2
località nordiche e d’oltralpe a diretto contatto con esso; ci si è poi soffermati sui caratteri stilistici
della superstite pittura di Cividale che, nonostante precede gli affreschi qui studiati, si considera un
valido esempio di arte che ha dietro di sé quella componente classica e monumentale derivatagli dal
recupero di elementi tardo-antichi, iniziato con la dominazione longobarda.
Con l’esame delle pitture del Veneto e di parte del territorio limitrofo si è poi tentato di ricostruire
la situazione storico-artistica durante l’XI secolo, in special modo quella dell’ambito padovano. Gli
stretti rapporti che la diocesi patavina intratteneva con l’impero nell’XI secolo, la politica di
prestigio perseguita dai vescovi padovani ancora in date avanzate (seconda metà, fine del XII
secolo) e la circolazione di modelli ottoniani di “seconda generazione” nel periodo di realizzazione
dell’Evangelistario di Isidoro nel 1170, commissionato dai canonici del Capitolo della cattedrale di
Padova, hanno indotto a pensare che l’utilizzo di modelli ottoniani avesse il preciso scopo di
nobilitare la produzione artistica delle commissioni provenienti dalle istituzioni principali, come
appunto il Capitolo. Quando presumibilmente vennero affrescate le pareti del sacello di San
Michele, la cappella cimiteriale apparteneva ancora all’autorità della cattedrale patavina, per cui è
ipotizzabile che la commissione provenisse dai canonici del Capitolo, o comunque da quell’ambito
specifico. Questo spiegherebbe l’eleganza e la ricercatezza degli affreschi di una piccola cappella di
provincia, come è appunto Pozzoveggiani.
La ricerca si è poi spostata ad esaminare l’altra decorazione dell’oratorio, che occupa l’intera zona
dell’abside. Con queste pitture siamo in un periodo successivo, quando l’edificio originario è stato
trasformato in basilica a tre navate absidate. Si è sottolineato, nel corso della trattazione del tema,
che con queste pitture cambia completamente l’orientamento stilistico visto in precedenza, e si
genera anche un certo impoverimento, non solo nello stile, ma anche nella richiesta della
commissione.
L’impianto strutturale della decorazione dell’abside privilegia un’impostazione bizantina, almeno
apparentemente questa è l’impressione che genera la vista del Cristo in Maestà, ma se si osserva nei
dettagli e con attenzione l’intera composizione, non si tarda a riconoscervi l’emergere di un
linguaggio romanico. Il maestro che ha operato nell’abside conosceva con probabilità le opere e i
lavori “veneti”, lo confermano i tentativi di “imitazione” di quel linguaggio bizantino orientale
presente a Venezia e nelle terre influenzate dal suo dominio culturale. Così come si sono riscontrate
vicinanze, d’iconografia e di stile, con i più importanti centri culturali della terraferma nell’agro
portogruarese: Aquileia, Concordia Sagittaria, Sesto al Reghena, utili parametri di raffronto per
stabilire differenze e vicinanze.
3
La carenza di esempi di pittura del primo XIII secolo per il territorio padovano non ha permesso
raffronti significativi, se non con alcuni frammenti quasi scomparsi nella “centrale” chiesa di Santa
Sofia a Padova, tuttavia troppo eleganti e riconducibili ad una datazione compresa nella seconda
metà del Duecento. Ma è con la miniatura che si sono trovati maggiori punti di contatto e alcuni
utili termini per un inquadramento cronologico degli affreschi. Alcuni lavori di maestri veneziani
attivi a Roma, eseguiti tra 1200 e 1210, insieme alle miniature più “rozze” di un Lezionario
realizzato per il monastero femminile di Sant’Agata a Padova tra la fine del XII e gli inizi del XIII
secolo (anche se è preferibile pensare ad una realizzazione posteriore al 1223-1224, date a cui risale
la fondazione del monastero), riecheggiano quelle forme e quei motivi bizantini, derivati da modelli
di antica ascendenza che troviamo anche nelle prove ad affresco.
La presa in esame delle miniature venete del primo Duecento ha portato a considerare le pitture
dell’abside opera di un maestro forse padovano, che conosceva l’imponente produzione marciana e
che ha realizzato i suoi personaggi a “emulazione” di quel modello bizantino che contribuiva a
connotare di un’aura aulica e ieratica tutta la composizione, pur definendo il suo stile personale
attraverso un linguaggio a tratti popolaresco. Pare dunque coerente la proposta di una datazione
intorno al primo ventennio del XIII secolo, soprattutto in relazione con la citata produzione miniata
padovana e dei maestri veneziani. A questa conclusione ha portato, oltre alla fattura stessa degli
affreschi, soprattutto la condizione di marginalità della località Pozzoveggiani che si pone in ritardo
nell’acquisizione delle mode stilistiche circolanti, forse anche per la scelta dovuta ad una
commissione che, nel periodo circoscritto, non proveniva più dal Capitolo della cattedrale, ma era la
semplice richiesta di una parrocchia campestre all’ombra di più rinomate chiese, ad esempio
l’abbazia di Santa Giustina e al chiesa di Santa Sofia.
A conclusione del lavoro è inserita un’appendice che si compone di due parti: l’Appendice I, in cui
si ha una cronostoria di tutti gli interventi di restauro effettuati dalla soprintendenza per i Beni
Artistici e Storici del Veneto nel periodo compreso tra 1972 e 1993, ricavata dalla corrispondenza
tra la Soprintendenza, le ditte di restauro e il Ministero di Roma. Ricostruire le vicende relative agli
interventi di restauro è stato possibile grazie alla consultazione del materiale presente all’Archivio
Protocollo della Soprintendenza di Venezia.
Nell’Appendice II si sono invece inseriti i rilevi degli affreschi delle pareti nord e sud del sacello e
quelli dell’abside, eseguiti durante i sopralluoghi alla chiesa di Pozzoveggiani, con lo scopo di
rendere migliore la lettura degli affreschi.
4
C a p i t o l o I
CENNI STORICI SUL VILLAGGIO E LA CHIESA DI POZZOVEGGIANI
L’oratorio di San Michele Arcangelo a Pozzoveggiani si trova a pochi chilometri dal centro di
Padova sull’originario percorso della via Annia, antica strada militare romana costruita nel II secolo
a. C. per collegare Adria ad Aquileia1; oggi la via Annia si può identificare con la strada provinciale
Bovolentana che collega Padova a Bovolenta. In età romana, dove ora si trova la chiesa sorgeva un
centro abitato denominato Publicianum, lambito da un ramo del fiume Bacchiglione. Del villaggio
Publicianum si parla nelle pergamene del capitolo della cattedrale patavina (Privilegiorum I, 4 e
segg.) dove si rende noto che il 20 aprile 918 Berengario2 conferma ai canonici di Padova la
proprietà dei beni e delle decime sulla città e le villulae circostanti. Tra queste compare anche
Publicianum spesso ricorrente anche come Pobliciano, un vicus di fondazione romana come
chiaramente testimoniano i vari reperti archeologici: l’iscrizione a Opsidio Rufo su un piccolo
blocco di pietra d’Istria incastrata sulla parete nord della chiesa e la lapide della dea Fortuna (CIL
V, 2791)3, oggi al Museo civico di Padova. Ancora negli anni 964, 968, 1055 e 1095 troviamo
citato Pobliciano nei documenti e specificamente nel 1027 e 1047: in villa quae dicitur Pobliciano4
situato tra le villulae di Casale e Albignasego. In un documento del 1123, poco dopo la distruzione
della cattedrale di Padova a causa del terremoto del 1117, Callisto II riconferma i beni ai canonici; a
questo punto si rileva che nelle pergamene ora compare Puteus Vitaliani al posto di Pobliciano,
nome da cui è con tutta probabilità derivato Pozzoveggiani attraverso le tante variazioni, tra cui le
più recenti: Puzivigiani (1519), Puçivigliano (1588), Pozzivigiani (1685), Pozzivigliani (1780),
1
L. BOSIO, Itinerari e strade della Venetia romana, “Pubblicazioni dell’Istituto di Archeologia dell’Università di Padova”,
5, Padova 1970, pp. 53-54.
2
“L’imperatore Berengario da Pavia confermava, su richiesta dei vescovi suoi fedeli, alla chiesa padovana ciò che re,
imperatori e singoli fideles viri avevano ad essa offerto e disponeva che i canonici al servizio della stessa e i loro
successori avessero la potestà, con il consenso del vescovo, di dividere fra loro le rendite provenienti dalla decima della
città e dai titoli e villaggi spettanti ad essa”: A. TILATTI, Istituzioni e culto dei santi a Padova fra VI e XII secolo,
Roma, 1997, pp. 1-56.
3
Il documento epigrafico più importante proveniente da Pozzoveggiani è l’iscrizione CIL V, 2791, sita già nel XVI secolo
nel cimitero della chiesa; il breve testo dell’iscrizione, oggi al Museo civico di Padova, dice: Fortunae sacrum. /
P(ublius) f(ilius) Rufus IIIIvir / tr(ibunus) mil(itum) leg(ionis) IIII Scythic(ae) / praef(ectus) fabr(um). Esiste inoltre una
seconda epigrafe posta sulla parete nord della chiesa: F. D. / Opsidius Rufus / tri(bunus) mil(itum) / leg(ionis) IIII /
Scythicae. Per lae lapidi cfr. G. FURLANETTO, Le antiche lapidi patavine illustrate, Padova 1847, pp. 36-38 (tav. VII),
402-404; M. P. BILLANOVICH, Da Padova Romana a Padova cristiana. Una lapide inedita del tempio della Fortuna a
Pozzoveggiani e le memorie di S. Giustina, “Aevum”, LIII (genn. apr. 1979), pp. 51-65.
4
Padova, Archivio Capitolare, Privilegiorum I, 9, 10, 15, 26, 28, 35. ACV. Villarum 9, Spasano, Tomus niger, 3, 9, ecc.
5
Pozzoveggiani (1876). Il 18 giugno del 1130 il vescovo di Padova Bellino riconosce al capitolo
della cattedrale gli antichi privilegi sulla cappella di San Michele a Pozzoveggiani e i suoi beni; in
altri documenti del 1171, 1172 e in alcuni successivi fino al 1297 la cappella di San Michele è
latinizzata in Puteo viclano. Dai documenti si evince lo stretto legame che intercorre tra il capitolo
della cattedrale e Pozzoveggiani: nel 1304 Benedetto XI tutela i beni delle mansionerie poste in
Pozzoveggiani attraverso una bolla, per petizione inviatagli da Pagano della Torre accompagnato
forse da Enrico Scrovegni. Nel XV secolo San Michele perde il titolo di ecclesia paroecialis in
favore di Santa Maria di Spasano (Salboro), e nel 1449 era già unita ad essa ed aveva un solo
rettore, prete Ambrosio. Sempre dai documenti si nota come fosse già in atto la decadenza della
chiesa dal punto di vista architettonico: tendit cotidie de malo in peius5.
Il XVI secolo è ricco di precisazioni riguardo la chiesa di San Michele e i suoi confini: a sud con la
valle (o pelaloca), a est con la contrada Puthei Vitaliani, a nord con la fossa (oggi scolo pubblico) e
a ovest con la contrada della chiesa stessa. Nella visita pastorale del 1585 erano ancora in possesso
della chiesa un antico battistero, nonostante non fosse più chiesa parrocchiale, e un piccolo altare
posto vicino a quello maggiore nell’abside, oggi incluso nel più grande altare seicentesco. Attorno
alla chiesa vi era il cimitero6 nel quale si trovava la citata lapide dedicata alla dea Fortuna. Una
successiva visita pastorale del 1595 attesta che ancora non erano state abbattute le due navatelle
laterali, le cui fondamenta sono state rinvenute in loco. Dopo il 1619 fu edificato un altare alla
Madonna decorato nel 1640 con pitture rappresentanti san Prosdocimo, sant’ Antonio e san
Gregorio Barbarigo (1670). In questi anni la chiesa era ancora circondata dal cimitero ove venivano
sepolti soltanto i defunti di Pozzoveggiani, non più quelli di Spasano e Salboro. Per ordine del
Barbarigo viene fatto chiudere il pozzo accanto alla chiesa, ancora in uso tuttavia fino alla guerra
del 1915-18. Nella prima metà del Seicento la chiesa è ridotta ad una sola navata ed è ricordata nei
documenti soltanto in occasione delle visite pastorali. Nel 1701 il suo cimitero, circondato da mura,
va già in rovina mentre la chiesa è citata come “campestre”. Nel 1869 l’oratorio di San Michele è
incamerato dal demanio pubblico con i beni della fabbriceria e restituito al parroco di Salboro.
Durante la guerra del 1915-18 la chiesa divenne alloggio dei militari; le visite pastorali del 1921 e
1926 descrivono l’ambiente circa com’ è oggi. A queste date ancora non era avvenuta la scoperta
degli antichi affreschi che risale agli inizi degli anni Settanta, quando la Soprintendenza per i Beni
Artistici e Storici del Veneto inizia i lavori7.
5
Padova, Archivio Capitolare Vescovile. Visite Pastorali I, c. 75 v.
6
B. SCARDEONE, De antiquitate urbis Patavii et claris civibus Patavinis, Basilea 1560, p. 43.
7
C. BELLINATI, L’Oratorio di S. Michele a Pozzoveggiani in Padova. Basiliche e Chiese, Vicenza 1975, pp. 161-168,
ill. 94-98.
6
1. Il periodo delle origini: il I secolo d. C.
Numerosi rinvenimenti testimoniano che nel I secolo dopo Cristo l’area sulla quale si trova la
chiesa di San Michele era luogo di un vicus paganus seu rusticus, meglio interpretabile come un
insieme di case di campagna, lontane dalla città, non protette da mura. Nel villaggio vi era il
praedium opsidianum in riferimento a Publio Opsidio Rufo, quatuorvir, tribunus militum della IV
legione della Scizia e praefectus fabrum, e un tempio dedicato alla dea Fortuna. Il Furlanetto è
propenso a far derivare il nome Pozzoveggiani dal praedium opsidianum, osservando che non vi è
menzione della gente Opsidia nelle lapidi di quelle zone e nemmeno in quelle delle vicine città, e
che quindi Publio Opsidio Rufo fosse uno straniero, prefetto dei fabbri e poi tribuno nella quarta
legione scitica stabilitosi al termine del suo incarico in quella parte del Veneto. I rinvenimenti di
fondamenta romane, embrici, tegole fittili, grosse pietre che i contadini trovavano spesso arando nei
campi vicini alla chiesa, l’iscrizione a Opsidio Rufo e la lapide alla dea Fortuna (CIL V, 2791)8 di
cui si è detto in precedenza, sono tutti tasselli per ricostruire la situazione dell’antico villaggio
Pobliciano documentato dal 918 al 1123.9 A partire da questa data Pobliciano è sostituito nei
documenti dalla nuova dicitura Puteus Vitaliani e certamente era già esistente la cappella di San
Michele.
2. La primitiva cappella dedicata a San Michele Arcangelo
Per quanto riguarda il titolo dedicato all’arcangelo Michele G. P. Bognetti10 propone un’ipotesi
secondo la quale San Michele, divenuto ormai il “santo nazionale” al tempo dei longobardi
(specificamente a Padova dal 602 al 774), “in grazia dell’incipiente leggenda dell’Arcangelo, come
pesatore delle anime nel giudizio dopo la morte” ebbe spesso “una sua cappella, nel bel mezzo dei
cimiteri, ancora inquinati dalle superstizioni pagane dei longobardi”. Queste parole illustrano ciò
che avvenne nel cimitero-necropoli di Pozzoveggiani vicino al flumexellum, e anche in città presso
la Torlonga o Specola. Esaminando il terreno circostante la chiesa si sono rinvenute piccole tessere
di un mosaico, che comprovano l’esistenza di un antico manufatto con muro a sud di grossezza
maggiore di quello attuale, per tutta la parte relativa al lato del quadratum che formava la primitiva
cappella di epoca longobarda.11 Lo stesso titolo di San Michele può risultare un’indicazione utile:
deve quasi certamente risalire ad età longobarda e spesso i Longobardi, quando costruivano edifici
8
M. P. BILLANOVICH, op. cit., pp. 51-65.
9
Per le lapidi, cfr. nota 3 p. 9.
10
G. P. BOGNETTI, I “Loca Sanctorum e la Storia della Chiesa nel Regno dei Longobardi”, in Riv. della Storia della
Chiesa in Italia, VI (1952), pp. 165-204.
7
di culto, preferivano appoggiarsi su precedenti strutture di età romana, piuttosto che creare ex-novo
su terreno vergine.12 Il pavimento di questa cappella poggia a sua volta sopra un manufatto
semicircolare, realizzato in laterizi romani, che sembra essere una tomba di grandi dimensioni che
reggeva la lapide di Vossina e Cecilia del I secolo d. C., ritrovata nel settembre del 1832 in
quest’area e oggi custodita dalla famiglia Bassan.13 Il lato del quadratum che formava la primitiva
aula o cappella longobarda misura circa 6.70 x 6.70 m., ed aveva ad ovest due finestrelle al posto di
quelle “a sguancio” situate sulla stessa parete. Il pavimento di tale ambiente primordiale porta
tracce evidenti di un vasto incendio, avvenuto presumibilmente all’epoca della discesa dei popoli
ungari intorno all’899. L’incendio coinvolse il tetto e le mura della cappella e ne rese necessaria una
ricostruzione, sullo stesso perimetro ma con due varianti: un muro di minore larghezza a sud ed un
arco sul lato ovest, chiaro riferimento ad una piccola abside costruita ex-novo o forse solo
ristrutturata sulla precedente, e ad un altare. Tale ricostruzione avvenne presumibilmente intorno al
X-XI secolo, epoca in cui sono stati realizzati gli affreschi parietali, pervenuti a noi solo in parte.14
Questa è anche l’epoca delle undici formelle in terracotta che decorano la parete sud , con croci e
simboli cristiani: colombe, rosette, colonne.
3. Le fasi costruttive: ampliamenti e riduzioni
Osservando da lontano il complesso architettonico di San Michele si nota che sorge su un piano
artificiale di terreno al di sopra di almeno un metro dal piano naturale circostante. Si tratta quasi
certamente di un accorgimento per preservare la zona dalle frequenti inondazioni forse provocate da
un ramo del fiume Bacchiglione, il flumexellum che compare anche nei documenti. L’epoca a cui
risale l’edificazione della prima parte del complesso sacro di Pozzoveggiani è individuabile attorno
al VI-VII secolo d. C., e comprende l’aula quadrata (circa 6.70 x 6.70 m.) absidata sul lato di
ponente; tuttavia Bellinati propone un’altra ipotesi secondo la quale l’abside ad ovest sarebbe stata
realizzata solo dopo la prima ricostruzione della cappella, tra X e XI secolo, quando gran parte dei
muri andarono distrutti a causa di un incendio. Questa porzione dell’edificio è tuttora visibile nella
struttura dell’attuale oratorio in alcune parti superstiti di murature dello spessore di circa 60
centimetri, formate quasi esclusivamente con materiale romano di recupero. Considerando che
11
C. BELLINATI, op. cit., pp. 161-168.
12
M. P. BILLANOVICH, op. cit., pp. 51-65. Per il culto di san Michele in età longobarda: G. P. BOGNETTI, op. cit., pp.
165-204.
13
G. FURLANETTO, op. cit., pp. 36-38.
14
Per la documentazione sugli interventi della Soprintendenza per i BB. AA. SS. del Veneto nella chiesa di Pozzoveggiani,
cfr. Appendice I.
8
l’abside era posizionata ad ovest ne deriva che l’ingresso dell’edificio si trovava ad est, esattamente
dal lato opposto. Il prospetto era forse decorato dalla serie di formelle in terracotta (38 x 23 cm.)
formanti un fregio, oggi collocate in modo incompleto sul muro sud fra clipei per maioliche e
decorazioni di altre epoche.15 L’interno della piccola costruzione era pavimentato a mosaico ed era
illuminato da una finestra lunga e stretta, murata in epoca successiva ma ancora oggi visibile sul
muro a-b, e da altre due aperture più piccole e sguanciate poste a fianco del catino absidale (muro a-
d). La primitiva cappella si dotava di un arredo fisso composto essenzialmente da un altare
posizionato nell’abside e forse anche da una vera monolitica in trachite (147 x 161 x 39 cm.), che
oggi è sistemata all’esterno della chiesa ma che un tempo poteva rispondere ad una precisa
funzione. A tale proposito Calore16 propone l’identificazione della vera con la fenestella
confessionis, la piccola apertura o finestra attraverso cui i fedeli potevano vedere le reliquie del
santo o martire sepolto sotto l’altare maggiore dell’edificio sacro, ma questa rimane solo un’ipotesi
poiché non vi sono testimonianze della venerazione di reliquie nella chiesa di san Michele. Durante
l’invasione ungara dell’899 la cappella cristiana riportò notevoli danni, tra cui anche un devastante
incendio che distrusse il tetto, e vennero abbattuti i muri b-c (facciata) e c-d. Come è stato
dimostrato dunque l’origine dell’attuale chiesa di San Michele è da riscontrare nell’edificio del VI-
VII secolo, identificato con una cella memoriae per la sua particolare forma cubica la cui unica
curvatura era quella dell’abside occidentale, tipica costruzione di primi secoli cristiani.17 Tale
tipologia di costruzione indica la “cella della memoria”, chiamata anche martyrion, degli edifici
eretti a partire dal periodo costantiniano: si tratta di costruzioni spesso a pianta centrale, ottagonale
o cruciforme, usati come battisteri o mausolei, fondati in un luogo sacro alla memoria di un santo o
sulla sua tomba. L’analisi delle caratteristiche architettoniche di questa parte dell’edificio purtroppo
non può essere estesa oltre a causa delle successive stratificazioni avvenute nei secoli che hanno
cancellato le tracce per ricostruirne la precisa connotazione. La ricostruzione del fabbricato avvenne
quasi certamente tra i secoli X e XI, sullo stesso perimetro e mantenendo la forma originaria
dell’aula; solo il muro sud fu eretto di minore spessore. E’ questo il momento in cui la piccola
chiesa venne decorata con affreschi parietali. Come detto, nel 1130, con la donazione del vescovo di
Padova Bellino che riconosce gli antichi privilegi sulla cappella di San Michele, i canonici padovani
e la chiesa vivono un periodo di grande splendore. E’ forse questo uno dei motivi che portò
all’ampliamento dell’edificio, tra XII e XIII secolo: in questa fase fu demolita l’abside fino al
15
Per le formelle in terracotta vedi: A. CALORE, La chiesa di S. Michele Arcangelo a Pozzoveggiani, “Padova e la sua
provincia”, XVI (1970), n. 4, pp.3-8.
16
C: BELLINATI, A. CALORE, C. SEMENZATO, La Basilica ritrovata. L’antica chiesa di San Michele Arcangelo di
Pozzoveggiani, Padova 1985, ed. Gregoriana, pp. 11-16.