Come succede nel caso di qualsiasi altra merce, si cerca di
trasmettere dei contenuti il più possibile graditi al pubblico. Un
principio, questo, che col tempo si estende a tutti i generi televisivi,
compresa l’informazione. Si comincia quindi, negli anni Novanta, a
parlare di “spettacolarizzazione” dell’informazione, e si assiste alla
nascita di nuovi generi meticci come l’infotainment, prodotto
dall’intersezione tra informazione e intrattenimento.
L’informazione intesa come macrogenere televisivo risente sempre
più delle influenze del mercato e delle leggi che lo governano. Le
trasmissioni che si occupano esclusivamente di informazione, come le
inchieste, i documentari TV o i rotocalchi, sono sempre meno frequenti
nei palinsesti televisivi, pieni di talk show perennemente alla ricerca
del conflitto verbale e di rotocalchi orientati principalmente alla
cronaca rosa. Il telegiornale, nonostante la sua evoluzione verso una
esposizione delle notizie più dinamica, flessibile e coinvolgente,
sembra essere l’unico genere di informazione non ancora contaminato
dall’entertainment.
Tuttavia, basta fare un po’ di zapping all’ora di cena per rendersi
conto di quale sia, tra tutti, il telegiornale che più si distingue dal
modello attuale. Si tratta, evidentemente, di Studio Aperto, il
telegiornale di Italia 1. Le notizie trasmesse, gli argomenti trattati, i
servizi mandati in onda dal tg diretto da Mario Giordano non si
possono sicuramente definire “convenzionali”.
A questo proposito, un’analisi della struttura di Studio Aperto e
delle sue modalità di presentazione delle notizie può far comprendere
con più precisione come e secondo quali parametri il notiziario di
Italia 1 si differenzi dal resto dei telegiornali italiani. Affinché questa
analisi risulti efficace, però, dovrà tenere conto di alcune osservazioni
e nozioni di base riguardanti i media e il giornalismo in generale.
Nel primo capitolo, quindi, si passeranno in rassegna gli aspetti
teorici che verranno applicati nella successiva analisi del telegiornale.
In primo luogo si cercherà di definire il ruolo che hanno i media e in
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particolare il giornalismo nel processo di ricostruzione della realtà
sociale, facendo riferimento all’ipotesi dell’agenda-setting. In secondo
luogo, ci si concentrerà sul processo di selezione degli eventi da
trasformare in notizia, approfondendone in particolare due aspetti: i
“criteri di notiziabilità” individuati dagli studiosi del newsmaking e il
rapporto con le fonti.
Il secondo capitolo, invece, è dedicato a due fenomeni sviluppatisi
recentemente: l’omologazione dell’informazione, da un lato, e la
crescente influenza che le dinamiche di mercato esercitano sul
giornalismo – partendo dalla nozione di “industria culturale” elaborata
da Horkheimer e Adorno per arrivare all’infotainment –, dall’altro.
Il terzo capitolo riguarderà in particolare il giornalismo televisivo.
In primo luogo si elencheranno le differenze tra notizia televisiva e
notizia stampata, a cominciare dalla quella più importante:
l’immagine. In secondo luogo si ripercorreranno le tappe più
importanti della storia del telegiornale italiano, fino ad arrivare,
appunto, a Studio Aperto.
Nel quarto e ultimo capitolo si procederà con l’analisi del
telegiornale di Italia 1. Per mettere maggiormente in risalto le sue
peculiarità, si opererà un confronto con il Tg5, un altro telegiornale
Mediaset. L’analisi si suddividerà in due parti. La prima riguarderà i
contenuti, ovvero gli argomenti dei servizi mandati in onda dai due
telegiornali. Si cercherà di capire quali sono i temi più trattati e quali
tra questi sono considerati più importanti, tramite l’osservazione
dell’ordine gerarchico secondo cui sono trasmesse le notizie. Nella
seconda parte, invece, verranno esaminate le forme di presentazione
delle notizie: il testo, le immagini, il montaggio e lo stile dei servizi.
Dall’analisi effettuata, infine, si tenterà di interpretare la
collocazione di Studio Aperto nel panorama giornalistico italiano, per
capire se si tratta di un caso eccezionale o se piuttosto il notiziario di
Italia 1 può essere considerato come il primo episodio di un fenomeno
che presto si estenderà a tutto il genere “telegiornale”.
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1. Teorie
1.1 Giornalismo e realtà
I media svolgono un ruolo di costruzione della realtà sociale. Nel
lungo periodo, grazie alla loro azione costante, essi influenzano la
nostra percezione della realtà. Non bisogna pensare, però, a effetti
causati intenzionalmente da chi controlla i media per ottenere scopi
predefiniti. Si tratta piuttosto di distorsioni involontarie, intrinseche ai
messaggi prodotti e trasmessi ogni giorno, che in maniera indiretta e
cumulativa agiscono sulle nostre conoscenze, opinioni, atteggiamenti.
L’importanza dei media in questo processo è evidente in quelle
situazioni, sempre più frequenti, in cui è la realtà che paradossalmente
si adatta alle logiche mediali, e non viceversa. Un esempio di questo
fenomeno è fornito dai cosiddetti media event, eventi organizzati
appositamente per essere trasmessi dai media.
1.1.1 La ricostruzione della realtà operata dal giornalismo
Tra i tanti contenuti e le molteplici funzioni dei mezzi di
comunicazione di massa, l’informazione e il giornalismo sono quelli
che più di tutti dovrebbero rispecchiare la realtà in modo trasparente e
corretto per soddisfare il diritto della popolazione a essere informati.
Infatti, la pretesa del giornalismo “oggettivista” consisterebbe nel dare
spazio alla libertà di opinione, da un lato, ma soprattutto nel costituire
uno specchio fedele della realtà, dall’altro. Molte volte ci si è chiesti
se le cose stiano effettivamente così, e la risposta, osservando la realtà
che ci circonda, sembra essere negativa.
Carlo Sorrentino (2002, p. 9) definisce il giornalismo come “un
prodotto culturale realizzato attraverso una fitta negoziazione che
avviene e si definisce in specifici contesti sociali”. Questa definizione
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si allontana da una visione del giornalismo come semplice resoconto
oggettivo di ciò che accade nel mondo. “Più che rispecchiare la realtà,
il giornalismo costruisce una realtà seconda” (p. 10). Per spiegare
come, diversamente da quanto comunemente si pensi, il giornalismo
non rispecchi la realtà, Sorrentino parte da alcune osservazioni sulla
comunicazione in generale.
Non esiste atto comunicativo in grado di rispecchiare la realtà
perché, per un motivo strettamente tecnico, comunicare qualcosa a
qualcuno è sempre un processo di semplificazione della realtà. Anche
nel giornalismo, nel comunicare le informazioni si opera una selezione
di quanto si ritiene maggiormente significativo tra tutto ciò che
avviene nel mondo.
Riassumendo, in ogni atto comunicativo si ha una negoziazione definita dal
contesto e dagli attori, che serve per definire la situazione comunicativa e
quindi selezionare i contenuti informativi che si vogliono esprimere. Ma poiché
ogni atto comunicativo ha dei vincoli spazio-temporali ineludibili, va definito
anche il formato della comunicazione, da cui deriva un inevitabile processo di
gerarchizzazione e di presentazione del contenuto informativo. In questo modo,
il risultato dell’interazione non sarà mai il rispecchiamento della realtà, ma una
sua ri-costruzione (p. 21).
L’attività di selezione del giornalista appare indispensabile per
ragioni evidenti. “Volete giornali di mille pagine, o telegiornali di tre
ore?”, chiede Claudio Fracassi (1994, p. 31). Se per assurdo i
giornalisti disponessero del tempo e dello spazio necessari per
riportare integralmente tutte le notizie che giungono ogni giorno in
redazione, non basterebbero nemmeno telegiornali di tre ore. “La
realtà è che proprio nella scelta delle fonti cui abbeverarsi nel
processo informativo avviene la prima, decisiva scrematura della
realtà” (p. 38).
Più il mondo diventa complesso più abbiamo bisogno di qualcuno
che metta in ordine la realtà. Le nostre società hanno avvertito la
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necessità di dotarsi di prodotti culturali con il compito di selezionare e
mettere in ordine fatti ed eventi, in modo da permettere agli individui
di conoscere meglio il mondo. Infatti, per orientarsi nella crescente
complessità delle società contemporanee, gli individui devono riporre
fiducia in quelli che Giddens chiama “sistemi esperti”: “sistemi di
realizzazione tecnica o di competenza professionale che organizzano
ampie aree negli ambienti materiali e sociali nei quali viviamo”
(Giddens 1994, cit. in Sorrentino 2002, p. 39). Anche l’attività
giornalistica è da considerarsi un sistema esperto, e la fiducia riposta
in esso dagli individui deriva dalla loro esigenza di essere informati su
ciò di cui non possono avere esperienza diretta.
Non bisogna però ridurre la funzione informativa del giornalismo
solamente alla selezione di singoli fatti da trasmettere a un pubblico.
Come si è detto in precedenza parlando dei media in generale, anche il
giornalismo, con il suo lavoro di selezione, gerarchizzazione e
presentazione degli eventi ritenuti più interessanti, opera una
ricostruzione della realtà. Ciò che è successo è quello di cui parlano i
giornalisti, mentre i fatti che non vengono trasformati in notizia è
come se non esistessero. Come spiegato dalla teoria dell’agenda-
setting, che verrà descritta nel prossimo paragrafo, è come se giornali
e telegiornali stabilissero ciò di cui si può parlare.
Naturalmente, non si intende affermare che tutti i giornali siano
uguali o che trattino esattamente gli stessi argomenti. Inoltre, ciascun
individuo può scegliere quali notizie leggere e quali ignorare,
soprattutto grazie alla diffusione di internet e dei nuovi media, che
hanno reso le scelte informative sempre più individuali e
personalizzate. Tuttavia, questa differenziazione delle possibilità di
scelta non elimina la funzione creatrice della realtà esercitata dal
giornalismo: “si tratterà di diversi spezzoni della realtà più che di
un’unica realtà ma, comunque, questi spezzoni saranno sempre l’unica
realtà di cui si potrà parlare” (Mazzei 2005, p. 21).
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Si tratta, però, di una realtà sempre più semplificata. Come spiega
anche Sorrentino (2002), la mole crescente di informazioni che, grazie
alle nuove tecnologie, giunge quotidianamente nelle redazioni, da un
lato, e l’ampliamento degli spazi informativi, dato dall’evoluzione dei
generi radiofonici e televisivi e dallo sviluppo di internet, dall’altro,
portano a una velocizzazione dell’informazione che favorisce una
maggiore semplificazione nella rappresentazione dei fatti.
La “sfida contro il tempo” affrontata ogni giorno dai giornalisti e il
conseguente obbligo di conferire subito significatività agli eventi
producono pratiche di semplificazione nelle forme di rappresentazione
della realtà. Da un lato, si ricorre alla personalizzazione: porre l’enfasi
sul protagonista di un evento, trattare un tema attraverso il racconto
dell’esperienza individuale. Dall’altro, si prediligono le connotazioni
forti proprie del sensazionalismo. Il processo di selezione delle notizie
ne è fortemente influenzato: “risultano favoriti gli eventi che
comunichino con immediatezza, che siano facilmente comprensibili;
quelli dotati di una connotazione forte e che appaiano maggiormente
esemplificativi” (Sorrentino 2002, p. 151).
Parlare di ricostruzione e di semplificazione della realtà, però, non
significa voler contraddire la tradizionale visione del giornalismo
incentrata sulla sua capacità di riportare oggettivamente i fatti. Infatti,
quando si afferma che il giornalismo ricostruisce la realtà non ci si
riferisce ad una forma di manipolazione. “Non esiste un complotto
dell’informazione, dei giornali, della tv contro la cronaca, o la politica,
o la storia” (Fracassi 1994, p. 42). Si parla, piuttosto, di distorsione:
“un tipo di ‘deformazione’ nei contenuti informativi non addebitabile
a violazioni dell’autonomia professionale, ma piuttosto al modo in cui
è organizzato, istituzionalizzato e svolto il mestiere di giornalista”
(Wolf 1985, p. 183).
Sorrentino (2002, p. 22) distingue tra distorsione intenzionale e
involontaria. Nella prima si fa rientrare la manipolazione, cioè la
distorsione volontaria dei fatti a fini politici o personali. Nella
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