3
dell’interpretazione che Soriano ha dato di esso; segue la Bio-bibliografia sia di Charles
Perrault che di Marc Soriano. La traduzione con testo a fronte e note è preceduta dalla
Nota alla traduzione, ed è seguita da una bibliografia, una sitografia e da un’appendice
iconografica.
4
INTRODUZIONE
« Il faut de la variété dans l’esprit :
ceux qui n’ont qu’une sorte d’esprit ne peuvent pas plaire longtemps.»1
L’olmèque ou les fautes d’orthographe è una pièce inedita, composta da Marc Soriano
presumibilmente negli anni ’80 del Novecento, dunque alla fine del suo percorso
d’indagine teorica e durante la grave malattia che lo colpì. Vi ritroviamo tutti gli
elementi fondanti il suo pensiero, ossia la ricerca di una rete sottile di corrispondenze e
di motivi in apparenza lontani ed eterogenei. Egli si pone i problemi filosofici del nostro
tempo, con le contraddizioni e gli errori che lo caratterizzano situandoli in continuità
con quelli che furono propri del Grand siècle. L’idea nuova proposta dall’autore
consiste nel mettere in gioco la funzione, essenziale ed evidente, dell’immaginario che
consente di concepire l’uomo come un essere in movimento all’interno di uno spazio
differente da quello che occupa fisicamente, ed immerso in un tempo a venire. In
ognuno di noi coesiste il riflesso di un mondo governato dalla tecnica accanto ad un
altro mondo in cui regnano paure, speranze e pulsioni, più o meno represse. Ed è questa
la linea guida con cui leggere quest’opera, che potremmo definire teatro della parola,
dove i personaggi parlano più di quanto agiscono. Se la coscienza di sé passa attraverso
la retorica, a farle da contraltare non è l’azione bensì il sonno. Lo scarto di Soriano
consiste nella rielaborazione del conflitto barocco fra realtà ed apparenza, proponendo
la dialettica dell’in-conscio: la sede del vero non è nel detto bensì nel non detto, nel caos
che anima i nostri sogni2. Del resto la vita è sogno,3 appunto.
Combinando dati storici ad elementi di pura finzione, dal gusto simile a quello di un
film giallo, riscopriamo, attraverso una suspense sempre crescente nei tre atti e dodici
1
Barthes R., L'ancienne rhétorique: aide-mémoire, in L’aventure sémiologique, Paris, Seuil,1985, p. 46.
2
Molteplici sono i momenti, in questo testo, nei quali Charles Perrault cade addormentato, il personaggio si
mette a servizio della persona, ed attraverso il sonno si palesa sulla sua vera vita. Esemplare è l’atto I, 2 quadro,
quando sdraiatosi su di un masso, sogna di chiedere udienza al re e riferendosi ai suoi rivali li chiama François Boileau
e François Racine, salvo poi giustificarsi : « je reconnais le lapsus Sire. Je ne sais pas pourquoi cet affreux prénom de
François m’est passé par la tête », p. 57 del testo a fronte quando invece sappiamo bene che quello è il nome del
gemello dello scrittore defunto.
3
« La vita è sogno» è il titolo di una pièce seicentesca di Calderón de la Barca, al cui centro si trova il tema
tipicamente barocco della vita come rêve, priva cioè di consistenza reale. Da questo topos, Soriano sembra trarre
spunto per una propria teoria. Ciò che cambia è la prospettiva: infatti se nel XVII secolo il sogno è associato alla fuga
dal reale, e proietta il sognatore in una dimensione esterna a se stesso, con Soriano invece l’attenzione cade sull'attività
onirica in quanto forza espressiva della realtà interiorizzata.
5
quadri che compongono la pièce, le anime e le contraddizioni del regno di Luigi XIV
ma anche quelle private dei singoli personaggi. Si tratta di anime complesse che
incarnano gran parte di quei valori che si scontrarono apertamente nella Querelle des
Anciens et des Modernes,4 sapientemente intrecciati in una chiave del tutto originale.
Come il teatro fonda il suo essere nella coesistenza di due piani di realtà, all’interno
della finzione ugualmente validi, così Soriano sembra trasformare la scena nella tela di
un pittore cubista nella quale - demolendo il principio fondamentale della prospettiva,
ovvero quello dell’unicità del punto di vista - le immagini, e quindi i personaggi, si
compongono di frammenti di realtà, tutti colti da angolazioni diverse e miscelate in una
sintesi insolita.5
Soriano amava gli enigmi, e già il titolo ne presenta qualcuno. Chi è un olmeco? E come
si può collocare rispetto al ̒ Moderno̕ Charles Perrault? Per rispondere a queste
domande è opportuno ricostruire, anche se sinteticamente, il contesto all’interno del
quale si svolge la vicenda e raccontare in breve la trama.
È l’estate del 1694, famosa per essere stata una delle più torride del secolo, e per aver
causato conseguentemente gravi problemi di siccità e carestia di generi alimentari
all’intera Francia. Per avere un’idea più chiara del contesto storico all’interno del quale
si svolge la vicenda narrata basta pensare ad un fiume di persone in fuga, alla ricerca di
che vivere e, mutatis mutandis, il quadro di Pellizza da Volpedo Il quarto Stato è
indubbiamente evocativo della portata dell’immagine. Il sipario si alza e troviamo i due
figli di Charles Perrault, Charles-Samuel e Pierre intenti a litigare. Interviene a mettere
ordine Marie-Jeanne Lhéritier6, nipote dello scrittore e ormai Accademico, il quale le ha
affidato il compito di provvedere all’istruzione dei figli durante la sua assenza. Infatti,
proseguendo, scopriamo che egli si trova in viaggio, con il suo scudiero. Una
4
La famosa disputa in questione non fu né un dibattito di erudizione né una disquisizione fra grammatici,
bensì lo scontro fra culture differenti, nello spirito e negli sviluppi. Raggiunse il suo apice massimo nel XVII secolo
anche se le sue origini risalgono all’epoca di Sant’Agostino. Per ulteriori approfondimenti rimando alla nota 78 p. 42
della traduzione.
5
Suggestiva, a questo proposito è l’arte di Picasso, il quale annullò ogni rapporto prospettico derivante da una
concezione prettamente cartesiana dello spazio-tempo, secondo cui le immagini sono una riproduzione fedele della
realtà. Rivoluziona così il concetto stesso di quadro, che diventa una « realtà interiorizzata» e non più la
« rappresentazione prospettica della realtà esterna». Vedere Ingo W. F., Picasso, Köln, Taschen, 2007.
Interessante è il parallelo che si crea con la pièce in questione: l’idea di alterare l’unicità del punto di vista si traduce,
come vedremo meglio in seguito, nella presenza in scena del pensiero inconscio e dunque nella non tipicità dei ruoli,
bensì nel loro continuo sovvertimento.
6
Attraverso questo personaggio, Soriano mette in scena i tratti migliori del femminismo. Sostenitrice della
cause des femmes, potrebbe richiamare alla mente una delle preziose ridicole. Invece, presentandola come visiblement
intelligente et cultivée, ed impegnata attivamente nell’istruzione dei nipoti ma anche della povera Estelle, prevale la
forza positiva del movimento della Préciosité sull’aspetto ridicolo.
6
deviazione del percorso, con l’attraversamento di una foresta sacra, fa nascere fra i due
un acceso confronto sulla querelle, di cui Perrault è fautore. Dopo aver superato varie
peripezie, i due fanno rientro a casa, dove trovano ad attenderli tutta la famiglia. Ma le
traversie non sono finite, al contrario, da quel momento in poi, l’azione sarà un
susseguirsi di colpi di scena, in un crescendo di tensione. Pierre, l’ultimogenito, è
innamorato di Estelle: sceglie di assecondare le ragioni del cuore e non la smania
carrierista del genitore, portando quest’ultimo a rimettere in discussione il suo dovere
di padre che, dal suo punto di vista, consiste nell’individuare quel che può fare la
fortuna del figlio. Di certo, non può farla Estelle, poiché è figlia di contadini.
Inizialmente la fanciulla si presenta come analfabeta, successivamente, grazie a tanta
buona volontà ed impegno, diventa insegnante di lingua francese. Il suo insegnamento
si rivolge alla povera gente che non sa leggere né scrivere, incarnando così il prototipo
perfetto di allieva del collegio di Saint-Cyr.7
Anche Fanchette, che nella pièce è la figlia maggiore, si ribella al destino comune alle
ragazze del tempo, ovvero quello di entrare in convento e prendere i voti. Lotterà fino
alla fine, ribellandosi al padre perché anche in questo caso prevalgono le ragioni del
cuore. Si dice infatti presa dallo scudiero, il quale a sua volta ricambia i sentimenti della
giovane. Ancora una volta, i precetti di Perrault non tardano a manifestarsi: la sua è una
morale da saggezza popolare, fondata sul dovere paterno e sul timor di Dio: sa di essere
un « grand pecheur »8 ma sa anche che i peccati si pagano, per questo si rivolge a Dio:
« je vous en prie, ne me punissez à travers ceux que j’aime.»9 La preghiera sembra
rimanere inascoltata, dato che entrambi i figli abbandonano la casa paterna, spiccando il
volo da soli.
A far da sfondo a questo dialogo a più voci, la voce del padre, quella dei figli ma anche
quella del popolo, è l’elaborazione dell’opera d’arte per cui Charles Perrault è
conosciuto ed apprezzato dalla contemporaneità: Les Contes de ma mère l’Oye.
La ricostruzione storica – e diamo così una prima risposta alle precedenti domande –
vuole che il personaggio dell’olmeco, di cui lo scudiero è un avatar, sia una figura
reale. Guillaume Caulle era un giovane falegname vicino di casa dei Perrault, ucciso dal
7
Fondato nel 1689 da Mme de Maintenon, vedova Scarron - prima amante e poi moglie morganatica del re Luigi XIV-
Saint-Cyr-l'École, era un collegio per ragazze nobili nate povere, nel quale si insegnava loro una professione e a vivere
del proprio lavoro.
8
I, 3, p. 109.
9
III, 11, p. 251.
7
giovane Pierre per motivi ad oggi ignoti.10 Lo scudiero-olmeco figlio putativo della
civiltà mesopotamica,11 apparsa e scomparsa con la stessa rapidità con cui il
personaggio fa incursione sulla scena, partecipa contemporaneamente alla dimensione
della vita e della morte: in questo egli è naturale e sovrannaturale, terreno ed
ultraterreno. Ma partiamo dalla fine. L’ultimo quadro della pièce ci svela la sua natura
di creatura che vive in una dimensione spazio-temporale ̒altra̕ rispetto alla realtà
diegetica. Come in un episodio di Star Trek è sceso sulla Terra, dalla sua navicella, per
narrare le vicende degli umani, con l’obiettivo di perseguire la « ricerca di altre forme di
vita e civiltà fino ad arrivare laddove nessuno è giunto prima.»12 Contiene in sé i germi
dell’avvenire ed al contempo anche quelli di ciò che è già avvenuto: per questo è uno
« Star Trek retrò » che, per il comico che lo contraddistingue, sembra uscito da una
delle commedie di Molière. La comicità di quest’opera è data proprio dalla sua
presenza: con il suo eloquio fitto di lazzi, giochi di parole e doppi sensi e con la sua
spiritosaggine invade tutta la pièce e irradia anche gli altri personaggi. A legittimare
l’iscrizione della vicenda nella categoria del comico contribuiscono vari elementi fra cui
i vaudeville del Conte di Brienne ma anche la commistione di personaggi alti e bassi, le
maître Perrault con la fille de paysan Estelle, e non a caso il principale incontro-scontro
tra i due è tipicamente una burla. Il personaggio di Perrault mette in scena un carnaval
presentandosi con « une bluse en droguet, un faux nez, des moustaches tombants »13
per sciorinare alla fanciulla, rea di aspettare un figlio da Pierre, i suoi principi di
borghese, padre di famiglia e Accademico, ma anche tutta la sua ipocrisia. Questa
carnevalata non è altro che la mise en abyme del tema inequivocabilmente seicentesco
della separazione fra essere ed apparire: le cose non sono mai come sembrano e del
resto l’avvertimento è esplicito nel testo: «il ne faut pas se fier à son air».14 Tuttavia
questo scontro, nella pièce, sembra avere un tono meno tragico e uno più edotto, tanto
che lo stesso Perrault, parlando con il cognato, il priore Guichon, dirà che « par
bonheur les enfants imitent ce que nous sommes et non ce que nous paraissons être».15
10
Si veda Soriano, M., Les Contes de Perrault: culture savante et traditions populaires, Paris, Gallimard, 1989.
11
Considerati la prima popolazione del continente americano, l’esistenza degli olmechi è circoscrivibile all’interno di
un arco di tempo compreso fra il 1500 ed il 400 a.C.. Furono un’etnia multirazziale, prevalentemente composta dalla
razza africana, asiatica ed europea e sono ancora motivo di studio in quanto inventarono un primo sistema di scrittura,
composto da sessanta simboli diversi, ad oggi rimasti indecifrati. Curioso è l’accostamento, proposto da Soriano, di
questa popolazione a Charles Perrault, il quale in qualità di membro dell’Accademia di Francia, è alle prese con la
codificazione grammaticale della lingua francese.
12
Frase di apertura di ogni episodio pronunciata dalla voce del capitano James T. Kirk.
13
III, 9, p. 223.
14
I, 3, p. 81.
15
I, 3, p.97.
8
Il divario fra «être» e «paraître», la convergenza prospettica fra esteriorità ed
interiorità, si situa a livello morale e coinvolge, nella pièce, i Perrault, padre e figlio.
Infatti il primo domanda : « pourquoi sommes-nous ceux que nous sommes? » e l’altro
prosegue: «je dirais plutôt: comment devenir autres?»16 Volendo trovare un’analogia
con la dimensione pittorica, a cui sono già ricorsa in precedenza, si potrebbe pensare ad
un quadro di Picasso in particolare: Dora Maar seduta,17 dove l’elemento dominante è il
volto diviso in due parti. Ci è mostrato il profilo separato e rivolto contro l'altra metà
del volto. Il fatto insolito consiste nel fatto che è l'occhio del profilo a guardare, non
verso l’esterno, ma chiaramente verso l'altro occhio che invece guarda in avanti. E
poiché l'occhio è lo specchio dell'anima, cioè della nostra coscienza, l'occhio che guarda
nell'occhio è il simbolo fisico per la coscienza che guarda nella coscienza, ovvero per
l'autocoscienza. Essa è l'acquisizione di sé, è il «divenire quello che si è.»
L’interesse di Soriano per i meccanismi del comico gli deriva probabilmente dalle
letture di psicologia e pedagogia che hanno segnato gli anni della sua formazione
affianco allo psicologo e pedagogista Jean Piaget, oltre che di una temperie culturale
che favorisce l’intrecciarsi fra piano psicologico, biologico, sociologico e filosofico.
Sembra così recuperare le teorie di Freud18 ma anche quelle di Bergson, che si uniscono
nell’idea per cui la logica del comico è in questo modo prossima alla logica della follia
e al sogno. Il filosofo francese scrive infatti:
[…] l’assurdità comica è della stessa natura di quella dei sogni. Se la logica del comico
è la logica dei sogni, si possono trovare nella logica del risibile tutte le particolarità della
logica del sogno.19
L’assurdità che si trova nei sogni è risibile in ragione del rilassamento del tono vita,
della perdita di quella tensione verso l’azione tipica della vita vigile. La dis-tensione
onirica fa ridere come la dis-trazione del personaggio comico. Nota Freud:
Il ricorso nel sogno al controsenso e all’assurdità gli è costato il riconoscimento della
sua dignità di prodotto psichico e ha indotto gli studiosi a supporre una disgregazione
16
III, 11, p. 291
17
Olio su tela, Parigi, Musée Picasso, 1937
18
Si veda Freud, S. Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, Torino, Bollati Boringhieri, 2002.
19
Bergson, H. Le Rire. Essai sur la signification du comique, 1900, tr. it. Il Riso. Saggio sul significato del comico,
Laterza, Roma-Bari 1993, p. 120
9
delle attività mentali, una sospensione della critica, della morale e della logica come
condizioni per la formazione dei sogni […]. È quanto mai improbabile che una
coincidenza così ampia come quella che c’è fra i mezzi del lavoro arguto e quelli del
lavoro onirico sia dovuta al caso.20
Soriano, consapevole della corrispondenza fra comico e sogno, nello scrivere la sua
pièce, attinge alle forme comiche del teatro di Molière rielaborandolo in questa chiave
particolare: prenderlo come modello non significa creare dei tipi – i personaggi del
drammaturgo seicentesco sono comici poiché modellano il mondo secondo lo schema
della loro idea fissa, non adattandosi così alla flessibilità intellettuale richieste dalla
realtà e dalla vita sociale – bensì rappresentare in un individuo tutte le generazioni che
lo hanno formato, significa dar loro una voce che sia il condensato di tutte le voci della
Storia, significa riassumere in una parola la tradizione di un popolo. Solo così si
mantiene misteriosa e pura la presenza della vita, la cui essenza è di fatto animata da
forze antitetiche.
Ecco dunque che i ruoli ne l’Olmèque sono sovvertiti, l’ordine delle cose, nonché se
stessi, sono continuamente messi in discussione. Lo stesso Guillaume, da un lato,
dubita dell’affidabilità che gli uomini conferiscono alla res extensa, crede nel cogito
ergo sum, e sulla via del razionalismo esasperato, nella certezza evidente del «deux et
deux sont quatre, quatre et quatre sont huit.» 21 Dall’altro però, non ci pensa due volte a
tornare sui suoi passi al suono di «quel est l’imbécile qui a prétendu que la substance
pensante est plus légère que la substance étendue?» 22 Privo delle giustificazioni della
religione,23cui ha sostituito il calcolo, non crede nemmeno all’evidenza di ciò che
sfugge al controllo della razionalità, relegando anche la certezza dell’esperienza
empirica nell’ambito delle fantasie superstiziose. Dalla matematica probabilmente non
si ricava una morale, eppure anche quella desunta dai luoghi comuni è palesemente
infondata.
20
Ibidem, p. 113.
21
Questa battuta, presente nel II quadro è un chiaro omaggio a Molière, in quanto è una citazione dal Dom Juan, III, 1,
cfr. Dom Juan ou le festin de Pierre, préface Jean Jacques Gautier, commentaires et notes de Jacques Morel, Paris,
Librairie générale française, 1985.
22
I, 2, p. 69.
23
Guillaume sembra incarnare anche il prototipo del libero pensatore seicentesco. Per la fiducia nel valore scienza,
nell’autonomia della ragione e del potere critico di questa, i libertini si inquadrano bene nell’età cartesiana, seppur per
certi altri temi precorrono atteggiamenti tipicamente illuministi. Tuttavia però, nel confronto con il cartesianesimo, il
distacco dalle tradizioni è molto più ampio per i libertini, giacché si estende alla morale, alle istituzioni ed alle credenze
religiose, considerate al pari delle superstizioni. E proprio questo aspetto è particolarmente evidente nella pièce, tanto
che Perrault chiederà al suo scudiero: « Serais-tu devenu libertin? » I, 2, p.34.
10
Pur riprendendo il gioco metaforico ed anamorfico che fu di Molière, presente ad
esempio nel citato Dom Juan – pièce in cui il tono tragico è dato proprio dall’incapacità
del protagonista di comprendere che la razionalità è soltanto una delle molteplici
prospettive possibili, e dall’inevitabilità della sconfitta dell’unico strumento conoscitivo
dell’età moderna – Soriano compie un notevole passo in avanti. Ha una maggiore
consapevolezza della fragilità del soggetto cosciente cartesiano, della totalità
dell’esperienza umana basata non solo sull’aspetto logico-razionale e perciò mette in
scena l’altra faccia della medaglia, ovvero l’irrazionale.
Emblema di questo salto è anzitutto Charles Perrault, un « homme de bon sens, de
religion et de progrès »,24 sempre in bilico fra il personaggio e la persona.
L’essenza di cui si fa portavoce è veicolata, nella pièce, attraverso il ricorso a due
ambiti specifici: la religione e la lingua francese. Da un lato si trova la convinzione della
superiorità della religione cattolica rispetto al paganesimo:
[…]c’est justement que c’est un tout un que la religion catholique – celle de Modernes –
est supérieure à celle des anciens Romains qui croyaient à une grande quantité de
dieux;25
chi oltraggia questo principio va censurato, infatti l’abate di Choisy26 non tarda a farlo
nel corso della pièce, quando si rivolge a Perrault in questi termini :
[…] une des règles de notre Sainte Eglise, c’est la prudence: éviter avec soin tout ce qui
pourrait inciter le bas peuple à travestir, à railler, donc à mettre en doute la parole de
Dieu. 27
Dall’altro la promozione della lingua francese come strumento della politica di
unificazione nazionale :
24
I, 3, p. 129.
25
I, 2, p. 49.
26
L’abate di Choisy, fu un letterato, membro dell’Accademia di Francia, religioso, ma soprattutto una persona sopra le
righe. In questo caso il personaggio prevale sulla persona, in quanto tradisce il prototipo d’uomo tipico di quel
movimento denominato libertinage érudit, di cui realmente fece parte. Utilizzato già nel Cinquecento per indicare in
senso spregiativo gli appartenenti a determinati gruppi religiosi, il termine libertino nel Seicento acquista una
connotazione molto più precisa ,in senso culturale e strettamente filosofico. Professano l’ateismo, e più in generale una
miscredenza nei confronti di ogni superstizione, la piena autonomia rispetto ai dettami della religione. Questo episodio
potrebbe essere letto come ulteriore capovolgimento del reale in favore del fittizio.
27
II, 6, p. 189.
11
le français vient du latin, mais à présent c’est une langue indépendante et qui doit le
devenir de plus en plus. 28
Questa concezione della sfera religiosa e linguistica è fondamentale per capire meglio
l’idea di progresso sostenuta dai ̒moderni̕ 29: un progresso della civiltà che arriva al
presente, che vive con l’entusiasmo del presente, che nutre una fiducia cieca nella
compiuta razionalità che si realizza nel connubio fra religione e monarchia, nello
sviluppo attento del metodo. Per fare un esempio, potremmo citare uno dei tanti
espedienti disseminati nel testo come quello per cui Perrault, parlando con Guillaume,
lo informa che era stato inventato da poco uno strumento per la lavorazione a
macchina delle calze. Se un tempo se ne riuscivano a produrre tre paia al giorno, con
l’avvento della tecnica si arriva a lavorarne trecento nello stesso tempo. Un’evoluzione
proficua certo, ma siamo davvero sicuri che non abbia nessun risvolto negativo? A
minare le certezze, apparentemente granitiche, Soriano insinua nel personaggio di
Perrault il dubbio, che smonta il sistema :
Mon Dieu ! Et si la question… oui, si la question n’avait aucun sens ? (la tête entre ses
mains, dans un murmure) Et si j’avais consacré tant d’années de ma vie à une question
sans le moindre intérêt au lieu de … 30.
Nell’incondizionato elogio del suo tempo, Perrault mette fine all’idealità umanistica per
costruire nel presente l’età dell’oro. Il suo paradiso terreno è la Francia di Luigi XIV,
che per i ̒moderni̕ ricopre, sempre più, la funzione che la Grecia classica ricopriva per
gli 'antichi'. La cultura degli umanisti è del resto di grande utilità per la costruzione del
regime monarchico, in quanto unanimemente condivisa dagli uomini colti dell’epoca, e
quindi la sola in grado di fornire un fondamento unitario allo Stato monarchico che si
vuole assoluto in ogni campo.
28
I, 3, p. 121.
29
A fare eco alla voce di Perrault è, in questo caso, il personaggio di Tournefort. Sebbene la sua presenza sulla
scena sia estremamente limitata, sappiamo che « il est un peu fêlé, avec un air égaré et que ses recherches le mèneront
un jour ou l’autre à quelque grande découverte » ma anche che «il est à la recherche d’une poudre qui sera capable
d’anéantir d’un seul coup une armé.», I, 3, p. 27 e p. 58 È evidente il riferimento all’ideazione della bomba atomica,
esperimento che viene esaltato in quanto puro test scientifico, prodotto concreto della conoscienza razionale e dunque
cieco, privo di finalità. Con Bacone e Cartesio, nel XVII secolo, si sviluppa l’idea di una scienza che prescinde
dall’etica, differenziandosi così da quella dei pensatori greci, i quali avevano fondato la loro morale sulla conoscenza
del Bene. Ecco dunque che quello di Tournefort è un personaggio complementare a quello di Perrault, il quale per
legittimare la teoria della superiorità dei 'moderni', trae conforto dalla constatazione di certi espedienti della tecnica che
furono sconosciuti al mondo degli 'antichi'.
30
I, 2, p. 49.