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INTRODUZIONE
I monti dell’Appennino umbro-marchigiano sono costituiti da rocce sedimentarie
per lo più calcaree di origine marina; le più antiche risalgono a 200 milioni di
anni fa e i movimenti tettonici insieme alle erosioni dovute da agenti atmosferici
e antropici ne hanno messo in luce numerose sezioni costituite da successioni
stratigrafiche ricche di fossili invertebrati risalenti al Giurassico-Cretaceo.
Fra di essi, gli ammoniti sono particolarmente diffusi e per la loro evoluzione
rapida rappresentano i fossili guida per eccellenza del Giurassico (durato circa
54,1 milioni di anni). Innumerevoli generi e specie si susseguono per tutta la
successione, anche se vi è una consistente lacuna di circa 12-15 milioni di anni,
dal Bajociano superiore (169,5-168 Ma) al Kimmeridgiano inferiore (156,5-154
Ma).
Nell’Appennino umbro-marchigiano gli ammoniti maggiormente presenti e che
quindi si possono trovare con più probabilità, sono quelli del Giurassico
inferiore o Lias, un periodo durato 25 milioni di anni costituito dai piani:
Hettangiano (205,7-200 Ma), Sinemuriano (200-191 Ma), Pliensbachiano
inferiore (191-187 Ma), Pliensbachiano superiore (187-184 Ma) e Toarciano
(184-175 Ma).
Questi ammoniti si possono classificare in tre sottordini, che sebbene molto
comodi sono però ormai superati: Phylloceratina (noti dal Triassico),
Lytoceratina (noti dall’Hettangiano) e soprattutto Ammonitina, i fossili guida più
significativi; questi ultimi si distinguono nelle superfamiglie degli:
Psiloceratoidea (evoluti lisci o costati non carenati, noti nell’Hettangiano),
Eoderoceratoidea (evoluti costati spinosi non carenati, noti in tutto il Lias
escluso l’Hettangiano), Hildoceratoidea (carenati evoluti o involuti con coste
flessuose, noti dal Pliensbachiano inferiore ai primi due piani del Giurassico
Medio, Aaleniano e Bajociano), Arietitoidea (carenati costati evoluti o involuti,
noti nell’Hettangiano, Sinemuriano e parte bassa del Pliensbachiano inferiore e
Hammatoceratoidea (evoluti-involuti costati carenati e non, noti nel Toarciano-
Aaleniano).
(Per i significati delle terminologie quali evoluto, involuto, costato e carenato, si rimanda alla
parte sistematica, più avanti).
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LETTERATURA
La classificazione degli ammoniti deve essere fatta considerando gli aspetti
biostratigrafici, evolutivi e paleoambientali, aspetti che nelle molte opere
(trattanti le forme appenniniche) di fine ‘800 e dei primi decenni del ‘900 (scritte
da Autori quali Principi, Merla, Ramaccioni,…) sono stati trascurati, perché tali
lavori erano specialistici e incentrati sulla sistematica.
Negli anni ’50, con la scomparsa di molti ammonitologi italiani, è mancato il
ricambio con la sola eccezione di Venzo, attivo nel nord Italia prima e dopo la
seconda guerra mondiale.
Intanto però non c’era nessuno che lavorasse nell’Appennino umbro-
marchigiano e la prima biostratigrafia toarciana di Valdorbia venne eseguita
dall’inglese Donovan nel 1958.
Tra gli anni ’60 e ’70 Venzo, che aveva pubblicato un lavoro preliminare nel
1952, incaricò Pinna, Zanzucchi e Pelosio di studiare la fauna del Rosso
Ammonitico toarciano dell’Alpe Turati e di Entratico, nel quale gli autori dettero
anche qualche riferimento biostratigrafico; tali articoli risalgono agli anni 1963-
68.
Poco prima era uscita una nota di Vialli (1959) sugli ammoniti sinemuriani del
Monte Albenza (Bergamasco) anch’esso con riferimenti biostratigrafici.
Negli anni ‘70 Cantaluppi e altri si interessarono principalmente degli ammoniti
medio-liassici del Bresciano, pubblicando vari articoli di carattere
biostratigrafico ed evolutivo.
Per tutto questo lungo periodo nessun ammonitologo ha realizzato una sintesi
delle conoscenze italiane sul Lias e più in generale sul Giurassico, con criterio
moderno, mentre all’estero si è lavorato di più e con principio stratigrafico.
Solamente F. Venturi ha trattato l’argomento in modo esaustivo e completo con
varie dispense (1982-85) rielaborate e aggiornate (con l’aiuto di R. Ferri) nella
terza ed ultima edizione degli “Ammoniti Liassici dell’Appennino Centrale”
(2001).
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I PROCESSI SEDIMENTARI E OROGENETICI
DELL’APPENNINO UMBRO-MARCHIGIANO
Le rocce sedimentarie calcaree dell’Appennino umbro-marchigiano sono il
risultato dell’accumulo e deposizione di fanghi, detriti e resti di organismi, quali
Molluschi, Brachiopodi, Echinodermi, alghe, organismi biocostruttori (Cnidari,
ecc…) e anche organismi planctonici, avvenuti nel corso di milioni di anni.
Gli elementi organici sono di gran lunga superiori, come quantità, rispetto a
quelli inorganici prodotti per precipitazione chimica diretta, ma tutti questi
depositi incoerenti, a prescindere dalla loro origine, subiscono una serie di
processi fisico-chimici (la diagenesi) che gradualmente, durante i lunghi tempi
geologici, li trasformano in rocce stratificate contenenti al loro interno
l’impronta, la traccia, la forma e i resti dell’organismo vissuto nel passato; è in
questo modo che si forma il fossile.
I processi sedimentari avvengono, per loro natura, in modo ordinato, riflettendo,
in ordine di tempo, i principali eventi geodinamici, climatici, oceanografici e
biologici verificatisi sulla Terra; in questo modo, in qualsiasi successione
sedimentaria, gli strati rocciosi più recenti sono in alto e quelli più antichi sono
in basso (a meno che non ci si trovi in presenza di una serie rovesciata da cause
tettoniche).
La storia sedimentaria dell’Appennino umbro-marchigiano ha inizio nel Carnico
(inizio del Triassico superiore) quando l’area fu invasa dal mare e si instaurarono
condizioni ideali per la deposizione di sedimenti continentali, costieri e marini di
acqua bassa, sul basamento paleozoico formato dalla crosta continentale di una
microplacca denominata Adria (probabilmente disarticolatasi dalla grande zolla
africana a causa del frazionamento del Pangea).
Nel Norico gran parte dell’Appennino centro-settentrionale era un vasto bacino
evaporitico di acque basse; dalla fine del Trias (Retico), le variazioni climatiche
furono la causa della sedimentazione di quella che oggi viene chiamata
formazione, o meglio, unità litostratigrafia, del Monte Cetona, caratterizzata da
strati calcarei e argillosi, depositatisi in condizioni di acque basse.
Nel Lias inferiore (Hettangiano) si sviluppò, su tutta l’area, una vasta
piattaforma carbonatica, oggi testimoniata dalla presenza del Calcare Massiccio.
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Nel Sinemuriano-Pliensbachiano inferiore, intervallo in cui il rinvenimento degli
ammoniti è diffuso e abbastanza frequente, si verificò l’annegamento della
piattaforma carbonatica per cause ancora poco chiare; fra le varie ipotesi vi è
quella di una marcata azione tettonica distensiva (forse connessa con l’apertura
della Tetide occidentale), unita a fenomeni di subsidenza differenziata (collegata
all’effetto della costipazione dei sottostanti sedimenti evaporitici), a variazioni
nel regime delle correnti marine (apertura dell’oceano Ligure-Piemontese) e a
ripetute fasi di emersione.
Tutto ciò portò alla formazione di un bacino estremamente articolato,
caratterizzato da blocchi variamente rialzati e inclinati; tale disarticolazione del
fondo marino è oggi evidenziata dalla notevole variazione di spessore delle serie
pelagiche complete rispetto a quelle lacunose e condensate delle parti più
rialzate.
Le prime si depositarono nelle zone ribassate, dove la velocità di subsidenza era
medio-alta e piuttosto costante; nel complesso sono caratterizzate da potenti
successioni calcaree, marnose e argillose, depositatesi durante tutto il Giurassico.
Figura 1: Sezione appenninica dell’allineamento montuoso Petrano-Tenetra-Catria, che mostra quanto possono
essere diverse nell’Appennino le sequenze giurassiche. In questo caso, quella del M.Petrano è di tipo
bacinale, con la presenza di sedimenti anche silicei (Diaspri), mentre quella del M.Acuto è ridotta di
spessore e interamente calcarea.
(da Venturi & Ferri, 2001, con modifiche).
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Le seconde si formarono sugli alti strutturali dove il limitato spessore di acqua
non consentiva l’accumulo di grandi quantità di sedimento, spesso spazzato via
dalle correnti sottomarine: qui la deposizione delle successioni calcaree è
generalmente ridotta e spesso lacunosa.
In questa situazione la documentazione ad ammoniti del Dogger e del Malm è
presente solo (o quasi) nelle successioni di alto strutturale, generalmente
calcaree, mentre il Lias è meglio documentato nelle serie bacinali con numerosi
e ben definiti orizzonti fossiliferi.
Tali condizioni rimasero più o meno costanti fino all’inizio del Cretaceo, quando
iniziò la deposizione della Maiolica, che determinò il conseguente
“livellamento” del fondale marino.
L’emersione dell’Appennino è avvenuta per effetto di due fasi orogeniche
distinte, la prima dovuta all’apertura del Bacino Balearico (Oligocene-Miocene
inferiore), la seconda dovuta all’apertura del Bacino Tirrenico (Miocene medio-
Attuale) che hanno agito come una forza applicata da N-W a S-E sulle rocce del
fondale marino.
È per questo che l’attuale assetto tettonico dell’Appennino è caratterizzato da
una serie di pieghe parallele, disposte con andamento pressoché meridiano, in
cui si nota una notevole corrispondenza tra cime allineate (anticlinali) e corsi
d’acqua che percorrono le zone ribassate e concave (sinclinali) impostati
generalmente su fratture tettoniche.
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AMMONITI INDICATORI DI TEMPO
Lo studio e confronto fra successioni sedimentarie coeve di territori limitrofi,
permette di impostare la ricostruzione della geografia del passato
(paleopaesaggio), mentre gli ammoniti (o anche altri fossili guida) ne
permettono la datazione.
In generale il fossile guida deve avere durata brevissima nel tempo e grande
estensione geografica, ma è molto difficile dare una valutazione quantitativa di
questo principio; infatti molte specie si succedono nel tempo e spesso non sono
ben chiari i limiti morfologici fra una specie e l’altra.
Tuttavia la datazione relativa per mezzo degli ammoniti è, per tutto il Giurassico,
molto dettagliata e conseguentemente assai più precisa di quella impropriamente
definita “assoluta” basata sullo studio degli isotopi radioattivi contenuti in alcuni
minerali.
Ogni ammonite guida trovato all’interno degli strati è come un orologio che si è
fermato nel momento in cui si è deposta la roccia: la durata media di una specie
di ammonite guida è di circa 700.000 anni, e per rocce che hanno 150-200
milioni di anni si tratta di un dettaglio rilevante.
Fino ad ora, nel mondo è stato riconosciuto per il Giurassico il succedersi di 63
zone (intervalli di tempo) ad ammoniti, rappresentate da specie e associazioni
fossilifere riconoscibili diffusamente; in questa situazione è ipotizzabile un
errore mai superiore all’1% in più o in meno, mentre in una datazione
radiometrica (generalmente applicabile a rocce vulcaniche e solo raramente a
rocce sedimentarie) si ha un errore che si aggira intorno al 10%, dovuto
all’imprevedibilità delle variabili in gioco.
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UNITA’ BIOSTRATIGRAFICHE E PIANI
L’unità biostratigrafica fondamentale è la zona, che prende il nome da un fossile
particolarmente significativo (specie indice).
L’unità cronostratigrafica fondamentale è invece il piano costituito da un pacco
di strati deposti in un certo intervallo di tempo.
In teoria dovrebbe essere riconoscibile in tutto il mondo, ma in realtà non è così
a causa della variazione paleobiogeografica dei fossili guida e per l’assenza di
precisi strumenti di datazione “assoluta”.
Figura 2: Relazione tra unità litostratigrafiche e cronostratigrafiche nelle serie complete dell’Appennino
umbro-marchigiano, con particolare riferimento all’area compresa tra i massicci del M.Nerone
e del M.Catria. (da Venturi & Ferri, 2001, con modifiche).