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La tesi si apre con un capitolo dedicato alla trasmissione del patrimonio culturale tra le
generazioni, in cui vengono trattati in maniera particolare il tema della cultura, della
socializzazione e della trasmissione intergenerazionale.
Il secondo capitolo è invece maggiormente orientato sulla coppia mista, ed in particolare al
fenomeno migratorio che ha portato alla sua origine, al tema delle differenze e delle strategie
di negoziazione.
Nell'ultimo capitolo, infine, è stato analizzato il materiale raccolto dai membri del gruppo
di ricerca di cui ho fatto parte. In quest‟ultima parte della tesi, si cerca di ripercorrere le tappe
della trasmissione culturale, la quale parte dalla famiglia di origine, arriva al singolo
individuo e si sviluppa lungo un asse orizzontale attraverso il confronto tra individui
appartenenti ad una stessa generazione, ma non alla stessa cultura.
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1. La trasmissione intergenerazionale della cultura nella famiglia
1.1. La cultura e le sue funzioni
Si è ritenuto necessario chiarire all‟inizio di questo lavoro le caratteristiche e le funzioni
della cultura, dal momento che oggetto di interesse di questo è proprio la cultura stessa, il
modo in cui essa viene trasmessa dalla famiglia, le differenze esistenti tra soggetti provenienti
da contesti distanti culturalmente e il modo in cui tali diversità vengono mediate all‟interno
della coppia mista. In tutti questi argomenti il concetto di cultura è sempre presente, quindi,
sembra del tutto giustificato iniziare il lavoro esplicitando il suo significato.
1.1.1. Il significato della cultura in ambito sociologico
Il termine cultura deriva dal latino colere, ossia “lavorare la terra, coltivare”. Il concetto di
cultura si presenta nelle scienze sociali con il sorgere dell'antropologia nel diciannovesimo
secolo, iniziando a svilupparsi con l‟evoluzionismo della cultura europea e il positivismo. Il
primo tentativo di elaborare una definizione scientifica di cultura è relativamente recente in
quanto fu l‟etnologo americano Tylor nel 1871 a definire la cultura il «complesso di elementi
che comprende conoscenze, credenze, arte, morale, leggi, usi e ogni altra capacità e usanza
acquisite dall‟uomo in quanto membro di una società» (Tylor 1871 trad.it. 2000, 21).
Da quanto espresso da Tylor si evince innanzitutto che la cultura è parte costitutiva della
nostra esistenza in quanto deposito di saperi, i quali allo stesso tempo sono appartenenti ad un
determinato popolo e all‟eredità sociale che ogni soggetto, facente parte di quel gruppo, fa
propria. Il concetto di cultura espresso dall‟etnologo risultò però vago, in quanto esso
comprendeva sia prodotti “immateriali” dell‟uomo, cioè quelli frutto della sua mente, sia
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prodotti materiali. Fu poi Weber1 a notare che, mentre la cultura immateriale è incomunicabile
e relativa allo spazio e al tempo, la cultura materiale può essere trasmessa da una società
all‟altra (Crespi 1996).
Le definizioni date al concetto di cultura sono eterogenee a causa della multidimensionalità
del concetto stesso e cioè delle varie interpretazioni che se ne possono dare in base alla
dimensione esaminata. Ciò che però risulta indiscutibile è il fatto che la cultura sia un
prodotto storico, il risultato dell'incontro tra società e tradizioni differenti tra loro, lontane
nello spazio e nel tempo (Cesareo 1998). Tale affermazione appare ai fini di questo lavoro
molto interessante, in quanto ci permette di ipotizzare che da sempre individui provenienti da
terre tra loro lontane hanno dato la possibilità alla cultura di svilupparsi, un processo che
similmente ritroviamo all‟interno delle coppie miste, oggetto di nostro interesse, in cui culture
di origini diverse creano una mixité culturale.
Altra caratteristica associabile al concetto di cultura è la sua continua elaborazione, che le
permette di definirsi un prodotto cumulato, dal momento che ogni individuo conserva in sé un
certo quantitativo di essa, maggiore di quello che poi produce nella vita (Ivi).
Come accennato in precedenza, la cultura è un concetto multidimensionale, ma al suo
interno possiamo individuare due principali dimensioni: «la dimensione descrittiva e
cognitiva della cultura: le credenze e le rappresentazioni sociali della realtà naturale e sociale,
ovvero le immagini del mondo e della vita, che contribuiscono a spiegare e definire le identità
individuali, le unità sociali, i fenomeni naturali; dall‟altro la dimensione prescrittiva della
cultura, in quanto insieme di valori, che indicano le mete ideali da perseguire, e di norme
(modelli di agire, definizione dei ruoli, regole, principi morali, leggi giuridiche, ecc.) che
indicano il modo in cui gli individui e le collettività devono comportarsi» (Crespi 1996, 4).
Se quindi da un lato la cultura permette di superare i limiti imposti dalla natura, dal
momento che fornisce efficacia all‟azione dell‟uomo, dall‟altro lato la sua dimensione
prescrittiva si presenta come fattore di controllo e regolazione dell'azione stessa. Le due
dimensioni restano comunque sempre strettamente legate tra loro e trovano legittimità proprio
nella loro dipendenza: la dimensione prescrittiva ha senso all‟interno di rappresentazioni e
credenze, mentre la dimensione descrittiva e cognitiva acquista valore dai processi di
costruzione della realtà che sono influenzati dagli elementi normativi (Ivi).
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Citato in Crespi F. 1999 Manuale di sociologia della cultura, Bari, Editori Laterza, pp. 8.
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1.1.2. Gli elementi costitutivi della cultura: simboli, concetti, valori, norme
La cultura, dunque, si presenta come un fenomeno complesso che per essere compreso ha
bisogno di essere esplicitato nella maniera più chiara possibile. Essa, infatti, si compone di
quattro principali elementi, quali i simboli, i concetti, i valori e le norme, i quali ci permettono
di conoscere cosa ogni società o famiglia, consapevolmente e inconsapevolmente, tende a
trasmettere alle nuove generazioni, le quali hanno bisogno di apprendere e fare proprio un
determinato patrimonio culturale.
Le componenti a cui si è appena fatto riferimento, infatti, si formano all‟interno dei
contesti di interazione sociale, nella relazione con gli altri, assumendo in tal modo un carattere
intersoggettivo.
a) I simboli
Gli stimoli a cui i soggetti hanno la capacità di rispondere in maniera relativamente
autonoma2 possono giungere sia dall‟interno dell' individuo (esempio: lo stimolo della fame)
sia dall‟esterno. In entrambi i casi, il soggetto elabora gli stimoli attraverso un sistema
simbolico, costituito da segni e simboli3, per il mezzo del quale ogni individuo ha la
possibilità di rendere intellegibile la realtà e di creare una realtà diversa (Cesareo 1998).
Facendo riferimento ai simboli, risulta necessario distinguere questi dai segnali, dai marchi
e dalle indicazioni. I segnali hanno, al contrario dei simboli, un valore puramente informativo,
hanno una funzione pragmatica e sono interpretabili in un'unica maniera. I marchi, invece,
hanno un carattere soggettivo e arbitrario, e una funzione rievocativa. Le indicazioni, che
similmente ai marchi non hanno carattere intersoggettivo, si distinguono anch‟essi dai
simboli. Infatti, al contrario dei marchi e delle indicazioni, i simboli sono condivisi dallo
stesso gruppo sociale e hanno luogo all‟interno della cultura tacita, implicita4. I simboli,
quindi, possiedono un forte carattere intersoggettivo, in quanto sono condivisi da un gruppo
sociale (Sciolla 2002).
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Si parla di relatività dal momento che il soggetto dovrà dare prima o poi una risposta agli stimoli ricevuti.
3
“Il segno rimanda a qualcosa di concreto e comunque limitato percettivamente e concettualmente, il simbolo
rinvia a entità complesse di significato, non direttamente legate all‟oggetto concreto che rappresentano” (D. V.
Cesareo 1998, 27)
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“vi è cultura tacita, non detta, che fa riferimento a quei giudizi che i membri di un gruppo sociale esprimono in
maniera regolare, ma che non sono sempre in grado di argomentare o di esplicitarne i criteri sottesi” (Sciolla
2002, 63)
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I simboli, in tal senso, permettono l‟istaurarsi di uno stretto rapporto tra significante e
significato quando l'oggetto che rappresenta un altro oggetto è legato ad esso da rapporti di
somiglianza, da qualcosa di profondo, che può essere anche assai vago e indeterminato e può
richiamare valori radicati, non immediatamente manifesti nel linguaggio comune.
La produzione di simboli è un'attività fondamentale in ogni tipo di società umana e
costituisce una delle basi essenziali dello sviluppo della conoscenza, che prende le mosse
proprio dal tentativo di trovare rapporti e associazioni tra le cose, di individuare somiglianze
tra le realtà più lontane (Smelser 2007).
Possiamo dunque definire la rappresentazione simbolica come il mezzo di connessione tra
linguaggio e cultura. Attraverso la rappresentazione, infatti, si crea un‟unione tra concetti e
linguaggio all‟interno della mente di ognuno di noi, così da essere in grado di creare dei
continui riferimenti verso il mondo “reale” che coinvolge oggetti, persone ed eventi.
b) I concetti
I concetti sono principalmente contenuti nel linguaggio e rappresentano la maniera
attraverso la quale i membri di un gruppo organizzano la loro esperienza. A differenza delle
norme che definiscono quello che la realtà deve essere e quindi ciò che ogni individuo deve
fare, i concetti stabiliscono che cos‟ è la realtà. Se, come detto, le norme e le credenze hanno
nella realtà funzioni diverse, non per questo esse sono facilmente distinguibili, dal momento
che a volte possono essere tra loro correlate (Sciolla 2002; Cesareo 1998).
I concetti sono proposizioni descrittive della realtà, che i soggetti utilizzano per
organizzare cognitivamente la realtà. Esistono concetti il cui significato è univoco e concetti
che si prestano invece a molte interpretazioni differenti e il cui significato è vago e piuttosto
indeterminato (Ivi).
Le culture, infatti, non interpretano il mondo solo attraverso i concetti, ma fanno
riferimento anche alle credenze, che possono essere distinte, come ha fatto Sperber (1984), in
due tipi, cioè quelle fattuali e quelle rappresentazionali: «le credenze fattuali sono
semplicemente cose che si sanno, mentre le credenze rappresentazionali corrispondono a ciò
che nella lingua comune chiamiamo credenze, opinioni o convinzioni. Le credenze sono
sempre rappresentazioni mentali, ma nel caso di una credenza fattuale, il soggetto ha solo la
coscienza di un fatto (o di ciò che egli prende per un fatto), mentre, nel caso di una credenza
rappresentazionale, il soggetto è cosciente di accettare una certa rappresentazione» (Sperber
1984, 76-77).
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Mentre quindi le prime sono definibili come proposizionali in quanto il loro significato è
interpretabile in una sola maniera e pertanto non possono essere contraddette, alle seconde
sono attribuibili significati diversi e per questo sono definite semiproposizionali (Sciolla
2002).
c) I valori
Nell‟uso linguistico comune il concetto di valore ha due valenze diverse. Il primo
significato è usato per indicare qualsiasi cosa che ha una certa importanza per l‟uomo e che
può essere materiale o immateriale. Nel secondo uso del termine, il valore simboleggia la
motivazione e l‟orientamento dell'agire sociale poichè segnala ciò che, in precise circostanze,
è idealmente giusto da raggiungere per una società (Cesareo 1998).
Molto vicina a questa seconda definizione comune, è quella delle scienze sociali per le
quali il valore è un criterio simbolico, comune a una collettività, e quindi un riferimento
normativo per la morale di una società, da cui questa si lascia guidare dal momento che
rappresenta, di conseguenza, la meta ideale a cui essa aspira. In questo senso i valori si
distinguono dalle preferenze perché indicano ciò che è desiderabile e non ciò che è desiderato,
comportano cioè una dimensione normativa (Sciolla 2002).
Secondo la definizione elaborata dall‟antropologo Kluckhohn (1951): «un valore è una
concezione del desiderabile, esplicita o implicita, distintivo di un individuo o caratteristica di
un gruppo, che influenza l‟azione con la selezione fra modi, mezzi e fini disponibili» (Sciolla
2002, 64). Da tale definizione è possibile individuare tre dimensioni dei valori:
1) Dimensione affettiva, cioè ciò che è desiderabile per l‟uomo. Gli uomini sono legati a
livello affettivo e a livello di sentimenti ai valori, perché questo è ritenuto positivo al fine di
provocare in chi se ne allontana stati di pentimento, al di là di ciò che se ne possa ricavare.
2) Dimensione cognitiva, cioè la concezione che i valori danno della realtà. I valori, infatti,
si presentano all‟uomo sotto le sembianze di enunciati (es. “X è legittimo”) che possono
essere messi sotto analisi dalla ragione.
3) Dimensione selettiva, cioè la possibilità data dai valori all‟uomo di scegliere tra diverse
possibili azioni. I valori, infatti, hanno la funzione di orientare l‟agire sociale (Sciolla 2002).
I valori, inoltre, variano storicamente e geograficamente, perché sono strettamente
interconnessi alla realtà sociale. È stato anche dimostrato che tra culture diverse esistono
problemi comuni a cui equivalgono soluzioni possibili di numero finito (Smelser 2007).