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organismo costituzionalizzato per volontà del Duce stesso e che ora si
presentava come un boomerang.
Il Gran Consiglio dal 1929 era <<organo istituzionale dello stato>> con poteri
di coordinamento su tutte le attività del regime e che doveva essere consultato
<<sulle questioni aventi carattere costituzionale>>. Definito per legge
<<l’organo supremo>> del regime e composto da pochi membri.
La destituzione del Duce doveva avvenire in quella occasione attraverso un voto
di sfiducia.
Si trattava in sostanza di una sorta di 25 luglio realizzato con tre anni di anticipo
sui fatti che poi puntualmente portarono alla caduta del Fascismo ed alla
destituzione di Mussolini.
Ciano all’ultimo momento non ebbe il coraggio di avanzare la richiesta di
riunione del Gran Consiglio del fascismo o si ritiene non ebbe la forza di
opporsi all’ingombrante ed ancora potente suocero. Sta di fatto che non se ne
fece nulla ed occorrerà attendere il 25 luglio del 1943 per realizzare, su
iniziativa di Dino Grandi, sia la riunione del Gran Consiglio che il successivo
voto di sfiducia nei confronti del Duce.
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CAP. 1
DINO GRANDI
Dobbiamo quindi attendere altri tre anni di lutti e di tragedie per poter vedere
riproposta l’opportunità di esautorare Mussolini e passare finalmente al Re tutti
i poteri in base a quell’art. 5 dello statuto mai utilizzato e spesso ignorato.
L’aggravarsi della minaccia di uno sbarco nemico sul patrio suolo rendevano
sempre più il Re consapevole della necessità di una decisione finalizzata al ritiro
dalla guerra e forse anche una notizia comunicatagli il 17 luglio dal senatore
Aldo Rossini tramite il ministro della Real casa Acquarone che Farinacci stava
tramando con i tedeschi l’accantonamento suo e di Mussolini e la nomina di
Kesselring a responsabile per l’Italia.3
Dino Grandi Fascista della prima ora e’ tra gli
uomini del regime colui che gode di maggior
prestigio.
Tenuto in considerazione dal Re è stimato ed allo
stesso tempo temuto da Mussolini.
Nasce in Romagna il 04 giugno 1895
“tra Imola, Lugo, e Massalombarda dove gli uomini
sono caldi e generosa la terra”. Come lui stesso
racconta nel “il mio paese”
“[…]La mia infanzia fu serena e felice. Il più lontano
ricordo che conservo della mia vita infantile è quello di un caldo pomeriggio
d'estate: avevo cinque anni e stavo giocando accanto a mia madre china a
ricamare sul tombolo di fronte ad una grande finestra aperta. Entrò mio padre e
ancora oggi vedo il suo viso accigliato e serio: «Hanno ucciso il Re». Mia'madre mi
sollevò stringendomi fra le braccia e i suoi occhi erano umidi di lacrime. 29 luglio
1900. Cosi si apriva a me il secolo XX, del progresso, del ballo excelsior, della
bicicletta, del motore a scoppio, degli autoveicoli, dell'aeroplano, del socialismo,
3
Cfr. Rossini (A.), Vent’anni dopo, in «La Gazzetta di Novara», 27 luglio 1963.
Dino Grandi
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del comunismo, dell'organizzazione sindacale del lavoro; il secolo di Marconi, di
Madame Curie, di Einstein, di Fermi, di Fleming, di due guerre mondiali
sanguinose e crudeli, di dittature e rivoluzioni, dei carri armati e della bomba
atomica, dell’energia nucleare, dei viaggi sulla luna e delle esplorazioni tra le
stelle.[….]4
Muore a Bologna all’età di 93 anni attraversando quindi quasi tutto il 900, il suo
frenetico evolversi ma, soprattutto, tutta l’era fascista, dalla sua nascita, con la
marcia su Roma, al suo apogeo ed al suo tragico epilogo. Sette anni a palazzo
Chigi, sette anni a Londra quale ambasciatore tenuto a distanza da quel Duce
che amò di un affetto profondo ma non cieco. Presidente della Camera, ministro
guardasigilli, membro del Gran Consiglio del Fascismo, Grandi e’ stato tra i
pochi gerarchi che nel 1947 venne assolto dalla Corte speciale di assise istituita
con legge per giudicare gli uomini che ebbero una parte rilevante nel ventennio
fascista. I giudici nella circostanza emisero una sentenza di assoluzione piena e
assoluta da ogni addebito formulato considerandolo un leale servitore della
nazione e della patria.
Il 22 maggio Dino Grandi aveva prospettato nella seguente lunga nota le uniche
possibilità per uscire dalla situazione nella quale si trovava l’Italia asserendo tra
l’altro che :
<< Una pace onorevole con gli alleati è possibile solo se avremo il coraggio di
affrontare in campo aperto i tedeschi>>
“Roma, 22 maggio 1943. Il mio piano? È — ripeto — temerario. La stessa
Jugoslavia ce ne ha dato l'esempio nella primavera del 1941. Lo stesso nemico ce
lo suggerisce. Da tre anni la propaganda nemica non ha cambiato tono: «Noi non
siamo nemici del popolo italiano, ma soltanto del regime e della dittatura fascista.
Noi vogliamo liberare l'Italia dalla dittatura fascista che l'opprime e restituire
all'Italia le sue perdute libertà». Questa - - s i capisce - - è mera propaganda di
guerra. L'Italia ha combattuto contro gli inglesi e messo in pericolo il dominio
4
Grandi (Dino), Il mio Paese, Bologna, Il Mulino, 1985, Pag. 19
7
dell'Impero inglese nel Mediterraneo. Questo gli inglesi non lo dimenticheranno
mai. Ma noi dobbiamo fare finta di credere ai discorsi di Churchill e di Roosevelt
ed operare noi, da soli, come atto di volontà nostra, il chirurgico distacco del
regime di dittatura dalla nazione. Questo distacco deve essere opera nostra e non
effetto inevitabile della sconfitta militare. Siamo noi che, indipendentemente dal
nemico, dobbiamo dimostrarci capaci di riconquistare le nostre perdute libertà.
Mussolini, la dittatura, il fascismo, debbono sacrificarsi, cedere il posto ad una
nuova classe dirigente. Debbono «suicidarsi» dimostrando con questo sacrificio
il loro amore per la nazione, compiendo con questo sacrificio l'ultimo grande
servizio che la nazione in questo tragico momento domanda loro.
Come può in pratica avvenire tutto ciò? Mussolini non cederà mai il suo posto di
comando. Ma il Re, come capo dello stato, è sempre in grado di sostituire il suo
Primo Ministro e con lui l'intero governo. Il nuovo Primo Ministro non deve
essere stato compromesso col regime fascista, deve godere la piena fiducia
dell'esercito, presentarsi alla nazione come l'uomo nuovo, senza carismi ma con
autorità morale indiscussa. Non vedo se non una persona in possesso di queste
indispensabili qualità, il maresciallo Caviglia. Caviglia, nemico personale di
Badoglio, è il solo fra i grandi capi militari della prima guerra mondiale che non
abbia fornificato(fornicato) col fascismo e dimostrato servilità al duce. Gli In-
glesi, che combatterono ai suoi ordini nella battaglia di Vittorio Veneto, lo
stimano, lo rispettano, hanno fiducia in lui come soldato e come leale avversario
della dittatura e del regime. Di questi sentimenti degli Inglesi verso Caviglia
sono stato io stesso personalmente testimone a Londra. Caviglia, sono certo,
riuscirebbe a rigalvanizzare il nostro esercito sfiduciato. Caviglia è il solo che
forse potrebbe, anche nelle condizioni disperate in cui l'Italia si trova, trattare
col nemico una pace onorevole che non umiliasse l'Italia, evitando la resa
incondizionata decisa dagli anglo-americani nel convegno di Casablanca. Il
governo? Dovrà essere composto da uomini nuovi non direttamente compromessi
colla dittatura. Un ottimo ministro degli Esteri potrebbe essere Alberto Pirelli
che gli inglesi e gli americani hanno sempre veduto con franca simpatia.
Potrebbero essere invitati a partecipare al nuovo governo i cattolici, ad esempio
De Gasperi, Fulvio Milani, Paolo Cappa, Gronchi. Poi, il giolittiano Soleri, il
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democratico Gasparotto, Paratore. Antifascisti tutti, ma sicuramente patrioti.
Nessuno di noi che siamo stati ministri con Mussolini e membri del Gran
Consiglio dovrebbero fare parte del nuovo governo, ma alcuni
fiancheggiatori, si, che di precedenti governi fascisti non hanno fatto mai parte:
la medaglia d'oro Paolucci, Aldo Rossini, Carlo Del Croix. Il nuovo governo
dovrebbe presentarsi al Parlamento nel giorno stesso della sua costituzione. Il
Parlamento dovrebbe approvare seduta stante le seguenti leggi: 1) abolizione
della legge istitutiva della Camera dei fasci e delle Corporazioni e ripristino
automatico della Camera dei Deputati sancita dallo Statuto del Regno; 2)
abolizione delle inique leggi razziali; 3) abolizione del tribunale speciale per la
sicurezza dello stato. I soli 500 consiglieri nazionali rappresentanti delle
associazioni sindacali di categoria dovrebbero restare provvisoriamente in
carica come deputati in attesa dello scioglimento della Camera da parte del
capo dello stato. I 200 consiglieri nazionali nominati tali perché segretari
federali delle province o perché rivestiti di cariche nel partito fascista
dovrebbero considerarsi come privi del mandato parlamentare. Come Presidente
della Camera io sono matematicamente sicuro che i 500 consiglieri nazionali
voterebbero la fiducia al nuovo governo che si troverebbe in tal modo rivestito
della fiducia del Parlamento: sarebbe cosi evitata qualsiasi interruzione in
quella che io chiamo legittimità costituzionale, che preme tanto al Re e a noi
tutti di mantenere e conservare. Simultaneamente un proclama del Re alla
nazione con l'invito a tutti gli italiani di costituirsi in unione sacra, al di sopra di
ogni divisione o partito, fascisti e antifascisti, per affrontare il pericolo mortale
che attraversa la Patria.
Alfiere di questa unione sacra potrebbe essere il venerando Vittorio Emanuele
Orlando che nel lontano 1917, come Presidente del Consiglio, riunì attorno a
sé tutti gli italiani, di tutte le fedi politiche, socialisti compresi, per resistere al
nemico sul Piave e sul Monte Grappa. La guerra? Ho già detto che un uomo di
stato deve essere prudente nella buona fortuna ma temerario nell'avversa.
Pensare di uscire da questa guerra rovinosa senza olocausto, senza attraversare
un calvario di sacrifici mortali, è semplicemente assurdo. Se vogliamo riacquistare
le nostre libertà, dobbiamo dimostrare agli anglo-americani che siamo pronti a
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pagare il prezzo, senza attendere che la libertà ci venga regalata dalla sconfitta.
Sarebbe questa una libertà pagata a un duro prezzo. E allora? Allora è
necessario, è indispensabile, è inevitabile che siamo noi a prendere l'iniziativa di
guerra contro la Germania nazista, contro il nostro potente e prepotente alleato. I
soldati italiani odiano i soldati tedeschi che hanno trascinato la nazione nella guerra
fascista. Il pù piccolo incidente tra truppe italiane e truppe naziste potrà
funzionare da detonatore e determinare lo scoppio generale. Vi sono in Italia
30-35 nostre divisioni contro 4-5 divisioni tedesche. Poi c'è il popolo che ha
ereditato l'odio secolare, per non dire millenario, contro l'invasore tedesco. Vespri
siciliani? Vespri italiani. Agli anglo-americani non dobbiamo domandare nulla, ma
soltanto farli trovare improvvisamente di fronte allo spettacolo di una Italia che si
difende con le armi in pugno contro quella che sarà l'inevitabile vendetta della
Germania nazista. Come potranno gli alleati continuare a combattere contro una
nazione che già per conto proprio ha preso a combattere contro il nemico
comune, con in testa il suo Re attorno al quale si stringeranno tutti gli italiani? Non
vedo altra via di scampo, se non questa. L'Italia dovrà attraversare un nuovo e
forse più doloroso calvario. Questo sarà il prezzo del suo riscatto. Anche
Mussolini, alla fine, comprenderà. Il giuramento che è scritto nella tessera di tutti
noi fascisti è condizionato — lo è stato sempre — dal nostro giuramento di
soldati al Re, ed allo stesso giuramento che Mussolini, come Primo Ministro, ha
prestato nelle mani del Sovrano. Questo piano è condizionato come ho già scritto
da tre presupposti: il coraggio della Monarchia; l'intelligenza degli alleati; il
patriottismo degli antifascisti. Si verificheranno questi presupposti e queste
condizioni? Non lo so. Ma lo spero.”5
Ed è proprio quest’uomo che il 4 giugno del 19436 ricevuto da Vittorio
Emanuele III concorda con quest’ultimo la richiesta al Duce di convocazione
del Gran Consiglio del fascismo nel corso del quale presentare un ordine del
giorno con richiesta di remissione dei poteri al Re secondo quanto stabilito
all’art. 5 dello statuto già citato. Il Re come sappiamo dall’alto del suo
5
Grandi (Dino), il mio paese,Bologna, Il Mulino, 1985, Pag. 624
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Grandi (Dino), il mio paese,Bologna, Il Mulino, 1985, Pag. 627
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pragmatismo cerca un appiglio costituzionale attraverso il quale liberarsi dalla
ormai ingombrante e coinvolta figura del Duce. Si vuole uscire da quell’infausto
“patto d’acciaio” che tanti lutti e tanto dolore ha procurato al popolo Italiano
che, comunque, in una oceanica ovazione, pazzo di gioia , qualche anno prima
aveva gridato in piazza Venezia “vincere […..] e vinceremo […]
Grandi si accomiata dal Re con la consegna del silenzio ed inizia un
avvicinamento ed una azione di convincimento presso gli altri membri del Gran
Consiglio. Non riesce a contattarli tutti e rimanda quindi tutto alla riunione di
quel Consiglio che si profila ormai come ultima spiaggia del regime.
<<[…]Di quest’uomo, >> dice Renzo De Felice, <<tutto si può dire salvo che
mancasse di idee chiare e di decisione e di quel tanto di spregiudicatezza necessaria
a mettere d’accordo e a far procedere insieme una serie di personaggi in gran parte
sfiduciati, eterogenei tra loro per carattere, per consapevolezza della gravità del
momento e delle concrete possibilità di manovra esistenti e per atteggiamento
verso Mussolini, quali erano quelli che si sarebbero dovuti trovare la sera del 24, ad
affrontare la battaglia in Gran Consiglio.>>
e ancora
<< un fatto è certo: Grandi era un uomo per un verso, di forte ambizione,
consapevole della sua grande capacità politica e dello “stacco” che vi era tra lui e la
gran maggioranza degli altri gerarchi, per un altro verso, estremamente cauto,
abilissimo a non scoprirsi e a non offrire il destro a Mussolini (della cui
pericolosità conosceva tutte le pieghe, le qualità e i limiti ed il modo di giuocare su
essi e, al limite, di giovarsene) e ancor più ai suoi numerosi avversari all’interno
del regime per metterlo sotto accusa. Tra questi i piu’ accaniti erano Ciano, che
nutriva per lui, si può dire da sempre, una profonda gelosia e per anni lo aveva
considerato l’ostacolo maggiore sulla strada della successione a Mussolini, e
Farinacci, che vedeva in lui tutto ciò che un fascista non doveva essere e un
avversario della Germania. […].>>.7
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De Felice (Renzo), Mussolini e il Fascismo, Torino, Einaudi, 2006, Pag. 1227