1. Introduzione
1.1 Scopo del lavoro (Sciascia)
Le indagini a sismica passiva hanno iniziato ad essere largamente utilizzate dato il
loro basso costo e le informazioni che restituiscono. Da alcuni anni a questa parte, il
®
Tromino si è dimostro un semplice ed economico strumento finalizzato ad eseguire
misure veloci e precise per caratterizzare dal punto di vista sismico il terreno. Dato il
suo basso costo e la semplicità di utilizzo, si è voluto applicare questo strumento per
studiare i fenomeni franosi dell’Appennino Settentrionale.
Lo scopo di questa tesi è verificare la funzionalità di questo strumento applicato a
undici frane in terra dell’Alta Media Valle del Reno e cinque frane in roccia avvenute
nella Formazione Marnosa Arenacea in Romagna, in particolare si è provato a:
- ricostruire la stratigrafia derivata da centotrentadue sondaggi a carotaggio
®
continuo analizzando le misure con il software Grilla fornito con Tromino;
- caratterizzare dal punto di vista sismico gli strati che compongo i corpi franosi;
- identificare le tracce secondo un grado di difficoltà di analisi e correlare il dato
alla tipologia di corpo su cui è stata eseguita ogni misura.
Per poter eseguire questo lavoro, sono state raccolte ed analisi le descrizioni
stratigrafiche di tutti i sondaggi effettuati sulle sedici frane campione, fornite dalla
Comunità Montana Alta Media Valle del Reno e dal Dipartimento Di Scienze della
Terra e Geologico – Ambientale dell’Università di Bologna.
1
1.2 Fasi di lavoro
Il lavoro si è articolato nelle seguenti fasi:
1) Sono state scelte e analizzate sedici frane campioni su cui eseguire le misure
a sismica passiva;
2) Sono state raccolte, analizzate e rielaborate le stratigrafie dei sondaggi a
carotaggio continuo eseguiti sulle frane campione;
3) Sono state eseguite le misure a sismica passiva nelle vicinanze dei punti in
cui sono stati eseguiti i sondaggi a carotaggio continuo e sono stati acquisiti,
tramite GPS Trimble, l’ubicazione dei i siti di misura;
4) Sono state analizzate con Grilla le misure a sismica passiva acquisite con
®
Tromino accoppiando le stratigrafie alle tracce;
5) È stata eseguita la caratterizzazione in termini di Vs delle stratigrafie
analizzate;
6) È stato eseguito uno studio atto a definire le ragioni per cui alcune tracce
sismiche sono risultate anomale o di difficile interpretazione.
2
1.3 Scopo del lavoro (Caprara)
Grazie alle continue innovazioni tecnologiche e alla maggior conoscenza dei
fenomeni fisici che coinvolgono i terreni superficiali, si stanno diffondendo l’impiego di
®
tecniche di sismica passiva. In questo ambito, il Tromino, vista la semplicità di utilizzo
e interpretazione dei dati e i bassi costi di indagine, ha riscosso ampio successo come
strumento per la caratterizzazioni sismica dei suoli.
Per questi motivi il Servizio Geologico dell’Emilia Romagna ha deciso di verificare
la validità del suo utilizzo come strumento per un’analisi speditiva degli spessori di
coltre dei movimenti franosi.
È stato scelto un campione di sedici frane ben note dell’Appennino Settentrionale,
undici nella valle del Fiume Reno, nel settore caratterizzato dalle coltri Liguri, e nel
cinque settore romagnolo, di affioramento della Formazione Marnoso Arenacea.
La Comunità Montana dell’Alta-Media Valle del Reno, il Servizio Tecnico di Bacino
del Fiume Reno e il Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico - Ambientali
hanno fornito le descrizioni stratigrafiche di tutti i sondaggi eseguiti in ogni corpo di
frana. I dati sono stati raccolti ed elaborati in un foglio di calcolo.
Sono state, quindi, effettuate centoventisette misure tromografiche, associate ad ogni
sondaggio nel quale fosse segnalato il substrato, e analizzate con diverse tecniche.
Lo scopo finale del lavoro è di verificare se è possibile utilizzare un unico valore
medio di Vs per la coltre, in modo tale da poter determinare lo spessore dei corpi di
frana, anche quando non sono presenti altri dati ricavati da indagini dirette di taratura.
3
1.4 Fasi del lavoro
Il lavoro si è articolato nelle seguenti fasi:
1. Scelta delle frane campione in base ai dati disponibili e alla conoscenza
pregressa del cinematismo.
2. Raccolta e analisi delle stratigrafie dei sondaggi a carotaggio continuo
eseguiti sulle frane selezionate.
®
3. Esecuzione delle misure tromografiche con Tromino nelle vicinanze dei
sondaggi esaminati e ubicazione dei punti di misura tramite GPS Trimble.
4. Elaborazione delle tracce tramite l’utilizzo del software dedicato Grilla,
imponendo la profondità dello strato di coltre in base ai dati emersi
dall’analisi del Dott. Sciascia (Sciascia 2009).
5. Calcolo della velocità media delle onde S nello strato di coltre per le frane in
terra e per quelle in roccia.
6. Ulteriore elaborazione delle misure, imponendo le velocità medie ricavate
dalle analisi precedenti e dai dati ottenuti con lo strumento SOILSPY Rosina.
7. Studio dei valori ottenuti e confronto tra i dati estrapolati e i dati ricavati da
sondaggio.
4
2. Inquadramento geologico
2.1 Cenni di geologia regionale
L’Appennino settentrionale è una catena a falde (Elter, 1960; Reutter & Groscurth,
1978) sviluppatasi principalmente nel Terziario in seguito alla collisione tra la placca
continentale europea e la microplacca Adria connessa alla placca africana. La collisione
è avvenuta in seguito al processo di chiusura dell’oceano Ligure-Piemontese, ramo
occidentale della Tetide, interposto tra esse.
La catena deriva così dalla deformazione di differenti domini paleogeografici
distinguibili in due gruppi principali (Bortolotti, 1992):
Dominio Interno (Ligure o alloctono), posizionato nella parte occidentale
dell’Appennino settentrionale, corrispondente in larga parte all’area oceanica e
di crosta assottigliata africana (subligure).
Dominio Esterno (Tosco-Umbro o autoctono), posizionato nella parte Est
orientale dell’Appennino settentrionale, costituito da unità continentali di
pertinenza africana.
Il primo è composto di rocce di varia natura, prevalentemente sedimentarie di mare
profondo di età tra 150 e 45 milioni di anni. Sono frequenti rocce derivate dalla
solidificazione di lave basaltiche sottomarine di dorsale oceanica e scaglie di un
profondo e antico substrato (mantello) che per il loro colore scuro verdastro e per la loro
resistenza all’erosione, spiccano nel paesaggio appenninico.
Il secondo dominio è composto da una successione di rocce di origine sedimentaria e
di natura prevalentemente carbonatica, di mare meno profondo, con precipitazione di
sali per l’intensa evaporazione del mare, seguiti da una successiva intensa deposizione
5
Fig. 2.1: Schema geologico semplificato dell'Appennino settentrionale nel quale vengono indicati i
principali protagonisti della struttura geologica del territorio emiliano-romagnolo. Le linee più spese
indicano i contatti tettonici importanti (da Mutti et.al. 1975, semplificata)
di flussi torbiditici divisi nelle unità Toscane, più interne e antiche, caratterizzate dalla
formazione del Macigno, e le unità Umbro-Marchigiane, localizzate nel settore orientale
dell’Appennino settentrionale, di età più recente, caratterizzata dalla formazione della
Marnoso Arenacea (Boccaletti et al., 1980).
Tra le due unità si osserva il complesso arenaceo del Monte Cervarola, che
costituisce una situazione intermedia tra le due unità.
Al di sopra dei terreni Liguri intensamente tettonizzati si impostano bacini minori
entro cui si depongono sequenze ricche di detriti silicoclastici chiamate Successioni
Epiliguri, coeve temporalmente con i domini continentali più esterni (Vai, 1992).
Nella zona di transizione fra i due domini è localizzato un altro dominio denominato
Sub-Ligure e rappresentato da unità discordanti sulle sottostanti unità di dominio
continentale.
6
Fig. 2.2: Schema concettuale della progressione verso NE dell'alloctono Ligure e sub-Ligure sulle
successioni di avanfossa dei differenti domini dell'Appennino Settentrionale esterno. I sedimenti
deposti sulla coltre Ligure durante il suo avanzamento formano le successioni dei bacini satelliti
epiliguri (da RICCI LUCCHI 1986, modificato in CASTELLARIN et al. 1992).
Dal punto di vista tettonico l’Appennino Settentrionale è un edificio strutturale di
forma arcuata ed allungata in direzione NW-SE (fig. 2.1), convenzionalmente delimitato
dalla fossa adriatica ad Est e compreso tra due grandi lineamenti tettonici trasversali
(Bortolotti, 1992) :
1. a NW la linea Sestri – Voltaggio
2. a SE la linea Ancona – Anzio
Tali lineamenti sono interpretati come strutture a forte componente trascorrente
(Bortolotti, 1992) e perciò considerati elementi, funzionanti da cerniera, che permettono
il raccordo fra l’Appennino Settentrionale con il sistema Alpino a nord ed il piccolo
blocco dell’Appennino Centrale a Sud.
La struttura generale dell’Appennino Settentrionale è data dall’impilamento di unità
tettoniche appartenenti a domini paleogeografici differenti. L’intera struttura è inoltre
complicata ulteriormente da thrust arcuati fuori sequenza lunghi anche decine di km,
talvolta ad alto angolo rispetto al trend regionale della catena.
7
L’evoluzione dell’Appennino settentrionale può essere schematizzato in due
momenti:
fine dell’Eocene medio
fine del Miocene Medio
Alla chiusura della Tetide (collisione Europa-Adria) nell’Eocene medio, la gran parte
delle ofioliti di bassa pressione liguri viene obdotta sul paleomargine passivo adriatico
(Toscana, Liguria, Emilia), assumendo vergenze non molto sistematiche sia a W che a
E.
La formazione dell’Appennino Emiliano - Romagnolo ebbe inizio a partire dal
Cretaceo superiore in seguito alla chiusura dell’Oceano Ligure – piemontese, che faceva
parte della Tetide, e alla successiva collisione da parte della placca europea (Corso –
Sarda) con quella adriatica (Adria, Insubria) inizialmente connessa alla zolla africana
(Coli, 1992).
In questa complessa storia tettonica si possono distinguere dunque una fase oceanica
e una continentale (Coli, 1992).
La fase oceanica inizia al limite tra il Cretaceo inferiore e il Cretaceo superiore (c.a
100 Ma), con la subduzione della litosfera secondo un piano di immersione verso E,
verso il margine appenninico (Coli, 1992). Tale piano si trova al confine tra il bacino
piemontese, ad ovest, e quello Ligure, ad est; questa prima fase termina quando la
placca oceanica piemontese è completamente consumata (Boccaletti et al., 1980).
La seconda fase inizia nel Cretaceo sup. e termina nell’Eocene medio (Boccaletti et
al., 1980) e prevede la ripresa della subduzione secondo un piano immergente verso
Ovest di crosta oceanica Ligure sotto il Massiccio Sardo – Corso portando la completa
chiusura dell’Oceano Ligure - Piemontese (Bortolotti, 1992).
Durante questa fase venne a generarsi un prisma d’accrezione costruito
dall’impilamento, per sottoscorrimento verso Ovest, delle coperture oceaniche e di parte
del loro basamento (Coli, 1992).
Nell’Eocene medio ebbe inizio la fase continentale (ensialica) dove si ha la collisione
fra margine Sardo – Corso europeo e margine adriatico che dà origine all’orogenesi
appenninica (Boccaletti et al., 1980).
8
In questa fase si ha uno sviluppo di una tettonica a thrust e falde (fig. 2.3) con
sottoscorrimento verso Ovest delle Unità Toscane prima, e di quelle Umbro –
Marchigiane poi, sotto le unità precedentemente impilate (Coli, 1992). La catena deriva
Fig. 2.3: Schema di sovrapposizione delle unità tettoniche che costituiscono l'Appennino
Settentrionale (Elter.P, 2000).
così dalla complessa deformazione di sedimenti deposti nei diversi contesti
paelogeografici meso – cenozoici: il Dominio Ligure, corrispondente in larga misura
all'area oceanica, il Dominio epiligure, che si imposta a partire dall'Eocene medio sulle
Unità Liguri già tettonizzate, il Dominio subligure, sviluppato sulla crosta assottigliata
africana adiacente alla zona oceanica, e il Dominio tosco-umbro, di pertinenza africana
(Elter 2000).
La formazione della Catena Appenninica Settentrionale è sostanzialmente
riconducibile a cinque specifici momenti evolutivi :
1. Collisione continente – continente, fra Iberia ed Adria e
formazione del sistema Alpi – Appennini, in cui la proto-catena appenninica
aveva uno sviluppo in direzione NE-SW, non coincidente con l’attuale assetto
(Eocene Superiore).
2. Fase distensiva del settore occidentale della placca iberica con
conseguente apertura del Bacino Algero – Provenzale e distacco del Blocco
Sardo – Corso (Oligocene inferiore).
3. Rotazione antioraria del Blocco Sardo – Corso, che raggiunge la
sua posizione attuale dopo aver subdotto il margine continentale adriatico,
alle cui spese si è definitivamente costituita la paleo-catena appenninica (fine
Oligocene e il Miocene medio)
9
4. Nuova fase distensiva, che causa l’apertura del Bacino Tirrenico
interposto fra il Blocco Sardo – Corso e la paleo-catena appenninica
smembrata e traslata verso SE-E-NE (Miocene superiore).
5. Riattivazione della collisione coinvolgente i resti della placca
iberica ed adriatica con migrazione del fronte compressivo verso NE
nell’Appennino Settentrionale (Pliocene).
30 M. di anni fa
Unità Umbro-Marchigiane
20 M. di anni fa
Complesso M. Cervarola
Unità Toscane
Depositi neoautoctoni
Sucessione epiligure
10 M. di anni fa
Unità liguri
Oggi
Fig. 2.4: Schema evolutivo dell’Appennino Settentrionale.
Importante è sottolineare come all’interno dell’Appennino Settentrionale si possano
distinguere unità flyschoidi derivanti da avanfosse geneticamente legate a due cicli
orogenetici differenti.
Nelle Unità Liguri e Sub-liguri i flysch si sono deposti tra il Cretaceo superiore e
l’Oligocene, per opera dell’Orogenesi Alpina, mentre nei restanti domini sono
riconducibili al periodo compreso tra l’Oligocene ed il Pliocene, in relazione
all’Orogenesi Appenninica (Martelli, 2003).
10
Relativamente a questa ultima fase deformativa il fronte compressivo è spostato
progressivamente verso NE, implicando la migrazione delle avanfosse ed imprimendo
alla catena il peculiare aspetto a pieghe e sovrascorrimenti (Martelli, 2003).
Contemporaneamente, sulle Unità Liguridi si sono formati bacini tettonici minori
(“piggy back basin”), dove si sono deposte le Unità Epiliguri (Ricci Lucchi & Ori,
1985), precedentemente definite come “successioni semi-alloctone” (Merla, 1951) o
“successione tardo-geosinclinale” (Sestini, 1970).
11
2.2 Unità stratigrafiche presenti nell’area di studio
All’interno dell’area in esame affiorano unità stratigrafiche appartenenti ai vari
domini descritti in precedenza. Nella seguente descrizione delle formazioni geologiche
verrà mantenuta tale divisione.
La descrizione delle unità è tratta dalla legenda della Carta Geologica
dell’Appennino emiliano-romagnolo della Regione Emilia Romagna alla scala 1:10000.
SUCCESSIONE UMBRO-MARCHIGIANA-ROMAGNOLA
FMA12 - Formazione Marnoso-Arenacea - membro di Castel del Rio
Torbiditi arenaceo-siltitico-marnose: A/P piuttosto variabile. Arenarie medie e fini,
talora grossolane. Siltiti e marne spesso siltose e sabbiose. Rare emipelagiti. Possono
abbondare i letti arenacei spessi, con A/P fino a >20, con strati talora amalgamati; per il
resto prevalgono quelli medi e sottili. Talora si inseriscono pacchi di strati decametrici
più pelitici con A/P < 3 (fino a 1/2)). Possono essere presenti riempimenti di canali
arenacei (rc). Localmente presente l'orizzonte arenaceo canalizzato ar. Foraminiferi
planctonici della zona a G.acostaensis e G.menardi. Limite inferiore su FMA11 (o su
FMA10 in parziale eteropia) graduale rapido, posto in corrispondenza di un pacco (15
m) di strati arenacei spessi, alternati a torbiditi sottili. Potenza fino a 500 metri.
Tortoniano
FMA12b - Formazione Marnoso-Arenacea - membro di Castel del Rio -
litofacies arenaceo-pelitica
Torbiditi arenaceo-siltitico-marnose (A/P variabile). Siltiti e arenarie da medie a fini,
poco cementate, o arenarie prevalenti, da grossolane a medie, in letti per lo più sottili,
raramente medi e spessi, eccezionalmente molto spessi. Presenti emipelagiti.
Cartografati alcuni riempimenti di canali dotati di buona continuità laterale (ar). Verso
la sommità possono comparire due orizzonti di peliti grigio-scure dello spessore di
12
qualche metro. Limite inferiore segnato da 15 m di strati arenacei per lo più spessi,
alternati a torbiditi sottili. Potenza complessiva di oltre 250 m.
Tortoniano
FMA10 - Formazione Marnoso-Arenacea - membro di Dovadola
Torbiditi arenaceo-siltitico-marnose: A/P compreso tra 1/2 e 2/1. Letti arenacei per lo
più sottili o medi, raramente spessi e in banchi; talora intercalazioni di banchi arenaceo
pelitici con A/P maggiore di 3. Foraminiferi planctonici della zona a G.acostaensis e
G.menardi. Limite inferiore graduale su FMA9, posto in corrispondenza di un pacco (4-
5 m) di 3-4 strati arenacei spessi. Potenza massima 150-220 m.
Tortoniano inf.
FMA2 - Formazione Marnoso-Arenacea - membro di Corniolo
Torbiditi prevalentemente marnose, raramente carbonatiche, A/P da 1/2 a 1/4.
Arenarie gradate da medie a fini, talora poco cementate, in letti da sottili a spessi,
raramente molto spessi, con geometria tabulare. Presenti emipelagiti, talora rare. Alla
base possono essere presenti livelli caotici (sl) di pochi metri di spessore compresi in
zone intensamente tettonizzate e intercalazioni di orizzonti più arenitici, A/P circa =1,
costituiti da strati spessi e molto spessi. Possono essere presenti strati a composizione
carbonatica costituiti da letti sottili e medi di areniti carbonatiche con silicoclasti e
marne calcaree. Foraminiferi planctonici delle zone a Globorotalia miozea e Orbulina
suturalis. Limite inferiore graduale ma ben definito su FMA1 (localmente ~ 40 m sotto
allo strato io). Potenza massima circa 900m.
È presente un livello guida denominato strato Calanca (ca), costituito da un’arenite
ibrida gradata da medio fine a finissima di spessore variabile da 1,8 a 3 metri, con
evidente laminazione piano-parallela nella parte inferiore e media, laminazione
convoluta e ripples verso l’alto; il livello marnoso ha uno spessore variabile da 3 a 5
metri.
Burdigaliano sup. - Serravalliano inf.
13
UNITÀ TOSCANE
BGN - Marne di Baigno
Marne siltose, talora calcaree, molto indurite, omogenee, di colore grigio chiaro in
superficie fresca e grigio-giallastro in superficie alterata. Stratificazione mal visibile o
assente. Localmente presenti indizi di bioturbazione e concentrazione di granuli
glauconitici. Depositi emipelagici di piattaforma esterna e scarpata. Contatto
stratigrafico inferiore non preservato, presumibilmente discordante sulle "formazioni ad
affinità ligure e subligure". Potenza massima 150 m.
Aquitaniano - Burdigaliano
BAP - Brecce argillose poligeniche
Brecce poligeniche a matrice argillosa nerastre o grigiastre, nocciola in superficie
alterata, con clasti di calcari micritici grigio-giallastri, di argilliti di dimensione
millimetrica, siltiti nerastre, areniti e marne calcaree grigie. Stratificazione indistinta.
Nell'area del Foglio 252 sono presenti inclusi costituiti da grossi lembi di successioni
stratigrafiche (metrici o decametrici) riferibili a MMA e AVC. Depositi di colate miste
di fango e detrito (debris flow) in ambiente marino profondo. Interdigitazione con AVC,
FIU e MMA. Potenza variabile da 0 a 200 m.
Cretaceo inf. - Miocene inf.
AVC - Argilliti variegate con calcari
Argilliti, talora marnose, bruno verdastre o grigio-verdi, talora in bande blu, nocciola
in superficie alterata, in strati sottili con intercalate calcilutiti grigie (bianco-giallastre in
superficie alterata), in strati da sottili a molto spessi, a volte marnose al tetto, e siltiti e
arenarie fini in strati sottili. Rapporto A/C >1. Strati calcareo-marnosi grigi, biancastri
se alterati, da spessi a molto spessi, con base calcarenitica fine; brecce a matrice
argillosa bruna a prevalenti clasti di calcari tipo palombini; argilliti grigio-piombo in
livelli di spessore decimetrico alternate a calcari silicei grigio-bluastri in strati sottili e
medi. Localmente è stata distinto un intervallo, spesso 80-100 m, costituito
prevalentemente da torbiditi, di spessore variabile dal 50 cm a 3-4 m, a base
14
calcarenitica fine e tetto marnoso molto sviluppato (litofacies calcareo marnosa -
AVCd). Nella parte bassa della formazione sono state talora distinte lenti di brecce
poligeniche con clasti prevalentemente ofiolitici e più subordinatamente calcarei e
diasprini (litofacies a brecce ofiolitiche - AVCa). Localmente sono presenti inclusi
ofiolitici (of) di brecce poligeniche ad elementi ofiolitci, brecce di oficalciti e gabbri
(bo) e basalti brecciati (Bb). Deformazione tettonica molto intensa che dà origine ad una
foliazione ben marcata estremamente pervasiva nelle argilliti, mentre i livelli più
competenti si presentano sottoforma di boudins e cerniere sradicate; solo molto
raramente la stratificazione originale è preservata. Deposito di ambiente marino
profondo. Contatto inferiore non affiorante; interdigitazioni con BAP. Potenza fino a
circa 800 m.
Cretaceo inf. - Eocene
CDP3 - Formazione di Castiglione dei Pepoli - membro arenaceo
Torbiditi arenaceo-pelitiche in strati gradati prevalentemente spessi e molto spessi
(A/P>>1), talvolta amalgamati, e tetto marnoso poco sviluppato; subordinate torbiditi
sottili e medie con geometria piano-parallela. Gli strati piu' spessi sono prevalentemente
arenacei con base a grana media e tetto costituito da pochi centimetri di pelite; gli strati
sottili e medi variano da pelitico-arenacei a prevalentemente pelitici. Passaggio graduale
e per alternanza con il sottostante membro arenaceo-pelitico. Potenza parziale di circa
500 m.
Burdigaliano? - Langhiano
FCV - Formazione di Calvigi
Marne e marne siltose grigie mal stratificate o debolmente stratificate cui si
intercalano, nella parte alta, sottili strati torbiditici siltiticomarnosi. Localmente, nella
parte inferiore, intercalazioni di strati gradati sottili e medi a base arenitica fine e
finissima. Depositi emipelagici e torbiditici fini di scarpata. Il contatto con il sottostante
STA2 è netto e generalmente contraddistinto dalla presenza di uno spesso deposito da
slumping; il passaggio con il sovrastante CDP1 è graduale. Spessore di circa 30 m.
Burdigaliano
15