PARTE PRIMA- Introduzione
1.1 IL PERCORSO
Questa tesi si propone di esaminare come Anna Politkovskaja descrive e interpreta il
conflitto ceceno. Con questo termine, usato qui in senso generico, si intendono indicare le
guerre e le tensioni che coinvolgono, a partire dagli anni ’90, la Cecenia e, in via indiretta,
le regioni nord caucasiche limitrofe. La scelta di trattare questo conflitto come un evento
unico, tenuto conto di tutte le dovute distinzioni e differenze, vuole rendere ragione della
coesione e interdipendenza degli elementi storici e politici esaminati.
Posta la questione nei termini di un continuum storico, possiamo, più specificatamente,
evidenziare una prima fase del conflitto, dal 1994 al 1996, che ha visto impegnato
l’esercito russo contro i ribelli indipendentisti ceceni, e una seconda fase, a partire dal
1999, caratterizzata soprattutto dalla “bassa intensità” delle azioni militari e dalla
cristallizzazione e radicalizzazione del conflitto stesso.
Occorre precisare che Politkovkaja si occupa direttamente solo del secondo conflitto
ceceno ed è di quest’ultimo che si tratterà in questo lavoro. Tuttavia gli avvenimenti della
seconda guerra cecena sono comprensibili solo alla luce di quanto avvenuto nella prima e
nei pochi anni trascorsi fra le due.
Nella prima parte della tesi viene presentata l’esperienza giornalistica di Politkovskaja
evidenziandone alcune caratteristiche salienti. Si cercherà poi di ricostruire sinteticamente
il contesto storico e le vicende che hanno marcato i due conflitti ceceni e in particolare
l’interpretazione che ne dà Politkovskaja nei suoi scritti. A questo scopo sono stati
selezionati, nella seconda parte della tesi, alcuni fra i possibili filoni di analisi offerti dalla
vasta produzione giornalistica della Politkovskaja. Si è scelto di trattare alcune tematiche
centrali e trasversali nell’opera della giornalista, che possano essere significative ai fini
della comprensione sia della situazione attuale nel Caucaso, sia del pensiero e
dell’esperienza globale della Politkovskaja.
Molti altri interessanti filoni di analisi (il caso Budanov, la corruzione giudiziaria e politica, i
brogli elettorali, l’anarchia dell’esercito russo, fino al caso stesso dell’assassinio della
Politkovskaja nel 2006) sono stati tralasciati per necessità di coerenza e sintesi.
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1.2 ANNA POLITKOVSKAJA
1.2.1 BIOGRAFIA
Anna Stepanovna Politkovskaja, figlia di genitori ucraini, diplomatici presso la sede delle
Nazioni Unite, nasce a New York il 30 agosto 1958. Studia giornalismo all’Università
Statale di Mosca dove si laurea nel 1980.
A partire dal 1982 inizia a lavorare per alcune testate giornalistiche («Izvestija»,«Aeriflot»)
e vive con fervore e partecipazione gli anni della perestrojka di Gorbačëv e del successivo
collasso del URSS (1991). Nel 1994 viene assunta dal giornale «Obskaja Gazeta» per il
quale condurrà il primo viaggio in Cecenia. A partire dal 1999, invece, lavora per la
«Novaja Gazeta», giornale di ispirazione liberale molto inviso al Cremlino per la sua linea
indipendente.
Per la «Novaja Gazeta» segue tutto il secondo conflitto caucasico come inviata speciale,
pubblicando numerosi reportage, interviste e articoli shock e guadagnandosi, fuori e
dentro la Cecenia, la fama di giornalista indipendente e coraggiosa ma anche l’ostilità di
parte dell’opinione pubblica russa, delle alte sfere militari, del governo del Cremlino e di
quello ceceno di Ramzan Kadyrov. A causa delle sue dure pubblicazioni viene quindi
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diffamata, arrestata, picchiata , minacciata di morte e avvelenata.
Nell’ ottobre del 2002, durante il drammatico attentato terroristico al teatro moscovita
Dubrovka, chiamata dai terroristi ceceni come mediatrice, partecipa alle infruttuose
trattative per liberare gli ostaggi. Viene ancora chiamata per partecipare ai negoziati in un
nuovo attentato nel 2004, quando un commando terroristico internazionale assalta la
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scuola elementare di Beslan in Ossezia, ma la Politkovskaja, avvelenata in aereo, non
parteciperà alla mediazione.
Il suo impegno è stato riconosciuto da numerosi premi tra cui il Golden Pen Award
dell’Unione dei giornalisti russi nel 2000, il Global Award for Human Rights di Amnesty
2
A. Politkovskaja, Un piccolo angolo d’inferno, Rizzoli ,Milano 2008, pp. 56-57.
3
Id., Cecenia cit., pp. 196-199.
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Sull’aereo che la doveva portare a Beslan, per partecipare alle trattative con i terroristi ceceni per liberare
gli ostaggi della scuola elementare, le viene servito del té e lei si sente male. In ospedale un’infermiera le
confida che dalle prime analisi risultava un avvelenamento.
4
International nel 2001 e il premio per il giornalismo e la democrazia assegnatole dall’
OSCE nel 2003.
Viene infine assassinata nella sua residenza di Mosca il 7 ottobre 2006. I sicari l’aspettano
nell’ascensore della palazzina mentre torna dalla spesa, la uccidono con cinque colpi di
pistola di cui l’ultimo, alla nuca. Il risultato del processo sull’assassinio di Anna
Politkovskaja, che ha prosciolto tutti gli accusati, esecutori e mandanti, ha suscitato
moltissime perplessità e aperte critiche soprattutto da parte della famiglia della giornalista
e della redazione della «Novaja Gazeta», le quali hanno deciso di svolgere indagini
autonome.
1.2.2 CARATTERISTICHE DEL SUO GIORNALISMO
In primo luogo è da evidenziare il carattere essenzialmente giornalistico del lavoro della
Politkovskaja, vale a dire e non è inutile sottolinearlo, che la giornalista, proprio in quanto
tale, non fornisce un’analisi storica e cronologica di quanto accade in Cecenia, non si
preoccupa di questo. Il suo interesse maggiore, anche quando si rivolge all’Occidente e
quindi ad un pubblico che probabilmente conosce poco le vicende politiche russo-
caucasiche, è di raccontare singole storie, singoli personaggi e avvenimenti. Importante è,
infatti, per Politkovskaja offrire ai suoi lettori una versione delle vicende del conflitto
ceceno alternativa a quella della propaganda del Cremlino, attraverso la testimonianza
diretta di coloro che vivono la guerra, descrivendone i volti e la sofferenza, raccontandone
la storia e le sventure. Persone o situazioni, comunque, che lei stessa ha visto con i suoi
occhi in quanto giornalista inviata sul campo o addirittura chiamata da privati cittadini, civili
che il governo e il sistema dei media sembrano aver dimenticato, intrappolati in Cecenia in
uno “stato di non-diritto”, come in questo caso:
Ho ricevuto una petizione firmata da novanta famiglie del distretto di Vedeno[…]. Centinaia di
persone mi pregavano di aiutarle, trovando il modo di farle uscire dalla Cecenia il più in fretta
possibile. Non potevano più tollerare la fame costante, il freddo insopportabile, la mancanza di
medici e di ogni contatto con il mondo esterno e le crudeli azioni punitive dei soldati vicino a
Chottuni. Quel che raccontavano era incredibile, così il 18 febbraio 2001 sono partita per andare a
vedere di persona. Ho sentito storie terribili e visto i volti distrutti di chi era stato torturato da soldati
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ben addestrati alla sottile arte della violenza. La mia penna quasi si rifiutava di muoversi, al
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pensiero di tante atrocità.
Anna Politkovskaja affronta, quindi, numerosissimi viaggi in Cecenia (dal 1999 più di
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quaranta) per descrivere, denunciare, intervistare, dare aiuto ai “paria ceceni” e cercare di
smuovere la coscienza assopita dell’opinione pubblica russa. Per farlo deve però ricorrere
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ad un giornalismo partigiano, «clandestino», muovendosi di nascosto, ostacolata dalle
autorità, cercando di fare il proprio lavoro senza danneggiare le persone coraggiose o
disperate che decidono di raccontare ed affidano ai suoi articoli le proprie speranze di
giustizia. Così lo descrive lei stessa:
mi sono calata nei panni di un partigiano: arrivando nei villaggi al calar della notte, scivolavo come
in una tana nella casa in cui mi aspettavano, parlavo con i suoi abitanti, dormivo e ripartivo all’alba
cercando di passare inosservata. Non è un dettaglio da poco. I miei incontri sono costati la vita a
parecchie persone che ormai fanno parte della mia biografia. Tra loro, molti leader ufficiosi di
piccoli villaggi o vittime di crimini di guerra che erano state torturate o ferite e volevano incontrare
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giornalisti nella speranza di ottenere giustizia.
Politkovskaja dunque ha un’idea precisa riguardo la deontologia e il compito di un
giornalista che in casi così estremi si fonde con la propria stessa vita e la propria
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coscienza: «Io vivo la vita e scrivo ciò che vedo», afferma nell’introduzione a La Russa di
Putin.
Aderenza e intransigenza di fronte la realtà da descrivere e rifiuto di qualsiasi ideologia o
strumentalizzazione, inoltre, sono principi etici fondamentali: «I giornalisti non sfidano
l’ordine costituito, non è questo il loro ruolo. Descrivono soltanto ciò di cui sono testimoni.
È il loro dovere, così come è dovere del medico curare un malato e dovere di un ufficiale
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Politkovskaja, Un piccolo cit., p 56.
6
La giornalista intervista un medico dell’ospedale di Groznij il quale, preso da sconforto afferma: “Siamo una
nazione di paria. E anche chi ci appoggia diventa un paria”,Politkovskaja, Cecenia cit., p. 48.
7
A. Politkovskaja, Per questo. Alle radici di una morte annunciata. Articoli 1999-2006, Adelphi, Milano 2009,
p. 18
8
Id., Cecenia cit., p. 44.
9
A. Politkovskaja, La Russia di Putin, Adephi, Milano 2005, p. 12.
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