2
l’alterazione di uno di essi può ripercuotersi sugli altri andando ad alterare l’equilibrio
dell’intero sistema3.
Proprio sullo studio di queste interazioni e sulle ricerca delle leggi che disciplinano il
loro equilibrio si basa l’ecologia (dal greco: οίκος, oikos, "casa" o anche "ambiente"; e
λόγος, logos, "discorso" o “studio”).
A differenza delle cosiddette scienze esatte come la fisica o la chimica, la peculiarità
dell’oggetto sul quale si concentra l’indagine del pensiero ecologico, inevitabilmente, ne
influenza l’approccio, che è di tipo olistico, e le conclusioni, che sono meramente
probabili a causa della complessità e onnicomprensività della materia.
Tale presupposto è imprescindibile anche per qualsiasi altro tipo di disciplina, compresa
quella giuridica, che si accosti a questo tipo di problematiche.
Tuttavia proprio l’incertezza intrinseca agli studi che affrontano il tema cozza con uno
dei valori fondamentali del diritto, ovvero la certezza.
Essa rappresenta la base del principio del legittimo affidamento, una delle principali
garanzie offerte dal diritto amministrativo ai consociati nei confronti dell’azione della
pubblica amministrazione.
Proprio il bilanciamento di questi aspetti, per alcuni versi contrastanti, rappresenta una
delle principali sfide che deve affrontare chi produce e chi applica le norme.
Fine ultimo della mia analisi sarà verificare quanto efficacemente questo obbiettivo
viene raggiunto in Italia.
3
F. Livorsi, Il mito della nuova terra. Cultura idee e problemi dell’ambientalismo, Milano, Giuffré, 2000 .
3
CAPITOLO I – NASCITA ED EVOLUZIONE DELL’ISTITUTO
Par.1) L’introduzione da parte del legislatore europeo sul modello del National
Enviromental Policy Act (NEPA)
La V.I.A. nacque alla fine degli anni Sessanta del XX secolo negli Stati Uniti d'America con
il nome di Environmental Impact Assessment.
L'E.I.A. introdusse le prime forme di controllo sulle attività interagenti con l'ambiente (sia
in modo diretto che indiretto), mediante strumenti e procedure finalizzate a prevedere e
valutare le conseguenze di determinati interventi4.
Nel 1969 venne approvato il National Environmental Policy Act (N.E.P.A.). Quest’atto
prescrisse l'introduzione della V.I.A., il rafforzamento dell'Environmental Protection
Agency (con un ruolo amministrativo di controllo) e l'istituzione del Council on
Environmental Quality (con un ruolo consultivo per la presidenza).
Nel 1978 venne adottato il Regulations for implementing the Procedural Previsions of
N.E.P.A., un regolamento attuativo del N.E.P.A. che dispose l'obbligo della procedura di
V.I.A. per tutti i progetti pubblici o comunque accedenti a finanziamento pubblico5. Lo
studio di impatto ambientale è predisposto direttamente dall'autorità competente al rilascio
dell'autorizzazione finale ed è prevista l'emanazione di due atti distinti: uno relativo alla
valutazione di impatto ambientale e uno relativo all'autorizzazione finale per la
realizzazione dell'opera6.
Sul modello di quest’esperienza e in virtù dell’interesse sempre maggiore dell’opinione
pubblica per la protezione dell’ambiente, negli anni settanta, anche altri Stati decisero di
dotarsi di analoghi strumenti di tutela integrata.
Nel 1973 il Canada emanò l'Environmental Assessment Review Process, in Europa, nel
1976, per prima la Francia adottò la legge n. 76-629 (del 10 luglio 1976) "relative à la
protection de la nature".
4Glasson, Therivel, Chadwik, Introduction to Enviromental Impact Assessment, New York, 2006.
5Violini, La valutazione di impatto ambientale nell’ordinamento statunitense, AMM, 1989, 459.
4
Anche la Comunità Economica Europea iniziò a promuovere una politica di tutela
ambientale, pur non essendo tale competenza espressamente prevista dal trattato istitutivo.
Un memorandum della Commissione dichiarò la necessità di promuovere la protezione
ambientale in maniera coordinata e condivisa con le politiche nazionali, mediante
l’adozione di programmi d’azione comunitaria (il primo dei quali nel 1973).
Nel 1987 il Trattato di Maastricht sancì ufficialmente le competenze ambientali della
Comunità mediante l’introduzione nel Trattato istitutivo di tre articoli (all’epoca 130-R,
130-S e 130-T, ora artt. 174, 175 e 176).
L’art. 174 elenca alcuni principi d’azione che rappresentano le linee direttrici della politica
europea sul tema :
ξ Il principio di precauzione (le misure di protezione sono giustificate anche se la
ricerca scientifica non ha ancora dimostrato appieno le cause di deterioramento
dell’ambiente)
ξ Il principio dell’azione preventiva (le azioni preventive sono da preferire rispetto a
quelle riparatorie)
ξ Il principio di correzione (è opportuno agire il più presto possibile)
ξ Il principio “Chi inquina paga” (i costi derivanti dal danno ambientale non devono
esser sostenuti dalla società ma da chi lo ha provocato).
La procedura di V.I.A. venne introdotta nel panorama normativo comunitario mediante la
direttiva 85/337 del 27 giugno, dopo un intenso ed acceso dibattito tra organi comunitari e
Stati iniziato nel 1980 (epoca della prima proposta di direttiva) e venne successivamente
emendata dalle direttive 97/11 e 03/35 (relative alla partecipazione del pubblico)7.
L’esigenza di emanare quest’atto normativo era emersa considerando che l’esistenza di
disparità tra le legislazioni degli Stati membri in tema di tutela ambientale avrebbe potuto
creare condizioni di concorrenza ineguali. Proprio quest’incidenza sul mercato unico
rappresentava lo strumento per giustificare l’esercizio del potere normativo, da parte della
Commissione, secondo il dettato degli artt. 100 e 235 del Trattato che, come già visto,
7
L. Kramer, Manuale di diritto comunitario per l’ambiente, Giuffrè, Milano, 2002.
5
nell’1985 non contemplava ancora la protezione dell’ambiente tra le competenze della
Comunità.
La dir. 85/337 prescrisse che determinati progetti di opere pubbliche o private “che possono
avere un impatto ambientale importante” (art. 1.1), fossero sottoposti alla procedura di
V.I.A. prima del rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione.
In particolare l’art. 4 (eliminato nel ’97) rinviava a due liste di progetti: l’Allegato I
elencava i progetti che dovevano necessariamente essere sottoposti a V.I.A., l’Allegato II
quelli per i quali gli Stati membri potevano decidere come applicare la procedura, mediante
un esame del progetto caso per caso, e stabilire determinate soglie al di sotto delle quali non
applicare la V.I.A.8.
Sugli Stati membri gravava l’obbligo di emanare norme di attuazione entro il 3 luglio del
1988: nel 1986 l'Olanda fu la prima nazione ad applicare la nuova direttiva.
Par. 2) La V.I.A. in Italia.
In attuazione degli obblighi comunitari l’Italia introdusse la procedura di V.I.A. nazionale
con l’articolo 6 della l. 8.07.1986 n. 349.
Tuttavia già dalla sua emanazione fu evidente che la norma era affetta da importanti vizi,
sia formali che sostanziali.
Dal punto di vista formale la V.I.A. veniva introdotta nell’ambito di un intervento
normativo di portata molto ampia, dedicato all’ “Istituzione del Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio e (all’introduzione di) norme in materia di danno ambientale”
(rubrica della legge). Nonostante l’aspetto positivo dell’attuazione della normativa
comunitaria con una disposizione di fondamentale importanza per l’ordinamento nazionale,
rimaneva l’inadeguatezza dovuta alla molteplicità delle materie trattate e alla genericità
dell’intervento.
Dal punto di vista sostanziale la l. 349/1986 confermò quest’impostazione. La stessa si
poneva espressamente come disciplina transitoria, prevedendo che, entro sei mesi dalla sua
entrata in vigore, il Governo avrebbe dovuto presentare al Parlamento un disegno di legge
8
Stefano Nespor, Ada Lucia De Cesaris (a cura di), Codice dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2009.
6
per l’attuazione delle direttive comunitarie. Nell’attesa di ciò le norme tecniche e le
categorie di opere in grado di produrre rilevanti impatti sarebbero state individuate con
decreto del Presidente del Consiglio.
Quella che avrebbe dovuto rappresentare la specificazione della direttiva 85/337 in realtà
non era altro che una serie di indicazioni, di portata molto più ridotta rispetto a quelle
introdotte dal legislatore comunitario, che delegavano totalmente al governo l’attuazione.
Di fatto la disciplina dell’art.6 della l. 349/1986, seppur provvisoria, rimase in vigore per
circa due decadi, con le integrazioni e le modifiche delle varie norme attuative emanate nel
corso degli anni (tra le più importanti d.p.c.m. 377/1988, d.p.c.m. 27.12.1988, d.p.r.
12.04.1996). Ciò produsse una disciplina disorganica, lacunosa ed eterogenea dal punto di
vista della gerarchia delle fonti normative9. Quest’aspetto fu accentuato dall’intervento di
una miriade di leggi settoriali che prevedevano l’applicazione della V.I.A. ad opere ed
impianti non contenuti nell’elenco comunitario.10
A causa di questa situazione la Commissione Europea denunciò più volte lo Stato italiano
per inadempimento dovuto al recepimento parziale della disciplina comunitaria in materia di
V.I.A.11.
Solo con la l. 15.12.2004, n. 308 il Governo ricevette “delega per il riordino, il
coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta
applicazione”. Entro diciotto mesi dall’entrata in vigore, pertanto, l’Esecutivo doveva
emanare uno o più decreti legislativi nelle materie elencate.
Tra di esse al punto f) vi erano le procedure per la V.I.A. .
A tale riguardo, tra gli obbiettivi richiesti, vi era quello di “garantire il pieno recepimento
delle direttive”.
Il 03.04.2006 venne emanato il d.lgs. 152 recante “Norme in materia ambientale”. Questo
testo unico è suddiviso in sei parti, la Parte II (dall’art. 4 al 52) regolamenta i settori della
V.A.S., V.I.A. e I.P.P.C. (o A.I.A.).
9
P. Dell’Anno, Elementi di diritto dell’ambiente, CEDAM, 2008
10
Per un elenco non esaustivo vedi P. Dell’Anno, Manuale di diritto ambientale, Padova, 2003, cap. 12, pp 722-723.
11
In proposito, B. Caravita - S. Pratali, La valutazione di impatto ambientale, in B. Caravita (a cura di), Diritto
dell’ambiente, Bologna, 2001, pag. 370 e ss; Gratani, L’ambiente: il settore prescelto dall’ordinamento italiano per
violare la normativa comunitaria, in RGA, 2007, n. 2, p 289.
7
La versione originaria del d.lgs. 152/2006 fu, fin da subito, oggetto di decise critiche poiché
ritenuta affetta de gravi lacune sia procedurali (per le modalità con cui venne approvata) che
sostanziali (per i profili di contrasto con i principi della legge delega e con le previsioni
comunitarie in materia12).
Il testo della norma, infatti, ricevette parere negativo dalla Conferenza Stato-Regioni, non fu
sottoposto al vaglio preliminare del Consiglio di Stato e non venne trasmesso, prima della
sua approvazione, alla Commissione Europea, come previsto per ogni nuovo atto normativo
nazionale in materia ambientale.
In secondo luogo l’entrata in vigore della Parte II fu più volte posticipata. La stessa era stata
sin dall’inizio differita rispetto all’intero corpus del decreto; l’art. 52 prevedeva l’entrata in
vigore 120 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (avvenuta il 14.04.06), tale
termine prima della sua scadenza fu ulteriormente prorogato dal d.l. n. 173/2006 e dal d.l.
300/2007 (entrambi convertiti in legge). La Parte II entrò quindi in vigore il 31 luglio 2007.
La “vita” di questa Parte II, però, è durata solo pochi mesi poiché, con il d.lgs. 16.01.2008
n. 4 recante “Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile
2006 n. 152…”, in vigore dal 13 febbraio 2008, il Ministro dell’ambiente ha modificato
sostanzialmente l’intero quadro normativo sostituendo, di fatto, l’intera parte con nuovi
articoli (dall’art. 4 al 36), modificando così i principi generali per la procedura di V.I.A..
La normativa relativa alla V.I.A. ha subito le più recenti modifiche da parte della l.
23.07.2009, n. 99, recante: "Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle
imprese, nonché in materia di energia". Tale intervento normativo, che interviene sulle
discipline più disparate (tra le altre trasporti ferroviari, riscossione delle tasse
automobilistiche, tutela penale della proprietà industriale, delega al governo in materia di
energia nucleare), comprende anche delle modifiche ai progetti elencati negli allegati II, III,
e IV.
12
In tal senso, Rapisarda Sasson , Per il D.Lgs. 152/2006 Dell’Ambiente occorre un nuovo capitano, in Ambiente &
Sviluppo, 5/2006, 409.
8
Par. 3) Il rapporto tra normativa comunitaria e nazionale. La giurisprudenza della Corte
di Giustizia a favore dell’immediata applicabilità delle direttive.
L’analisi dell’evoluzione normativa della V.I.A. in Italia evidenzia come nel corso degli
anni il legislatore nazionale abbia adempiuto agli obblighi comunitari in maniera inidonea.
Gli strumenti utilizzati per dare attuazione alle direttive 85/337 e 97/11 hanno spesso
introdotto discipline incomplete o difformi rispetto al contenuto delle stesse. Ciò ha portato
la Commissione Europea a denunciare più volte lo Stato italiano per inadempimento.
In conseguenza di questa situazione sorge spontaneo chiedersi quale sia la normativa
direttamente applicabile a quei casi di specie disciplinati in maniera discordante o non
disciplinati affatto in Italia rispetto alla legislazione europea.
In riferimento alle due direttive la giurisprudenza comunitaria ha costantemente sostenuto il
carattere self executing, ovvero l’immediata ed automatica esecutività a partire dalla
scadenza del termine conferito allo Stato membro per la loro attuazione (03.07.88 e
14.03.99). (Corte di Giustizia delle Comunità europee 21 gennaio 1999, causa C 150/97; 18
giugno 1998, causa C 81/96; 2 aprile 1998, causa C 321/95; 22 ottobre 1998, causa C
301/95; 11 agosto 1995, causa C 431/92; 9 agosto 1994, causa C 396/92)13
Il carattere di self executing è attribuito solo alle direttive che siano incondizionate (tali da
non lasciare discrezionalità agli Stati membri nell’attuazione) e dettagliate (la fattispecie
astratta deve essere determinata con completezza) e in tali casi è riconosciuto anche dalla
Corte Costituzionale (Corte Cost. 18 aprile 1991, n. 168 e 8 giugno 1984, n. 170).
L’orientamento della Corte di Giustizia può considerarsi una sorta di reazione ai ritardi
degli Stati Membri nel recepimento e a quella giurisprudenza14, sviluppatasi in Italia15, che
aveva considerato l’art. 6 della l. 349/1986 non direttamente applicabile in assenza dei
decreti attuativi16 (Cons. di St., Sez. VI, 16.07.1990, n. 782), intervenuti ben oltre il 3 luglio
1988 (termine per l’attuazione della dir. 85/337).
13
Manfredi, Inadempimenti nell’attuazione della valutazione di impatto ambientale e diretta applicabilità delle
direttive comunitarie, in Urb. App. 2001, pp. 843 e ss.
14
Ad es. Cons. Stato, Sez VI, 16.07.1990, n. 782.
15
In senso analogo anche la dottrina ad es. Greco, Processi decisionali e tutela preventiva dell’ambiente. La
Valutazione d’impatto ambientale in Italia e altrove, Milano, 1989; D’Alessio-Tancredi, Valutazione d’impatto
ambientale, EG, 1994, XXXII.
16
d.P.C. 10.08.1988 n. 377 e d.P.C. 27.12.1988.
9
La posizione consolidata del giudice comunitario talvolta non pare essere totalmente
condivisa dagli organi di giustizia nazionali. In tal senso depone la pronuncia della Sezione
IV del Consiglio di Stato del 10 maggio 2004, n. 2883 che afferma: “La direttiva
comunitaria n.85/337, come modificata dalla direttiva 97/11, disciplina, all’art.4, l’istituto
della valutazione di impatto ambientale, distinguendo i progetti, elencati nell’allegato I, che
vi devono essere sottoposti da quelli, elencati nell’allegato II, per i quali viene demandata
agli Stati membri la determinazione dei criteri e dei presupposti che rendono obbligatorio il
rispetto della relativa procedura.
La direttiva si compone, dunque, di due tipi di prescrizioni: una, immediatamente
precettiva e vincolante,… per i progetti indicati nel I allegato…; l’altra, contenuta nel
comma 2 dell’art.4, che si limita a riservare alla valutazione discrezionale degli Stati
membri la determinazione delle caratteristiche delle opere elencate nell’allegato II.”
Per questo secondo tipo di opere quindi “non risulta configurabile un’efficacia diretta ed
immediata della direttiva”. Seppur questa conclusione derivi da un’attenta analisi
dell’istituto si pone in palese contrasto con l’orientamento della Corte di Giustizia che
riconosce efficacia diretta alla totalità delle disposizioni delle direttive.
La contrapposizione è evidente anche rispetto alle sentenze 170/1984 e 389/1989 della Corte
Costituzionale, nelle quali viene stabilito che tutti i soggetti competenti nel nostro
ordinamento a dare esecuzione alle leggi (e agli atti aventi forza di legge) , quindi tanto gli
organi giurisdizionali quanto quelli amministrativi, sono giuridicamente tenuti a disapplicare
le norme interne incompatibili con le norme comunitarie immediatamente applicabili.
Queste sentenze determinano una svolta in relazione al previgente orientamento della stessa
Corte che nella sent. 232/75 affermava la propria potestà esclusiva di giudicare sulla
compatibilità delle norme interne rispetto al diritto comunitario, in forza dell’art. 11 Cost.
Quindi sarebbe auspicabile un ruolo meramente ricettivo dei principi stabiliti dalla Corte di
Giustizia, anche da parte del supremo giudice amministrativo, a tutto vantaggio della
certezza dei rapporti tra gli ordinamenti (comunitario e nazionale) e a beneficio di chi applica
il diritto. Il Consiglio di Stato tuttavia fatica ancora a tollerare questa limitazione della
10
propria potestà interpretativa e decisionale17.
17
In tal senso, Raffaella Porrato, Immediata applicabilità delle direttive V.I.A.: giurisprudenza nazionale e comunitaria
a confronto, in www.dirittoambiente.com.
11
CAPITOLO II – AMBITO D’APPLICAZIONE E COMPETENZA
Par. 1) La disciplina degli allegati II, III, IV.
L’ambito di applicazione della V.I.A. viene delineato dall’art. 6 commi 5, 6 e 7 del d.lgs.
152/2006 così come modificati dal d.lgs. 4/2008.
La norma, utilizzando una tecnica normativa per relationem, dichiara che la V.I.A. deve
essere effettuata, obbligatoriamente, per quei progetti elencati agli allegati II e III,
considerati, secondo una presunzione juris et de jure18, di per sé altamente impattanti.
Per quanto riguarda le tipologie progettuali elencate nell’allegato IV, invece, queste saranno
soggette a verifica di V.I.A. (c.d. screening di cui all’art. 20). Questo procedimento è basato
su un’analisi caso per caso dell’impatto ambientale prodotto dall’opera, al fine di decidere un
eventuale assoggettamento alla valutazione.
La soluzione adottata dal legislatore italiano sembra conforme al disposto della direttiva
85/337, che lascia agli Stati membri un margine di discrezionalità circa la possibilità di
assoggettare alla V.I.A. i progetti di cui all’allegato II19 (allegati III e IV d.lgs. 152/06) .
Come ha precisato la giurisprudenza della Corte di giustizia ciò che deve esser sempre
garantito è l’assoggettamento alla valutazione dei progetti idonei a produrre un notevole
impatto, questo risultato può essere raggiunto anche tramite una preliminare valutazione caso
per caso20.
Gli allegati, inoltre, rappresentano un fondamentale spartiacque nel riparto delle competenze
tra Stato e Regioni (per un’analisi più approfondita par 4).
La V.I.A. sarà di competenza statale nei casi di cui all’allegato II, regionale per quanto
riguarda gli allegati III e IV.
L’allegato II riproduce gran parte dei progetti elencati nell’allegato I della direttiva (85/337),
con alcune integrazioni, ed è dedicato alle grandi opere, ad esempio raffinerie petrolifere,
18
P. Dell’Anno, Elementi di diritto dell’ambiente, CEDAM, 2008.
19
Tale facoltà è esclusa per i progetti di cui all’allegato I come ribadito dalla sent. Della Corte giust., 23.10.2006, causa
C-486/04 con commento di Adabella Gratani, RGA, 2007, pp 289-295.
20
Corte giust., 10.06.2004, causa C-87/02 con commento di Adabella Gratani, RGA, 2004, pp 668-674; Corte giust.,
16.09.1999, causa C-435/97; per alcune notazioni, S. Grassi, Problemi di attuazione della direttiva comunitaria sulla
valutazione di impatto ambientale per i progetti di cui all’allegato II, Gazzetta Ambiente, 1997, suppl. 1, pp 3 ss.
12
impianti di gassificazione o liquefazione di carbone, centrali termiche con potenza superiore
a 300 Mw, opere idriche e dighe, tronchi ferroviari e aeroporti di grandi dimensioni,
autostrade, ecc…
L’articolo 42 della l. 23.07.2009 n. 99 , modificando l’allegato II inserisce nelle categorie di
opere sottoponibili a V.I.A statale gli impianti eolici per la produzione di energia elettrica
ubicati in mare.
Gli allegati III e IV comprendono l’allegato II della direttiva oltre ad annoverare ulteriori
opere aggiunte dal nostro legislatore.
Questi due allegati spaziano dai settori dell’agricoltura a quelli dell’industria di medie e
piccole dimensioni. L’allegato III fra gli altri menziona impianti industriali destinati alla
fabbricazione di pasta per carta a partire dal legno o da altre materie fibrose, impianti di
smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi, impianti per la concia del cuoio e del pellame
qualora la capacità superi le 12 tonnellate di prodotto finito al giorno. L’articolo 40 della l.
23.07.2009 n. 99 modifica l’allegato III stabilendo che sono soggetti alla valutazione di
impatto ambientale solo gli elettrodotti aerei.
Tra le opere di dimensioni più ridotte, assoggettate alla disciplina dell’allegato IV, si
menzionano i centri residenziali turistici e gli esercizi alberghieri con oltre 30 posti-letto, i
parchi tematici di superficie superiore a 5 ettari, i progetti di riassetto o sviluppo di aree
urbane all'interno di aree urbane esistenti che interessano superfici superiori a 10 ettari.
Anche quest’elenco di progetti ha subito delle modifiche ad opera dell’articolo 27, comma
43, della l. 23.07.2009 n. 99.
Vi sono, inoltre, ulteriori categorie di progetti che, in virtù della loro particolarità, pur
essendo inquadrabili all’interno di uno specifico allegato, seguono una disciplina diversa e
derogatoria rispetto alle opere della stessa categoria.
ξ I progetti di cui all’allegato IV relativi ad opere o interventi di nuova realizzazione
che ricadono, anche parzialmente, all’interno di aree naturali protette, definite dalla l.
6.12.1991, n. 349 sono obbligatoriamente soggetti a V.I.A. (comma 6, lett. b) dell’art.
6). Inoltre per i progetti di cui agli allegati III e IV, ricadenti in aree naturali protette,
si prevede che le soglie dimensionali che determinano l’applicazione della
valutazione siano ridotte del 50% (art.6, comma 8).
13
L’applicazione concreta della disposizione può presentare almeno due difficoltà: la prima, in
merito alla definizione delle aree naturali protette;
la seconda, sulla corretta interpretazione della locuzione “che ricadono anche parzialmente
all’interno di aree naturali21”.
Per quanto riguarda il primo aspetto problematico, la definizione delle “aree naturali
protette” presenta confini mobili. Nonostante il legislatore specifichi che si tratta delle aree
disciplinate dalla l. 394/1991 (parchi nazionali, parchi naturali regionali, riserve naturali
statali e regionali) la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha riconosciuto le tutele
tipiche delle aree naturali protette anche alle aree ZPS (Zone di Protezione Speciale) e ZSC
(Zone Speciali di Conservazione) previste rispettivamente dalle direttive 79/409/CEE e
92/43/CEE22.
Tuttavia quest’interpretazione risulta in contrasto con il disposto del punto 2 dell’Allegato V
che, nell'indicare i criteri per la procedura di c.d. screening, prevede si debba tener conto in
particolare delle ZPS e ZSC.
Tale formulazione ricalca quella dell’allegato III della direttiva 85/337.
Per quanto concerne il secondo dubbio interpretativo, circa la locuzione “che ricadono anche
parzialmente all’interno di aree naturali”, ci si chiede se si riferisca esclusivamente alla
sede fisica dell’opera o anche agli effetti, eventualmente impattanti, generati dall’opera sul
territorio circostante, assoggettato a tutela. Questa seconda lettura è sicuramente preferibile
secondo il senso complessivo dell’istituto ed appare in linea col tenore dei Considerando,
specialmente il sesto23, della direttiva 85/337/CEE che assoggetta a valutazione “le probabili
rilevanti ripercussioni sull’ambiente”, indipendentemente dalla circostanza che l’opera si
trovi fisicamente all’esterno o meno di un’area protetta.
ξ Malgrado l’appartenenza all’allegato II sono sottoposte a procedura di c.d. screening
(ex art. 20) secondo il disposto del comma 7 dell’art. 6: a) i progetti elencati
all’allegato II che però servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il
21
In tal senso Claudio Linzola, Codice dell’ambinte, Giuffrè, Milano, 2008, pp 163-167.
22
Cass. Pen., sez. III, 22 novembre 2003, n. 4409 (Fattispecie nella quale la Corte ha affermato l’inclusione tra aree
protette della zona di protezione speciale denominata “Murgia Alta”)
23
“Considerando che l’autorizzazione di progetti pubblici e privati che possono avere un impatto rilevante
sull’ambiente va concessa solo previa valutazione delle loro probabili rilevanti ripercussioni sull’ambiente; che questa
valutazione deve essere fatta in base alle opportune in formazioni fornite dal committente e eventualmente
completata dalle autorità e dal pubblico eventualmente interessato.”