Troveremo nelle pagine del Fasciculus non soltanto tesi ed elaborazioni
dottrinali, per lo più stilate da insigni auctores ai quali il Porro attinge con
dotta reverentia, ma anche dei gustosi ritratti di personaggi, in difesa o
contro i quali il Nostro esercitava la sua professione, che incarnano
perfettamente l’innato senso di prepotenza, di irascibilità fusa all’arte di
arrangiarsi della gente del tempo.
Volutamente la presente tesi sarà divisa in due parti: la prima avrà lo scopo
di tratteggiare l’ambiente storico-giurisprudenziale nel quale il Porro
operava, la seconda, invece, dopo un’introduzione al Fasciculus atta a
metterne in luce la struttura ed i caratteri salienti, si concentrerà sulla
disamina di alcuni reati affrontati nell’opera (quali il furto, la rapina, la
concussione, il taglio furtivo di alberi e l’usura) corredati di numerosi casi
pratici degni di interesse.
Sarà proprio addentrandoci nelle allegationes del Nostro avvocato che
verremo a conoscenza di come si faceva giustizia nella nostra città
quattrocento anni fa.
Non verranno trascurati i raffronti con le tesi dei maggiori auctores del
Cinquecento e con le principali fonti legislative del tempo: le leggi romane,
il Digesto giustinianeo, le Costituzioni e gli Statuti milanesi.
2
Introduzione
VITA ED OPERE DI FRANCESCO BERNARDINO PORRO
Oggetto della nostra ricerca è un testo stampato a Milano nel 1621, intitolato
1
Fasciculus Rerum Criminalium ad usum Fori Mediolanensis, scritto da un
autore che ha lasciato ben poche tracce di sé, Francesco Bernardino Porro.
Non ne conosciamo né la data né il luogo di nascita (probabilmente la
2
Milano della seconda metà del secolo XVI), ma sappiamo dall’Argelati che
3
il padre, Giovanni Ambrogio Porro, propretore dal 1598 al 1645, allevò il
figlio nel migliore dei modi.
L’appartenenza al ceto benestante permise al giovane Francesco Bernardino
4
di compiere gli studi alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia.
Egli si dedicò con tale serietà e diligenza allo studio del diritto da
1
F.B. PORRO, Fasciculus rerum Criminalium Homeri nuce conclusa, ad usum Fori
Mediolanensis, et communem utilitatem. Francisci Bernardini Porri I.C. et Advocati
Mediolanensis. Rerum multis Responsis exacte tractatarum a Senatu Mediolanensi
prudenter decisarum ut varietate iucundus, ita auctoritate utilissimus, et nunc primum
editus. Perillustri D. Petro Francisco Corio Senatori Mediolanensi dicatus, Mediolani
1621.
2
F. ARGELATI, Bibliotheca scriptorum Mediolanensis, t. II, Mediolani 1745, col.
1117.
3
G. SITONI DI SCOZIA, Theatrum equestris nobilitatis, Mediolani 1706, pp. 181-182,
n. 750.
4
“(…) dum Papiae studerem” (F.B. PORRO, Fasciculus cit., p. 46).
4
5
diventare in breve tempo un avvocato di grande notorietà.
6
Le ‘valenti riuscite’, come scrive Picinelli, che Porro fece nello studio
legale gli permisero di acquisire non solo la devozione e la benevolenza
dei cittadini milanesi, ma anche un bagaglio di esperienze pratiche che gli
consentirono di dare alla luce una Collezione di Rescritti e Decisioni del
7
Senato di Milano ed una raccolta di elaborati, Elucubrationes ad
8
Ponzinibium , che si trovano nel volume undicesimo dei Responsa che il
9
Picinelli dice stampato nel 1612 con il titolo Decretum in quibus causis
10
criminaliter procedi non potest.
Sempre pubblicate nel 1612 sono le Adnotationes ad Tractatum de
11
Cambiis, reperite in un libro intitolato Tractatus Criminalis Joannis
5
“(…) Joannes Ambrogius Porrus Franciscum Bernardinum non tantum genuit, sed
optime educavit, ita ut Juribus tam sedulo, serioque iste dederit, ut Advocatus magni
nominis breviter evaserit”. F. ARGELATI, Bibliotheca cit., colonna 1117.
6
F. PICINELLI, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, p. 201.
7
“Sono significative, per il Senato di Milano”, scrive Cavanna, “le parole dei
giuristi lombardi del XVII secolo i quali concordemente affermavano che questo
‘sacrosanto tribunale’ giudicava ut princeps e formulava le sue sentenze divino
quoddam afflatu” (A. CAVANNA, Storia del diritto moderno in Europa, Milano
1982 , p. 169).
8
F. PICINELLI, Ateneo cit., p. 201.
9
Ibidem, p. 201.
10
F. ARGELATI, Bibliotheca cit., col. 1118.
11
Ibidem, col. 1118.
5
Baptistae Cavati J. C. Bononiensis & Advocati Medionalensis cum variis
12
Elucubrationibus Francisci Bernardini Porri J.C. Mediolanensis.
Non ci è dato sapere, invece, in quale anno Porro scrisse di un fatto di
cronaca, un omidicio, nell’opera De facinore in filium Fernandez Joannis
13
Comestabilis Mediolani patrato.
Di queste ultime due opere ce ne dà conoscenza l’Argelati.
Nel 1621 Porro pubblicò il Fasciculus rerum Criminalium, oggetto del
nostro studio, dedicandolo al senatore milanese Pietro Francesco Corio.
Picinelli definisce questa opera “libro non men dilettevole per la varietà
14
delle cose che utile per la sodezza delle dottrine”.
15
Picinelli ed il nostro Autore stesso narrano dell’esistenza di una raccolta
di casi di diritto criminale, ben più ricca del Fasciculus, che fu
rovinosamente sottratta allo sventurato autore per opera di sconosciuta e
16
temeraria mano.
12
Ibidem, col. 1118.
13
Ibidem, col. 1118.
14
F. PICINELLI, Ateneo cit., p. 201.
15
“(…) nel qual argomento [il diritto criminale], molto maggior raccolta scrive
d’haver fatto in un altro volume che da temeraria mano gli fu involato” (Ibidem, p.
201).
16
“ Multo plura erant collecta in alio libro, qui fuit mihi furto subtractus, eo animo, ut
credo, ut post mortem meam sub alieno nomine imprimerentur et laboribus meis prope
indefessis fraudaret”. F.B. PORRO, Fasciculus cit., LECTORI.
6
Lo stesso Porro, nella introduzione al Fasciculus, esprime il timore che il
testo sottrattogli possa essere, dopo la sua morte, pubblicato a nome di
altri.
Che la patria Milano lo apprezzasse profondamente ce lo confermano
1718
ed il Picinelli, entrambi riportando l’epigramma che
l’Argelati
19
Benedetto Sociago scrisse a Porro per esortarlo a dare alle stampe la sua
20
opera De Poenis remittendis.
In questo epigramma, infatti, è la patria stessa, oltre all’autore, che ne
sollecita la pubblicazione :
Ede tuum tandem doctissime Porre libellum
Hunc Patria expectat, sollicitatque reus.
17
F. ARGELATI, Bibliotheca cit., col. 1117.
18
F. PICINELLI, Ateneo cit., p. 201.
19
Nome di incerta derivazione; Picinelli (in Ateneo cit., p. 201) scrive
SOSSAGO, Argelati (in Bibliotheca cit., colonna 1117) riporta SOCIAGO. Quasi
sicuramente si tratta del Benedetto Sosago, facente parte dell’ entourage del cardinale
Federico Borromeo in qualità di ricercatore per l’arte poetica, citato dal Bertelli a
proposito della fondazione della Biblioteca Ambrosiana (1609) “coi suoi trentamila
volumi di stampati e dodicimila manoscritti, ma soprattutto con la sua équipe di
ricercatori sul modello vaticano”. E’ grazie alla figura del cardinale Federico
Borromeo, celebrata dal Manzoni nei Promessi Sposi, che la cultura milanese ebbe un
posto d’onore tra quelle europee del tempo. Egli, creato vescovo nel 1595, prese
possesso della diocesi solo nel 1601 per contrasti con il governo spagnolo. Il
Borromeo fu un’alta figura di prelato, lodata per le sue virtù di carità, strenua difesa di
chiese e collegi, nonché uomo di profonda cultura a cui si devono diverse opere di
ascetica, mistica, esegesi biblica e poetica (S. BERTELLI, Storiografi, eruditi,
antiquari e politici in Storia della Letteratura Italiana, diretta da E. CECCHI e N.
SAPEGNO, Vol. IL SEICENTO, s.l. 1969, p. 375).
20
F. ARGELATI, Bibliotheca cit., col. 1118 e F. PICINELLI, Ateneo cit., p. 201.
7
Poenarum minuit, tormentorumque timorem,
Si cui ferrata compede crura sonant.
Non meus ascendet ligna infelicia Civis,
Nec saevo dabitur victima crebra mari.
Quin si tartarea liber edificatur in Aula,
Aequior in Manes, Rhadamanthus erit.
21
L’Argelati ci informa che un sonetto in eius laudem fu dedicato al
Nostro anche dal poeta Pietro Paolo Porro, a lui legato da vincoli di
parentela.
Sempre l’Argelati precisa che nelle Schedae Sitonianae si riporta che
22
Porro godette di grande prestigio fino agli albori del XVIII secolo.
23
Vane le ricerche della sua data di morte.
Il nostro Autore visse comunque fino all’ultimo completamente
impegnato nelle sue opere, in parte pubblicate, in parte, come già
24
sappiamo, andate perdute.
21
F. ARGELATI, Bibliotheca cit., col. 1118.
22
Ibidem, col. 1118.
23
“Annum vero eius emortualem undique quaesitum non invenimus”. Ibidem, col.
1118.
24
“Vivit tamen adhuc in eius Operibus partim iam editis, partimque deperditis, ut ipse
asserit in libro […]”. Ibidem, col. 1118.
8
PARTE PRIMA
IL QUADRO STORICO
Capitolo I
LA MILANO DEL’600
§1: L'importanza strategica del ducato di Milano.
Dall'abdicazione di Carlo V nel 1554 il ducato di Milano, acquistato dalla
corona spagnola nel 1548, era di fatto assoggettato ad un governo con
direttive spagnole. Il ducato milanese rappresentava per la Spagna un punto
nevralgico di preminenza politico-militare nel nostro paese, poiché
permetteva di controllare l'Italia del nord ed ogni potenza d'Oltralpe che
1
intendesse introdurvisi. Il ducato di Milano, circondato a nord dagli
svizzeri, ad est da Venezia, ad ovest dalla Signoria Sabauda e bloccato a
1
Il Seicento italiano fu caratterizzato dal predominio della monarchia spagnola divenuto
sicuro con la Pace di Cateau–Cambresis (1559), con cui si pone termine alle guerre
italiane tra Borboni di Francia e Asburgo di Spagna. A quest’ultimi spetta il ducato di
Milano e tutta l’Italia meridionale ed insulare. Tale situazione resterà invariata fino alla
Pace di Utrecht (1713) tra Francia e Spagna, che sancirà la fine della guerra di
“successione spagnola”. Questa guerra era stata causata dal fatto che Carlo II, ultimo
discendente degli Asburgo di Spagna, era morto senza lasciare figli maschi. La Spagna
conserverà l’indipendenza dalla Francia, ma sul trono salirà un Borbone francese ed il
suo predominio in Italia verrà surclassato da quello austriaco fino al 1748, anno nel
quale si assisterà alla Pace di Aquisgrana fra Borboni spagnoli e Asburgo austriaci (L.
BARBIANO DI BELGIOIOSO, voce Milano, in Enciclopedia europea, Vol. VII,
Milano 1978, pp. 567-581).
9
sud dai ducati di casa Farnese era come una cittadella, costretta a tenersi
2
perpetuamente sul piede di guerra”.
Il successore di Carlo V, Filippo II, considerando i domini della corona al
3
pari di una “eredità sacra, intangibile”, decise di non rinunciare alle
posizioni conquistate, nonostante la loro esposizione all'attacco nemico.
Quei domini costituivano un’eredità non certo facile per le insidie dei
rivali, per i fermenti interni, per lo sforzo finanziario non indifferente, per
l'amministrazione arretrata, indebolita e corrotta, per i debiti che provocava
con inevitabili gravi ripercussioni sull'economia privata, sull'efficienza
degli eserciti, sul finanziamento dell'apparato e sulla stessa politica
internazionale. La politica accentratrice di Filippo II trova, quale ostacolo
insormontabile, la riluttanza dei diversi domini alla rinuncia delle loro
autonomie, privilegi ed istituzioni particolari guadagnate nel corso degli
anni precedenti. Questo malcontento generale costituì un ulteriore motivo
2
Tale duplice posizione, al contempo di forza e di rischio, fu avvertita ben presto dai
fidi consiglieri di Carlo V tanto da suggerirgli progetti alquanto arditi che il sovrano ora
considerava, ora abbandonava. Alcuni esempi possono essere l’accettare la vendita del
ducato avanzata dal duca Ottavio Farnese nel 1543 per due milioni di scudi d’oro; la
cessione nel 1556–1557 ad Antonio Borbone in cambio della Navarra; l’assicurarsi il
Piemonte ad integrazione del ducato milanese attraverso il matrimonio del principe
Emanuele Filiberto Maria con la primogenita dell’imperatore. M. BENDISCIOLI,
Politica, Amministrazione e religione nell’età dei Borromei in Storia di Milano, Vol. X
(L’età della riforma cattolica), Milano 1957 p. 9.
3
Ibidem, p.10.
10
di debolezza della monarchia spagnola, che doveva dividersi tra sudditi
ribelli, al suo interno, e complicazioni che presagivano l'inizio della crisi
dell'egemonia spagnola, all'esterno.
Anche gli immediati successori di Filippo II, ovvero Filippo III (1598-
1621) e Filippo IV (1621-1665) continuarono a considerare Milano “non
solo una perla della corona, ma come un possesso necessario sia per il
mantenimento degli altri domini in Italia, sia per lo svolgimento della loro
4
politica europea” con gli Asburgo d’Austria.
Al governo di Milano furono inviati, da Madrid, governatori, dotati di una
certa autonomia e segretari con azione coordinata con quella degli
ambasciatori delle loro corti (Venezia, Savoia, Parma e Modena) presso il
re di Spagna.
A volte la città di Milano, preoccupata di salvaguardare il suo territorio,
incaricava il suo agente a Madrid della difesa degli interessi comuni. Altre
volte, invece, l'agente della capitale doveva evitare che il ducato non fosse
troppo gravato dagli alloggiamenti militari rispetto alle altre province
5
lombarde.
4
Ibidem, p. 14.
5
G. SIGNOROTTO, Milano spagnola (Guerra, istituzioni, uomini di governo) 1635 –
1660 , Milano 1996, p. 219.
11
Gli stati italiani, però, seppur costretti più volte a sottostare al prestigio e
alla forza spagnola, seppero in alcune circostanze, con risolutezza e
avvedutezza, liberarsi dalla sua stretta diplomatica e militare, anche contro
l'operato di governatori e vicerè.
Il Morandi scrive che gli spagnoli non erano “aborriti” né ritenuti
6
“esiziali”; anzi, vi fu, addirittura, chi li rimpianse dopo la caduta del loro
7
dominio. I mali che gli italiani conobbero durante il Seicento furono, dagli
studiosi di storia del XVIII secolo, attribuiti al malgoverno spagnolo.
In realtà questi mali altro non furono che le conseguenze delle dominazioni
straniere in generale, come rilevarono gli storici ed i politici del XIX
secolo. E’ dopo la metà del XVII secolo che l'Italia compie un graduale
distacco dalla Spagna che si pone pari passo con la crisi madrilena. La
Lombardia si sente abbandonata a se stessa ed oberata di gravami fiscali.
Si ha la certezza che lo splendore spagnolo di Carlo V e Filippo II sia
8
concluso per sempre .
6
C. MORANDI, Considerazioni sul dominio spagnolo in Lombardia , Bologna 1938, p.
216.
7
Tra i quali il Morandi annovera: “(…) spostamenti di ricchezze, crolli di vecchie
industrie (…), fasi talvolta drammatiche della lotta non definitivamente risolta, tra città
e campagna, un progressivo isolarsi di ceti nobiliari e il graduale formarsi di una
burocrazia dirigente”. Ibidem, p. 217.
8
Ibidem, p. 218.
12
§2: La situazione economica nella Milano seicentesca.
Milano non costituiva per gli spagnoli solo un’importante posizione
strategica, ma anche un centro di industrie e traffici di dimensioni
internazionali.
Le regioni italiane, soprattutto la Lombardia, erano più popolose, più ricche
e più progredite della Spagna.
Le antiche industrie tradizionali della filatura, tessitura, tintura della lana,
9
del fustagno, dei drappi trapuntati d'oro e d'argento, i preziosi lavori di
10
oreficeria, della seta e dei soprammobili in cristallo che avevano sofferto
periodi di crisi durante le guerre franco imperiali riacquistarono il loro
11
fiorente sviluppo proprio nei primi del’600. Il De Maddalena parla di un
12
fatale biennio (1619-1620) che segnò inesorabilmente il declino dello
Stato milanese. Di questo furono motivo la mancanza di innovazioni
tecnologiche e di tecniche produttive, l'ignoranza in materia di mercati
9
Per la lavorazione delle stoffe d’oro e d’argento Milano era ritenuta la prima
manifattura in Italia (E. VERGA, Storia della vita milanese, Milano 1931, p. 235).
10
“Nell’oro e nella seta erano impiegate ancora nel 1620, quarantaquattromila persone.
Continuava a fiorire l’arte della lana e fino al 1616 si contavano settanta lanifici che
producevano quindicimila pezze di panno all’anno”. M. BENDISCIOLI, Politica,
Amministrazione cit., p. 17.
11
A proposito v. G. SALVIOLI, Storia del diritto italiano, Torino 1930, p. 692.
12
A. DE MADDALENA, Dalla città al borgo (Avvio di una metamorfosi economica e
sociale nella Lombardia Spagnola), Milano 1982, p. 294.
13
esteri in rapida espansione che portarono i manufatturieri milanesi a
13
percorrere “pigramente lungo gli itinerari tradizionali” senza potersi
adeguare a quel che era la domanda da soddisfare. I milanesi, infatti,
proseguendo a produrre merci di lusso dal costo elevato (collane,
bottoniere, armi decorate che un tempo fornivano le case principesche di
Baviera, Francia e Polonia) si trovarono impreparati davanti alla
concorrenza dei produttori stranieri.
E’ dopo il 1630 che la situazione si stabilizza: le manifatture iniziano ad
offrire prodotti meno raffinati, frutto delle industrie para-agrarie e
dell'artigianato rurale come sete crude, grano, riso, tele di lino e canapa.
Questi prodotti, grazie alla manodopera a buon mercato, alle materie prime
meno costose e più facilmente reperibili, ai cicli di lavorazione più veloci e
semplici e ai minori carichi fiscali, venivano messi sul mercato ad un
prezzo basso al di fuori delle mura cittadine. Intenso era, inevitabilmente,
anche il traffico di monete che circolava nella nostra città in quel periodo.
Le monete utilizzate erano il Ducatone (moneta argentea) e le Doppie di
13
Ibidem, p. 294.
14
Spagna (monete auree) alle quali, nella seconda metà del '600, si aggiunge
14
il Filippo che godette di un sempre maggiore prestigio.
Il governo ispanico-lombardo impose una politica monetaria fatta da severe
regolamentazioni e attenti controlli circa la monetazione e la circolazione
di denaro.
I pubblici poteri spesso pubblicavano delle gride che limitavano la
spendibilità delle monete nelle zone vicine ai confini, dove era più facile
che si commettessero abusi e avvenissero disordini, che proibivano
l'esportazione “dallo Stato di valuta aurea e argentea, che stabilivano le
caratteristiche intrinseche ed estrinseche (contenuto peso, titolo, valuta) dei
vari tipi di monete riconosciute dalla legge; che vietavano la diffusione di
15
monete ‘tosate, erose, calanti’ o comunque alterate”. Alcune gride,
addirittura, imponevano ai possessori di esse di versarle alla Zecca ad un
prezzo stabilito se non di contrabbandarle entro la data fissata fuori dal
territorio. Il Governatore disciplinava o limitava, con altri atti normativi,
l'uso ed il corso di particolari specie metalliche, bandiva singole monete,
14
A. DE MADDALENA, Prezzi e aspetti del mercato in Milano durante il secolo XVII,
Milano 1949, pp. 70–71.
15
Ibidem, p. 72.
15