Introduzione
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5
proporre non due contemporanei consacrati dalla storiografia […], ma due
scrittori ignorati dal grande pubblico e […] spesso trascurati dai critici»4.
Va rilevato che indubbiamente la bibliografia su Scipio Slataper è assai ricca sin
dalla sua morte5, e tuttavia ci si è soffermati al principio quasi esclusivamente
sull‟avventura biografica, esaltando l‟eroe arruolatosi volontario come soldato
italiano e morto il 3 dicembre 1915, a soli ventisette anni, sul monte Podgora nei
pressi di Gorizia. Solo Giani Stuparich ha curato il cospicuo epistolario
slataperiano, probabilmente mettendo da parte le ragioni critiche, a causa della
filia empatica che lo legava all‟amico e concittadino6. Soltanto nel 2008 Simone
Volpato ha realizzato una ricognizione accurata dei testi della biblioteca privata e
dei postillati di Slataper, ricostruendo anche la «biblioteca immaginaria»,
risultante da lettere e pagine letterarie7.
Il mio Carso, pur nella miriade di ristampe prodotte per tutto il Novecento e sino
ai giorni nostri, non ha ricevuto un‟attenzione appropriata8. Emerge anzitutto
un‟asistematicità filologica: soltanto a partire dal 2006 si comincia un proficuo
4
F. CURI, Nota introduttiva cit., pp. 9-10.
5
Si vedano per esempio A. M. MUTTERLE, Scipio Slataper, Milano, Mursia, 1965, pp. 203-222;
C. DELCORNO, Rassegna di studi su Slataper (1965-1972), in «Lettere italiane», XXIV, 1972, n.
4, p. 532-548; S. SLATAPER, Il Mio Carso, a cura di B. Panieri, Ravenna, Allori, 2005, pp. 53-
61; S. SLATAPER, Il mio Carso, con introduzione di G. Cattaneo e commento di R. Damiani,
Milano, BUR Scrittori Contemporanei, 2007, pp. 39-41.
6
Si vedano: S. SLATAPER, Lettere, a cura e con prefazione di G. Stuparich, Torino, Fratelli
Buratti, 1931, 3 v., v. I, p. 12; S. SLATAPER, Epistolario, a cura di G. Stuparich, Milano,
Mondadori, 1950, p. 12; S. SLATAPER, Scritti politici, a cura di G. Stuparich, Milano,
Mondadori, 1954, p. 7; S. SLATAPER, Scritti letterari e critici, a cura di G. Stuparich, Milano,
Mondadori, 1956, p. 7.
7
S. VOLPATO, La lingua delle cose mute. Scipio Slataper lettore vitalissimo, con prefazioni di A.
M. Caproni ed E. Guagnini, Udine, Forum, 2008. Della biblioteca privata di Slataper si era già
occupato E. GUAGNINI, I libri di Scipio Slataper. Catalogo del Lascito Slataper, Trieste,
Dedolibri, 1988.
8
Giorgio Pullini sperava che «il nome di Slataper rimarrà più legato nel tempo all‟interesse
psicologico e culturale del suo epistolario che alla sua opera creativa Il mio Carso» (G. PULLINI,
L’epistolario di Slataper, in ID., Narratori italiani del Novecento, Padova, Liviana, 1959, p. 47).
Introduzione
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6
studio sui materiali d‟autore9 ed è auspicabile un‟edizione critica, oltre che una
riedizione di tutti gli scritti.
Il presente lavoro di tesi si inserisce in questo recente solco di studi, prendendo in
esame il romanzo di Slataper, a mio avviso tutt‟oggi affascinante, ma bisognoso di
maggiore considerazione. La trattazione si svolge in quattro capitoli: il primo
capitolo sulla triestinità dell‟autore, non esaustivo della questione, ha lo scopo di
avvio all‟analisi del montaggio (capitolo II) e dello stile del romanzo, con l‟esame
di alcuni luoghi specifici (capitolo III) e dei principali fatti linguistici (capitolo
IV).
9
Segnalo qui I. CALIARO, Sull’elaborazione del «Mio Carso» di Scipio Slataper. Prime notizie,
in «Lettere italiane», LVIII, 2006, n.3, pp. 433-455; I. CALIARO, Sull’elaborazione del «Mio
Carso» di Scipio Slataper. La «Calata», in «Studi e problemi di critica testuale», 2008, n. 77, pp.
149-174; R. NORBEDO, Il «Fondo Slataper» dell’Archivio di Stato di Trieste e gli autografi del
«Mio Carso». Primi appunti, in «Lettere italiane», LVIII, 2006, n. 2, pp. 224-258; S. SLATAPER,
Il mio Carso. La Redazione Autografa dell’Archivio di Stato di Trieste, a cura di R. Norbedo,
Padova, Cleup, 2007.
Capitolo I – La triestinità di Scipio Slataper
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7
Capitolo I
LA TRIESTINITÀ DI SCIPIO SLATAPER
1.1 La triplice natura di Slataper
«Tu sai che io sono slavo-tedesco-italiano. Sta a sentire. Del
sangue slavo ho in me le nostalgie strane, un desiderio di nuovo,
di foreste abbandonate; una sentimentalità bisognosa di carezze,
di compiacimenti; un sognare infinito e senza confini. Del
sangue tedesco ho l‟ostinazione mulesca, la voglia e il tono
dittatoriale, la sicurezza dei miei piani, la noia del dover
accettare discussione, un desiderio di dominazione, di forza.
Questi elementi son fusi nel sangue italiano, che cerca di
armonizzarli, di equilibrarli, di farmi diventar “classico”,
formato, endecasillabo invece che metro libero. Così che in
Capitolo I – La triestinità di Scipio Slataper
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8
questo senso, la mia vita deve cercar di rendersi cosciente dei
vari elementi perché io ne sia padrone»1.
In questi termini Slataper enuncia la propria natura di intellettuale di frontiera in
una lettera a Gigetta Carniel del 4 febbraio 1912. Per essere «cosciente dei vari
elementi» e «padrone», egli compie la propria «calata»2 a Firenze nel 1908, nel
tentativo di trovare la propria dimensione compiuta di intellettuale, seppur di
frontiera. Lì «tenta di addomesticarsi», di «imparare l‟italiano», «sceglie gli amici
fra i giovani più colti»3. Lascia dunque Trieste, ma la prospettiva dominante è
sempre triestina. Nella lettera dell‟8 febbraio 1912 scrive ancora a Gigetta:
«Trieste è la mia patria. Io scopro in me ogni giorno di più
Trieste. Trieste che è l‟ostacolo e può essere il segno della
vittoria. A Trieste c‟è da far tutto: agire. È un punto d‟incrocio di
civiltà: studiare sul vivo. Ha bisogno di maestri: insegnare»4.
Questo passo palesa l‟idea che Slataper ha del fare letterario, soprattutto in
riferimento alla propria condizione di frontiera: la letteratura ha un valore
strettamente legato alla vita, all‟identità e alla verità in antitesi al mero gioco
1
S. SLATAPER, Alle tre amiche, a cura e con introduzione di G. Stuparich, Milano, Mondadori,
1958, p. 421.
2
Si veda il paragrafo 2.3.
3
Cfr. S. SLATAPER, Il mio Carso, con introduzione di G. Cattaneo e commento di R. Damiani,
Milano, BUR Scrittori Contemporanei, 2007, p. 48. Tutte le citazione sono attinte da
quest‟edizione.
4
S. SLATAPER, Alle tre amiche cit., p. 424.
Capitolo I – La triestinità di Scipio Slataper
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9
letterario e formale che si riduce ad un «tristo e secco mestiere»5. Com‟è stato
ravvisato giustamente, in questa posizione, comune per altro a Umberto Saba6 e
Italo Svevo7, «non si tratta soltanto di una poesia che deve guardare alla vita,
bensì di una poesia che deve fondare la vita: di una triestinità che pretende
sincerità assoluta dalle carte della letteratura, perché senza di esse non
esisterebbe»8. Nel frammento iniziale del Mio Carso9, per tre volte Slataper apre
5
S. SLATAPER, Il mio Carso cit., p. 123. In più occasioni Slataper esprime quest‟idea del ruolo
sociale della letteratura e del rifiuto di una produzione artistica basata esclusivamente sugli artifici
retorici: possiamo indubbiamente affermare che «Slataper cerca in tutti i modi di fare emergere la
sua rinuncia alla letterarietà in nome di una sincerità ritrovata grazie a nuove forme e nuovi valori
intellettuali» (P. COSENTINO, Scipio Slataper: percorsi di un intellettuale di frontiera, in
«Sincronie», 2006, n. 19, p. 215). Egli vuole scacciare la sua natura di letterato, si imbarazza delle
sue capacità di scrittore, si logora poiché non riesce ad esprimere i valori della vita. Scrive infatti
ad Elody Oblath alla fine del 1909: «Sono – benché a poco a poco mi liberi – un letterato, cioè la
più antipatica razza umana. Le cose troppo spesso mi diventan immagini di penna, non di anima. E
sento che esse quando ti toccano son ruvide e ostiche un poco, che tu dovrai fare uno sforzo per
accoglierle in te. Quand‟uno mi dice: Come scrivi bene, io arrossisco e sento che un rimorso mi
rode dentro, perché vuol dire che io non so ancora pigliar una cosa nella sua realtà, com‟è, cioè
profonda, divina, di significato proprio; ma ci appiccico delle mie preoccupazioni, esterne ad essa»
(S. SLATAPER, Alle tre amiche cit., p. 153). A Marcello Loewy dice il 26 gennaio 1910: «Non
stupirti: l‟arte è il superamento della letterarietà» (S. SLATAPER, Epistolario, a cura di G.
Stuparich, Milano, Mondadori, 1950, p. 60). Aderisce entusiasticamente alla «Voce» per la
vocazione sociale della rivista. A Gigetta Carniel confida da Firenze il 25 marzo 1910: «Ah, ah:
m‟hai colto letterato. Ma non letterato, vedi: la letteratura è far della poesia ispirati da parole
stampate; è aver sentimenti finti ecc. Invece nella Voce – meno qualche volta – ci si occupa di
questioni vive, contemporanee, sociali, artistiche, ecc. Cose non divertenti, sotto un certo punto di
vista» (S. SLATAPER, Alle tre amiche cit., p. 89). Da Amburgo scrive ancora ad Elody l‟1 luglio
del 1913: «Vedi Elody, io ho pensato che è meglio non aver dubbi su se stesso, nella propria
capacità creativa: bisogna nutrire tutto l‟uomo; se resiste è poeta, se no schiatta, ma almeno ha
fatto qualche cosa. Ma essere un poetino, magari stupendo, magari Petrarca, rinunzio. Bisogna
partecipare attivamente alla vita, in tutti i modi che si può: il resto vien da sé o non esiste» (ibidem,
p. 294). Particolarmente significativo a tal proposito è l‟articolo di Slataper Ai giovani intelligenti
d’Italia, pubblicato sulla «Voce» del 26 agosto 1909 e raccolto poi in S. SLATAPER, Scritti
letterari e critici, a cura di G. Stuparich, Milano, Mondadori, 1956, pp. 184-189. Su quest‟articolo
si veda E. RAIMONDI, Prime lezioni. Scipio Slataper – Giovanni Boine, a cura di A. Battistini, F.
Curi e W. Romani, Bologna, Pendragon, 2004, pp. 39-80.
6
Saba parla di letteratura come «menzogna» (U. SABA, Storia e cronistoria del canzoniere,
Milano, Mondadori, 1948, p. 24).
7
Svevo definisce la letteratura «ridicola e dannosa» (I. SVEVO, Saggi e pagine sparse, a cura e
con prefazione di U. Apollonio, Milano, Mondadori, 1954, pp. 289-290).
8
A. ARA, C. MAGRIS, Trieste. Un’identità di frontiera, Torino, Einaudi, 2007, p. 16.
9
Si veda altresì il paragrafo 3.4.
Capitolo I – La triestinità di Scipio Slataper
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10
il capoverso con «vorrei dirvi»10: ha la tentazione di alterare la verità dinanzi ai
lettori italiani, attribuendosi prima una nascita «in carso, in una casupola col tetto
di paglia annerita dalle piove e dal fumo», successivamente «in Croazia, nella
grande foresta di roveri», in ultimo «nella pianura morava», ma non riuscirebbe a
dire il falso a lettori «scaltri e sagaci». Segue la sua dichiarazione di italianità:
«sono un povero italiano che cerca di‟imbarbarire le sue solitarie
preoccupazioni»11. Sin dall‟esordio Slataper inserisce nella sua opera le
componenti fondamentali della realtà culturale triestina, riassumibili nel mito
dell‟italianità di Trieste12. Scipio Slataper è un intellettuale italiano, che conserva
nel cognome le origini slave13, generato da Trieste: avverte pertanto la
multiculturalità della sua città, in cui diversi gruppi etnici, di matrice slovena e
tedesca, ma anche ebraica, greca e armena, si inseriscono in un ordito
sostanzialmente italiano, talvolta senza amalgamarsi e senza contatti14.
Esemplificano bene la situazione Angelo Ara e Claudio Magris: «Tutti i gruppi
che vivevano a Trieste guardavano altrove, ad una patria lontana e identificabile
solo con la sua proiezione fantastica. Gli italiani guardavano, come gli
irredentisti, all‟Italia o comunque si riferivano alla cultura italiana, sentendo di
esserne in qualche modo separati, ma proprio perciò facendosene gli alfieri più
10
S. SLATAPER, Il mio Carso cit., pp. 47-48. Si veda A. ARA, C. MAGRIS, Trieste. Un’identità
di frontiera cit., pp. 3-17.
11
S. SLATAPER, Il mio Carso cit., pp. 47-48.
12
Cfr. K. PIZZI, Trieste: italianità, triestinità e male di frontiera, Bologna, Gedit, 2007, pp. 33-
64.
13
Non a caso nel romanzo italianizza il nome in «Pennadoro»: in ceco «zlato» equivale a oro,
«pero» a penna.
14
Sulle particolari condizioni di Trieste in rapporto alla letteratura rimando a: A. ARA, C.
MAGRIS, Trieste. Un’identità di frontiera cit.; S. AROSIO, Scrittori di frontiera: Scipio Slataper,
Giani e Carlo Stuparich, con presentazione di M. Miccinesi, Milano, Guerini scientifica, 1996; K.
PIZZI, Trieste: italianità, triestinità e male di frontiera cit.
Capitolo I – La triestinità di Scipio Slataper
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11
appassionati; i tedeschi e gli austro-tedeschi ricevevano d‟oltralpe la loro
immagine del mondo e gli sloveni guardavano al risveglio della loro terra o, più
in là, a quello più generale degli slavi dell‟impero. Ognuno era diverso dal vicino,
cui si opponeva antagonisticamente […]. Ognuno viveva […] nella letteratura,
che acquistava così un valore esistenziale fondante. L‟italianità, idea di se
medesima e battaglia per questa idea, diveniva una cultura»15.
Slataper dunque, pur dichiarandosi italiano, avverte in sé una triplice
natura («slavo-tedesco-italiano»): se i riferimenti al sostrato tedesco e italiano
sono stati ampiamente evidenziati dalla critica italiana16, non è ancora avvenuto
altrettanto per il sostrato slavo. La lettera del 28 gennaio 1912 a Gigetta è
eloquente a questo proposito:
«Adesso ti voglio dire cosa penso di fare […]. Studiare […] il
francese. Studiare la storia moderna dell‟Europa, specialmente
dell‟Austria, dell‟Italia, dei Paesi balcanici»17.
15
A. ARA, C. MAGRIS, Trieste. Un’identità di frontiera cit., p. 17. Sulla stessa linea si situa
l‟interpretazione di Paola Cosentino: «Slataper ha dato quindi voce al malessere suo e dei suoi
sodali triestini che guardano ad una patria immaginaria, a lungo desiderata: di questa aspirazione
egli si è fatto interprete schietto e tuttavia spesso incapace di rinunciare alla retorica del gesto e
della parola scabra, violenta, agitata» (P. COSENTINO, Scipio Slataper: percorsi di un
intellettuale di frontiera cit., pp. 212-213).
16
Si veda la nota 23 del paragrafo 3.1.
17
S. SLATAPER, Alle tre amiche cit., p. 417.
Capitolo I – La triestinità di Scipio Slataper
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12
Già qui emerge l‟interesse per lo studio della cultura mitteleuropea, seppur
limitatamente alla storia e alla lingua francese. I programmi di Slataper
continuano poi con la tesi di laurea:
«Preparare una bella tesi di laurea: su Ibsen, forse. Ho molte idee
su lui […] Se no, su Hebbel e Kleist, cioè sulla letteratura
tedesca postfaustiana»18.
Risulta in primo piano a questo punto l‟anima tedesca. Si afferma
successivamente:
«Oltre a questo, commentare con voi Dante, mostrandovi i
caratteri dei capolavori fondamentali delle civiltà umane»19.
Slataper si propone qui di condurre un‟esegesi dell‟opera di Dante Alighieri e
inserisce fondatamente il sommo poeta italiano nel canone degli autori e delle
opere fondamentali dell‟umanità. Subito dopo enuncia il suo interesse anche per
l‟area balcanica e per le lingue slave, progettando addirittura di divenire un
corrispondente della «Stampa» di Torino nei Balcani:
18
Ibidem.
19
Ibidem, p. 418.
Capitolo I – La triestinità di Scipio Slataper
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13
«Continuare lo studio del francese, e iniziare lo studio del croato.
[…] A Praga cercherei di capire un po‟ di czeco, studiando il
croato, e m‟interesserei assai della vita politica di lassù. Verso il
febbraio una scappata di tre mesi a Parigi, per molte ragioni:
francese, mondo francese, studio di questioni slave […] passerei
di nuovo le vacanze a Trieste e in Istria, studiando sempre il
croato, un po‟ di bulgaro, di albanese […]. Intanto con gli
articoli che pubblicherò sulla Voce in questo tempo e i miei libri
spero di poter essere accettato alla Stampa di Torino come
corrispondente dei Balcani, e allora passare un intero anno
laggiù, girando i Paesi, vedendo come stanno le cose»20.
A ciò si aggiunge che tra i suoi appunti si trovano spesso riferimenti alla
letteratura slava21. Carlo Delcorno individua l‟«eco di modelli cechi»22 anche nel
Mio Carso, che viene d‟altra parte concluso a Praga nell‟ottobre del 191123. Il
richiamo, nella Calata, al «fratello del contadino russo che presto verrà nelle città
sfinite a predicare il nuovo vangelo di Cristo»24, al «fratello dell'aiduco
20
Ibidem.
21
Si veda S. SLATAPER, Appunti e note di diario, a cura e con prefazione di G. Stuparich,
Milano, Mondadori, 1953, pp. 200-206, 232 e passim.
22
C. DELCORNO, Rassegna di studi su Slataper (1965-1972), in «Lettere italiane», XXIV, 1972,
n. 4, p. 547. Sul rapporto tra Il mio Carso e la cultura slava si veda anche L. D‟ASCIA, «Italia» e
«Slavia» nell’opera di Scipio Slataper, in «Acta Universitatis Palackianae Olomoucensis -
Facultas Philosophica, Philologica», n. 71, pp. 19-30, Olomouc, Vydavatelstvi Univerzity
Palackeho, 1998. Afferma Luca D‟Ascia: «“Italiani” e “Slavi” non sono nel Mio Carso categorie
socio-politiche oggettive. Slataper proietta su di loro le contrastanti tendenze della sua personalità:
tradizione e barbarie, solidarietà e ribellismo, lavoro e violenza. Queste opposizioni sono
rivelatrici di un modo di intendere l‟“intellettuale triestino” e la sua posizione storica.
L‟identificazione fra “slavismo” e “barbarie” riproduce un tratto caratteristico della mentalità
italiana di frontiera […]. Ma l‟autore del Mio Carso non si accontenta della soluzione più ovvia e
semplicistica: il rigetto definitivo della cultura “inferiore”. Il suo libro è piuttosto il tentativo di
dare uno sbocco positivo alla fondamentale ambivalenza verso la “barbarie”» (ibidem, pp. 21-22).
23
Scrive Slataper: «A Praga non ho scritto quasi niente. Ma il 21 ott[obre] (finito il Mio Carso)
andai con gli stud[enti] nella trattoria dove si balla» (S. SLATAPER, Appunti e note di diario cit.,
p. 192).
24
S. SLATAPER, Il mio Carso cit., p. 86.
Capitolo I – La triestinità di Scipio Slataper
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14
montenegrino»25 e al «fratello di Marko Kraglievich»26 potrebbe riferirsi alla
Figlia di Slava di Jan Kollár (1793-1852)27, mentre il frammento Non riposerai28
svolge un tema caro anche a Jan Nepomuk Neruda (1834-1891), ossia
l‟accettazione della sacrificante legge del lavoro29.
Slataper si reca dunque a Firenze nell‟ottobre 1908, ma a causa della sua
triplice natura avverte sempre qualcosa di discorde rispetto agli amici della
«Voce»30, trovandosi spesso in difficoltà31. Scrive infatti da Ocisla a Gigetta il 17
agosto del 1911:
25
Ibidem.
26
Ibidem. Marko Kraglievich è l‟eroe nazionale serbo.
27
Si veda C. DELCORNO, Rassegna di studi su Slataper (1965-1972) cit., p. 548.
28
S. SLATAPER, Il mio Carso cit., p. 170.
29
Si veda C. DELCORNO, Rassegna di studi su Slataper (1965-1972) cit., p. 548.
30
A ragione scrive la Cosentino: «Pur condividendone gli intenti di fondo, Slataper si riconosce
diverso rispetto ai suoi compagni fiorentini e proprio su questa differenza egli costruisce a mano a
mano i tratti di una nuova personalità, che consente uno sguardo più schietto sul reale e che è
insieme espressione di un‟origine che rivela, con maggiore vigore, la componente maschile, la
sostanza carsica, il paesaggio divenuto energico tema romantico» (P. COSENTINO, Scipio
Slataper: percorsi di un intellettuale di frontiera cit., p. 207). Nelle pagine iniziali del Mio Carso
Slataper consegna ai lettori questa confessione: «È meglio ch‟io confessi d‟esservi fratello, anche
se talvolta io vi guardi trasognato e lontano e mi senta timido davanti alla vostra cultura e ai vostri
ragionamenti. Io ho, forse, paura di voi. Le vostre obiezioni mi chiudono a poco a poco in gabbia,
mentre v‟ascolto disinteressato e contento, e non m‟accorgo che voi state gustando la vostra
intelligente bravura. E allora divento rosso e zitto, nell‟angolo del tavolino» (S. SLATAPER, Il
mio Carso cit., pp. 48-49).
31
Afferma Sandra Arosio: «A voler tracciare un bilancio degli anni trascorsi a Firenze, imperniati
sostanzialmente sulla collaborazione alla Voce, ma proficui per i fermenti e le premesse delle
attività future, nonché per la realizzazione di un‟opera importante, Il mio carso, non si possono
dunque che raccogliere elementi positivi; tuttavia, anche a prescindere da dolorose esperienze
personali che dovette affrontare, furono per Slataper anni assai travagliati e la stessa
collaborazione alla Voce, nelle cui vicissitudini fu ampiamente coinvolto, non fu esente da
problemi» (S. AROSIO, Scrittori di frontiera: Scipio Slataper, Giani e Carlo Stuparich cit., p. 79).
Lo spostamento a Firenze suscita in Slataper un misto di attesa, speranza e turbamento: dovrà
essere Firenze a «dirmi la parola decisiva. O io in un anno sento aumentare d‟intorno a me il
palpito dei cuori fratelli, e odo in loro la risposta alla mia anima ansiosa, o non sarò niente, mai,
niente, mai» (S. SLATAPER, Le lettere a Maria, a cura di C. Pagnini, Roma, Giovanni Volpe,
1981, p. 72).