ii
Daryaganj a Old Delhi dove ho trovato sia venditori
vogliosi di aiutarmi che altri insospettiti dalla tema-
tica. La grande quantità di materiale reperibile ha de-
terminato una scelta delle fonti, il tempo limitato ha
fatto sì che molti articoli e testi degni di considera-
zione non siano stati purtroppo visionati.Ringrazio il professor Mario Prayer per la scrupolo-
sità e professionalità con cui ha seguito gli sviluppidella stesura e il professor Federico Squarcini per la
collaborazione e per avermi dato la possibilità di in-
contrare Romila Thapar. Un grazie anche al professorGiorgio Milanetti per il sostegno morale.
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina ii
Introduzione
1
Questo studio si propone di analizzare il modo in
cui un’organizzazione di stampo religioso, il VishwaHindu Parishad (VHP – Società indù universale), ri-prese il mito di Ram, rivisitandolo affinché potesse so-
stenere la mobilitazione di massa per il movimentoRamjanmabhumi (RJB – la terra natale di Ram). Lo
scopo di quest’ultimo era riappropriarsi del luogo dinascita di Ram, divinità indù dalla lunga tradizione
che fu trasformata in una sorta di eroe nazionale dalladestra. Secondo la storiografia inglese e quella nazio-nalista indù, infatti, il sito era stato occupato dallaBabri Masjid, una moschea che Babur, imperatoreMoghul, avrebbe costruito dopo aver distrutto un ma-
gnifico tempio, memoria della sacra nascita.Con la diffusione del movimento Ramjanmabhumi
si vennero a creare in India due fazioni opposte che
cercarono di ricostruire gli eventi che portarono al
sorgere della contesa nel XIX secolo. Da una parte i
sostenitori del VHP, dall’altra gli storici della Jawa-harlal Nehru University fornirono materiale a favoredelle proprie ragioni.La destra indù voleva vedere riconosciuta l’azionedi distruzione perpetrata dai musulmani nel corsodei secoli e di cui la Babri Masjid era un esempio
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina 1
eclatante, data la sua collocazione. Per dare validità aquesta visione, si cercò di ricostruire la storia indianabasandola fondamentalmente su una struttura dico-
tomica in cui un passato glorioso indù veniva di-
strutto dall’arrivo dell’islam, religione iconoclasta edispotica. Il VHP riuscì a diffondere una tradizione
storica che descriveva i molteplici tentativi di ricon-quista del Janmasthanda parte degli indù, dopo che
il tempio era stato distrutto. Il movimento riuscì ef-
fettivamente a suscitare un gran seguito, grazie so-prattutto all’uso che si fece dei nuovi mezzi di
comunicazione.Naturalmente il VHP non organizzò tutta questamobilitazione da solo, poteva infatti contare sulla veramatrice della diffusione del nazionalismo indù: il Ra-
shtriya Swayamsevak Sangh (RSS – Comunità di vo-
lontari nazionali), un’organizzazione nata nei primianni del ’900 che raccoglieva in sé gli aspetti marziali
ed estremi della nuova ideologia che uno dei suoi ispi-
ratori aveva plasmato: lo Hindutva. Lo RSS fornì la
struttura organizzativa e ideologica al VHP, che si pro-poneva come organizzazione a carattere prettamente
religioso. Quando si vide la capacità che aveva il temada essi sollevato di mobilitare le masse, entrò in scenaanche il BJP, partito politico di destra che fino ad al-
lora non era riuscito a conquistare la ribalta della po-
litica indiana. Sfruttando un’apposita simbologia epersonaggi carismatici adeguati, il movimento riuscìnel suo intento: la moschea fu distrutta e la destra
indù ottenne voce in politica.Per rintracciare i presupposti ideologici del movi-mento bisognerà guardare al XIX secolo come fucinadi cambiamenti a livello sociale, religioso e politico.Questo verrà fatto nel primo capitolo. Inizialmente simostrerà il contesto storico colonialista all’interno delquale fu elaborata una nuova immagine dell’India,
2
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina 2
frutto di una lettura critica da parte dei primi orien-
talisti. Si evidenzierà come questa stessa immagine
influenzò il pensiero di alcune personalità indù che,
in tempi diversi, proposero una rinascita dell’indui-
smo e dell’India come nazione. Un’analisi del pensierodi Swami Dayananda (1824-1883), Swami Viveka-nanda (1863-1902) e Vinayak Damodar Savarkar
(1883-1966) farà emergere caratteristiche comuni, de-
lineando il modo in cui essi funsero da sostrato al na-
zionalismo di destra. Seguirà un confronto tranazionalismo indiano di stampo liberale e nazionali-
smo indù. Si concluderà con la descrizione dell’orga-nizzazione RSS, nata con lo scopo di creare un
“risveglio” degli indù attraverso un lavoro soprattutto
culturale, cercando di plasmare un nuovo modello diuomo che si riconoscesse totalmente nell’ideale delloHindutvacome definito da Savarkar e riproposto daGolwalkar.Nel secondo capitolo si analizzeranno i motivi cheportarono alla nascita del VHP e che ne fecero un ri-
chiamo per religiosi in cerca di legittimità e potere. Sidescriverà la struttura dell’organizzazione, gli organi
che la compongono e gli individui a cui si rivolge. Tra-mite un excursusstorico si osserveranno i cambia-menti avvenuti in relazione alle diverse situazionipolitiche presenti in India dagli anni ’70 in poi, ana-
lizzando le tattiche usate, sia in politica sia nell’am-bito della mobilitazione, per suscitare la massima
risposta della società.Nel terzo capitolo si andranno a ricercare le originidel movimento RJB nel XIX secolo, quando iniziò unadisputa su un terreno che fu identificato a volte con
la Babri Masjid altre con l’Hanumanghari. Proprio inquesto ambito emergeranno le diverse opinioni tra i
sostenitori della storiografia inglese e gli studiosi laicidella Jawaharlal Nehru University di New Delhi, che
3
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina 3
vedevano nella nascita della contesa il tentativo in-
glese di contrapporre le comunità indù e musulmanaper averne un più facile controllo. La situazione ri-mase in uno stato di quiescenza fino al 1949, quando
l’idolo di Ram comparve “miracolosamente” nella mo-
schea e il governo decise di portare il caso in tribu-nale. Quest’ultimo decise di chiudere la moschea madi permettere ai pujaridi eseguire i riti presso l’idolo,mentre i devoti potevano avere il darshandel dio dadietro una grata. Tuttavia l’apice nel movimento si
raggiunse intorno agli anni ’80, quando una serie di
errori nella politica del Congress favorì l’appoggio daparte della popolazione ad eventi quali l’Ekt mataYatra(Viaggio per la coscienza dell’unità), lo shilanyas
(collocazione di mattoni), ma soprattutto il Rath Y tra
(Viaggio del carro) di Advani. Nel 1986, per cercare di
riconquistare il sostegno del voto indù, Rajiv Gandhi
riaprì la moschea agli indù, creando un grande sensodi insicurezza tra le minoranze e dando indiretta-mente credito al movimento Ramjanmabhumi.L’obiettivo che si prefissò il VHP fu quello di attuare ilKar Seva, la realizzazione del tempio da costruire con
i mattoni sacri raccolti precedentemente nello shila-nyas. Il Kar Seva, che si sarebbe dovuto realizzaredopo lo Yatradi Advani nel 1990, portò invece al dan-neggiamento delle cupole della moschea e al posizio-namento di bandiere color zafferano su di esse.Questa degenerazione indusse il primo ministroSingh a intervenire per cercare di intavolare una seriedi negoziati tra le due parti affinché si potessero ana-
lizzare le testimonianze pro e contro l’originaria (o pre-
sunta tale) presenza del tempio.Nel quarto capitolo infatti si analizzeranno le proveaddotte dal VHP e dagli storici a questo riguardo.Queste prove furono di diverso genere: letterario, ico-nografico e archeologico. Interessante sarà notare
4
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina 4
come le stesse fonti subirono un’interpretazione di-
versa in base alle ideologie sostenute dalle due parti.Per completezza, si riporteranno tutte le prove usate
fino al 2003.Nel quinto capitolo si analizzeranno i cambiamenti
che la figura di Ram subì nel corso dei secoli. Si di-mostrerà anche come il Ramayana, quale testo esem-plificativo della storia medievale indiana, fu usato dai
sovrani indù a scopo pragmatico: divinizzare la pro-pria immagine contrapponendola a quella demoniz-
zata di un invasore. Di conseguenza, Ram si
trasformò da epitome del sovrano giusto e rispettosodel dharmanell’epica, ad avataradi Vishnu durante
la diffusione della corrente bhakta, per ssere ricono-
sciuto poi come divinità a sé stante intorno al XVIII
secolo, e diventare infine un eroe nazionale in tempi
contemporanei. Si vedrà come questi cambiamenti,apportati sia a livello estetico che etimologico, non fu-
rono di sola natura religiosa ma soprattutto politica.
Il sesto capitolo si soffermerà sulla conclusione delmovimento Ramjanmabhumi: il 6 dicembre 1992 una
folla di volontari e sostenitori armati di picconi emazze entrò nel recinto sorvegliato della Babri Masjid
e, sotto gli occhi di diversi leader politici, iniziò ad ab-batterla. Si analizzeranno gli ultimi mesi di vita dellamoschea sotto il governo di Narasimha Rao e le con-
seguenze politiche e sociali che la demolizione com-portò. Il capitolo si concluderà con una domanda
fondamentale a cui si tenterà di dare risposta: il mo-
vimento Ramjanmabhumi e l’ideologia dello Hindutva
su cui si basava rappresentarono un movimento fon-damentalista o un esempio di nazionalismo religioso?Dopo aver analizzato il significato di queste due ter-minologie, si cercherà di giungere a una definizione
scientificamente fondata.
5
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina 5
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina 6
71.1 L’immagine coloniale dell’India
Il 2 agosto del 18581il governo dell’India fu assuntodirettamente dalla corona britannica. Una delle primequestioni che si trovò a risolvere il Raj inglese fu ri-
spondere al quesito imminente di come governarequesto paese lontano e come giustificare la propriapresenza e il proprio dominio. Come potevano infatti
gli inglesi, che si ritenevano un popolo evoluto e avan-
zato, porsi a capo di un altro stato? Come giustificare
il loro sostituire l’impero Moghul senza essere, a loro
volta, visti come despoti? Una prima risposta fu iden-
tificare le differenze tra gli inglesi e gli indiani, e di-mostrare come fosse obsoleto e immorale ciò che eraautoctono e quanto fosse moderna e civile la cultura
europea illuminista portata dagli inglesi. Gli studi in-dologici, cui avevano fin dagli inizi partecipato fun-
zionari della East India Company come il GovernatoreWarren Hastings, avevano dimostrato che gli indiani
Capitolo 1
I presupposti ideologici
1Dopo, cioè, la grande rivolta del 10 maggio del 1857 che vide
l’unione di una parte dell’esercito (i sepoy) con grupp sociali op-positori al dominio della Compagnia delle Indie Orientali. La re-pressione della rivolta causò sia la fine dell’impero Moghul che lo
scioglimento della Compagnia.
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina 7
possedevano un antico codice di leggi in sanscrito,pressoché immutato, che doveva essere adeguata-mente considerato se si voleva adottare un retto mododi governare. Da qui si formulò l’idea che l’India in re-altà condividesse con l’Europa tutto un insieme di
istituzioni, costumi e leggi provenienti dal retaggiodegli Arya, ma che essa, a differenza dell’Europa,avesse arrestato il suo sviluppo.2Dunque passatouniva l’India alla Gran Bretagna ma il presente le di-
videva: stava agli inglesi riportare sulla via del pro-
gresso l’India facendosi, tuttavia, anche custodi della
sua “antichità”. Il progetto del Raj comportava dun-que lo studio delle strutture sociali, culturali e politi-
che dell’India allo scopo di governare secondo principi
indigeni:3i metodi di governo precedenti dovevano es-
sere ripresi e migliorati a livello burocratico e fiscale
inserendoli nell’ordine imperiale. In questo modo gli
inglesi potevano presentare se stessi come sovrani
stranieri ma legittimi, continuando a preservare una
società tradizionale inalterata.4Oltre a cambiamenti a livello burocratico e fiscale,
il governo coloniale iniziò una serie di indagini sulla
composizione sociale dei propri sudditi, categorizzan-doli secondo basi castali e religiose. Le indagini, chepotrebbero rappresentare la concretizzazione della po-
litica dividi et imperainglese, portarono alla criticadelle due maggiori tradizioni religiose indiane (quella
indù e quella musulmana) con lo scopo di giustificare
il proprio dominio.
2Thomas Metcalf, Id ologies of the Raj, Cambridge UniversityPress, New Delhi, 1998, p. 66.3Dalla metà del XIX secolo gli inglesi riuscirono a cstituirsi come
élite rurale usando raggruppamenti contigui di villaggi come basedi potere, sfruttando i legami di solidarietà dei gruppi locali e, dovenecessario, rafforzandoli tramite mezzi istituzionali (Ide, p. 129).4Ibidem.
8
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina 8
L’immagine dell’Oriente creata nel XVIII e nel XIX
secolo dai racconti di viaggiatori stupiti che lo descri-
vevano come sensuale, mistico ma anche supersti-
zioso e dispotico, caratterizzato da una cultura
stagnante e popolare, fu ripresa e riproposta.5 Lo
stesso Sir William Jones, considerato uno dei padridell’indologia europea, trovava l’India carente di va-
lori liberali.6Ecco perché la necessità di uno stato co-
loniale che potesse instillare quei principi avanzatinella cultura indiana, rendendoli disponibili per gli
stessi indiani.Tutti gli indologi mostravano poco interesse per
l’India contemporanea, rifugiandosi nell’esaltazione diun passato tradizionale indiano contrapposto a unperiodo moderno in cui gli antichi ideali erano andatipersi, determinando l’attuale stato degenerato della
cultura indiana. La critica più serrata era nei con-
fronti della religione, che si cercava di studiareusando come termine di paragone il cristianesimo.Quello che gli occidentali iniziarono a definire con il
termine induismo non indicava la religione degli indù
come vissuta da essi, ma ciò che gli occidentali com-prendevano dell’India. Come affermava Romila Tha-par, la definizione di induismo emerse in epoca
5Nel XVIII secolo l’atteggiamento degli inglesi nei confronti degli
indiani non aveva ancora assunto sfumature razziste: si era piùpropensi al mescolamento e alla convivenza. Questo perché era
ancora forte lo spirito di tolleranza della cultura illuministica
europea e la curiosità e l’ammirazione verso le culture altre. Al-
cuni governatori, come Warren Hastings, erano convinti che per
governare con più efficienza l’India fosse necessario conoscerne
la cultura e le lingue. Molti erano anche i casi di inglesi convi-
venti con donne indiane, data la scarsa presenza di europee (Mi-
chelguglielmo Torri, Storia dell’India, Editori Laterza, Bari, 2000,p. 377).6Jyotirmaya Sharma, Hindutv . Exploring the Idea of Hindu Na-
tionalism, Penguin Books, New Delhi, 2003, p. 14.
9
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina 9
recente e senza avere premesse nella religione in-diana. Questa era piuttosto il risultato di fattori di-
versi: della critica dei missionari cristiani, chepercepivano le religioni dell’India come primitive, edella volontà di alcuni orientalisti di inserire le sette
indù in una struttura comprensibile basata su mo-delli noti. A questi si aggiungeva lo sforzo compiutodagli stessi riformatori indiani per ripulire la religione
indù contemporanea da quelle pratiche consideratenegative dagli osservatori occidentali, cercando di sot-
tolinearne invece i parallelismi con quelle semitiche.7Era un’India, quella che si delineò all’inizio del XIX
secolo, scoperta e creata dall’Occidente. Nella sua
opera Orientalismo, Edward Said dimostrava che gli
studi orientali dei secoli a lui precedenti non erano
che una codificazione dell’Oriente secondo parametri
occidentali, aventi lo scopo di “orientalizzare”
l’Oriente. Secondo Said, infatti, una cultura tende
sempre ad alterare le culture altre con cui viene in
contatto, accogliendole non come realmente sono, ma
trasformandole a proprio vantaggio. L’orientalista delXIX secolo si sentiva in dovere di trasformare l’Oriente
in qualcosa di diverso dalla sua realtà oggettiva, sianel rispetto della propria cultura che nella convin-
zione di generare il bene per gli orientali stessi.8Qu -
sto, secondo Ashis Nandy, fu lo stesso approccio usatodai colonialisti inglesi che sostituirono la coscienza in-diana con una fittizia, basata su una tradizione
strana, religiosa ma superstiziosa, una cultura intel-
7Romila Thapar, “Imagined Religious Communities? Ancient Hi-
story and Modern Search for a Hindu Identity”, Modern Asian Stu-dies, 23:2, 1989, p. 218.8Edward W. Said, Orientalism, Pantheon Books, New York, 1978
[trad. it. Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, FeltrinelliEditore, Milano, 1999] p. 73.
10
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina 10
ligente ma deviata, caotica, violenta e codarda.9Gli in-
glesi si sentivano i portatori di una civiltà tecnologica
e industriale capace di liberare gli indiani dai maliquotidiani grazie al mito della scienza e della storia.10Quest’ultima diventò un’arma importante nelle manidei colonialisti: essi diedero vita a una storiografia in-diana che ricalcava quella occidentale, suddivisa in
tre grandi periodi storici. A una gloriosa epoca d’oro
seguiva un periodo medievale caratterizzato dallapresenza dello stato musulmano e da quelle accezioninegative che il termine medievale allora comportava.
Il periodo moderno era rappresentato invece dal Rajbritannico, portatore di quello spirito di innovazione
e liberazione che poteva risvegliare gli indiani dal loro
torpore. Una prerogativa dei testi storici appartenentia questa corrente fu quella di descrivere la società in-diana come divisa in due comunità ben distinte:
indù11e musulmana.12
9Ashis Nandy, The Intimate Enemy, Oxford University Press, NewDelhi, 1983, p. 72.10Idem, p. 32.11Il termine indù iniziò a entrare nell’uso quotidiano anche per
gli stessi indù proprio durante il periodo coloniale, cioè dopo chedivenne il termine standard nei censimenti e nelle statistiche. In-
fatti era la parola ufficiale per catalogare tutte quelle persone chenon erano musulmane, cristiane, sikh, buddhiste o jaina o ap-partenenti ad altra religione riconosciuta. In questo modo, rag-
gruppando tutte le sette in un’unica categoria, si aveva
l’impressione statistica che l’India fosse a maggioranza indù, unamaggioranza che in realtà nascondeva delle profonde differenze
interne (David Ludden, “Ayodhya: a Window on the World”, inDavid Ludden (a cura di), Making In ia Hindu. Religion Commu-nity, and the Politics of Democracy in India, Oxford UniversityPress, New Delhi, 2007, p. 6).12Una categorizzazione così netta compare sin dal 1817 nei testidi James Mill, il quale non solo definì la comunità indù in terminidi opposizione a quella musulmana, ma sottolineò l’origine aryadei primi con l’intenzione di affermare il legame tra la religione e
11
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina 11
La ricostruzione storica13fu svuotata di tutte le
connotazioni di spazio, luogo e classe sociale, vale adire di tutte quelle categorie generali tramite cui si po-
tevano analizzare, oggettivamente e nella loro inte-
rezza, i fenomeni storici. Tutto era incentrato suun’unica analisi: quella dell’esperienza religiosa come
elemento caratterizzante delle comunità, concepen-dola quale unica forza motrice della politica e della
storia indiana. Ne derivò una storia fondata sugli
scontri tra comunità, sia nel periodo coloniale chepre-coloniale.14Questa tradizione divenne la giustifi-
cazione del Raj britannico: gli inglesi erano riusciti aporsi al governo dell’India nel XIX secolo non solo permerito della loro supremazia militare, scientifica e tec-nica, ma perché gli indiani erano incapaci di superare
gli attriti tra comunità, che li rendevano sia inadatti a
gestire i propri affari che divisi internamente, legitti-mando così il governo britannico.15Nell’immaginario inglese anche la comunità mu-
sulmana aveva connotati ben specifici e unitari che le
impedivano di integrarsi: anch’essa appariva comeuna caricatura di ciò che realmente era, venendo de-
scritta come rigida, autoritaria e non creativa. Per gli
inglesi, i musulmani non erano altro che seguaci diuna fede sanguinaria, diffusasi grazie al potere della
spada. In India si erano dimostrati iconoclasti per ec-
cellenza, capaci di distruggere migliaia di templi con
la civiltà indù e quella dei primi indo-europei (R. Thapar, “Imagi-ned Religious Communities?”, op. cit., p. 225).13Per esempi specifici cfr. Partha Chatterjee, The Na ion and ItsFragments, Colonial and Postcolonial Histories, in The ParthChatterjee Omnibus, xford University Press, 1999, New Delhi,pp. 98-100.14Gyanendra Pandey, The Co struction of Communalism in Colo-nial North India, Oxford University Press, Delhi, 1990, p. 24.15Idem, p.45.
12
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina 12
il solo scopo di disonorare le divinità presenti e dimo-
strare la loro forza e potere. Il modello politico del sul-
tanato, ad esempio, era concepito come un’entità
intrusa sul suolo indiano, non identificato da un
luogo di origine specifico o un’eredità etnica, ma piut-
tosto dalla religione islamica, quasi che la religione
fosse l’unica accezione con cui identificare i sovranidell’India del nord dal XIII secolo in poi.16Per giustificare tale descrizione, sia gli orientalisti
che la successiva destra indù usarono, come testi di
riferimento, gli scritti di autori medievali musulmani,
in cui le conquiste erano descritte seguendo l’iterdella ideale jih dislamica. Era in base a testi comequesti che Sita Ram Goel17parlò di un modello stan-dard di conquista musulmana: distruzione dei luo-
ghi di culto; riduzione in schiavitù dei popoli siadurante che dopo la conquista; cattura di civili da
vendere come schiavi in altre parti del mondo isla-mico; conversione forzata all’islam; riduzione alla
status di non cittadini (zimmi) per tutti i non con-
vertiti con l’introduzione di tasse discriminatorie e
confisca della maggior parte dei beni prodotti; di-
struzione della cultura popolare tramite la soppres-
sione delle istituzioni.18
16Era evidente l’origine coloniale, o comunque posteriore, di tale
idea, poiché se si consideravano i testi sanscriti contemporanei
alle invasioni, gli “stranieri” non erano mai definiti in base alla
loro religione ma secondo la loro identità linguistica, soprattutto
come turushka, turchi (Richard M. Eaton, “Introduction”, in Ri-
chard M. Eaton (a cura di), I dia’s Islamic Traditions. 711-1750,Oxford University Press, New Delhi, 2003, p. 10).17Sita Ram Goel, Hindu Temples. What Happened to Them, Vol. I,Voice Of India, New Delhi 1990, p. XX.18Che questo fosse l’iter effettivo della conquista è alquanto dub-bio perché sarebbe stato difficile riuscire a governare un popolo
con tali limitazioni, e in effetti è logico che considerazioni di ordine
13
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina 13
Anche durante il periodo coloniale, gli scontri a li-
vello sociale erano letti nella sola chiave religiosa,
senza prendere in considerazione possibilità diverse.19Questa interpretazione sarà di estrema importanzanel plasmare l’idea che i nazionalisti indù avranno deimusulmani e del loro rapporto con il suolo indiano.
1.2 La risposta dell’India indù
In risposta alle critiche negative degli studiosi, e
contro le attività dei vari missionari cristiani,20la
componente indù della società indiana si sollevò perattuare delle riforme, proponendo il ritorno alla vera
tradizione religiosa incarnata dagli antichi testi sacri,
i Veda.Già nei primi decenni del XIX secolo erano stati
creati, da parte di intellettuali indiani, dei movimentiper modernizzare la religione indù. Nel 1828 era stato
fondato da Ram Mohan Roy (1774-1833) il Brahmo
pratico abbiano avuto maggiore peso in politica (Yohanan Fried-mann, “Islamic Thought in Relation to the Indian Context”, inR. Eaton (a cura di), India’s Islamic Tradition, 711-1750, op. cit.,p. 52).19Si vedano i vari casi riportati da Gyanendra Pandey. Grazie all
comparazione di più fonti, l’autore dimostrò che i resoconti dei
vari Gazetteeringlesi avevano sempre la stessa impostazione e
che, nel corso degli anni, essi riportavano notizie in maniera sem-pre più distorta, basandosi su pregiudizi, biasimi e common sense
(G. Pandey, Th Construction of Communalism in Colonial North
India, op. cit., p. 25).20Dopo il 1813 le missioni cristiane si diffusero capillarme te,mostrando la loro avversione verso il politeismo indù e il sistema
castale. Anche a livello legislativo si promulgarono alcune riformeper eliminare pratiche che destavano particolare scalpore, come
la prostituzione sacra delle devadasi, i matrimoni tra minori e il
suicidio delle vedove, sati(Christophe Jaffrelot, The Hindu Natio-nalist Movement and Indian Politics. 1925 to the 1990s, enguinBooks, New Delhi, 1996, p. 14).
14
tesi:tesi 30/11/2009 15.29 Pagina 14