia,
Mondadori, Milano, 1980, p. 259.
20
DE LUNA G., Cinema e Resistenza negli anni ‘70, in AA. VV., Cinema, storia, Resistenza. Cit., pp. 30-
56.
cinematografico (...) grazie al Centro Cattolico Cinematografico"
21
. Questo fatto ci pone
di fronte ad un'altra questione che è quella dei rapporti tra cinema resistenziale e
cattolicesimo e tra cattolicesimo, Partito Comunista e sinistra in senso più allargato, la
quale rimane una delle forze maggiormente coinvolte nella guerra di liberazione e
quella che nel dopoguerra raccoglie nelle sue fila un gran numero di intellettuali anche
del cinema.
Un’altra questione riguarda la rimozione dei "fantasmi del passato”
22
per alcuni registi
cattolici che avevano fiancheggiato il regime con la loro opera; tra i tanti Rossellini,
Blasetti, Marcellini.
Brunetta ritiene che “il campo della gente di cinema si presenta, nell'immediato
dopoguerra, come una nebulosa morale e ideologica in cui la perdita del centro non
viene facilmente ricomposta”
23
. Il cinema del dopoguerra è un luogo neutrale dove
amicizie e collaborazioni possono essere mantenute nonostante la guerra fredda e la
logica dei fronti contrapposti. Questo non toglie che i cattolici abbiano portato avanti
una crociata morale e anticomunista nell'ambito cinematografico indirizzando il
pubblico verso produzioni americane per distoglierlo dal neorealismo italiano.
I brevi accenni fin qui fatti ai rapporti tra cinema, storia e Resistenza pongono di fronte
a storici di diversi orientamenti e scuole un vasto campo di ricerca per la conoscenza del
passato. Poichè lo studio della cinematografia, dal punto di vista storico, significa studio
di due società lontane nel tempo ma necessariamente in relazione tra loro, ogni aspetto
21
BRUNETTA G.P., La cultura cattolica di fronte alla cinematografia sulla Resistenza., in AA. VV.,
Cinema, storia, Resistenza. Cit., p.80.
22
Ibid., p. 75.
23
Ibid., p. 78.
delle due età deve essere valutato. Così lo storico della mentalità eleva a status di fonte
il cinema: “ogni cosa è fonte per lo storico della mentalità, anche e soprattutto il cinema
se si parla di storia contemporanea”
24
.
Prima di entrare nel vivo dell’argomento devo fare alcune precisazioni:
a) nel corso del mio studio parlerò di Resistenza nella sua accezione storica, come
evento verificatosi tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945. Molti registi infatti parlano
di Resistenza in modo più ampio, la vedono come un impegno da portare avanti e una
condotta da seguire anche nella realizzazione dei propri film;
b) il mio punto di riferimento, per quanto riguarda la storia della Resistenza in Italia,
sarà il saggio di Claudio Pavone Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella
Resistenza (1991) dal quale attingo il concetto di guerra civile;
c) l’analisi qui condotta si sviluppa attraverso tre piani temporali: il tempo resistenziale,
il tempo in cui i film sono stati girati e, in parte, il tempo presente, l’oggi. Cercherò di
illustrare come la memoria della Resistenza abbia subito delle trasformazioni attraverso
queste tre ottiche nella cinematografia italiana.
24
Ibid., p. 42.
Capitolo1
Il cinema del dopoguerra
Quando il 25 aprile 1945 finisce la guerra in Italia Roberto Rossellini sta già lavorando
al suo primo capolavoro del dopoguerra: Roma città aperta, che uscirà nell’autunno
dello stesso anno. Con questo film si apre una nuova stagione per il cinema italiano,
proprio nel momento di passaggio dall’era delle guerre
25
a quella della memoria. Roma
città aperta è il primo film di finzione
26
che affronta il tema della Resistenza ed è anche
il film riconosciuto come iniziatore del neorealismo nel cinema. Il cinema sarà, insieme
con la memorialistica, uno dei primi mezzi attraverso cui alcuni uomini intraprendono la
strada della memoria; se è vero che l’atteggiamento generale degli italiani è quello di
dimenticare in fretta e di ricostruire il paese è anche vero che esiste chi dedica il proprio
lavoro e la propria opera alla memoria perchè non sia dimenticato quel periodo della
storia d’Italia.
Attraverso il cinema registi e attori cercano, a loro modo, una chiave di lettura del
periodo che va dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 e tentano di illustrare che cosa
rappresentarono la Resistenza e la lotta di liberazione per molti uomini.
25
Vedi tesi di Claudio Pavone a proposito delle tre guerre (di liberazione, di classe e civile) in PAVONE
C., Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino, 1991.
26
Altri due film lo avevano preceduto, si trattava però ancora di documentari montati con immagini girate
direttamente mentre gli eventi si stavano svolgendo; i due film sono Giorni di gloria prodotto dall’ANPI
e diretto da Visconti, Pagliero, De Santis, Serandrei, l’altro è Aldo dice 26x1 documentario sulla
liberazione del Piemonte sempre prodotto dall’ANPI.
Paolo Gobetti sostiene che tutto il cinema dell’immediato dopoguerra è cinema
resistenziale poichè riuscì a sopravvivere e rinascere in un clima di grande ostilità
27
, egli
aggiunge che “in questi mesi il cinema sa diventare lo specchio di un’Italia nuova,
l’interprete di aspirazioni nuove verso una società che vorrebbe costituirsi su basi
nuove”
28
. Attraverso il cinema, per primo, si è tentato di fissare e diffondere in Italia i
valori fondanti della Repubblica e costruire quel mito fondativo che il paese non era
riuscito a trovare nel Risorgimento e nell’unità, non tutta l’Italia aveva conosciuto la
Resistenza e la guerra di liberazione ma lo può fare ora attraverso le immagini proposte
da Rossellini, Vergano, De Santis, Lizzani e altri ancora. Inoltre il cinema tenta a modo
suo la via della ricostruzione, che non è quella concreta di case e fabbriche, ma quella
morale delle coscienze di chi per vent’anni aveva vissuto sotto il regime, dei
giovanissimi che non avevano conosciuto altro che il fascismo, di coloro che
combatterono la guerra partigiana con le sue implicazioni di violenza e lotta fratricida.
Lo stesso Rossellini sostiene in una sua intervista autobiografica che “subito dopo la
guerra, tutto era distrutto in Italia. Il cinema come ogni altra cosa (...). Si poteva godere
di un’immensa libertà (...). Fu questo stato di cose a permetterci di intraprendere lavori
di carattere sperimentale; (...) I film divenivano opere importanti”
29
.
27
A questo proposito si veda l’intervento di Gobetti al dibattito tenutosi a Torino il 5 novembre 1994
all’interno della rassegna Il sole sorge ancora. Cinquant’anni di Resistenza nel cinema italiano dal titolo:
“Cinema, memoria, storia, Resistenza. Confronto registi, storici, protagonisti”. In attesa della
pubblicazione degli atti di questo incontro facciamo riferimento ad appunti personali riportati in
quell’occasione.
28
GOBETTI P. (a cura di), Memoria, mito, storia. La parola ai registi, I quaderni del nuovo spettatore
n°16/2, ANCR, Regione Piemonte, Torino, 1994, p. 7.
29
ROSSELLINI R., Il mio dopoguerra, in “Cinema Nuovo”, n° 70, 10 novembre 1955, p. 345.
1) I film del 1945-1948
Come già detto la nuova stagione del cinema italiano si apre con Roma città aperta, e si
consolida con i molti film prodotti in questi pochi anni sul tema resistenziale. Prendiamo
qui in considerazione le produzioni dei primi quattro anni del dopoguerra perchè il
1948, come si vedrà più analiticamente nei prossimi paragrafi, segna, con la vittoria
elettorale della DC, una svolta negli assetti politici precedenti; la campagna elettorale
per le elezioni del 18 aprile e la successiva vittoria della DC influenzeranno non poco le
sorti del cinema in Italia, sorti già molto precarie dopo l’approvazione della legge sul
cinema il 18 settembre 1945. Di questo si parlerà più approfonditamente nei paragrafi
successivi.
Passiamo ora alla rassegna e all’analisi dei film più importanti usciti tra il 1945 e il 1948
ai quali si può avere facile e sicuro accesso
30
.
30
Esistono alcuni film di cui non è più reperibile alcuna copia, come per Uno tra la folla di Ennio Cerlesi
e Piero Tellini del 1946, oppure di cui esistono poche copie non reperibili neppure all’ANCR, si tratta di
Umanità di J. Salvatori del 1946, Il corriere di ferro di F. Zavatta del 1947, Lo sconosciuto di San Marino
di Vittorio Cottafavi del 1947. Si ritiene, in seguito all’analisi delle recensioni dell’epoca in cui i film
sono usciti nelle sale cinematografiche, che non si tratti di film essenziali per la nostra ricerca. Con questo
non vogliamo cancellare del tutto il ricordo di queste opere, ma semplicemente appuriamo che nello
sviluppo e nella storia della cinematografia italiana resistenziale nessuno dei film sopracitati possa
comportare un mutamento nell’analisi che si vuole condurre. Del resto anche altri film di cui parleremo
sono utili per una visione globale della situazione senza però essere di fondamentale importanza, come
invece lo sono stati altri, nell’elaborazione delle nostre tesi. Di Umanità il critico de “Il Popolo”, Piero
Gadda Conti, dice il 10 ottobre 1946 “Umanità è un titolo piuttosto grandiosetto per un film così
mediocre (...) La storia è male raccontata e procede incerta (...) Tutto è stanco e risaputo (...) si rimane in
un clima di poco convincente documentario”. Per quanto riguarda Il corriere di ferro e Lo sconosciuto di
san Marino si hanno difficoltà nel trovare recensioni o riferimenti, non perchè andate perdute ma perchè
sono stati film poco rilevanti per il pubblico e per la critica. L’ultimo film che abbiamo incluso in questa
lista di dispersi è più importante degli altri; si tratta di Uno tra la folla. Di questo film troviamo diverse
testimonianze sia sulla stampa specializzata sia sui quotidiani più letti dell’epoca. Piero Gadda Conti de
“Il Popolo” in un articolo del 10 luglio 1946 parla male del film, lo definisce “molto mediocre nella
sceneggiatura e nella fotografia e addirittura pessimo nella colonna sonora” e aggiunge che “una totale
incomprensione della tragedia italiana mi sembra abbia presieduto all’ispirazione del film”. Nonostante le
aspre critiche il film arriva al pubblico e occupa spazio anche sulle pagine del “Nuovo Corriere della
Sera” sempre del 10 luglio e sempre molto criticato nella regia e giudicato “una commedia dialettale
imperniata sulla malinconia travettistica e sulle invenzioni di Eduardo De Filippo”.