5
INTRODUZIONE
Premesse.
La dimensione che nell‟odierna società sta assumendo il
fenomeno del consumo di sostanze stupefacenti, soprattutto tra i
giovani, deve far riflettere sulle motivazioni che ne stanno alla
base. Alle cause di natura individuale, psicologiche o addirittura
psicopatologiche, si aggiungono, ed è opinione largamente
diffusa che è ad esse che deve essere attribuita la maggiore
responsabilità, le cause sociali, consistenti in un deterioramento e
prolungamento delle difficili condizioni esistenziali dello stato
adolescenziale, caratterizzato dalla ricerca della propria identità
di soggetto adulto.
Più precisamente, esse si possono sintetizzare in un acuto senso
di estraneità vissuto dagli adolescenti nei confronti del mondo
stabilizzato degli adulti. A determinare e diffondere tale stato di
disagio, sconforto o addirittura di angoscia concorrono poi molti
fattori macro-sociali universalmente noti: la strutturale difficoltà
di trovare occupazione, collegata alla generalizzata riluttanza a
svolgere lavori umili o non qualificanti, e perciò ritenuti non
gratificanti; l‟altissima competitività delle moderne società
industrializzate in quanto basate sul profitto, nelle quali quindi
tutte le valutazioni sono ad esso commisurate, il che genera acute
tensioni e stress individuali con conseguenti sentimenti di
6
frustrazione nel caso di insuccessi anche solo temuti; il processo
di urbanizzazione; le più ridotte dimensioni della famiglia e la
sua fragilità. Sono tutti fattori che accrescono la solitudine
giovanile e soprattutto il senso di estraneità rispetto al mondo
degli adulti.
Dinanzi a queste difficoltà di inserimento e adattamento sociale,
la droga appare un rimedio tanto facile quanto illusorio.
Innanzitutto, gli effetti farmacologici dell‟assunzione di
stupefacenti provocano quella gratificazione fisico-psichica che
attenua e interrompe il costante senso di disagio. Inoltre, non solo
gli effetti di obnubilamento della coscienza, ma anche già il
carattere trasgressivo e deviante dell‟assunzione consacrano e
simboleggiano – per così dire – un atteggiamento di rifiuto verso
una società considerata come nemica. Ancora, la “ritualità
comunitaria”, che di regola caratterizza l‟assunzione di
stupefacenti e la vita del tossicodipendente, è capace di costituire
un senso e un legame di gruppo, di integrazione in una
dimensione sociale, ancorché ridotta e chiusa, idonea tuttavia a
surrogare quella socialità che non si è potuta realizzare nella
società “normale”.
Prima di concludere sul punto, mi sembra comunque doveroso
segnalare come recenti indagini, condotte su di un numero
quantitativamente elevato di soggetti, abbiano appurato l‟alta
incidenza della curiosità tra le motivazioni soggettive collegate
alla prima assunzione di sostanze stupefacenti, il che non può
7
non destare preoccupazione per l‟atteggiamento di diffusa
tolleranza verso la droga, che essa sembrerebbe rivelare
specialmente da parte dei giovani1.
Lo scopo di questo lavoro vuol essere comunque quello di
analizzare il fenomeno droga sotto un profilo prettamente
giuridico, tralasciando qualsiasi valutazione sociologica, e
volgendo lo sguardo più precisamente alle sue implicazioni
penalistiche: si traccerà, quindi, dapprima un quadro d‟insieme
che ci consenta di affrontare in generale le modalità di intervento
da parte dello Stato nella repressione delle attività illecite, per poi
soffermare la nostra attenzione più in particolare sulla fattispecie
delittuosa dello spaccio di sostanze stupefacenti, attività che negli
anni recenti ha assunto proporzioni gigantesche, essendo
maggiormente da essa che le organizzazioni criminali
(soprattutto di stampo mafioso) ricavano i propri profitti illeciti.
1
F. C. PALAZZO, Consumo e traffico degli stupefacenti, Padova, 1993, 12
ss.
8
9
CAPITOLO I
Stupefacenti e legislazione antidroga
SOMMARIO: 1. Il fenomeno del consumo degli stupefacenti. – 2. Il
problema della risposta statale. – 2.1. Tra proibizionismo e anti-
proibizionismo. – 2.2. L‟opzione anti-proibizionista. – 2.3. L‟opzione
proibizionista. – 2.4. La soluzione italiana. – 3. L‟evoluzione della
legislazione italiana sugli stupefacenti. – 3.1. Dal codice penale alla legge
del 1954. – 3.2. Dalla legge del 1975 alla riforma del 1990. – 3.3. Il Testo
Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza (d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309). – 3.4. L‟abrogazione
referendaria del 1993. – 3.5. Le modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre
2005, n. 272, convertito con modificazioni in l. 21 febbraio 2006, n. 49. –
4. La nozione di sostanza stupefacente. – 4.1. I criteri per l‟individuazione
delle sostanze stupefacenti. – 4.2. L‟individuazione legislativa delle
sostanze stupefacenti.
1. Il fenomeno del consumo degli stupefacenti.
La diffusione dell‟uso di droghe illecite (soprattutto fra i giovani)
costituisce un fenomeno recente che si è sviluppato nel mondo
occidentale a partire dal dopoguerra, fino ad assumere negli anni
‟80 le proporzioni allarmanti che tutti ben conosciamo. Si tratta
di una realtà in continua evoluzione che ha assunto durante gli
ultimi cinquant‟anni caratteristiche via via molto diverse.
10
Con larga approssimazione si può dire che siano quattro le fasi di
evoluzione e trasformazione recente del fenomeno del consumo
di stupefacenti in Italia, e in generale nei paesi occidentali.
Originariamente contenuto in limiti quantitativi molto
circoscritti, e tali pertanto da non richiedere interventi mirati e di
largo respiro, il consumo di droga – e in particolare di cocaina –
era appannaggio o di fasce elitarie costituite da gruppi e ambienti
dell‟alta borghesia o artistico-culturali, ovvero di strati marginali
spesso legati al mondo della prostituzione. Esso non costituisce
dunque, in questa fase, un problema sociale, non è identificato
come la causa scatenante di drammi individuali e collettivi, ma è
visto prevalentemente come un comportamento trasgressivo della
morale dominante2.
Successivamente, a cavallo fra gli anni ‟60 e ‟70, il consumo di
droga, e in particolare dei derivati della cannabis (prevalenza,
dunque, dell‟uso di sostanze “leggere” e sperimentazione
occasionale di allucinogeni), cominciò ad estendersi rapidamente
tra la popolazione giovanile, assumendo un significato
prevalentemente contestativo di una società che aveva vissuto
uno dei momenti della sua massima crisi politica e ideale con la
guerra del Vietnam. Il consumo in questa fase è strettamente
legato “alla ricerca e all‟elaborazione di contenuti culturali
2
Così L. CAVANA – N. MARTINO in Le politiche delle droghe, Bologna,
1981, 11.
11
nuovi”3, sia per quanto riguarda la dimensione della socialità, sia
in relazione al raggiungimento di stati di coscienza particolari e
inesplorati che all‟espressione di precise istanze liberatorie nei
confronti dei modelli e dei valori proposti dal mondo degli adulti,
oggetto in quegli anni di profonda e accesa contestazione.
La terza fase di diffusione, compresa tra il 1973-74 e il 1980,
assume caratteristiche assai diverse dalla precedente, e vede
entrare prepotentemente nel mercato, anche italiano, l‟eroina.
Sono gli anni in cui le aspettative di cambiamento e di
trasformazione sociale, che erano scaturite dalle lotte
studentesche e operaie del ‟67 e del ‟68, sono progressivamente
deluse. Il quadro sociale ed economico del paese si modifica: le
prospettive occupazionali delle giovani generazioni diventano
più incerte e precarie; gli adulti, che concentrano energie e
risorse sempre più consistenti nel perseguire livelli più elevati di
benessere, non sono in grado di proporre modelli e obiettivi
diversi da quelli del successo, della ricchezza, dei consumi. Più
in generale si assiste ad un deterioramento nella qualità dei
rapporti interpersonali. Contestualmente, la malavita organizzata,
che ha individuato nella droga un terreno di profitto
particolarmente fertile, si inserisce attivamente per dirigerne e
controllarne il mercato. È questo il contesto in cui i
3
SIED – LABOS, Comunicazione e droga, Terzo rapporto europeo sui
servizi per le tossicodipendenze, Roma, Presidenza del Consiglio dei
Ministri, Direzione generale delle informazioni dell‟Editoria e della
proprietà letteraria, artistica e scientifica, 1986.
12
comportamenti di droga si trasformano sia nei termini del loro
significato4, sia in relazione al tipo di sostanze utilizzate5.
L‟ultima fase di trasformazione del fenomeno inizia a partire
dagli anni ‟80: l‟uso di droga si estende e si diffonde in tutti i
contesti sociali, la droga è disponibile ovunque, l‟età della prima
assunzione si abbassa progressivamente, non si riscontrano più
variabili esplicative particolari, ma si fa riferimento alla
condizione giovanile nel suo complesso. Così si esprimeva il
Ministero dell‟Interno, nel 1984, in una relazione sullo stato delle
tossicodipendenze: “Si entra nel mondo della droga senza ragioni
precise, sull‟onda di quella che viene definita una „sindrome
amotivazionale‟, mista di noia, curiosità, accettazione indistinta
del nuovo, incapacità critica e selezione dei modelli di
comportamento”6. A differenza dei consumatori delle prime fasi,
quello degli anni ‟80 è alla ricerca di una compatibilità tra l‟uso
di droga e il suo stile di vita abituale. Emerge una nuova
tipologia, quella del “consumatore integrato”, che è in grado di
4
Da esperienza culturale di innovazione, il consumo di droga assume i tratti
di una scelta di ripiegamento su se stessi, accettato e, anzi, cercato,
nonostante la certezza della distruzione del proprio essere fisico e psichico.
5
Si passa dall‟uso prevalente di sostanze “leggere” a quello di sostanze
“pesanti”.
6
MINISTERO DELL‟INTERNO – DIREZIONE GENERALE DEI
SERVIZI CIVILI, Diffusione delle tossicodipendenze. Quantità e qualità
degli interventi pubblici e privati in Italia, Rapporto conclusivo della ricerca
affidata al Censis, Roma, 1986.
13
controllare il rapporto con la droga, utilizzandola solo durante i
weekend o in determinate circostanze7.
Un fenomeno, quello del consumo di sostanze stupefacenti, che
ha subito, dunque, negli ultimi anni un processo di
massificazione, con conseguente cospicuo incremento della quota
di c.d. “sommerso” – costituita da assuntori non solo occasionali,
ma anche abituali ancorché saltuari, che peraltro vivono in modo
socialmente del tutto adattato – e che segna in qualche modo
l‟inizio di una sorta di coesistenza tra droga e vita sociale8.
2. Il problema della risposta statale.
2.1. Tra proibizionismo e anti-proibizionismo.
Il legislatore può ispirare la disciplina concernente il consumo
voluttuario di droga, la produzione e il traffico, optando tra le
molte alternative concepibili all‟interno di una serie i cui estremi
sono segnati dai modelli astratti del proibizionismo e dell‟anti-
proibizionismo o non-proibizionismo. Sia l‟uno che l‟altro
modello sono tuttavia suscettibili di un‟ulteriore articolazione e
distinzione. Così, il proibizionismo può assumere soluzioni
fortemente differenziate per quanto riguarda il trattamento del
consumatore: in teoria, si può andare dalla punibilità pura e
7
M. RAVENNA, Adolescenti e droga: percorsi e processi socio-psicologici
del consumo, Bologna, 1993, 47 ss.
8
F. C. PALAZZO, Consumo e traffico degli stupefacenti, cit., 3, 11.
14
semplice all‟estremo opposto della sua assoggettabilità a
trattamento medico-terapeutico o socio-riabilitativo, passando
per la soluzione intermedia di una punibilità sostituibile in
concreto col trattamento di recupero.
Anche all‟interno del modello dell‟anti-proibizionismo sono
immaginabili due soluzioni diverse, che vanno solitamente sotto i
nomi di liberalizzazione e di legalizzazione. Con la prima
soluzione, tutte le attività di produzione, commercio e consumo
sono giuridicamente lecite senza limiti particolari, con la
conseguenza che il prezzo e la qualità delle sostanze messe in
circolazione è in definitiva determinato dalle condizioni
economiche del mercato. Con la legalizzazione, invece, non
solamente la produzione e il commercio sono disciplinate
interamente dallo Stato fino alla determinazione autoritativa dei
prezzi al pubblico delle sostanze, eventualmente vendute
addirittura in regime di monopolio, ma anche il consumo può non
essere interamente libero, nel senso che la somministrazione
dello stupefacente avviene sotto il controllo dell‟autorità sanitaria
in apposite strutture pubbliche.
La situazione è poi complicata dalla distinzione che solitamente
si fa tra droghe c.d. “leggere” (in sostanza i derivati della
cannabis) e droghe c.d. “pesanti” (principalmente l‟eroina e la
cocaina), a seconda dei loro effetti e in particolare della loro
15
capacità a dare dipendenza fisica e tolleranza9. In effetti, opzioni
legislative diverse possono coesistere nella disciplina
complessiva degli stupefacenti, in quanto riguardino sostanze
diverse: ad esempio, liberalizzazione delle droghe “leggere” e
legalizzazione, o anche proibizionismo, di quelle “pesanti”10.
2.2. L’opzione anti-proibizionista.
Tale soluzione può essere ispirata da due orientamenti ideologici
tra loro profondamente diversi. Da un lato, l‟anti-proibizionismo
può costituire l‟espressione di una scelta effettuata in termini –
almeno apparentemente – di libertà, e quindi ispirata a valori che
si ritengono, anche costituzionalmente, rilevanti e cogenti per il
legislatore: all‟istanza “sociale” si contrappone in questo caso
l‟istanza “libertaria”11. Dall‟altro, l‟opzione anti-proibizionista
può essere l‟espressione di un atteggiamento essenzialmente
pragmatico che, muovendo dalla constatazione del generale
fallimento della strategia proibizionista, ritiene che i danni sociali
9
Su questo punto ci si soffermerà più in dettaglio in seguito, nell‟ambito del
quarto capitolo. In questa sede, basti ricordare che, per effetto della recente
l. 21 febbraio 2006, n. 49, è stata oramai superata – anche attraverso la
rimodulazione del sistema tabellare – la tradizionale distinzione tra droghe
“pesanti” e droghe “leggere”, unificate riguardo al trattamento
sanzionatorio.
10
F. C. PALAZZO, Consumo e traffico degli stupefacenti, cit., 19-20.
11
G. M. FLICK, Droga e legge penale: miti e realtà di una repressione,
Milano, 1979, 12-13.
16
della opposta opzione anti-proibizionista siano complessivamente
minori12.
Pertanto, nel duplice presupposto di un‟assenza di dannosità
sociale – per la salute e altri beni – delle droghe “leggere” e
dell‟indimostrabilità di una sequenza necessaria dall‟uso delle
droghe “leggere” all‟uso di quelle “pesanti”, si propone
solitamente la liberalizzazione delle prime e la legalizzazione
delle seconde. Più dettagliatamente, gli argomenti su cui si basa
tale opzione si richiamano ai vantaggi che ne deriverebbero sia –
a livello individuale – per gli assuntori, sia – a livello sociale –
per i soggetti “terzi”. Innanzitutto, sarebbe salvaguardata la
salute del consumatore dagli enormi rischi igienico-sanitari
derivanti dalla clandestinità, rischi che vanno dalle infezioni
(epatite virale, HIV) all‟overdose, al “taglio” delle sostanze
stupefacenti con altre nocive, etc. Inoltre, e sempre dal punto di
vista della tutela dell‟assuntore, sarebbe reciso quel deleterio
legame che stringe il consumatore allo spacciatore e – tramite
quest‟ultimo – ad un mondo di criminalità piccola e meno
piccola13.
12
In questa prospettiva acquistano peculiare rilevanza, tra l‟altro, oltre agli
imprescindibili profili di tutela della salute individuale e pubblica, ragioni di
difesa dell‟ordine pubblico interno e internazionale e dell‟economia
pubblica, e in genere l‟esigenza di mantenere i livelli di criminalità e quanto
ne consegue a tassi socialmente tollerabili.
13
F. BRUNO – U. LEONE, Relazioni tra droga e criminalità, in Trattato di
criminologia, medicina criminologica e psichiatria forense, a cura di F.
Ferracuti, Milano, 52.