INTRODUZIONE
Sono molte le teorie sulla “nascita” e lo sviluppo del consumo e tantissimi gli studiosi che hanno
trattato questo argomento, sia dal punto di vista economico che sociologico, passando da
Sombart a McCracken, da Lears a Campbell, da Goffman a Marcuse, fino ad arrivare in tempi
più “recenti” e vicini a noi a Zygmunt Bauman. Tutti sembrano sottolineare come e quanto il
consumatore si sia evoluto nel corso degli anni, costruendosi e ritagliandosi un ruolo decisionale
nel “sistema mercato”. Un consumatore che è diventato vigile, attento, e cosciente. Sa compiere
scelte adatte per se e per i propri fabbisogni, muovendosi tra la pluralità di offerte del mercato, è
un . Ed è inoltre un consumatore le cui caratteristiche peculiari sembrano essere
l’eclettismo e il sincretismo, vale a dire la capacità di compiere scelte apparentemente molto
diverse tra loro, ma che in realtà rispecchiano un modo di essere e probabilmente uno stile di vita
che vuole riuscire a non precludere nessuna opportunità di consumo, mantenendo però un occhio
sempre vigile e cosciente sulla catena di produzione e sull’etica delle aziende; questo spiega
anche la crescente ricerca di qualità e il continuo aumento di consumo di cibi bio-dinamici o
equo-solidali, oltre che il successo di operazioni commerciali di Cause Related Marketing.
Di fronte ai tanti cambiamenti del consumatore, e alla sua innegabile evoluzione, si è resa
necessaria un’altrettanta evoluzione anche per i sistemi di marketing, che sembravano risultare
inefficaci nella loro funzione di raccordo tra domanda e offerta. L’obiettivo del marketing, ora, è
coinvolgere l’universo simbolico e valoriale del consumatore, diventare un “amico” e
sicuramente qualcosa di più vicino a quello che è stato fino ad adesso. Il ruolo della
comunicazione nel marketing sembra aver assunto un’importanza davvero considerevole,
essendo fondamentale nella realizzazione dell’immagine di un’azienda, che è un patrimonio che
va creato, alimentato e soprattutto mantenuto davanti al pubblico e ai media. Ottenere brand
, per le aziende, è la chiave vincente per ottenere successo in un mercato iper-
concorrenziale, e dove mantenere alta la soddisfazione dei clienti sembra essere la sfida più dura.
Ecco perché le pubblicità diventano entertainment, e cercano il coinvolgimento emotivo, anche
per generare esperienze traslabili nel vissuto di chi le guarda. Guerrilla marketing, street
marketing, viral marketing, ambient marketing, sono tutte facce della stessa medaglia, ed oggi
sembrerebbero rappresentare i sistemi più efficaci per incuriosire, integrare e soprattutto
coinvolgere i consumatori nel “mondo” della marca, grazie anche ad azioni di sponsorizzazione
non-convenzionale molto spesso messe in atto con budget limitati.
2
loyalty
selettore
Ma non esistono solo pubblicità “positive” ed “esemplari”, sono molti anche i casi contrari, in
cui invece di divertire, si cerca di shockare gli spettatori. I consumatori, diventati anche più
socializzati ai mezzi di comunicazione ed abituati al marketing, hanno “costretto” i pubblicitari
alla ricerca di novità e soluzioni “alternative” per colpire gli spettatori, come le pubblicità shock,
molto spesso anche in grado di turbare l’animo dello spettatore.
C’è però chi rifiuta totalmente l’ipotesi che le pubblicità e gli altri sistemi di marketing siano in
grado di influenzarci, come i Culture Jammers ed altri movimenti, che hanno deciso di far sentire
la loro voce e protestare contro una cultura alla quale sentono di appartenere attraverso
boicottaggi e sabotaggi vari. Boicottaggi che spesso inducono le aziende ad adottare particolari
strategie di marketing, per contrastare non solo la competizione estrema del mercato, ma anche
le possibili illazioni riguardanti i propri prodotti, come nel caso dell’azienda austriaca Red Bull,
che ha più volte dovuto affrontare le numerose critiche per la composizione e gli ingredienti
della stessa bevanda, ma che ha saputo sfruttare queste “dicerie” a proprio favore. Il principale
prodotto dell’azienda di Dietrich Mateschitz, l’energy drink Red Bull, è riuscito a distinguersi e
ad affermarsi nel mercato degli sport e Energy drinks per le continue innovazioni adottate nelle
strategie di marketing, nelle campagne pubblicitarie, ma anche nelle numerose iniziative
promosse sia on-line che off-line.
3
CAPITOLO 1
1
IL “: TRA DISINCANTO E SELETTIVITA’
1.1La società “postmoderna” dei consumi
Sono molti gli studiosi che sostengono che si possa distinguere nettamente fra le due epoche che
si definiscono “moderna” e “postmoderna” considerandole due momenti epocali diversi, e
muovendo dalla convinzione che il passaggio da moderno a postmoderno si sia verificato negli
anni fra il 1950 e il 1960, quando nelle strutture socio-economiche e in quelle culturali del nostro
mondo industrializzato si è verificato un grande cambiamento, una trasformazione radicale e
profonda, simile all’altra grande trasformazione epocale, quella che ha dato origine alla
modernità e che si è avuta tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Aldilà di
un’operazione storiografica di periodizzazione o inquadramento temporale, ad essere rilevanti,
sono i cambiamenti che questo passaggio ha segnato nella società.
Per quanto riguarda il consumo nell’era della modernità, ad esso non viene mai riconosciuta una
propria distintiva specifica, poiché deriva in tutto e per tutto dalle variabili della nostra società.
In questa società che potremmo chiamare “nuova” il consumo, acquisisce a mano a mano un
ruolo di maggior centralità. I consumatori si fanno più consapevoli, informati, collegati, sicuri,
attivi e non più passivi. Sono i mercati, nel frattempo, ad aver aumentato il ventaglio di scelta dei
consumi possibili, e proprio in tempi vicini a noi, si è formata una corrente di pensiero che ha
individuato nella trasformazione dei consumi, invece che nella trasformazione della produzione,
l’inizio del capitalismo moderno. L’inizio di questa scuola di pensiero, se così possiamo
definirla, si ha per merito di Werner Sombart nel 1913, le cui teorie sostenevano che “il consumo
lussuoso e la domanda di beni di lusso avrebbero dato proprio inizio al capitalismo, in quanto
avrebbero da un lato permesso la crescita della produzione e circolazione di beni, e dall’altro
2
avrebbero sollecitato lo sviluppo di un atteggiamento edonistico-estetico verso i beni materiali.
Come abbiamo già detto il consumo nell’era della modernità, non assume mai una propria
caratteristica distintiva, e sembra dipendere in tutto e per tutto dalla produzione, rappresentando
così, come è chiaro, una variabile dipendente. Il consumo sembrerebbe essere non altro che
manipolazione operata dall’industria. Si può parlare di una cultura del consumo quando questo
“cessa di essere una semplice appropriazione di profitti e valori d’uso per diventare consumo di
3
segni ed immagini. Nella nuova “era” del consumatore post-moderno, il consumo assume un
ruolo centrale, grazie ad una profonda revisione del suo significato, in termini di utilità,
1
Cit: “Il consumattore” di Maria Romana Zorino, CLEUP, 2006
2
Werner Sombart, “Lusso e Capitalismo”,in M. Zorino, op. cit. 2006, p. 40
3
M. Featherstone, “Cultura del consumo e postmodernismo”,in M. Zorino, op. cit., 2006, p. 51
4
”””
CONSUMATTORE
individualità, e convenienza. Il flusso dalla produzione al consumo aveva dato luogo ad una
civiltà dello spreco, caratterizzata dall’intreccio tra consumo, ricchezza, socialità e potere, ma
anche da eccessi di brutalità distruttiva e generosità fuori dal comune, da responsabilità verso la
comunità, a estremi di totale inciviltà. In questa civiltà, il bene materiale è diventato il
coronamento dell’individualità, intesa come caratteristica distintiva del singolo. Un singolo i cui
oggetti rappresentano, potremmo azzardare, un’estensione dell’io, quasi come se fossero una
specie di arricchimento e abbellimento della personalità. Si comincia a credere che le cose di cui
ci si circonda, in qualche modo descrivano la nostra personalità o il nostro modo di essere. Basti
pensare alla comparsa sulla scena sociale di oggetti nuovi, tra cui alcuni di uso quotidiano, come
le posate. Il soggetto si circonda di oggetti che quindi lo individualizzano. Utilizzare le posate
significa rendersi autonomi, poter mangiare tutto senza bisogno di essere prima aiutati e magari
farlo in solitudine, senza bisogno di aspettare che qualcuno divida le portate; in qualche modo la
convivialità di un momento collettivo come quello di un pasto viene totalmente annullata.
L’evento cruciale che segna in qualche modo il passaggio tra le “epoche” è il cambio dalla
domanda di beni alla nuova domanda di denaro. E’ questo il segnale che la ricchezza a cui si
mira è qualitativamente e quantitativamente diversa, ed è slegata da contingenze localistiche. Il
denaro, è il fulcro intorno a cui ruotare, tutto quello che ora si desidera. Rappresenta la
potenzialità di poter disporre di qualunque bene, e di poter tradurre in beni materiali qualsivoglia
desiderio in ogni momento possibile. Sullo sfondo della maggior parte delle spiegazioni sulla
nascita del consumismo moderno c’è la rottura dei rapporti comunitari, e l’avanzata del singolo
individuo inteso come persona. Anche McCracken per spiegare la nascita del consumismo
moderno fa riferimento alla comparsa di nuovi oggetti, come simboli di opulenza e ricchezza. La
4
sua tesi è che nell’ Inghilterra del Cinquecento, la nobiltà, obbligata dalla Regina Elisabetta a
stabilirsi a corte per ottenere privilegi e fare da sfondo alla potenza regale, abbia dato via ad una
gara di sfarzosità con la borghesia, costringendo i primi ad abbandonare le vecchie cose di
famiglia, in cerca di novità che potessero sorprendere e colpire l’immaginario dei secondi, che
sempre più ricchi, hanno successivamente cominciato ad imitarne i costumi e gli sfarzi, liberando
certi oggetti della patina di antichità e retaggio nobiliare, che ora invece potevano appartenere
anche a chi non aveva discendenze nobiliari. Dalla successiva rottura del blocco imitativo, si è
arrivati ad intendere il consumismo come una vera e propria scalata sociale. In realtà, risulta
interessante notare, il rovescio della medaglia, e cioè come sia stata la nobiltà ad imitare la
borghesia. A differenza di McCracken, Sombart sottolinea l’importanza dei consumi di lusso per
l’avvio dell’economia capitalistica; questi beni di lusso, inizialmente riservati alla sola nobiltà ed
acquistabili con importanti somme di denaro, preannunciano una nuova epoca perché per la loro
4
G. McCraken, “Culture and Consumption: New Approaches to the Symbolic Character of Consumer Goods and
Activities”, in “Manuale di sociologia dei consumi” di V. Codeluppi , Carocci, 2005
5
produzione si rende ora necessaria una nuova e più complessa organizzazione del lavoro, ed
hanno permesso l’accumulo di ingenti somme di denaro per l’avvio di vere e proprie attività
industriali come le intendiamo noi. Potremmo citare, ad esempio, il ministro francese Colbert,
che nel Seicento, aprì un’industria di Stato per la produzione di pizzi e merletti, per evitare che la
ricchezza dell’ francese, per cui pizzi e merletti rappresentavano un vezzo irrinunciabile, per
l’acquisto di questi prodotti costosissimi, si trasferisse all’estero. Per spiegare la sete di consumi
di tale genere, che erano individuali e non certo collettivi, Sombart si rifà alla questione della
5
rottura dell’”assetto comunitario. Nel passaggio dai legami collettivistici della comunità alla
solitudine individuale della società, si è perso quel senso di appartenenza ad un insieme: la
comunità, che trascende l’individuo e ne garantisce l’immortalità. Si tenta quindi di placare il
senso di morte con gratificazioni materiali, prima fra tutte il consumo di beni. Lears invece
insiste più di altri, sul consumismo moderno come rottura dell’integrazione dell’individuo nella
comunità. Per Lears il consumismo nasce “dal processo di secolarizzazione della religiosità e
dall’etica protestante che è incentrata sulla solitudine dell’individuo di fronte al problema della
6
propria salvezza. In tal senso il benessere, sia materiale che psichico sembrerebbe possibile da
realizzare solo ed esclusivamente nel mondo terreno, e si tratterebbe di un benessere che ancora
una volta contrappone il singolo come individuo, alla comunità. Campbell cerca invece di
“risolvere” questo “conflitto” tra il singolo e la comunità, cercando una possibile radice comune
a questi due poli che sembrerebbero opposti, e riuscendo a collegare le due “entità” nel modo che
7
segue: la radice comune “è la centralità dell’individuo in luogo della comunità”. Nel consumo
si rivendicano le ragioni dell’individuo unico, che ricerca originalità rispetto alla società in cui
vive, e in cui si suppone sia inserito. I desideri mettono in moto un meccanismo di ricerca
perenne, si è sempre alla ricerca di qualcosa, molto spesso qualcosa di nuovo, irraggiungibile,
diverso o unico. Molti autori infatti, tra cui Bauman e Rochefort preferiscono parlare di
8
. Le voglie sono “”, non hanno bisogno di giustificazioni, hanno se
stesse come oggetto ed è per questo che sono insaziabili. La voglia è immediata, casuale,
inaspettata e spontanea. Il piacere è diventato l’ancora della realtà. I nostri desideri sono sempre
più liberi, ed è l’irrazionalità che ci muove indulgendoci a soddisfare un bisogno che sappiamo
essere temporaneo, e a spingerci a preferire questo tipo di voglie, ad investimenti a lungo
termine. La fragilità e la precarietà dei desideri sono alcuni dei maggiori supporti dell’ordine
sociale. Bauman ci fa notare che “il piacere del compratore è un fare, sì irrazionale, ma
strutturato razionalmente, perché permette agli individui di gestire la frammentarietà e la
5
W. Sombart, “Lusso e Capitalismo” (1913)
6
Cit. da “Il consumattore”, di Maria Romana Zorino, CLEUP, 2006, p. 54
7
C. Campbell, “L’etica romantica e lo spirito del consumismo”, in “Manuale di sociologia dei consumi” di V.
Codeluppi, Carocci, 2005
8
Z. Bauman, “La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza” (2002)
6
””“”
autorigenerantivoglie
elite
9
mancanza di progetto senza porsi questioni riguardanti il senso di ciò che si fa o più in
generale della vita stessa. C’è la tendenza a trasformare qualsiasi cosa in merce, poiché la
vendita della merce procura soldi; il che aumenta il numero delle merci e dei beni a disposizione
del consumatore, di cui viene in questo modo ampliata la gamma dei consumi. Ed é osservando
la crescita dei consumi nel periodo fordista che vengono elaborate le due teorie che, coniugando
il meccanismo della produzione al meccanismo del consumo, cominciamo a parlare di “sistema”.
In un primo momento il “sistema” viene visto come “una struttura sovra ordinata che viene
10
introiettata dentro l’individuo” e quindi vive grazie ad esso; in un secondo momento si tratta
invece di un sistema “”, “che si è indipendentizzato dagli individui e vive di vita
11
. In entrambi i casi, “questo sistema costituisce il contenitore degli individui, il loro
orizzonte di realtà, l’involucro che li circonda, impossibile per noi “vedere” che si tratta di una
12
.
Il “sistema-gabbia” tende a inglobare tutto al suo interno, sostituendo l’iniziativa umana a
13
quella della natura e sostituendo i beni di consumo all’Altro. In pratica secondo queste teorie,
sembrerebbe che i beni di consumo riescano ad appagare più che un possibile dialogo e scambio
di differenze con l’ Altro. Risulta però impossibile non considerare che le persone, tramite le loro
scelte e azioni, possano modificare e trasformare questo contesto che non deve essere pensato
come predeterminato, perché società e consumi, invece, sembrerebbero “condizionarsi” a
vicenda .
14
Nei suoi scritti Marcuse individua un fattore nuovo che “” le persone, il consumismo.
E’ questo il principale responsabile dell’appiattimento della cultura moderna, e dell’avanzamento
della società industriale. I consumi agiscono come una sorta di blocco, immobilizzando la
”, e condizionandolo dall’interno. Si tratta di uno scenario recente, che potremmo far
coincidere appunto, con il periodo fordista. Marcuse non rifiutò però l’idea di una successiva
liberazione dell’uomo, che si sarebbe realizzata con lo sviluppo tecnologico. La tecnologia
avrebbe creato le premesse per il superamento del capitalismo, anche se nella realtà le cose non
sono andate come Marcuse si aspettava; anzi, la tecnologia è diventata un altro braccio della
tenaglia che a volte, impedisce l’evoluzione del nostro universo di pensiero. Tecnologia e
consumismo schiacciano l’uomo nelle nozioni che già possiede, gli impediscono di procedere in
un eventuale cammino di maturazione e crescita. L’orizzonte di quello a cui potremmo pensare
diventa quello di una realtà senza utopie e desideri per il futuro, perché lo stesso flusso dei
9
Z. Bauman, “La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza” (2002)
10
H. Marcuse, “L’uomo a una dimensione”, in “Il consumattore” di Maria Romana Zorino, CLEUP, 2006, pp. 75
11
J. Baudrillard “Il sistema degli oggetti”, in M. Zorino , op. cit. 2006, pp. 82-86
12
M. Zorino, op. cit. 2006 p. 75
13
E. Goffman. Asylums”, in M. Zorino, op. cit. 2006, p. 75
14
H. Marcuse, “Saggio sulla liberazione” (1969), “L’uomo a una dimensione” (1964), “Eros e Civiltà” (1955)
7
”””“”““
vittima
ottenebra
gabbia
propria
autoreferenziale
desideri viene incanalato nei prodotti industriali, e dentro all’opulenza dei beni che legano
15
l’immagine della nostra società al principio di piacere. Bauman farà notare che il desiderio sarà
sempre in eccedenza rispetto alla realtà diventando così un potente motore del consumismo,
perché agisce come una spinta a comprare continuamente cose nuove (desiderio di altro), per la
continua insoddisfazione di ciò che si possiede (che ha deluso le aspettative). La società ci
16
conforma, in parte con strumenti pubblicitari, i cosiddetti “persuasori occulti” e in parte
facendo scomparire i protagonisti dell’opposizione a questo processo, appiattendoli, e
relegandoli al ruolo marginale di spettatori coscienti. E’ grazie allo sviluppo di luoghi che
rendono visibile all’intera popolazione una gran quantità di merci che si attua in pieno la
connessione tra commercio, oggetti, e identità personale. Si sviluppano nel tardo Ottocento, e
caratterizzeranno tutta la modernità: i centri commerciali, luoghi dello , che faranno del
commercio un impiego per il tempo libero; non si avrà più bisogno di insistere sull’acquisto
immediato di un oggetto, ma si cercherà di provocare l’insorgenza di uno stato costante di
desiderio. Questo è avvenuto anche grazie alla comparsa del sistema pubblicitario.
Gli studi che si sviluppano nel secondo dopoguerra tendono a mettere a fuoco i cambiamenti
strutturali nella vita quotidiana stimolati dalle innovazioni tecnologiche diffuse dalla produzione
di massa. Basti pensare alla diffusione dell’autovettura, o a beni durevoli come frigoriferi e
lavatrici. Il modello americano ha costituito la base di sviluppo anche per i paesi europei, che
subiscono da sempre il fascino del “nuovo mondo”, e che si trovano da sempre alla ricerca di una
sorta di “americanizzazione”. In Italia per esempio gli anni del secondo dopoguerra sono quelli
in cui si diffonde la distribuzione di massa. Una produzione di massa che ha in qualche modo
uniformato i gusti, ma allo stesso tempo ha creato un senso di appartenenza alla nazione, ergendo
a simboli nazionali prodotti, per esempio, come il panettone. Beni durevoli che entrarono nelle
famiglie durante il boom economico, e diventarono misura tangibile di quanto il salario
permettesse di uscire dalla miseria e di accedere ad un benessere prima riservato solo alle fasce
sociali superiori, e che invece adesso si diffondevano fulmineamente tra piccola borghesia, classe
operaia e contadini. Certo è che magari non si sarebbero ottenuti gli stessi risultati, o gli stessi
effetti, in un contesto storico diverso. Negli anni Sessanta e Settanta si assiste invece alla
progressiva individualizzazione dei consumi all’interno della famiglia, si viene delineando a
mano a mano lo scenario che segnerà la crisi della modernità, per giungere alle ultime decadi del
Novecento, in cui la tendenza sarà quella opposta a quella descritta fino ad ora. La produzione
avverrà in serie in un’infinita varietà di finiture, discostandosi dai prodotti standardizzati. E’ in
1718
questa fase post-fordista che, come hanno sostenuto Pierre Bourdieu e Mike Featherstone le
nuove classi medie acquistano maggior potere e si fanno agenti del cambiamento degli stili di
15
In “La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza” Z. Bauman, (2002)
16
V. Packard, “I persuasori occulti” (1960)
8
shopping
consumo. Diventano tastemakers, dettando i canoni di mercato, ciò che ora è di moda e ciò che
non lo è. Quella post fordista è un’epoca di design di massa e di “abbellimento” delle merci più
umili, basti pensare al successo commerciale di aziende come Ikea o Habitat. E’ inoltre un’epoca
di spiccata tipicizzazione delle esperienze di consumo, non solo con la diffusione dei parchi a
tema (basti pensare a come Disney World sia divenuto anche un paradigma architettonico per la
19
costruzione di molte città americane), ma anche con la generale organizzazione tematica dei
ristoranti, dei negozi, degli spazi all’interno dei grandi centri commerciali. Al consolidarsi della
società dei consumi hanno contribuito sia fenomeni sociali amplissimi come l’incremento delle
possibilità di mobilità sociale, l’evoluzione dei rapporti tra i sessi e l’urbanizzazione, sia
fenomeni economici più specifici come la crescita di consumo delle merci voluttuarie pro capite,
lo sviluppo della produzione standardizzata, o lo sviluppo di servizi di credito al consumo. Il
valore delle cose dipende dalla valutazione che ne dà il soggetto, e non dalle sue proprietà
aspettuali o intrinseche. Per fare un esempio pratico, basti pensare alla moda, l’individuo avrà
bisogno di poter indossare vestiti che sappiano segnalare agli altri la sua identità, sia come
appartenenza a un gruppo, sia come originalità e individualità. La moda rappresenta il risultato di
due principi opposti della logica sociale, il bisogno di coesione e quello di differenziazione; ci
propone delle novità, richiamando continuamente la possibile prospettiva di cambiamento. Il
sistema capitalistico deve sempre indurre nuovi bisogni nell’animo umano, tant’è che come
20
sosteneva Marx, i consumatori non sanno più capire cosa è davvero utile e cosa non lo è,
finendo molto spesso con l’arricchire coloro che hanno organizzato la produzione. Dal punto di
vista sociologico, potremmo azzardare che le mode si diffondono per sgocciolamento dall’alto
21
verso il basso, il cosiddetto effetto “trickle-down”. Si innesca un meccanismo di emulazione e
di dimostrazione di status, proprio come accadde alla nobiltà inglese, già citata in precedenza.
22
L’” Bandwagon” e l’ “effetto Snob” , operano quando la funzione del consumo di un
oggetto è quella di dimostrare il potere di acquisto del consumatore, va da se che più alto è il
prezzo del prodotto maggiore risulta il suo valore dimostrativo. Gli effetti Bandwagon e Snob
17
P. Bourdieu, “La distinzione: critica sociale del gusto” (1979), citato in “Consumo, cultura e società” di Roberta
Sassatelli, Il Mulino, 2000, p. 65
18
M. Featherstone “Cultura del consumo e postmodernismo” (1991), in R. Sassatelli, op. cit. 2006, p.65
19
“Celebration è "Popolare", ma concretizza sogni e desideri reali degli uomini. Celebration non è semplicemente
una nuova città di piccole dimensioni: è un salto qualitativo di tipo quantistico, un’impresa –davvero disneyana-
che padroneggiando perfettamente le tecniche dei sogni, dei desideri delle speranze degli individui ha sviluppato e
concretizzato un’idea e un modello di “città del futuro”. Celebration non è destinata a diventare una normale
città, sarà un ulteriore parco a tema di Disney World.”, tratto da Patrizia Mello, “La metamorfosi dello spazio.
Annotazioni sul divenire metropolitano”, Bollati Boringhieri, 2002, pp. 25-26; Cfr. E. Sassoli, “Non solo Shopping.
Usi sociali dei luoghi del consumo”, Le Lettere, 2008
20
K. Marx, ne “Il capitale. Critica dell’economia politica” (1867)
21
Descritto da G. Simmel “Il problema dello stile” (1908), citato in “Consumo, cultura e società” di Roberta
Sassatelli, Il Mulino, 2000, p. 87
22
Descritti da H. Leibenstein in “Bandwagon, Snob and Veblen effects in the therory of consumer’s demand” in
Quarterly Journal of Economics” (1950), in R. Sassatelli op. cit. 2000, p. 79
9
“
effetto
indicano situazioni in cui la domanda di un bene o un servizio aumenta o diminuisce man mano
che altri consumatori si dimostrano interessati e consumano tale bene o servizio. Queste sono le
intuizioni fondamentali di Veblen e la sua “Teoria della classe agiata” che interpreta l’intera
gamma dei consumi della classa privilegiata (e di chi vuole imitarla) come una espressione della
possibilità di oziare, di non guadagnarsi da vivere con sudore e fatica, come invece fanno i
lavoratori appartenenti alle classi sociali più basse. In ogni epoca quindi, il consumatore, con il
suo modo di consumare, confermerà degli habitus o ne creerà dei nuovi, che si affiancheranno ai
già esistenti, contribuendo in varia misura ed a seconda della risonanza sociale del suo stile
personale, a confermare o modificare le abitudini di un’epoca. Possiamo dedurre che il valore di
un oggetto è sempre legato ai suoi significati, non esiste un valore d’uso puro, naturale e
materiale. Sarà grazie alla manipolazione operata dal sistema pubblicitario delle società post-
industriali che il significante di un oggetto, guadagnerà autonomia e in quest’ottica, la natura
simbolica dei beni verrà totalmente a mancare.
L’era della modernità si avvia al tramonto. L’utopia del progresso su cui si è quasi interamente
fondata, ci ha lasciati in realtà con l’amaro in bocca. E’ iniziato un nuovo ciclo della storia, la
post-modernità, in cui il consumatore si trova a lottare tra scelte ancora radicate in quelle
tradizioni troppo forti per essere ignorate, e la volontà sempre più marcata di seguire i propri
gusti, assecondando il naturale egoismo.
1.2La voce del consumatore-selettore
Risulta difficile descrivere i consumatori come categoria “spersonalizzata”, poiché è chiaro che
non si possa parlare di una massa omogenea, con stessi gusti e preferenze nelle scelte di
consumo. Oltre le ragioni personali, come motivi socio-culturali, o fattori economici, la società
di massa ha generato continue stratificazioni e differenziazioni, contribuendo anch’essa a creare
un complicato gioco di tessere sociali e segmenti di mercato diversissimi tra loro.
Quando operiamo come consumatori conserviamo gli schemi cognitivi e normativi che abbiamo
elaborato nel corso della nostra vita e delle nostre esperienze. Le identità sociali si esprimono e si
stabilizzano anche mediante i consumi, e le nostre scelte di acquisto e il modo di utilizzare i beni
acquistati, esprimono i nostri differenti orientamenti culturali legati al genere, alla
sessualità,all’etnia, e anche alla “classe sociale”. “Nella nuova società postmoderna complessità
23
e turbolenza rappresentano le dimensioni di fondo all’agire quotidiano, siamo sfidati ad
accettare cambiamenti repentini e ad adattarci ad essi nel minor tempo possibile. Complessità
23
G. Fabris, “Consumatore e Mercato” (1995), in “Il nuovo consumatore: verso il postmoderno” di Giampaolo
Fabris, FrancoAngeli, 2003, p. 23
10
”
significa anche un eccesso delle possibilità che si prospettano a ciascuno di noi, basti pensare
all’iper offerta con cui ci si deve continuamente confrontare nei mercati. Il nuovo consumatore è
l’espressione di un individuo flessibile che ama procedere “con percorsi ondivaghi come per lo
24
slalom, il surf, lo skate, lo snowboard”. Si destreggia con maestria tra le tante alternative del
mercato, non ci meravigliamo più di vedere un jeans, magari usato, che chiameremmo vintage,
sotto la giacca di Armani, o di vedere un manager mangiare in un . Si tratta di un
orientamento pragmatico, il cosidetto “cherry picking” che ci porta a scegliere prodotti di alta
qualità in alcuni settori, e altri più “dimessi” in altri, andando alla ricerca del meglio in ognuna
delle due categorie. L’eclettismo e il sincretismo appaiono come caratteristiche peculiari del
consumatore post moderno, che sembra rifuggire la razionalità e la coerenza per certe scelte,
nonostante sia sempre in cerca di una iperrazionalità, che riesca ad includere aspetti come
l’apparenza, il frivolo, il piacere dei sensi, il futile. E’ fuori ombra di dubbio una forte centratura
sul sé, sulla propria soggettività, su cui gravano la volontà di rifiuto del conformismo e dei
condizionamenti sociali. Nella nostra società si è teso a dare all’individualismo una valenza
tendenzialmente positiva, basti pensare ad uno degli eroi americani per eccellenza, il duro
cowboy stile Malboro del West, individualista e solitario, ma allo stesso tempo caratterizzato da
un alone di invincibilità, forse proprio per la sua totale mancanza di legami; se non sono legato a
niente, sarò più libero nelle mie scelte, non avrò condizionamenti e non dovrò pensare al bene di
altri all’infuori di me stesso. Ciò che è collettivo pare soffocare la libertà dell’individuo, e questo
è sicuramente riscontrabile nella società americana, dove il e la politica degli
ammortizzatori sociali è totalmente estranea al sistema. “L’oggetto postmoderno attraverso la
sua funzionalità assicura la coesione e assume, per riprendere un’antica nozione dell’alchimia,
25
il ruolo di glutinum mundi, la colla del mondo fa sì che il corpo sociale sia quello che è. La
società postmoderna è “permeabile e liquida” perché non ha alcuna forma prestabilita, come
26
sottolinea Bauman. Ciò sta a significare, che siamo passibili di ogni qualsiasi forma di
influenza, e che tanti consumatori coesistono in un uno stesso individuo dalle molteplici identità.
Il consumatore ha sviluppato nel corso degli anni un crescente polisensualismo, selezionando e
acquistando solo quei prodotti che mobilitano la globalità dei suoi sensi, molto spesso
all’insegna del pragmatismo. Il good value for money sta diventando una sorta di must per il
27
consumatore post moderno. Non sussiste più il “Keepin’ up with the Jones, e cioè la volontà di
dover dimostrare a tutti costi lo status sociale, cercando di combattere con lo stereotipo dei vicini
di casa perfetti, i “Jones”. Ma allo stesso tempo il good value for money non significa imporsi dei
24
G. Fabris, op. cit. 2003, p. 26
25
M. Maffesoli, “Il tempo delle tribù”, Guerini e Associati (2004)
26
Z. Bauman, “La società dell’incertezza” (1999)
27
G. Fabris, “Il nuovo consumatore: verso il postmoderno”, FrancoAngeli, 2003, p. 53
11
””
statewelfare
fastfood
limiti di spesa, bensì spendere con intelligenza il proprio denaro. Se volessimo, in particolar
modo, applicare questo discorso al nostro paese, potremmo sostenere che nonostante si parli
moltissimo di consumismo, gli italiani non sono affatto un popolo di spendaccioni, o improvvidi
incapaci di resistere alle tentazioni del mercato, in balia di questa o quella pubblicità, alla ricerca
sempre e solo della dimensione parossistica del consumo; anzi la percentuale di reddito
risparmiato in Italia, è tra le più alte al mondo, così come il possesso della prima casa.
Paradossalmente, risulta difficile parlare di consumismo, proprio adesso che assistiamo ad una
transizione verso un’economia dei servizi. Quello che adesso si “scambia” nel mercato, sono
immagini, segni e messaggi. Ed il significato delle merci è “cangiante”, si costituiscono universi
semiotici costantemente mutevoli, ai quali il singolo riesce ad attribuire di volta in volta un
28
nuovo significato. Alcuni prodotti divengono “icone sociali”, in grado di rappresentare anche
molti dei cambiamenti che avvengono nel tempo presente; ne sono un esempio le automobili
SUV (Sport Utilities Vehicles), fuoristrada di lusso di straordinaria versatilità che consentono
all’automobilista di sentirsi anche maggiormente al sicuro. Nelle più recenti teorizzazioni infatti
si parla di consumo come linguaggio, dove potremmo classificare gli oggetti moderni come
29
vettori di comunicazione. Che gli oggetti fossero dotati di valenza comunicativa, è sotto gli
occhi di tutti. Spesso ha più pregnanza il loro valore di “scambio sociale” rispetto al “
d’uso” tanto caro a Marx, che dovrebbe spingerci all’acquisto o meno di un determinato bene. Si
annienta il concetto di utilità, pensiamo per esempio all’acquisto di una autovettura. Un’auto non
serve soltanto a percorrere delle distanze, magari per andare a lavoro, molto spesso veicola,
grazie alla marca, precisi e differenti significati. L’acquisto di una Mini, avrà ragioni e significati
profondamente diversi rispetto all’acquisto di una Mercedes. Ed il principale strumento a
permettere questo processo di significazione, è senza dubbio la pubblicità che contribuisce a
restringere il campo dei significati possibili, e ad individuare quelli più culturalmente adatti per
poi fissarli sull’oggetto. Sarà compito della pubblicità sedurre con le sue armi il consumatore,
facendo insorgere in lui nuovi desideri, e stati d’animo, molto più complessi da soddisfare
rispetto ai bisogni. C’è la continua interferenza delle emozioni, nelle scelte di consumo. Le
emozioni, non sono più considerate esclusivamente attinenti al territorio femminile e viste quasi
come una sorta di lusso, diventano adesso il motore di molte scelte di consumo. Le pubblicità e
le marche, marciano sulle emozioni, cercando di suscitare in noi nuove passioni, che tenderemo a
coltivare e foraggiare nel corso degli anni. Pensiamo alle bellissime pubblicità natalizie di Coca-
Cola, creano in noi un mood assolutamente positivo, in un periodo di per sé molto fertile e
ricettivo ad un determinato tipo di emozioni. A Natale si sa, siamo tutti più buoni. E’ così che una
marca diventa di culto, perché i significati che veicola riescono a trascendere l’effimero, e a
28
G. Fabris, “Il nuovo consumatore: verso il postmoderno”, FrancoAngeli, 2003, p. 73
29
M. Maffesoli, “Il tempo delle tribù”, Guerini e Associati (2004)
12
“”
valore
rimanere inalterati nel tempo. Chi di noi non conosce il simbolo della Coca-Cola, e chi di noi
non è legato a qualche ricordo ad esso, magari di quando eravamo bambini, al mare o all’ora di
merenda, o chissà.
Risulta impossibile forse non pensare al rumore che si fa versando la lattina in un bicchiere, o le
bollicine che la bibita ghiacciata lascia sul bicchiere.
I si diffondono trasversalmente, in gran parte della popolazione, toccando persone diverse
tra loro, tutti accumunati sicuramente dalla ricerca di apprezzamento estetico e sensoriale, che
purtroppo spesso finisce con incidere negativamente sulle caratteristiche funzionali dell’oggetto
in questione. La tendenza all’estetitizzazione della vita quotidiana fa si che certi beni si trovino
in una posizione privilegiata rispetto ad altri, anche se c’è chi ancora preferisce confrontarsi con
la realtà funzionale di un oggetto. Il ruolo del design nel rendere “bello” un oggetto, è ormai noto
a tutti. Tant’è che si tende a recuperare anche il bello “passato”, il consumatore post moderno
accinge a piene mani dal passato recuperando ciò che di buono e di esemplare era stato prodotto.
Ecco spiegato il successo del , soprattutto nel settore dell’abbigliamento.
Tradizionalmente riservato ad un target molto ristretto, composto da giovani e giovanissimi,
spesso radical chic, il si sta invece diffondendo in tutti gli strati della società. Non
importa fermarsi alla moda per riscontrare in termini di mercato il successo di queste operazioni
di recupero dal passato, ne sono un altro esempio la Vespa, o la già citata auto Mini. Il nuovo
consumatore rifiuta l’ del minimalismo, non si vuole più rinunciare alla fantasia,
al colore, al movimento, in tutti i campi della vita. Così come non si vuole più correre da una
parte all’altra della città, con la continua ossessione del just in time, tipica dei manager, che
tendono sempre maggiormente a prendere le distanze da questa ossessione del , o very fast,
30
ricorrendo più spesso al cosiddetto , la riduzione volontaria delle ore di lavoro e
del salario per poter godere di più tempo libero. Un fenomeno in crescente sviluppo, confermato
anche da un’altra tendenza, quella al recupero delle tradizioni culinarie; lo slow food è emblema
del rallentamento del tempo, volto alla creazione di un equilibrio stabile tra produzione e
consumo, per evitare sprechi e distonie. E’ anche vero che rimanendo in ambito culinario, negli
ultimi anni si stanno sviluppando esponenzialmente nel nostro paese ristoranti etnici, primi tra
tutti i sushi bar, o i sushi restaurant. Il mercato multietnico è destinato ad esercitare un peso
crescente sull’economia del nostro paese, e proprio l’area della ristorazione è stata antesignana di
questo fenomeno. Ancora una volta queste tendenze ci fanno assurgere che il consumatore non
voglia sentirsi relegato ad una posizione di selettore tra proposte pre-strutturate. Il problema
sorge però se la merce in vendita non lo soddisfa, poichè egli probabilmente non disporrà di
molti mezzi per far arrivare la propria voce e le proprie richieste al produttore. Questo anche
30
S. Perotti, “Adesso Basta. Filosofia e strategia di chi ce l’ha fatta.”, Chiarelettere, 2009
13
fast
downshifting
understatement
vintage
vintage
trend
perché la filosofia della nostra economia si basa sull’offerta e non sulla domanda. Queste
insoddisfazioni, hanno però prodotto lo svilupparsi di “movimenti alternativi”, di consumatori
alla ricerca di nuovi e diversi canali, per esprimere le loro preferenze. Certo parliamo di
minoranze, che il più delle volte aderiscono a filosofie di vita, che riescono a perdurare proprio
grazie a questo spirito di insoddisfazione. E’ un consumatore in grado di vigilare sulle proprie
scelte di acquisto, e che esercita più o meno indirettamente uno scrutinio sul comportamento
delle imprese. Si affaccia all’orizzonte un consumatore che vive il consumo come un’esperienza
dotata di risvolti etici, e che sente responsabilità per situazioni e luoghi lontani a quelli a cui
appartiene. Tra gli esempi che potremmo citare, non possono non venire in mente le comunità
degli Hippies negli anni Sessanta e Settanta che con la loro controcultura contestativa
perseguivano il liberismo sessuale e la vita on the road, esprimendo il loro disappunto per i
valori della cultura dominante anche nelle scelte di consumo. Vengono ancora in mente i
numerosi movimenti che sempre negli anni Sessanta cominciarono ad organizzarsi per ottenere
cibi bio-dinamici, costituendo piccoli gruppi sia di rifornimento che di coltivazione, per
difendere una qualità di vita più sana secondo una visione olistica della relazione tra corpo ed
ambiente. Le motivazioni della scelta non erano economiche, si trattava di una filosofia di vita
con dei risvolti morali, di impegno sociale e ambientale. Anche se solo alcuni di questi gruppi si
sono impegnati poi in altre attività e nella volontà di creare un’organizzazione capillare che vada
anche aldilà dei confini del gruppo iniziale, hanno tutti contribuito in molti sensi a cambiare gli
stili alimentari, l’idea di salute e di cura in generale. Questo tipo di esperienze hanno quasi
sempre ruotato inizialmente intorno all’idea del no-profit, fino a modificarsi mano a mano che
andavano toccando altri ambiti della società. Dall’idea di un’alimentazione sana, parallelamente
si è sviluppato anche il campo della medicina alternativa. Ne è derivato un fiorente business, che
quarant’anni dopo, copre capillarmente tutto il territorio, fino ad arrivare ai supermercati, e
quindi alla disponibilità di tutti. Un altro caso similare è quello del commercio equo-solidale, che
ha fatto la sua comparsa nel 1969 grazie ad un’iniziativa olandese chiamata “Le Botteghe del
Mondo”; un progetto di sostegno allo sviluppo dei paesi emergenti, per evitare il ben noto
sfruttamento da parte delle grandi compagnie multinazionali. Il tentativo di dare un’opportunità
di sviluppo ai paesi poveri è passato attraverso il sostegno del consumatore occidentale a piccole
produzioni, che collocandosi fuori e contro le multinazionali, non avrebbero avuto nessuna
possibilità di successo e sopravvivenza. A metà strada tra i due esempi appena fatti, i GAS
31
(gruppi di acquisto solidale), che in più, oltre all’attenzione alla scelta per avere prodotti
genuini, cercano contemporaneamente di recuperare i sapori tradizionali, magari quelli dello
slow food. Ne possiamo ricavare una duplice impressione, da un lato ci sono consumatori che si
31
http://www.retegas.org/
14
danno da fare per entrare in contatto con una produzione alternativa, non solo per poterne
usufruire ma anche per sostenerla; dall’altra viene provocata la crescita di relazioni sociali
attraverso il consumo. Costituiscono un esempio di questa seconda impressione le associazioni
dei consumatori. Inizialmente movimenti spontanei e volontari, sono diventate vere e proprie
organizzazioni burocratiche, tutt’oggi più che influenti nelle dinamiche politiche dei nostri Paesi,
il cui intento è la difesa dei consumatori. Forse è azzardato inserirli in questo contesto, ma credo
anche i gay possano essere considerati un significativo segmento di mercato. Rappresentano
sicuramente un’importante subcultura e un “movimento alternativo” per molte delle scelte che
operano a livello di consumo. Hanno un proprio sistema di valori, di comportamenti, di
sensibilità e stile di vita, che li portano a scegliere marche e prodotti che molto spesso non
coincidono con quelli più diffusi. Non è certo un caso che il mondo dei media vada sempre più
sviluppando una strategia di attenzione verso la comunità gay. Mentre i movimenti che ho citato
in precedenza possono essere etichettati come “propositivi e positivi”, ce ne solo altri il cui
intento risulta forse più marcatamente politico, e che usano la protesta come forma di rottura e
uscita da un contesto convenzionale. Il boicottaggio viene usato come risposta a giudizi morali
espressi su determinate imprese, delle quali si cerca di influenzare le politiche industriali.
32
Emblematico è il caso di Nike, boicottata per le accuse di sfruttamento del lavoro minorile, o
33
di Shell, accusata di inquinamento per le sue piattaforme petrolifere, ma anche di Nestlè che da
anni lotta contro le accuse di utilizzare nella moltitudine di prodotti commercializzati, additivi
34
chimici o altri vari componenti dannosi per la salute. E’ possibile quindi che questi grandi
marchi più globali, siano oggetto di crescenti attacchi e fenomeni di boicottaggio all’insegna del
no logo, e cioè la ricerca di una semplicità che esalti i prodotti, e non penalizzi la vera essenza
delle cose, magari camuffandola sotto qualche nome altisonante. All’impresa si chiede di farsi
carico dell’intero ciclo di vita del prodotto, preoccupandosi in particolare dell’impatto
ambientale, del packaging, e anche che la produzione sia child-labor free. Emerge quindi una
nuova attenzione alla qualità della vita, il consumatore vive il consumo come un’esperienza
dotata di risvolti etici.
Abbiamo potuto vedere come la difficoltà del consumatore di far arrivare la propria voce al
produttore non abbia costituito un ostacolo al far sentire la sua voce, ma anzi, potremmo
azzardare che in tale modo si è dovuto ingegnare anche specializzandosi nella funzione di
selezione tra le merci. E così il consumatore è entrato in una nuova e plurale dimensione di
35
senso, in cui riesce abilmente a destreggiarsi, e ad essere conseguentemente “homo ludens”
32
http://damiduck.it/NIKE.htm
33
http://www.progettogaia.it/stampa/stampanotizia.asp?id=754
34
http://lists.peacelink.it/animali/2005/03/msg00085.html
35
Cfr: J. Huinzinga, “Homo Ludens” (1946), in “Il nuovo consumatore: verso il postmoderno” di Giampaolo Fabris,
Franco Angeli, 2003, p. 31; C. Lash, “La cultura del narcisismo” (1981) in G. Fabris, op. cit. 2003 p. 172; F.
15
e
“homo oeconomicus” . La stessa persona si troverà a fare acquisti al discount, in cerca
della convenienza, in una boutique in caccia dell’ultimo capo di tendenza, o magari acquisterà un
prodotto del mercato equo-solidale. E’ anche un consumatore creativo, o per utilizzare il termine
36
coniato da Campbell è un “consumatore artigiano”, volendo descrivere colui che rende propri
gli oggetti combinandoli e trasformandoli, dotandoli di una certa unicità. Molte di queste
appropriazioni originali esprimono vere e proprie sub-culture, come il mettersi il berretto da
baseball con la visiera all’indietro. La merce diventa così “ispiratrice” di altra merce, perché
l’utente ha trasformato il suo significato originale in uno imprevisto. Disponiamo di un numero
infinito di informazioni relative ai consumi e ai consumatori, che contraddittoriamente sembrano
produrre minor conoscenza sulle loro azioni. Per assurdo, sembrano davvero produrre
disinformazione. “La crisi più seria che la civiltà moderna è destinata ad affrontare riguarda il
37
modo di trasformare le informazioni in conoscenza strutturata” .
L’agire di consumo dipende da molti fattori, e cercare di classificarlo in canoni prestabiliti è un
paradosso. Non sono le variabili demografiche ad influire sui consumi, come adesso non
sembrano essere rilevanti nemmeno il sesso, l’età, o perfino il reddito. Le nuove analisi delle
38
informazioni di consumo, si orientano verso l’aggregazione per “stili di vita”, che sembrano
accomunare diversi strati della popolazione per sistema di valori, quotidianità, esposizione ai
media, impiego del tempo libero, generando una specie di uniformità in termini di consumo.
Possiamo azzardare che questo schema degli stili di vita, diventa uno straordinario semplificatore
delle scelte di consumo, poiché costituisce un modello da seguire, e de problematizza molte
indecisioni. Risulta abbastanza evidente che in un sistema come questo i comportamenti dettati
dall’istinto e quindi quelle scelte di consumo improvvisate, magari una tantum, vengono del tutto
esclusi. Inoltre, la crisi del concetto tradizionale di identità investe anche quella di stile di vita, si
assiste ad una proliferazione degli stili di vita, che portano ad una sorta di eclettismo all’interno
39
di uno stesso individuo. Allora potremmo invece parlare di “siti valoriali”, come subculture
relativamente stabili, nei quali possono convivere simultaneamente diversi stili di vita, ma che
non coincidono con essi. La nuova realtà di aggregazioni sociali, le nuove comunità del
40
consumo, restano però molto spesso estranee al sapere del marketing. “Alice non abita più qui,
non esiste più il paese delle meraviglie, fatto di un universo magico del consumo, anzi il
consumatore adesso ha proprio cambiato pelle. E’ diventato , scrollandosi di dosso
Jameson, “Post-moderno e società dei consumi” (1988), in “Societing. Il marketing nella società postmoderna” di
Giampaolo Fabris, Egea, 2008, p. 270; F. Morace, “Una nuova cultura del consumo” (1990), in G. Fabris, op. cit.
2008, p. 332
36
C. Campbell, “The Craft Consumer” (2005), in Journal of Consumer Culture, vol. 5, n° 1, pp. 23-42
37
A. Fuentes, “La cruna & il cammello. Il significato cristiano della ricchezza” (1994), in “Il nuovo consumatore:
verso il postmoderno” di Giampaolo Fabris, FrancoAngeli, 2003, p. 333
38
G. Fabris, op. cit 2003, p. 333
39
G. Fabris, op. cit. 2003, p. 337
40
G. Fabris, op. cit. 2003, p. 100
16
”autonomo
insieme