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La combinazione di strumenti economici e principi di psicologia aiuta le teorie
economiche normative, costruite su fondamenta assiomatiche, a superare l’impasse
che le sistematiche anomalie riscontrabili empiricamente causano, mettendo in
discussione la validità degli assunti sui cui tali teorie si fondano.
Le deviazioni dai principi normativi hanno messo in evidenza la debolezza predittiva
della teoria dell‟utilità, nonché la conseguente necessità di individuare gli
appropriati meccanismi psicologici responsabili del processo di decisione.
Lo sviluppo di una teoria descrittiva, basata su evidenze sperimentali, che spieghi
come effettivamente le persone assumono le loro decisioni, può aiutare a rispondere
in modo meno ambiguo alle aspettative predittive del modello.
Il processo di sconto, e il tasso con il quale si manifesta, è un tema centrale nella
letteratura economica perché (riguardando il comportamento del singolo come la sua
manifestazione aggregata) interessa la maggior parte delle sue branche, dal
marketing alla finanza, fino alle scelte di politica economica. L‟attraente
caratteristica del tasso di sconto è che rappresenta un parametro sufficiente a spiegare
la misura e la direzione della volontà del consumatore singolo e della somma di
numerosi e differenti consumatori, nel compiere un bilanciamento di opportunità
intertemporali.
In particolare, una considerevole evidenza empirica identifica gli individui come
fortemente impazienti. Gli uomini mostrano un tasso di sconto più alto nel breve
termine che nel lungo termine (Frederick et al. 2002), e questo fatto è stato
interpretato come correlazione inversa fra impazienza e ritardo fra momento della
scelta ed effettiva disponibilità del bene: al crescere di tale ritardo, aumenta la
capacità dei soggetti di esercitare autocontrollo, mentre essa decresce al ridursi del
ritardo (Prelec 2004). Questi risultati hanno, evidentemente, un peso importante nel
modellare il meccanismo di scelta intertemporale degli individui, con implicazioni a
livello aggregato nella politica economica, per esempio interessando il consumption
smoothing, l‟utilizzo di carte di credito, la partecipazione a programmi di previdenza
o fondi pensione, o, ancora, la questione del riscaldamento globale, per quanto
riguarda scelte intertemporali di tipo intergenerazionale.
L‟obiettivo di questo lavoro riguarda gli effetti del tipo di ricompensa sulle scelte
intertemporali dei soggetti. Questo tema è stato recentemente esplorato in una serie
di studi (fra gli altri, Kirby, Guastello 2001; Estle et al. 2007; Rosati et al. 2007), i
quali hanno messo in luce una differenza significativa fra scelte con ricompense
secondarie (tipicamente, denaro) e scelte con ricompense primarie (di solito cibo o
bevande, ma talvolta anche sigarette o eroina): in particolare, l‟uso di ricompense
primarie in compiti di scelta intertemporale sembra indurre una maggiore
propensione a optare per la ricompensa minore e a breve termine (impulsività),
rispetto a quanto avvenga in scelte fra ricompense secondarie di valore analogo
associate al medesimo ritardo. Questo effetto è stato sistematicamente osservato in
soggetti affetti da tossicodipendenze, confrontando i loro tassi di sconto per le
sostanze di cui erano dipendenti rispetto ad analoghe quantità di denaro: si è
verificato che i fumatori mostrano tassi di sconto più elevati per ricompense in
termini di sigarette rispetto a quanto non facciano per ricompense monetarie (Bickel
et al. 1999; Odum, Baumann 2007), e lo stesso avviene per eroinomani con scelte
relative a, rispettivamente, eroina e soldi (Madden et al. 1997; 1999), e per alcolisti
rispetto a scelte con bevande alcoliche piuttosto che denaro (Petry 2001).
Se questo effetto fosse limitato a soggetti affetti da fenomeni di dipendenza, sarebbe
facile spiegarlo come ridotta capacità di ritardare il consumo della sostanza di cui si è
dipendenti, il che appare piuttosto ovvio. Ma l‟uso di ricompense secondarie induce
tassi di sconto minori, e dunque maggiore propensione ad aspettare, anche in soggetti
non affetti da dipendenze, e anche usando ricompense per le quali non sussiste alcun
fenomeno di dipendenza (Kirby, Guastello, 2001; Rosati et al., 2007; Elste et al.,
2007).
Questi effetti del tipo di ricompensa sulle scelte intertemporali dei soggetti non
hanno finora trovato una spiegazione univoca e convincente. La maggiore
propensione all‟attesa indotta da ricompense secondarie potrebbe dipendere da una
facilitazione del controllo inibitorio legata all‟uso di ricompense non
immediatamente consumabili, oppure dal ritardo introdotto fra acquisizione e uso
della risorsa nel caso di ricompense monetarie (sugli effetti dei ritardi post-
acquisizione sulle preferenze temporali, si veda Hyten et al. 1994), o dalla multi-
funzionalità tipica del denaro, o ancora da una minore motivazione legata a
ricompense alimentari. Lo studio qui presentato si propone proprio di verificare
direttamente una delle varie ipotesi alternative per spiegare l‟effetto del tipo di
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ricompensa sul tasso di sconto, e di escluderne alcune altre: ipotizziamo che il tipo di
ricompensa moduli la forza motivazionale associata alla sua massimizzazione, a
prescindere dalla presenza o meno di ritardi associati all‟opzione maggiore, e che
quindi la maggiore propensione a scegliere l‟opzione più cospicua in compiti di
scelta intertemporale con ricompense secondarie riveli la natura fortemente
motivante di quest‟ultime (rispetto ad analoghe quantità di cibo o bevande), e non un
effetto diretto sulla “pazienza” o “impulsività” dei soggetti.
Tale variazione del meccanismo motivazionale offrirebbe una spiegazione dei dati
esistenti sulle preferenze dei soggetti in scelte intertemporali con ricompense
primarie o secondarie: queste ultime non interverrebbero riducendo l‟impulsività dei
soggetti rispetto alla dimensione temporale, bensì motivandoli maggiormente alla
massimizzazione rispetto alla quantità. Una forte motivazione è finalizzata
all‟ottenimento di un risultato che potrebbe spingere l‟individuo a massimizzare
l‟esito delle sue scelte, in contesti con rinforzi secondari, non avvertendo (o
avvertendo meno) il costo imposto dall‟attesa.
Per trovare conferma alla nostra ipotesi si è utilizzato un protocollo misto, che
combina un compito di scelta con alternative fisse e ritardo stabile fra ricompense
reali (monetarie o alimentari, a seconda della condizione) con una procedura per la
stima del tasso di sconto in scelte fra alternative monetarie di tipo ipotetico.
Gli esperimenti sono stati ospitati dall‟Istituto di Scienze e Tecnologie della
Cognizione del CNR di Roma (ISTC-CNR) per l‟intero periodo di ricerca e di studio
(Settembre 2009 / Febbraio 2010).
Abbiamo testato 112 soggetti, dai quali sono stati, successivamente, esclusi 26
soggetti, i quali hanno dichiarato di aver compiuto scelte casuali e/o di non aver
gradito il cibo e/o di essere sazi già prima del test.
Per mettere a punto una procedura sperimentale adeguata abbiamo ritenuto
opportuno effettuare preliminarmente uno studio pilota con 34 soggetti, usando solo
ricompense primarie, senza e con ritardo.
Le condizioni testate nella fase sperimentale sono state quattro: H1, ricompense
primarie senza ritardo; H2, ricompense primarie con ritardo; H3, ricompense
secondarie senza ritardo; H4, ricompense secondarie con ritardo.
Abbiamo ritenuto conveniente estendere l‟utilizzo della condizione di controllo
(stesse quantità di ricompensa, ma senza alcun ritardo associato all‟opzione
maggiore) anche alla condizione con ricompense secondarie (H3). Questo
rappresenta un‟importante novità rispetto alle tre condizioni tipicamente utilizzate in
letteratura nel confrontare tipi diversi di ricompense in compiti di scelta
intertemporale: ricompensa primaria senza ritardo, ricompensa primaria con ritardo,
e ricompensa secondaria con ritardo (Kirby & Guastello 2001; Elste et al. 2007;
Rosati et al. 2007). In questa ulteriore condizione di controllo, i soggetti sceglievano
tra una quantità minore di denaro (venti centesimi di euro) o una quantità maggiore
(sessanta centesimi), entrambe immediatamente disponibili. Dal confronto tra le due
condizioni di controllo (H1, con ricompense primarie, e H3) abbiamo, infatti,
evidenziato una significativa differenza tra le due condizioni nelle preferenze
accordate all‟opzione maggiore in assenza di ritardo; potendo escludere, in questo
caso, la percezione personale dei costi associati al ritardo nella disponibilità,
suggeriamo sia la motivazione a spiegare l‟evidenza empirica.
I risultati ottenuti a seguito dei test effettuati emerge con chiarezza una conferma alle
nostre ipotesi: è significativamente più forte la propensione a massimizzare piccole
quantità di denaro piuttosto che piccole quantità di cibo, sia in presenza che in
assenza di ritardo.
Inoltre, la procedura sperimentale utilizzata ha reso possibile confrontare i diversi
comportamenti di sconto in presenza di ricompense e ritardi reali, con ricompense e
ritardi ipotetici, evidenziando così una significativa discrepanza fra queste due
condizioni. Sembra emergere la presenza di due tipologie di attesa radicalmente
diverse (aspettare e posporre), con effetti drammatici sui comportamenti
intertemporali dei soggetti, e significative implicazioni per futuri studi sulle
preferenze temporali dei soggetti.
Il presente lavoro di tesi muove i suoi passi passando in rassegna, dapprima, la
letteratura esistente sulla nozione di scelta intertemporale, senza tralasciare una
disamina del concetto di razionalità nelle scienze economiche (Capitolo 1). Le
implicazioni e le possibili applicazioni di una moderna visione del processo di sconto
per la teoria del marketing sono approfondite nel Capitolo 2. Infine, il capitolo 3 è
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interamente dedicato allo studi sperimentale condotto (ipotesi, descrizione del design
sperimentale e discussione dei risultati) ed alle precedenti ricerche empiriche.
1. CAPITOLO: Contesto teorico
1.1. Razionalità economica
Verso qualsiasi ambito della scienza si rivolga la nostra attenzione non si può
prescindere dal notare il ruolo fondamentale del concetto di razionalità. Non è infatti
un caso che proprio la scienza venga considerata l‟attività umana razionale per
eccellenza.
Questo termine d‟altronde si presta a numerose interpretazioni. Già la scuola
aristotelica separava l‟idea di razionalità teoretica o epistemica da quella pratica.
Rispettivamente, la razionalità epistemica è la capacità dell‟uomo di individuare
criteri di scelta e di giudizio per l‟interpretazione degli stati del mondo attraverso un
ragionamento coerente e basato su conferme empiriche; la razionalità pratica, invece,
si rivela nella riflessione sulle azioni da compiere, qui ed ora, al fine di agire bene in
una certa situazione. Questa distinzione è utile per identificare i due campi di
indagine della razionalità, quello riferito alle modalità del ragionamento e quello
riferito, invece, alle modalità dell‟azione.
Tra queste due diverse modalità esiste un legame profondo ed evidente, almeno per
quanto riguarda gli esseri umani: l‟azione razionale è conseguente ad un pensiero
razionale. Entrambe infatti compongono la comprensione del mondo, la sua
conoscenza e la trasmissione di questa attraverso protocolli simbolico-linguistici
codificati.
Naturalmente il punto di partenza dell‟analisi della razionalità si trova nel rapporto
che lega il pensiero all‟azione, un legame di tipo causale tra un ragionamento
corretto, in senso neoclassico
1
, e un‟azione razionale. Questo è il bivio dove
economia e psicologia cognitiva prendono due strade differenti e parallele: la
psicologia cognitiva è interessata al problema della correttezza dei ragionamenti, dal
momento che la riflessione su questo tema rappresenta una condizione preliminare
per analizzare, a seguire, le decisioni economiche razionali; l‟economia, invece,
assume assiomaticamente che le modalità di ragionamento dei decisori economici
siano corrette.
1
L‟impostazione neoclassica della nozione di razionalità sarà affrontata nel dettaglio nel paragrafo
1.1.1, 1.2 e 1.3.
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La scienza economica si propone di studiare le scelte degli agenti economici in grado
di soddisfare le loro funzioni obiettivo dati i vincoli di disponibilità. Questa
definizione riflette la struttura logico-matematica che fonda l‟economia politica, in
virtù della quale il campo di indagine viene ristretto alle sole scelte razionali, sia
degli individui singolarmente che di imprese e organizzazioni. Si può affermare
quindi che un soggetto si pone degli obiettivi e per raggiungerli utilizza dei mezzi
materiali: l‟economia presuppone che gli obiettivi siano descritti da una funzione di
massimizzazione dell‟utilità e che i mezzi debbano essere utilizzati minimizzando le
risorse (rispettando, quindi, il criterio base di economicità).
Da sempre sono molti gli autori che hanno cercato di descrivere come e perché gli
uomini manifestano comportamenti non razionali: consumare droghe, alcol e
sigarette, giocare d‟azzardo, instaurare relazioni distruttive, fallire nel portare a
termine i propri piani e procrastinare. Il fatto che le persone scelgano
consapevolmente qualcosa di cui si potrebbero pentire in futuro è un paradosso che
ha ispirato numerose teorie in psicologia, filosofia, economia e in molte altre scienze
sociali e del comportamento2.
Comportamenti autodistruttivi e debolezza della volontà sono nozioni, però, che
richiedono uno spazio maggiore nelle moderne teorie sul comportamento umano e
sulla razionalità.
Attualmente le scienze cognitive rappresentano l‟approccio più diffuso, sia per
quanto riguarda la ricerca empirica che la teoria, per affrontare i problemi connessi
all‟irrazionalità umana.
Il tradizionale approccio dell‟economia politica, invece, non si preoccupa di
assorbire nei suoi modelli elementi di psicologia della scelta, l‟atto finale del
processo di scelta deve essere identificato come l‟esito logico e coerente di un
ragionamento fondato su presupposti in parte noti solo al soggetto (le preferenze
personali), e in parte pubblici o almeno conoscibili da terzi (i mezzi e i fini). La
possibilità di comportamenti irrazionali, in quest‟ottica, viene vista come un
fallimento nella massimizzazione dei guadagni attesi, quindi dell‟utilità.
2
In psicologia il tema della procrastinazione e della scelta intertemporale è stato ben affrontato da
Silver e Sabini (1981); Ferrari et al. (1995); Milgram e Naaman (1996); Tice e Baumeister (1997);
Miceli (2008). Per studi economici sul fenomeno, si veda Akerlof (1991); O‟Donoghue e Rabin
(1999; 2001; 2008); Ariely e Wertenbroch (2002).
La teoria dell‟utilità rappresenta indubbiamente il modello teorico principale
all‟interno dell‟orizzonte degli studi sulla decisione classica, ma per definizione
proprio questi modelli assumono alla base dei comportamenti individuali una
nozione di razionalità rigida e poco aderente alla realtà. Come può spiegare, questo
approccio, perché gli uomini spesso falliscono nello scegliere l‟alternativa
“migliore”?
Comportamenti che contraddicono le norme della massimizzazione dell‟utilità si
osservano molto spesso nella realtà. Chiunque, in un momento di sincerità,
ammetterà di aver preso nella propria vita una decisione apparentemente irrazionale,
di aver assunto un comportamento in qualche modo perverso (basta pensare alla
dipendenza che crea il tabacco, l‟alcol o, perché no, la televisione). Nella maggior
parte dei casi queste condotte non sono ingenui errori di valutazione, ma il prodotto
di una robusta motivazione, che persiste malgrado la consapevolezza dei costi che si
dovranno sostenere. Si sbaglia sapendo di sbagliare, con perversa lucidità.
La dipendenza da sostanze è uno dei più evidenti esempi di questo enigma. Spesso si
accusano le proprietà biologiche delle sostanze, anche in presenza di consumatori
esperti che consapevolmente si provocano, da sobri, delle ricadute. Dipendenze che
non comprendono sostanze psicotrope, come quelle causate dal gioco d‟azzardo o
dall‟abuso di carte di credito, presentano le stesse caratteristiche di una
tossicodipendenza quando manifestano la stessa portata: l‟improvviso sentimento che
preoccupa il tossicodipendente, l‟adattamento delle cellule celebrali coinvolte nel
sentimento di piacere che queste dipendenze creano3. Si crea così un collegamento
concettuale con una vasta categorie di “cattive abitudini”, delle quali le persone
asseriscono possano liberarsi banalmente in qualsiasi momento: attacchi d‟ira,
eccessiva promiscuità, procrastinazione cronica, inclinazione ad instaurare
unicamente relazioni dannose. Si tratta di tutti quei fenomeni comportamentali che i
pensatori greci classici avrebbero ricondotto ad akrasia, vale a dire a tutti quei casi in
cui il soggetto si trova a compiere volontariamente e intenzionalmente un‟azione, pur
considerandola contraria alla linea di condotta ottimale in quella medesima
circostanza. L‟akrasia (o akrateia dal greco: mancanza di forza, autocontrollo,
3
Ainslie (2001), Becker, Murphy (1988), Becker, Grossman, Murphy (1994), Wray, Dickerson
(1981), Hernnsyein, Prelec (1992), Kirby, Petry, Bickel (1999), Vuchinich, Simpson (1998).
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debolezza della volontà, incontinenza) è considerata una forma irrazionale d‟agire
perché il suo occorrere genera un‟anomalia nei processi razionali che regolano il
passaggio dalla fase di deliberazione e di formulazione de giudizi a quella di
implementazione dell‟azione. Secondo la definizione di Davidson (1980), un agente
è caratterizzato da akrasia se e solo se:
ξ L‟agente compie l‟azione intenzionalmente;
ξ L‟agente crede che ci sia un‟azione alternativa per lui aperta;
ξ L‟agente giudica che sarebbe meglio scegliere l‟azione alternativa.
L‟akrasia rientra, per questa sua connotazione paradossale, all‟interno della più
generale categoria delle “irrazionalità motivate”, ovvero deviazioni più o meno gravi
dai criteri di ragionevolezza conseguenti a procedimenti intenzionali.
Al contrario dell‟abuso di sostanze psicotrope, questi atteggiamenti non dipendono in
modo essenziale da distorsioni delle motivazioni indotte da fattori esogeni, bensì dai
processi cognitivi e decisionali del soggetto in assenza di alterazioni farmacologiche.
La semplicità della teoria dell‟utilità ha teso a escludere o marginalizzare queste
tematiche inerenti la razionalità, o meglio, la razionalità imperfetta del
comportamento umano. Se il processo di scelta si presenta solo come un problema di
massimizzazione delle ricompense, il ruolo della motivazione nello scegliere
sistematicamente un‟alternativa peggiore si mostra come un fatto di poco conto, dal
momento che ogni fallimento della massimizzazione può essere causato unicamente
da un errore nel processo di stima dell‟utilità.
Per questi motivi la teoria dell‟utilità si trova a dover affrontare un importante limite
che, ancora, non è stato superato.
Per superare questa impasse è necessario indicare un criterio di razionalità più ampio
di quello affermato dalla teoria neoclassica, la quale assume l'onniscienza e
l‟infallibilità umana4, ed esclude perciò qualsiasi situazione di razionalità limitata.
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In particolare, seguendo J.M. Keynes, quando si fa riferimento alla teoria classica “ci si riferisce alla
tradizione inglese classica (o ortodossa)” la quale presuppone che i rischi possano essere determinati
esattamente tramite il calcolo attuariale. Anche se gli economisti classici non lo affermano
esplicitamente, essi considerano che il calcolo delle probabilità sia in grado “di ridurre l‟incertezza al
medesimo stato calcolabile della certezza stessa”. Si veda J.M. Keynes (1978, trad. it., p. 148)