2
Tuttavia l’evoluzione della realtà economico-sociale degli organismi produttivi e
del loro ruolo e la situazione generale di crisi dell’economia, soprattutto negli anni
’70 ed ’80, sottoposero a violente tensioni i modelli di soluzione della crisi di
imprese offerti dalle procedure concorsuali tradizionali.
Tali tensioni furono determinate dall’emergere e dall’affermarsi di finalità diverse
da quelle tradizionali e tipiche di protezione e soddisfacimento dei creditori
dell’impresa in dissesto, e, fra queste, quella della conservazione dell’organismo
produttivo (specie se grande), considerato come valore da preservare e tutelare, in
relazione a tutti gli interessi collettivi che su di esso gravitano.
Di qui la tendenza a privilegiare, sia sul piano normativo che su quello fattuale,
procedure o meccanismi di risanamento dell’impresa, attraverso l’eliminazione
dei fattori di crisi, o di recupero, previa riorganizzazione dei complessi produttivi.
A livello normativo si ebbe il proliferare di leggi di salvataggio di categorie di
imprese o anche di singole imprese e, soprattutto, si ebbero importanti
innovazioni al sistema generale delle procedure concorsuali.
Tali innovazioni introdussero rilevanti elementi di disarmonia, e di conseguenza
resero necessaria una riforma generale del sistema di disciplina della crisi
d’impresa, al fine di raggiungere un soddisfacente punto di equilibrio tra le due
fondamentali esigenze che le crisi patrimoniali di impresa prospettano: il
soddisfacimento dei creditori (tutela del credito) e la preservazione degli
organismi produttivi.
Il processo riformatore si è sviluppato per mezzo di tre distinti provvedimenti
normativi:
3
- il d.l. 14 marzo 2005, convertito in l. 14 maggio 2005, n. 80, che ha modificato
in alcune parti la disciplina del concordato preventivo;
- il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, recante la “Riforma organica della disciplina
delle procedure concorsuali”, che ha innovato la disciplina del fallimento e
soppresso l’amministrazione controllata;
- il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, cosiddetto “correttivo”, che ha integrato e
modificato i decreti precedenti, intervenendo altresì sulla disciplina della
liquidazione coatta amministrativa.
Il risultato raggiunto al termine di questo processo riformatore non è stata una
completa rivisitazione e riscrittura della legge fallimentare del 1942, ma un suo
rimodellamento e l’integrazione di specifiche, ed a volte isolate, disposizioni. Ciò
ha generato un quadro, forse coerente nelle sue linee di fondo, ma per altri versi
incerto, specie là dove si è innovato introducendo figure tipiche dell’esperienza di
altri ordinamenti. Fondamentale per la comprensione di queste nuove figure potrà
allora rivelarsi il contributo sia della giurisprudenza, che della dottrina, chiamate a
procedere ad equilibrate ricostruzioni interpretative, con un occhio attento anche
ai profili comparatistici.
La presente tesi mira ad evidenziare da subito come il complesso delle procedure
concorsuali sia molto più articolato e variegato di quanto il riferimento al solo
fallimento possa far apparire, e come, d’altra parte, quel complesso costituisca
solo una porzione di un sistema dai confini assai più ampi, in cui tuttavia la sorte
dell’impresa è sempre posta al centro dell’attenzione del legislatore.
4
CAPITOLO 1
LE PROCEDURE CONCORSUALI IN GENERALE
1.1 La categoria delle procedure concorsuali.
L’espressione “procedure concorsuali” comprende una serie di procedure
nelle quali, con la presenza di un’autorità pubblica, viene regolato il rapporto
tra un determinato soggetto ed il complesso dei suoi creditori. Anche se tali
procedure non si esauriscono nell’ambito dello statuto dell’imprenditore, nel
linguaggio comune vengono indicate con tale espressione proprio le
procedure collegate alla crisi dell’imprenditore commerciale.
Invero, la libertà di iniziativa economica, sancita dall’art. 41 Cost., in cui
deve essere compresa la libertà di avviare l’attività economica, di proseguirla
in regime di autonomia e di cessarla in base ad una determinazione spontanea
dell’imprenditore, trova un limite nella possibilità che l’imprenditore venga
sottoposto ad una procedura concorsuale.
Innanzitutto, occorre tener presente che il legislatore ha previsto una pluralità
di procedure concorsuali, ciascuna con proprie caratteristiche, tanto con
riferimento ai presupposti, quanto con riferimento alle finalità, agli organi, ai
soggetti. Il dato comune a tutte è costituito dalla circostanza che, al verificarsi
di determinate situazioni, in forza di un provvedimento dell’autorità
giudiziaria (su questa materia c’è una competenza funzionale del tribunale del
luogo dove l’impresa ha la sede principale) o di un’autorità amministrativa
(un ministro della Repubblica), viene sottratta all’imprenditore la gestione e
5
la disponibilità dell’impresa e dei suoi beni, ovvero vengono nominati organi
che operano un controllo sull’esercizio della sua attività.
Le procedure concorsuali sono disciplinate da leggi speciali: quella
fondamentale, nota anche come legge fallimentare, è il r.d. 16 marzo 1942, n.
267 (come modificato dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, dal d.l. 30 dicembre
2005, n. 273, dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal d.lgs. 12 settembre 2007, n.
169) che contiene la disciplina del fallimento, del concordato preventivo, con
la sub specie costituita dagli accordi di ristrutturazione dei debiti, e della
liquidazione coatta amministrativa.
Il panorama delle procedure concorsuali disciplinate dalla legge nazionale va
integrato con il Regolamento comunitario relativo alle procedure di
insolvenza transnazionali (Regolamento CE n. 1346 del Consiglio del 29
maggio 2000). Tale regolamento, che ha diretta applicazione negli
ordinamenti nazionali, detta una serie di norme, che disciplinano il fallimento
di un soggetto che abbia una dipendenza in uno Stato dell’Unione Europea
diverso da quello in cui si trova la sede principale della sua attività, o che
comunque possegga beni in uno Stato diverso da quello in cui è stato
dichiarato il suo fallimento. La disciplina dettata dal regolamento non crea
una nuova procedura concorsuale, bensì introduce una serie di modifiche o
integrazioni alla disciplina nazionale delle procedure fondate
sull’accertamento dello stato di insolvenza.
Può dirsi che, da un’originaria finalità sanzionatoria e liquidatoria dell’unica
procedura concorsuale, quale il fallimento, conformatosi quando iniziarono a
svilupparsi i traffici commerciali e gli strumenti di credito (XIII – XIV
6
secolo), si è passati ad un’articolata pluralità di procedure, nelle quali il
profilo sanzionatorio essenzialmente scompare, salva l’imputabilità al
debitore di specifici illeciti, e dove assume rilevanza l’impresa quale bene da
proteggere ogni volta che le condizioni, pur critiche, in cui versa, lo
consentano.
Quindi, con lo strumento delle procedure concorsuali si attua l’esigenza,
manifestatasi a seguito della crisi dell’impresa, di un controllo sulla gestione
e sul potere di disposizione dei beni dell’imprenditore, tra cui quelli aziendali.
Un controllo che si può attuare attraverso un organo statuale munito di un
potere sostitutivo, ovvero attraverso una sorta di integrazione del potere di
gestione del titolare dell’impresa. Quando l’organo statuale (curatore,
commissario liquidatore, commissario straordinario) si sostituisce
all’imprenditore, opera in continuità con l’attività dell’imprenditore stesso,
seppure con finalità diverse (quelle proprie della procedura concorsuale). Ciò
significa che l’imprenditore conserva la proprietà dei beni, pur essendo stato
spogliato del potere di amministrarli e di disporne, e gli atti compiuti nella
procedura incideranno sul patrimonio, che, sin quando non sia stato liquidato,
resta di sua proprietà. Da ciò deriva, per il fallimento, che, qualora alla sua
chiusura i creditori risultino completamente soddisfatti, i beni non utilizzati a
tal fine, rimasti sempre della proprietà del fallito, rientrano nella sua piena
disponibilità.
7
1.2 Le caratteristiche comuni.
Sul piano strutturale quelle che vengono tradizionalmente e comunemente
definite come procedure concorsuali presentano una caratteristica
fondamentale comune, che le unifica e, al tempo stesso, le differenzia dagli
altri strumenti di soluzione della crisi di impresa.
Tale connotato è dato dal loro ruolo di strumenti di regolamentazione e
composizione coattiva dei rapporti fra l’imprenditore – debitore e l’insieme
dei suoi creditori in chiave di attuazione della responsabilità patrimoniale
dello stesso imprenditore – debitore1.
In quanto forme particolari di attuazione coattiva della responsabilità
patrimoniale, esse presentano precise ed indiscutibili affinità con i
procedimenti di esecuzione forzata disciplinati dal codice civile e dal codice
di procedura civile, ma se ne differenziano per i seguenti caratteri:
- universalità o globalità, cioè le procedure concorsuali investono l’intero
patrimonio del debitore esistente al momento dell’apertura della
procedura;
- generalità, cioè le procedure concorsuali riguardano e coinvolgono l’intera
massa dei creditori esistenti al momento dell’apertura della procedura,
dando luogo al concorso degli stessi in chiave tendenzialmente paritaria,
secondo il principio della cosiddetta par condicio creditorum;
- officiosità, cioè le procedure concorsuali si aprono con il provvedimento di
un’autorità pubblica (giudiziaria o amministrativa) e si svolgono nelle
varie fasi essenzialmente su impulso dell’autorità che ad esse sovrintende.
1
NIGRO – VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2009, 40.
8
L’essenza delle procedure concorsuali risiede nell’imposizione di un vincolo
di destinazione sull’intero patrimonio dell’imprenditore – debitore, e nella
costituzione, sul piano strutturale – organizzativo, di un particolare centro di
competenza, che subentra all’imprenditore o che ad esso si affianca.
Si può dunque dire che le procedure concorsuali costituiscono strumenti di
composizione coattiva dei rapporti fra imprenditore – debitore e suoi
creditori, attraverso la formazione di un patrimonio separato e la gestione
officiosa di esso da parte di un’autorità neutra, in chiave di realizzazione della
responsabilità patrimoniale dell’imprenditore – debitore.
1.3 La par condicio creditorum.
Fra i principi di fondo che caratterizzano le procedure concorsuali un ruolo
rilevante assume quello della par condicio creditorum, il principio della
parità di situazione e di trattamento dei creditori esistenti al momento
dell’apertura della procedura. Tutti i creditori anteriori a questo momento
hanno diritto di partecipare alla procedura o comunque sono coinvolti da essa;
e tutti, salve le cause di prelazione e le eccezioni consentite dalla legge,
debbono essere soddisfatti in eguale proporzione sul patrimonio assoggettato
alla procedura, ed attraverso di essa, o comunque tutti subiscono in eguale
misura la riduzione o compressione dei loro diritti. E questo,
tendenzialmente, almeno in tutte le procedure concorsuali, indipendentemente
dalle specifiche finalità che a ciascuna di esse si debba o si possa riconoscere.
Il principio della par condicio creditorum è di carattere generale, trovandosi
sancito nell’art. 2741, comma 1, c.c., a norma del quale “I creditori hanno
9
eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause
legittime di prelazione”. Ma proprio nelle procedure concorsuali se ne ha la
più nitida concretizzazione, in ragione della loro stessa struttura, appunto,
concorsuale. Ed in effetti proprio alla luce di tale principio si spiegano taluni
capisaldi della disciplina di queste procedure: il divieto delle azioni esecutive
individuali; le regole in materia di ripartizione dell’attivo ecc.
Sono stati fortemente discussi il fondamento e la portata del principio, sia in
generale, sia con riferimento alle procedure concorsuali. Da un lato vi è chi lo
considera alla stregua di un principio generale dell’ordinamento, espressione
a sua volta di principi di equità e di giustizia distributiva, che permea l’intero
sistema delle procedure concorsuali. Dall’altro vi è chi lo riguarda come un
semplice principio direttivo o come uno strumento tecnico di attuazione del
concorso scelto dal legislatore fra i diversi possibili, la cui portata, in ogni
caso, non potrebbe essere estesa al di là delle singole disposizioni in cui trovi
esplicitazione, un principio direttivo o uno strumento tecnico di cui si
sottolinea spesso anche la progressiva emarginazione (in diritto come in fatto)
che lo avrebbe reso una mera finzione o un residuato storico2.
Sembra corretta la considerazione del principio della par condicio creditorum
come regola tecnica di organizzazione del concorso, che è frutto di una scelta
del legislatore e che nulla o ben poco ha a che fare con idee astratte di equità,
di uguaglianza e di giustizia. E, d’altra parte, è certamente innegabile che la
stessa legge fallimentare prevede non poche deroghe a tale principio e che
altre deroghe sono previste in leggi speciali. Così come è innegabile che
2
NIGRO – VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2009, 42.
10
l’ordinamento italiano abbia visto e veda il moltiplicarsi incontrollato di
privilegi di ogni genere e tipo, e quindi delle cause legittime di prelazione,
con conseguente erosione del campo di applicazione del principio.
Tutto ciò, però, se impedisce di erigere la par condicio creditorum a vero e
proprio dogma vincolante anche per il legislatore, non toglie che alla regola
della parità di condizione e di trattamento dei creditori, che da sempre
connota le procedure concorsuali, debba tuttora riconoscersi il rango di
principio organizzativo centrale delle procedure concorsuali. Un principio
organizzativo, neutro sul piano finalistico, sul quale la procedura potrebbe
influire solo sul modo di concretizzazione di esso, ed intorno al quale, salve
le espresse deroghe portate da specifiche previsioni normative, ruota l’intera
disciplina di tali procedure; e che, pertanto, sicuramente fornisce un
fondamentale, e talvolta indispensabile, canone di ricostruzione,
interpretazione ed applicazione della stessa.
1.4 Procedure liquidative e procedure di risanamento o recupero.
Diverse sono le classificazioni proposte per le procedure concorsuali.
Una prima classificazione ha riguardo al modo in cui avvenga il
soddisfacimento dei creditori: e quindi si distingue fra procedure esecutivo –
satisfattive e non, a seconda che il soddisfacimento dei creditori abbia luogo
all’interno della procedura oppure dopo la chiusura della stessa.
Un’altra classificazione, che coincide in parte con la precedente, ha riguardo
alla sorte dell’impresa: si distingue, allora, fra procedure concorsuali
liquidative – dissolutive, da un lato, e procedure conservative, dall’altro;
11
nell’ambito di queste seconde si distingue, ulteriormente, fra procedure di
risanamento e procedure di recupero. C’è da dire subito, peraltro, che dopo la
riforma del 2005 – 2007, non sono più rintracciabili procedure
esclusivamente liquidative – dissolutive: anche il fallimento e la liquidazione
coatta amministrativa possono ormai consentire la conservazione delle entità
produttive. Quindi la sola distinzione dotata di una certa consistenza è quella
fra procedure che hanno come oggetto (necessario) il risanamento, per tale
intendendosi il ripristino dell’equilibrio patrimoniale dell’impresa, con
recupero della capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, e
procedure che hanno come oggetto (necessario o possibile) il recupero –
riorganizzazione dei complessi produttivi, in funzione della successiva
cessione a terzi. A questa seconda categoria appartengono tutte le procedure
concorsuali analizzate in seguito.
12
CAPITOLO 2
AFFITTO D’AZIENDA NEL FALLIMENTO
2.1 L’affitto d’azienda. Presupposti e ragioni di convenienza.
Con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, è stato definitivamente recepito nella legge
fallimentare l’istituto dell’affitto d’azienda da parte della curatela, già
pienamente utilizzato nella prassi; la nuova norma, tuttavia, ha certamente il
merito di aver regolamentato con chiarezza gli aspetti principali della
fattispecie, definendo, in particolare, il ruolo ricoperto dai diversi organi della
procedura, il contenuto minimo del contratto, i criteri per la scelta
dell’affittuario e dell’esercizio del suo diritto di prelazione ed, infine, la
retrocessione del complesso aziendale al fallimento.
L’istituto dell’affitto d’azienda, malgrado presenti evidenti analogie a quello
dell’esercizio provvisorio di cui all’art. 104 l. fall., ha certamente
caratteristiche differenti rispetto a quest’ultimo. Entrambi gli istituti si
pongono come misure di conservazione del patrimonio dell’imprenditore
fallito in funzione della liquidazione dei beni, ma con l’affitto d’azienda il
curatore trasferisce all’affittuario il rischio e la responsabilità della gestione
dell’impresa che, invece, con l’esercizio provvisorio rimarrebbero in capo alla
procedura.
Con l’affitto d’azienda, tuttavia, il curatore, affidando a terzi l’esercizio
dell’impresa, si espone al rischio di una gestione inefficiente del complesso
aziendale che, in alcuni casi, può addirittura portare ad un depauperamento
13
del valore dell’azienda. Appare dunque del tutto evidente che la curatela, se
deve prestare molta attenzione le caso dell’esercizio provvisorio, non meno
attenta e prudente dovrà essere nel caso dell’affitto dell’azienda fallita3.
Il curatore può, ovviamente, utilizzare entrambi gli istituti che, proprio per la
loro differente natura, possono coesistere nell’ambito della stessa procedura.
Se infatti ricorrono i requisiti dell’esercizio provvisorio, la procedura può
decidere di utilizzare tale istituto per garantire la continuazione dell’attività
aziendale e, successivamente, venuti meno i motivi di urgenza, ritenere
conveniente ricorrere all’affitto di azienda o di un ramo della stessa.
Esistono inoltre situazioni nelle quali non vi è alcuna alter natività tra le due
fattispecie: è il caso dell’azienda cessata prima della dichiarazione di
fallimento, in cui il curatore avrà la possibilità di ricorrere solamente
all’istituto dell’affitto, ma anche il caso dell’azienda utilizzata
dall’imprenditore fallito in qualità di affittuario con divieto di subaffitto a
terzi, in cui il curatore non avrà altra alternativa che l’esercizio provvisorio4.
2.2 I ruoli degli organi della procedura.
L’art. 104 bis l. fall. riconosce al giudice delegato il potere, previo parere
favorevole del comitato dei creditori, di autorizzare l’affitto dell’azienda (o di
suoi rami), anche prima del programma di liquidazione, e di concedere il
diritto di prelazione a favore dell’affittuario; tuttavia, il ruolo del giudice
delegato deve ritenersi del tutto marginale, in quanto sul piano operativo si
configura come un organo di mero controllo sulla regolarità delle operazioni
3
PATTI, L’affitto dell’azienda, in Fall., 2007, 1088 ss.
4
FIMMANO’, Art. 104 bis - Affitto dell’azienda o di rami dell’azienda, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio e
coordinato da Fabiani, Bologna – Torino, 2006, 1618 ss.
14
di affitto di azienda, attraverso le informazioni che gli verranno fornite dallo
stesso curatore così come previsto dalle disposizioni contenute nell’art. 107 l.
fall., senza tuttavia ricoprire alcun coinvolgimento diretto nella gestione di
tale fase della procedura.
Lo stesso art. 104 bis attribuisce invece al curatore il ruolo principale, che
avrà il compito di valutare le ragioni di convenienza di un eventuale affitto di
azienda, di scegliere l’affittuario e predisporre il contratto di affitto.
Innanzitutto il curatore dovrà valutare con estrema attenzione se esista o
meno un’effettiva convenienza per i creditori concorsuali a ricorrere allo
strumento dell’affitto d’azienda, in vista di “una più proficua vendita
dell’azienda o di parte della stessa”, o se, invece, esistono altre soluzioni
alternative.
Per quanto riguarda la scelta dell’affittuario, la stessa compete interamente al
curatore, il quale dovrà provvedervi in base all’art. 107 l. fall., in forza del
rinvio operato dall’art. 104 bis, comma 2, e quindi sulla base di procedure
competitive che garantiscano la trasparenza e le necessarie forme di
pubblicità. Il curatore dovrà innanzitutto far stimare l’azienda da esperti del
settore, o provvedervi lui stesso, attraverso un’attenta valutazione che tenga
conto del valore complessivo dell’azienda affidata a terzi e del rischio per
un’eventuale riduzione o perdita dell’avviamento; successivamente dovrà
procedere ad adeguate forme di pubblicità che assicurino la massima
informazione e partecipazione degli interessati ed, infine, individuare l’offerta
più conveniente.
15
Quanto ai criteri di selezione in caso di più offerte, a norma dell’art. 104 bis,
comma 2, il curatore dovrà tener conto di numerosi elementi che non possono
quindi ricondursi soltanto all’ammontare del canone offerto o alle garanzie
prestate, ma anche all’attendibilità del piano di prosecuzione dell’attività di
impresa ed alla salvaguardia dei livelli occupazionali. Ecco allora che la
scelta potrebbe anche ricadere su chi, pur offrendo un canone di affitto
inferiore agli altri, sia in grado di prestare maggiori garanzie per la
prosecuzione dell’attività, garantendo al curatore migliori prospettive di
realizzo in occasione della successiva cessione dell’intero complesso
aziendale, sempre con il limite di non arrecare danno alla massa dei creditori5.
Il curatore, adottando la necessaria prudenza e professionalità per la tutela del
ceto creditorio, in armonia con il nuovo ruolo attribuitogli dalla riforma
fallimentare, deve inoltre provvedere alla stipula del contratto di affitto di
azienda in base alle forme previste dall’art. 2556 c.c., il quale stabilisce la
redazione del contratto in forma pubblica o per scrittura privata autenticata,
da depositarsi nel registro delle imprese entro trenta giorni a cura del notaio
rogante o autenticante.
Qualora, infine, il complesso aziendale comprenda attività per brevetti o
marchi, per gli stessi si dovrà provvedere alla trascrizione di cui all’art. 138
del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30.
5
LICONTI, L’affitto dell’azienda del fallito, in SCHIANO DI PEPE (a cura di), Il diritto fallimentare riformato, Padova,
2007, 417 ss.