struttura sociale, non più come mezzo di riproduzione sociale; in
ultimo, quando la chiave di lettura è il pluralismo, il rapporto
educazione e società diventa multidimensionale e interdipendente.
Un fattore rilevante in questa terza fase è lo spostamento dalla
centralità scolastica al policentrismo formativo, ovvero l'esistenza
di una pluralità di agenzie e di occasioni formative e quindi di molti
spazi educativi possibili, parimenti validi.
Nonostante ciò, la scuola pare rimanere tuttora legata a parametri
educativi ormai obsoleti rispetto al contesto sociale. L'educazione
scolastica si basa ancora su un apprendimento che sviluppa
soprattutto la parte cognitiva, la didattica si fonda sulla
trasmissione di nozioni teoriche. La parte pratica e sperimentale
dell'educazione, indispensabile per lo sviluppo della capacità critica
e di giudizio, viene tralasciata in nome della conformità. Ci si
allontana dal vero significato della scuola, quel luogo dove si
impara a vivere, dove si comprende che cosa ognuno di noi deve
fare, chi sono gli altri e che cosa si può fare insieme a loro.
Il rischio dell'educazione scolastica odierna è quello di formare
delle persone incapaci di vivere nel nostro tempo, incapaci di
imparare ad apprendere da tutte le esperienze della vita.
Si risente il bisogno di un cambiamento; una direzione possibile, e
probabilmente positiva, è quella dell'educazione permanente e
continua.
E' opportuno precisare che in questo contesto ci si richiama al
concetto di educazione permanente nella sua componente
espressiva, nella sua visione generale. Appositamente non ci si
riferisce alle trasformazioni del sistema economico e istituzionale
necessarie alla sua messa in pratica, perché prendiamo in
considerazione l'educazione permanente come auspicabile tendenza
del cambiamento, come una sua possibile direzione.
La traiettoria tracciata nel primo capitolo porta al concetto di
educazione permanente, come valorizzazione dell'educazione nella
sua totalità, al fine di favorire la formazione di un individuo che
possa divenire soggetto e strumento del proprio sviluppo, della
propria educazione. Infrangendo i limiti della educazione
tipicamente scolastica o tipicamente famigliare, l'educazione
coinvolge una globalità di occasioni formative e una continuità
temporale che ricopre tutto il ciclo vitale.
Il soggetto dell'educazione è l'essere nella sua interezza, cognitiva,
creativa e sperimentale.
Questa tendenza all'autoeducazione investe anche la
socializzazione. Le linee discriminanti l'educazione dalla
socializzazione sono svariate: la formalità e l'informalità,
l'intenzionalità e la casualità, l'ideale simbolico e l'esperienza reale,
che caratterizzano, rispettivamente, l'una e l'altra.
La socializzazione, legame informale, casuale, reale tra l'individuo
e la struttura sociale, sembra quindi contenere l'educazione, che ne
rappresenta gli aspetti formalizzati e necessita, per questo, la
presenza di due ruoli, colui che insegna e colui che apprende.
Leggendo il rapporto socializzazione e educazione nel contesto
dell'educazione permanente, ogni esperienza socializzativa può
essere un'occasione educativa.
Integrazione ed innovazione sono i due poli principali attorno ai
quali hanno ruotato le varie teorie sociologiche sulla
socializzazione (secondo capitolo).
La socializzazione di Parsons è basata sul primo polo,
l'integrazione; essa segue una rigida divisione in primaria e
secondaria.
La socializzazione primaria consiste nell'acquisizione di
orientamenti valoriali che andranno a costituire la base indelebile
della personalità, l'agente principale di socializzazione è la
famiglia, il meccanismo di apprendimento è l'interiorizzazione.
La socializzazione secondaria incomincia con l'ingresso alla scuola,
che diviene agente principale di socializzazione in questa fase,
consiste nell'acquisizione di specificazioni di ruolo apprese
attraverso l'imitazione. La socializzazione si conclude con
l'assunzione dei ruoli adulti.
Sebbene Parsons consideri l'interazione il motore del processo di
socializzazione, in realtà gli individui interagiscono in quanto
ricoprono un preciso ruolo e rispondono conformemente alle altrui
aspettative.
Non può, quindi, che esistere la conformità alle prescrizioni già
esistenti, integrandosi nel contesto per il quale si viene socializzati.
Benché partano da presupposti molto diversi da quelli della teoria
parsonsiana, Berger e Luckmann arrivano alle stesse conclusioni: la
socializzazione ha principalmente una funzione di integrazione.
Persiste un concetto di socializzazione, suddivisa in primaria e
secondaria, che si conclude; qualora la socializzazione sia ben
riuscita si verifica la simmetria tra realtà oggettiva e soggettiva.
L'individuo partecipa alla realtà oggettiva, resa tale
dall'istituzionalizzazione, ricoprendo dei ruoli e con la loro
interiorizzazione forma nella coscienza la realtà soggettiva.
All'individuo resta la possibilità di percepirsi dentro o fuori al
sociale, ma il cambiamento avviene solo in termini di
risocializzazione o di choc biografico.
Tale visione di socializzazione, un po' imprecisamente
"integrazionista", non lascia spazio al mutamento sociale,
soffocando l'individualità in nome della trasformazione che deve
subire la natura asociale dell'individuo per potersi inserire nel, o
per, il sociale.
Diverse sono le dimensioni criticabili di questo concetto di
socializzazione. Per prima cosa, il ruolo non ha in realtà delle
connotazioni così rigide, in esso si inserisce anche il modo di
percepirlo e di interpretarlo del soggetto. Inoltre la socializzazione
non coincide con il processo di costruzione dell'identità, come
ricoprire un ruolo non significa avere un'identità.
L'ipotesi allora è che il processo di socializzazione si ponga tra
spinte all'integrazione e spinte all'innovazione, tra conformità e
conflittualità, in un continuo interscambio sia nel sociale sia
nell'individuo. La socializzazione non è solo un processo di
interiorizzazione delle norme ma anche un processo di attribuzione
di significato e di valore del soggetto verso l'esperienza e l'altro.
Essa assume connotati più quotidiani e di scelta, copre tutte le fasi
del ciclo vitale, è un processo continuo e reversibile, un viaggio
non lineare, non finito e nemmeno definito.
La necessità di allontanarsi da rigidi modelli di socializzazione, è
tanto più pratica che teorica, perché possa rispecchiare la realtà in
cui viviamo, valorizzandola e difendendoci dai rischi esistenti.
Complessità, policentrismo, eccedenza delle possibilità, maggiore
spazio alla soggettività, pluralismo caratterizzano il contesto
sociale contemporaneo. Se da un lato queste caratteristiche possono
portare un alto grado di libertà e soggettività, dall'altro lato esiste il
rischio di degenerazioni. Situazioni di disorientamento, che
comportano un'astensione dalla scelta, meccanismi narcisistici, nel
senso di incapacità di stabilire relazioni con le persone ed il
conseguente ripiegamento su oggetti materiali, diffusione della
modalità dell'avere e perdita di quella dell'essere, maggiore
attenzione a bisogni artificiali rispetto a quelli tipicamente umani.
Questa situazione di crisi coinvolge la socializzazione quanto il
processo di formazione dell'identità; sebbene, come abbiamo detto
prima, non bisogna confondere l'una con l'altro, senza
socializzazione non esiste identità.
L'identità, infatti, si forma in un rapporto triadico tra il soggetto,
l'altro e la struttura sociale. La particolare considerazione di una
delle variabili differenzia gli approcci sociologici a proposito
dell'identità (terzo capitolo).
Per Parsons, l'identità, conseguenza logica della socializzazione, è
il sottosistema stabile della personalità. Essa non è soggetta a
modifiche, è un codice che mantiene stabile il modello. Identità,
senso e funzione coincidono fino a far diventare la stessa cosa
identità simbolica e identità concreta. Ancora un volta il
mutamento, la libertà e la volontà individuale vengono offuscati
dall'integrazione conformistica al sociale.
L'interazionismo simbolico pone i presupposti per un concetto di
identità dove norme e valori non sono determinanti ma ne
costituiscono la cornice. L'identità è un concetto relazionale, reso
possibile dalla capacità di auto riflessione e di auto osservazione
del sé, che consiste nella definizione che il soggetto ha di sé stesso,
essa è sottoposta a rettifiche e negoziazioni durante le esperienze.
L'identità teorizzata dalla fenomenologia sociale è più vicina
all'interazionismo che a Parsons, però sono accentuati gli aspetti di
incertezza. L'accento posto sulla pluralizzazione delle sfere di
significato si spinge fino ad un'identità - puzzle, come una
combinatoria di possibili interpretazioni delle esperienze, dall'aria
estremamente provvisoria. Se da un lato quest'approccio rivaluta la
soggettività, dall'altro lato pone l'identità in una situazione di crisi
endemica, che rende l'esistenza stessa dell'identità impossibile: un
soggetto senza fissa dimora. Indubbiamente il percorso di
formazione dell'identità è difficoltoso, è in uno stato di crisi che si
manifesta in forme illusorie o malsane di identità; comunque essa
rimane possibile. Ci si riferisce all'identità come progetto di vita,
costruito con una strategia combinatoria - esplorativa, al quale
concorrono i valori, gli obblighi di ruolo e la personalità. Queste tre
componenti sono in continuo interscambio tra loro e con l'esterno,
tra individualità e socialità, tra conoscenza e azione, in uno stato di
costante ricerca. Il progetto di vita è presa di coscienza della
propria identità nel sociale.
L'incontro di socializzazione e identità, osservato attraverso la lente
dell'educazione, avviene nel ruolo professionale dell'insegnante
scolastico (quarto capitolo).
Innanzitutto l'insegnante si inserisce nell'indagine teorica in quanto
individuo, caratterizzato da un certo percorso socializzativo e da
un'identità peculiare. A questo aspetto per così dire personale, si
aggiunge quello professionale ed educativo. L'insegnante respira il
clima di crisi generale ma anche quella dell'apparato scolastico.
Da queste riflessioni di partenza, si è cercato di individuare le
caratteristiche, umane e professionali, di un insegnante affinché
possa svolgere un'azione socializzante ed educativa positiva per le
nuove generazione.
Superando quella visione dell'insegnante come funzionario
istituzionale che seleziona gli alunni, l'insegnante svolge una
funzione di socializzazione e di mediazione culturale.
Per socializzazione intendiamo fornire gli strumenti al bambino per
integrarsi nel sociale, sviluppando socialità e individualità; per
mediazione intendiamo trasmettere la cultura in modo che ci sia
quello spazio necessario per l'elaborazione personale. L'insegnante
non deve solo "dire qualcosa" agli allievi, ma dovrebbe
"incoraggiarli a trovare qualcosa".
Queste funzioni acquistano un senso ed un significato se
l'insegnante rappresenta un modello per l'alunno, se entra a fare
parte degli "altri significativi".
Si crea, così, un ponte inevitabile tra l'insegnante e l'individuo. E'
importante, tanto quanto la preparazione culturale e didattica, il
valore dell'insegnante come essere umano, soprattutto oggi che
viviamo con una perdita di significato e di autenticità delle
relazioni umane.
L'insegnamento deve essere parte fondante del progetto di vita
perché i messaggi inviati possano essere percepiti e interiorizzati.
Non ci si riferisce ad una persona perfetta, senza pecca, o tuttofare,
ma a colui che ricerca e che è in grado di trasformarsi per
empatizzare con la natura dell'alunno; un individuo in stato di
educazione.
Certamente la crisi scolastica non è risolvibile con una maggiore
competenza dei maestri, è necessario un programma generale, ma
da qualche parte bisogna pure cominciare: senza un'educazione al
futuro, non c'è innovazione.
Lo scopo dell'indagine empirica è di mostrare nella pratica le
connessioni tra socializzazione e identità nella figura
dell'insegnante scolastico, in particolare il maestro.
Il filo conduttore è ancora la ricerca di possibili elementi
innovativi.
L'ipotesi che guida il percorso empirico si fonda su una concezione
di identità come progetto di vita, di cui ne è parte la
socializzazione, continua e reversibile. L'individuo che percepisce
la propria biografia in questo modo, sceglie la professione di
insegnante come parte integrante del proprio cammino.
Non solo "fa" il maestro ma "è" il maestro, vivendo il proprio
mestiere. Questo favorisce la creazione di una relazione
significativa tra alunno e maestro, che non sia imposizione dall'alto
ma scambio, per formare ad un atteggiamento critico ed innovativo
verso il sociale.
Il campione esaminato è costituito dal nucleo dei maestri
elementari della scuola privata steineriana "Maria Garagnani" di
Bologna.
Questa scuola fa parte del movimento delle libere scuole Waldorf,
ispirate alla pedagogia di Rudolf Steiner, estremamente diffusa in
Germania, Svizzera e Olanda.
Lo scopo educativo di questa scuola, partendo dal riconoscimento
della spiritualità del bambino, è rivolto a sviluppare la peculiarità di
ogni bambino per la formazione di un adulto libero.
L'elemento artistico è il fondamento della didattica per rispettare la
totalità dell'essere umano e dell'apprendimento, sia cognitivo sia
pratico. Il principale elemento educativo dell'arte, di ogni tipo di
arte, sta nel dare forma a qualcosa ed attribuirvi un significato, e
richiede un coinvolgimento di tutto l'essere.
Per quanto riguarda la metodologia seguita, si è scelto l'approccio
biografico per salvaguardare la specificità delle variabili utilizzate,
socializzazione e identità.
In specifico si sono utilizzate delle storie di vita, rilevate con la
tecnica del colloquio in profondità, o meglio dei tranches de vie il
cui evento fulcro è l'insegnamento.
L'analisi di questi spaccati biografici è avvenuta attraverso
l'intreccio di traiettorie, percorsi che caratterizzano l'esperienza in
una dimensione cronologica, e di transizioni, mutamenti più o
meno radicali all'interno del percorso.
In breve, il filo conduttore che nasce dall'impulso iniziale, frutto di
riflessioni sul diffuso malessere, passa attraverso la teoria
sociologica e la realtà di poche storie di vita fino all'emergere di
elementi innovativi.
Parte
teorica
“Non si progredisce cercando di
migliorare ciò che già è stato
fatto , bensì cercando di
realizzare ciò che ancora non
esiste.”
(K. Gibran, “Sabbia e spuma”,
Newton, Roma, 1993)
CAPITOLO PRIMO
Educazione, scuola, società:
una breve traiettoria verso l'educazione permanente
1.1. Educazione e socializzazione: alcuni problemi di
definizione
"L'educazione costituisce l'insieme dei soli aspetti formalizzati e
istituzionalizzati della socializzazione, implica sempre un rapporto
- peraltro non necessariamente asimmetrico - tra chi insegna e chi
apprende, e presenta un certo grado di consapevolezza del processo
stesso da parte di coloro che sono in esso coinvolti."
1
La definizione presenta l'educazione come una componente del più
ampio processo socializzativo, di cui ricopre solamente i segmenti
formali ed istituzionali. Il rapporto educativo, perché si possa
definire tale, necessita di due ruoli definiti, colui che insegna e
colui che apprende.
Cesareo differenzia educazione e socializzazione attraverso la
discriminante formalità ed informalità; l'educazione, parte
istituzionalizzata e formalizzata, acquista un significato più ristretto
rispetto a quello più ampio di socializzazione in quanto
quest'ultima "comprende tutto quanto attivamente o passivamente
concorre all'inserimento di un individuo nei gruppi sociali e, in
particolare, dal punto di vista sociologico, ogni elemento della
1
F. De Marchi, A. Ellena, B. Cattarinussi (a cura di), "Nuovo dizionario di
sociologia", Paoline, Milano, 1987, p. 750
complessa relazione fra la struttura sociale e la formazione della
personalità."
3
Nel panorama sociologico il significato più diffuso attribuito ad
educazione implica un legame indissolubile con l'istruzione: "con il
termine di educazione si indica lo sviluppo dei vari aspetti della
crescita dei giovani, dal punto di vista della formazione del
carattere, delle capacità mentali, del senso morale, soprattutto
attraverso una istruzione sistematica, che avviene nella scuola e in
altre istituzioni. Per estensione, si parla di educazione anche per
indicare processi analoghi che avvengono in età adulta (educazione
permanente, educazione degli adulti)."
4
Fino ad ora le definizioni proposte individuano la formalità come
termine di riconoscimento dell'educazione.
Baraldi
5
, osservando da un'altra angolatura, coglie la differenza tra
educazione e socializzazione nell'intenzionalità che caratterizza
l'educazione e nella casualità che caratterizza la socializzazione.
Perché la socializzazione si realizzi occorre semplicemente la
partecipazione al contesto sociale, l'educazione al contrario ha uno
scopo da raggiungere.
La formalità dell'educazione si riscopre nella intenzionalità che
rende indispensabile, perché esista educazione e non
socializzazione, un obiettivo; "si definisce il risultato a cui si
vorrebbe giungere, si valutano le condizioni di partenza ... si
scelgono gli strumenti ritenuti più appropriati per ottenere quei
risultati a partire da quelle condizioni."
6
3
V. Cesareo in E. Besozzi, "Elementi di sociologia dell'educazione", La
Nuova Italia Scientifica, Roma, 1990, p. 74
4
L. Ribolzi, "Processi formativi e strutture sociali", La Scuola, Brescia, 1984,
p. 13
6
ibidem, p. 61
Sgroi evidenzia l'interazione tra educazione e socializzazione: la
prima rappresenta in chiave simbolica i contenuti ideali estrapolati
dalla socializzazione, espressione reale dei rapporti sociali.
"La socializzazione è il processo reale/materiale, quello che si
produce nella rete oggettiva dei rapporti sociali e che si misura con
la forza, l'antagonismo, la violenza che le parti che intervengono
nel rapporto sociale portano con sé; l'educazione è invece un
processo simbolico, determinato dalla enucleazione e dalla
convalidazione di un sistema di significati attribuibili, in termini di
desiderabilità e di razionalità, agli atteggiamenti e ai
comportamenti umani. L'educazione è così, in una certa misura,
l'espressione delle funzioni e delle tendenze reali della
socializzazione e la loro progettazione come ideali simbolici,
rappresentazioni coerenti, significative, fortemente vincolanti; nello
stesso tempo costituisce, per così dire, una sorta di piano regolatore
della socializzazione che orienta storicamente i progetti di vita e li
propone come modelli di realizzazione."
7
In linea teorica tutti questi esempi di definizioni potrebbero essere
ritenuti validi, nel riconoscimento che il rischio di ogni definizione
è la riduzione della ricchezza del fenomeno. Quello che rende
attendibile una definizione o un'altra è la sua vicinanza con il
contesto storico-sociale nel quale è inserito il fenomeno di cui si sta
trattando. In quest'ottica un modo relativamente nuovo di parlare di
educazione è il concetto di educazione permanente.
L'educazione permanente è "l'insieme di educazione formale e non
formale, auto-formazione ed educazione istituzionale, educazione
7
E. Sgroi (a cura di), "Educazione e socializzazione", Giuffrè, Milano, 1979,
pp. 79, 80
del bambino, del giovane e dell'adulto durante tutti i periodi della
vita."
8
Il soggetto attore del processo educativo "...non si trova nel campo
dell'avere ma in quello dell'essere. L'essere in una condizione di
divenire, ad ogni differente età e circostanze variabili, è il vero
oggetto dell'educazione."
9
Vorremmo precisare che in questo contesto ci si richiama al
concetto di educazione permanente conferendole un valore di meta
a cui tendere, di stimolo teorico verso un augurabile cambiamento.
Appositamente non ci si riferisce alle trasformazioni del sistema
economico e dell'apparato scolastico che sarebbero necessarie per
la messa in pratica del concetto. Verrà valorizzata la componente
espressiva della visione di educazione permanente, nella sua
generalità.
1.2. Educazione e società: tre modalità sociologiche di
interpretare questo rapporto
Sia che si consideri l'educazione come la parte istituzionale del
processo socializzativo, sia che l'educazione ricopra un significato
più ampio che si trasforma seguendo il corso di vita del soggetto, il
suo rapporto con la società è ineliminabile e riconosciuto dai vari
approcci sociologici.
Le interpretazioni sociologiche del rapporto che lega l'educazione
alla società (o viceversa) si possono collocare in tre grandi fasi
10
:
8
R. Moscati (a cura di), "La sociologia dell'educazione in Italia: centralità e
marginalità della scuola", Zanichelli, Bologna, 1992, p. 34
9
P. Lengrand in W. K. Richmond, "Educazione e scolarizzazione", Armando,
Roma, 1977, p. 29
10
E. Besozzi, op.cit., 1993, pp. 36, 37
A) educazione come variabile dipendente della società;
B) educazione come variabile indipendente dalla società;
C) educazione e società come variabili interdipendenti .
A) I contenuti e gli effetti dell'educazione dipendono dal contesto
sociale, l'educazione è soprattutto considerata come istruzione
scolastica e famigliare. Il presupposto di base è una concezione di
individuo intrinsecamente asociale, una tabula rasa che la società
trasforma, con l'educazione, in essere umano. Allora l'educazione
ricopre la funzione di integrazione della struttura sociale,
finalizzata alla coesione ed all'ordine interno con il controllo della
struttura sociale sull'individuo. L'imposizione che la società compie
sull'educazione viene individuata a seconda della teorizzazione che
sta alla base dell'apparato teorico di un autore o di un altro.
Per Durkheim "l'educazione è l'azione esercitata dalle generazioni
adulte su quelle che non sono ancora mature per la vita sociale.
Essa ha lo scopo di suscitare e di sviluppare nel bambino un certo
numero di stati fisici, intellettuali, e morali che richiedono da lui sia
la società politica nel suo insieme che il settore particolare al quale
è specificatamente destinato."
11
L'educazione è quello strumento che l'adulto adotta sulle giovani
generazioni per prepararle alla vita sociale, trasformando il
bambino in un essere sociale e morale. Infatti l'uomo è tale in
quanto essere sociale e dunque morale poiché la naturale
predisposizione del neonato è l'amoralità, l'asocialità, l'egoismo.
Sta allora nella società sancire l'ideale educativo a cui si deve
tendere; le mete pedagogiche individuate da Durkheim sono:
"l'uomo deve specializzare al massimo la propria attività; deve
11
E. Durkheim, "L'educazione: la sua natura e il suo ruolo" in V. Cesareo (a
cura di), "Sociologia dell'educazione. Testi e documenti.", pp. 58, 59
sviluppare la propria personalità nel modo più ampio possibile;
l'uomo deve coltivare in sé stesso gli ideali umanitari."
12
Il dover raggiungere un certo ideale educativo non crea in alcun
modo conflitto. Non esiste nel pensiero durkheimiano la possibilità
di imposizioni sociali, l'uomo stesso desidera essere educato dalla e
alla società: "l'individuo volendo la società, vuole sé stesso".
La stessa dipendenza dell'educazione dalla società si ritrova in un
altro sociologo classico Carl Marx. Rientrando nella suddivisione
struttura -sovrastruttura, l'educazione appartiene alla sovrastruttura
a sua volta determinata dalla struttura economica. Pertanto essa
risulta essere un mezzo di riproduzione dell'esistente; l'educazione
istituzionalizzata dalla classe borghese, ricalcante il modello
educativo del sistema capitalistico, è uno strumento per inculcare
l'ideologia dominante nelle classi subalterne, fossilizzando le
divisioni di classe.
Anche se Marx sostiene che l'educazione potrebbe diventare
canale di evoluzione per il proletariato, una volta preceduta dalla
presa di coscienza di classe, in realtà resta un mezzo di
riproduzione dell'esistente. Il rapporto educazione e società si
connota in una duplice chiave: la critica al modello dominante,
modello capitalistico che riproduce la realtà dei rapporti sociali ed
economici già esistenti; la proposta di un'educazione che potrebbe
diventare mezzo di emancipazione superando la divisione tra
lavoro intellettuale e manuale, ripristinando un collegamento con il
mondo del lavoro, verso una società senza classi. In tutte due le
versioni l'educazione rimane una funzione della società.
Nonostante la visione di attore sociale che sta alla base della teoria
di Max Weber, lontana dal rigido determinismo di Durkheim,
rimane la dipendenza della educazione dalla struttura sociale.
12
E Sgroi, op.cit., 1979, pp. 63, 64