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equa per tutte le parti in causa, richiede tempi molto lunghi e costi ingenti, che spesso i
popoli autoctoni non possono permettersi. Come avremo modo di sottolineare, però, è
difficile stabilire quale sia il metodo migliore per dare seguito alle pretese delle
comunità aborigene sulle loro terre. Di fatto i suddetti strumenti, sebbene alcune volte
riescano a svolgere un ruolo significativo, presentano, nello stesso tempo, dei limiti.
Nel presente lavoro, in particolare, focalizzeremo la nostra attenzione sui Paesi di
common law, nei quali i diritti sulla terra in capo ai popoli autoctoni sono stati inclusi
nel concetto di aboriginal title. In genere, nei vari ordinamenti di derivazione
anglosassone, sono gli organi giurisdizionali ad avere un ruolo principale per lo
sviluppo e la definizione dell’aboriginal title. È proprio per questo che dedicheremo
molto spazio all’analisi dell’evoluzione giurisprudenziale di tale nozione. Merita
sottolineare che, date le numerose difficoltà nell’individuare la sua vera natura, il
concetto di aboriginal title si è sviluppato molto lentamente ed è stato scoperto un po’
alla volta, tanto che è solo di recente che si sono avuti dei progressi in materia.
Ogni Paese di common law ha elaborato una sua visione specifica del concetto di
aboriginal title, dando vita a dei percorsi evolutivi distinti, che non sempre sono riusciti
a giungere ad un’identificazione e ad una definizione precisa di tale nozione. Con il
presente lavoro, ci proponiamo di analizzare l’evoluzione di questo concetto giuridico
in due specifici ordinamenti di derivazione anglosassone: Nuova Zelanda e Canada. I
sistemi giuridici neozelandese e canadese, nonostante abbiano lo stesso tipo di origine,
offrono degli spunti interessanti di comparazione, in quanto, come vedremo, presentano
delle peculiarità, di carattere soprattutto costituzionale, che incidono direttamente sulla
tutela dell’aboriginal title.
L’intento di tale disamina sarà quello di illustrare come, da più punti di vista,
l’evoluzione del concetto di aboriginal title abbia incontrato numerose difficoltà, che
incidono negativamente sul suo riconoscimento attuale, sia in Nuova Zelanda che in
Canada. In chiave comparatistica, tenteremo di stabilire i punti di debolezza e di forza
che caratterizzano la tutela dell’aboriginal title in questi due Paesi di common law,
cercando di comprendere quali siano le maggiori problematiche che devono ancora
essere risolte.
Il nostro lavoro si articolerà in tre parti principali.
La prima parte, corrispondente al capitolo iniziale, prevede la trattazione di temi di
9
carattere generale per offrire un inquadramento teorico complessivo del concetto di
aboriginal title. Dopo aver analizzato in che modo l’acquisizione della sovranità, da
parte della Corona britannica, nelle colonie d’oltremare abbia influito sui diritti
consuetudinari legati alle terre dei popoli autoctoni, tenteremo di definire il concetto di
aboriginal title e di individuare i suoi caratteri peculiari. Il primo capitolo si concluderà
con uno sguardo di insieme agli ultimi sviluppi a livello internazionale concernenti la
tutela dei land rights in capo ai popoli autoctoni.
Nella seconda parte, analizzeremo l’evoluzione del concetto di aboriginal title in
Nuova Zelanda. Per illustrare il percorso evolutivo di questa nozione all’interno di tale
Stato di common law, faremo prima di tutto riferimento al Trattato di Waitangi, che ha
rappresentato il suo primo riconoscimento. La nostra attenzione si focalizzerà,
soprattutto, sulle questioni più critiche che indeboliscono il ruolo significativo svolto da
tale documento di rilievo costituzionale, ossia le difficoltà interpretative associate alle
sue due versioni ufficiali ed il suo status giuridico controverso.
Nella seconda parte, inoltre, metteremo in evidenza l’importanza della Maori Land
Court e del Tribunale di Waitangi, attraverso i quali la Nuova Zelanda si distingue dal
Canada, ma anche dagli altri Paesi di common law, in cui non esistono simili organi
giudiziari che si occupano specificatamente dei diritti sulle terre dei popoli autoctoni.
Concluderemo la seconda parte analizzando l’evoluzione del concetto di aboriginal title
nella legislazione e nella giurisprudenza neozelandesi.
Nella terza ed ultima parte del presente lavoro, infine, esamineremo come si è
sviluppata la nozione di aboriginal title in Canada. Anche in questo caso partiremo dai
primi riconoscimenti di tale diritto, per poi individuare il suo percorso evolutivo dal
punto di vista costituzionale, legislativo e giurisprudenziale. Dedicheremo uno spazio
particolare specialmente al Constitution Act del 1982, che è estremamente importante,
in quanto ha conferito una tutela costituzionale all’aboriginal title. Come vedremo,
questo è l’aspetto che più di tutti distingue il Canada dalla Nuova Zelanda, dove non vi
è una Costituzione scritta. Un’attenzione speciale, inoltre, sarà rivolta alla
giurisprudenza, la quale svolge un ruolo fondamentale nell’interpretare il diritto
costituzionale, assicurando lo sviluppo progressivo del concetto di aboriginal title.
In conclusione tenteremo di evidenziare come, sebbene l’aboriginal title in capo ai
popoli autoctoni di Nuova Zelanda e Canada risalga a tempi remoti, la sua rilevanza sia
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emersa solo di recente. Tuttavia, nonostante sia stato ottenuto qualche progresso di
rilievo, rimangono molte questioni aperte, a proposito delle quali tale analisi cercherà di
suggerire eventuali miglioramenti per il futuro.
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PARTE PRIMA
UN’INTRODUZIONE AL CONCETTO DI ABORIGINAL TITLE
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CAPITOLO 1
L’ABORIGINAL TITLE DAL PUNTO DI VISTA TEORICO E LE
PROBLEMATICHE SOTTESE
1.1. L’acquisizione della sovranità da parte della Corona britannica nelle colonie
d’oltremare
Prima di addentrarci nella definizione di aboriginal title, è bene analizzare i metodi
principali con cui la Corona britannica ha acquisito la sovranità2 nelle sue colonie
d’oltremare. Questo tipo di approfondimento è estremamente utile, in quanto la
classificazione dei vari insediamenti poteva essere determinante per le rivendicazioni
territoriali dei gruppi autoctoni e molto spesso comportava le numerose difficoltà legate
al riconoscimento dei loro diritti sulla terra.
A parere di Kent McNeil, dai vari modi per acquisire un territorio dipendevano “the
constitutional status of a territory and, consequently, the laws in force and the extent of
the Crown’s prerogative power”.3 Egli, inoltre, sottolinea che l’annessione di nuove
terre coinvolgeva allo stesso tempo questioni di diritto internazionale e di diritto interno.
Per essere effettiva internazionalmente, una rivendicazione di sovranità da parte di un
determinato Paese doveva rispettare i relativi criteri in materia presenti a livello
internazionale, derivati dalla pratica degli Stati e dalle opinioni dei giuristi del periodo.
È fondamentale ricordare che, all’inizio dell’era coloniale, non vi erano delle regole
prestabilite di diritto internazionale per l’acquisizione di territori in cui era assente la
giurisdizione di un sovrano. Proprio per tale ragione, le potenze europee cercavano di
sostenere le loro pretese con qualsiasi mezzo immaginabile, affermando, nella maggior
parte dei casi, che l’autorità definitiva spettava ad essi.
2
Il dizionario giuridico di Francesco de Franchis ci ricorda che il concetto di sovereignty, che è un
attributo fondamentale dello Stato, viene spesso distinto in internal e external. Nel primo senso,
l’indagine giuridica sulla sovranità va effettuata nell’ambito dell’ordinamento costituzionale britannico e
della distribuzione del potere tra le varie componenti dello Stato. Strettamente collegato al primo appare il
concetto di sovereignty nell’ordinamento internazionale, riferito qui al rapporto fra Stati; in questo senso,
sembra potersi dire che esso coincide con quello di indipendenza e personalità internazionale dello Stato,
F. DE FRANCHIS, voce Sovereignty, in Dizionario giuridico-Law Dictionary inglese-italiano, Giuffrè,
Milano, 1984, p. 1372.
3
K. MCNEIL, Common Law Aboriginal Title, Clarendon, Oxford, 1989, p. 110.
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McNeil sostiene che i criteri di diritto interno per determinare se il conseguimento
della sovranità fosse effettivo, non corrispondevano necessariamente a quelli del diritto
internazionale. Ciò era particolarmente vero nel diritto inglese, che assegnava tale
potere sovrano alla Corona quale elemento essenziale delle sue prerogative. Di
conseguenza, una dichiarazione di sovranità da parte della British Crown, anche se in
contrasto con il diritto internazionale, era da ritenersi decisiva. Dal punto di vista di
questo autore, la classificazione dei territori secondo il diritto costituzionale coloniale
non si basava sui metodi internazionali di acquisizione, ma su quelli inglesi.
Date queste informazioni introduttive, passiamo ora ad analizzare i vari modi con cui
la Corona ha potuto ottenere il controllo nelle sue colonie d’oltremare. Solitamente si fa
riferimento a tre metodi principali di acquisizione, riconosciuti dal common law: la
conquista (conquest), la cessione territoriale (cession) e l’insediamento o colonizzazione
(settlement). Mentre i primi due criteri riguardavano quei territori in cui era già presente
un potere sovrano, il terzo teoricamente concerneva le terre disabitate. La scoperta4 di
nuovi territori (discovery), seguita da un effettivo dominio, era senza dubbio un modo
appropriato per acquisire la sovranità in una zona non abitata, o terra nullius, per
utilizzare il termine latino preferito dai giuristi. Interessanti in merito sono le riflessioni
di Lindley, il quale definisce il termine terra nullius in questo modo:
a tract of territory…not subject to any sovereignty - either because it has never been so
subject, or, having once been in that condition, has been abandoned - [in which case] the
sovereignty over it is open to acquisition by a process analogous to that by which property
can be acquired in an ownerless thing.5
Lindley, inoltre, esaminando le opinioni di alcuni giuristi in materia, afferma:
[A] persistent preponderance of juristic opinion in favour of the proposition that lands in the
4
In relazione al concetto di scoperta, è bene far riferimento alla c.d. “European Doctrine of discovery”,
che per cinquecento anni è stata utilizzata dagli Stati colonizzatori europei per regolare e legittimare le
loro attività coloniali nei territori dei popoli indigeni, sminuendo la loro posizione legale ed i loro diritti.
La più famosa ed autorevole elaborazione di tale dottrina risale all’opinione del presidente della Corte
Suprema americana John Marshall nel caso Johnson v. M’Intosh del 1823, [1823] 21 US 543.
5
M.F. LINDLEY, The Acquisition and Government of Backward Territory in International Law: Being a
Treatise on the Law and Practice Relating to Colonial Expansion, Negro Universities, New York, 1969,
pp. 160-5 (citato da J. CASSIDY, Sovereignty of Aboriginal Peoples, in 9 Ind. Int’l & Comp. L. Rev.,
1998, p. 90).
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possession of any backward peoples who are politically organized ought not to be regarded
as if they belonged to no one … [W]herever a country is inhabited by people who are
connected by some political organization, however primitive and crude, such a country is not
to be regarded as territorium nullius and open to acquisition by Occupation…6
Siamo d’accordo con Lindley quando sostiene che, affinché una zona non fosse
considerata terra nullius, doveva essere abitata da una società politica costituita da un
numero considerevole di persone, unite in modo stabile da un’obbedienza costante a dei
comuni rappresentanti o la cui condotta rispetto alle loro relazioni reciproche fosse
conforme a determinate norme. Da ciò emerge che, al fine di essere riconosciuti in
possesso delle loro terre, era sufficiente che i popoli autoctoni avessero un certo grado
di organizzazione politica ed autorità atte a mantenere l’ordine interno. In particolare,
rifacendoci al commento di Lindley per cui “no race is without organization of some
kind”7, si può sostenere che, in genere, i popoli aborigeni presentavano tali requisiti e
l’occupazione delle loro terre faceva sì che esse non venissero associate al concetto di
terra nullius. Infatti, anche se le comunità indigene non si conformavano agli apparati
politici e giuridici europei, ognuna di esse possedeva dei sofisticati sistemi legali da
rispettare.
La sovranità dei popoli indigeni è stata ed è tuttora una tematica molto dibattuta, sia
dal punto di vista del diritto internazionale che del diritto interno. Generalmente, però,
molti giuristi e lo stesso diritto internazionale hanno riconosciuto la sovranità degli
autoctoni e visto in essa un modo per prevenire che la loro terra venisse definita terra
nullius o che potesse essere acquisita per mezzo di una mera occupazione. Perciò, i
popoli indigeni non devono essere considerati solamente dei semplici “occupanti legali”
delle loro terre, ma dei veri e propri Stati sovrani. Per tale ragione, gli autoctoni e lo
Stato che acquisiva la sovranità nei loro territori d’origine detenevano una sovranità
concorrente.
Nonostante queste considerazioni, gli europei pensavano di poter tranquillamente
caratterizzare con il termine terra nullius anche le terre occupate dai rispettivi popoli
indigeni. Ciò perché si riteneva che questi ultimi, contrariamente ad essi che erano
6
M.F. LINDLEY, The Acquisition and Government of Backward Territory in International Law: Being a
Treatise on the Law and Practice Relating to Colonial Expansion, cit., pp. 17-20.
7
Ivi, p. 19.
16
invece “civilizzati”, fossero troppo “primitivi” o “barbarici” per assumere la posizione
di nazioni sovrane e per conformarsi alle caratteristiche europee di società politica.
Come avremo modo di osservare in seguito, questo è uno degli elementi negativi che ha
portato alle numerose difficoltà legate al riconoscimento dell’aboriginal title dei popoli
indigeni. Emblematico in tal senso è l’esempio dell’Australia, in cui, fino a poco tempo
fa, il diniego dei diritti sulle terre degli aborigeni si basava sulla falsa opinione che tale
continente fosse un territorio definibile come terra nullius, acquisito attraverso la
pacifica occupazione europea.
Tornando all’analisi dei vari metodi di acquisizione della sovranità, Paul Keal ritiene
la conquista una “subjugation of one people by another by means of force”.8 Questa sua
affermazione fa riferimento alle prime fasi dell’espansione europea, in cui tale criterio
veniva utilizzato per occupare e rivendicare con la forza le terre abitate dai popoli
indigeni. All’inizio del XIX secolo, però, la conquista non veniva più accettata come
mezzo per annettere un territorio. Infatti, l’opinione della maggior parte dei giuristi del
periodo era che essa fosse un mero cambiamento di sovranità, che lasciava immutati i
“diritti di proprietà” legati alla terra dei nativi.
Per quanto concerne la cessione territoriale, Paul Keal afferma: “Cession signified
that title to territory had been ceded by its occupants, usually in a treaty”.9 La
sottoscrizione di trattati è stato il metodo con cui gli europei hanno assunto il controllo
in diversi territori, tra cui, come avremo modo di osservare nelle due parti successive di
tale elaborato, in Nuova Zelanda e in Canada. Non vi è ancora certezza nello stabilire se
gli autoctoni firmatari di tali accordi fossero consapevoli del loro significato, inoltre
sono sorti numerosi dibattiti circa la loro natura e i loro effetti dal punto di vista
giuridico. Probabilmente ancora più significativo è il fatto che sia stata negata la loro
natura sopranazionale. Ciò perché, secondo una teoria di diritto internazionale risalente
ai primi del ‘900, i trattati erano da considerarsi validi solo se stipulati tra i soggetti a
quel tempo riconosciuti da tale diritto, vale a dire gli Stati. Tra questi ultimi, secondo
tale visione, non venivano ricompresi i popoli indigeni perché, come afferma Henry
Wheaton, “an unsettled horde of wandering savages not yet formed into a civil society
8
P. KEAL, European Conquest and the Rights of Indigenous Peoples, Cambridge University Press,
Cambridge, 2003, p. 37.
9
Ivi, p. 51.