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pioniere: una grande intelligenza, al tempo stesso nutrita di fatti e sistematica, curiosa e
profonda nella riflessione»3. Eppure, nonostante questi riconoscimenti, il nome di
Bachofen compare nei manuali di antropologia4 o di sociologia in modo ancora del tutto
marginale, come se tuttora la sua opera facesse fatica ad essere assorbita nell‟Olimpo
delle scienze umane.
Indubbiamente il nome di Bachofen evoca un tema assai controverso, il matriarcato,
argomento che nella storia del genere umano ha sempre suscitato prese di posizione
accese, come accade ogniqualvolta troviamo al centro della ricerca un soggetto
riguardante il “potere”, «perché di questo, in realtà, si tratta, quando si discute così
appassionatamente del “matriarcato”: dell‟attribuzione o meno del potere alle donne,
intendendo per potere il potere “politico”, lo stesso di cui si parla quando si fa la storia
maschile, o meglio la storia tour court, quella che riguarda la leadership del gruppo»5 .
L‟approccio a uno studio su Bachofen non è mai stato neutro, pacifico, ma per forza di
cose, ci verrebbe da dire, ogni tipo di orientamento è portato a confrontarsi (e talvolta a
scontrarsi) con tutte le posizioni che lo hanno preceduto in proposito.
Bachofen appartiene a quella schiera di pensatori che non può essere trattata con il
dovuto “distacco”, come si conviene per un qualsiasi altro autore. Quando al centro
della controversia c‟è il tema del “potere” (in senso lato), occuparsi di esso vuol dire
immediatamente “essere coinvolti”, poiché qualsiasi conclusione che si potrà trarre da
quello studio non potrà mai esimersi da un‟ulteriore presa di posizione che susciterà a
sua volta, da parte del lettore, un rifiuto o un consenso, esso stesso nuovamente fonte di
ulteriori controversie. Se poi a tutto questo aggiungiamo che l‟oggetto del contendere
non riguarda soltanto il potere in senso lato, ma il potere declinato al femminile, allora il
coinvolgimento diventa duplice, in quanto prende in considerazione non soltanto una
presa di posizione intorno al potere tout court, ma inerisce a tutta la storia e lo sviluppo
del genere umano.
Questo aspetto del coinvolgimento, che abbiamo messo in evidenza, rivela allo stesso
tempo l‟illusione di poter rimanere neutrali nella ricerca antropologica. Ogni ricerca in
quanto tale esprime sempre e comunque un particolare punto di vista: è quel che
abbiamo cercato di dimostrare parlando, nel primo capitolo di questo lavoro, dei
rapporti tra le diverse scienze cosiddette “umane”. Ogni punto di vista esprime interessi
tesi a essere affermati e condivisi, espressione di una visione del mondo che si vorrebbe
prevalente: è quanto accaduto nella seconda metà dell‟Ottocento, quando le potenze
europee volevano imporre il loro dominio, attraverso il processo colonialista,
spacciandolo per un‟opera di civilizzazione. La nascita e la diffusione dell‟antropologia
aveva questo scopo, spesso non del tutto consapevole, cioè dare un‟arma teorica che
giustificasse agli occhi dei colonialisti (e dell‟opinione pubblica del tempo) la loro
opera di distruzione del tessuto culturale entro il quale le popolazioni colonizzate
avevano sino a quel momento vissuto e intrecciato le loro quotidiane esistenze.
Tutto questo accadeva nello stesso momento in cui in Europa il processo di
industrializzazione cominciava a scardinare i pilastri della famiglia patriarcale, facendo
emergere una “questione femminile” che poneva alla società nuove regole di
3
F. Jesi, Bachofen, a cura di Andrea Cavalletti, Bollati Boringhieri, Torino 2005, p. 10.
4
Ugo Fabietti, nella sua Storia dell‟antropologia (Zanichelli, Bologna 2001), dedica a Bachofen
poche righe.
5
I. Magli, Il matriarcato e il potere delle donne, a cura di Ida Magli, Feltrinelli, Milano 1978, p.
11. A questo testo rimandiamo per una ricostruzione puntuale del significato del termine
“Matriarcato” nella storia del pensiero umano.
4
convivenza sociale e le donne cominciavano a porsi non più come “oggetti” della storia
e della società bensì come “soggetti” autonomi. A questa volontà di affermazione le
cosiddette scienze sociali risposero cercando di riportare le cose all‟ordine: se la società
patriarcale è lo stadio di sviluppo più alto della storia, intaccarne le fondamenta
significava far regredire la civiltà ad un‟epoca remota e superata del corso storico:
«Questo schema evolutivo, che prevede la “restaurazione in una forma superiore della
libertà, dell‟uguaglianza e della fraternità delle antiche gentes” e concepisce il progresso
come “un movimento fatale imposto dal destino a tutti i popoli” tuttavia non ha retto al
vaglio delle ricerche successive dell‟etnologia»6.
Una storia che procede seguendo uno schema evolutivo diventa un modo per riportare la
donna al posto che il “fato” le ha assegnato in seno alla famiglia e alla società: custode
del focolare e depositaria della funzione riproduttiva. Sennonché, come accade in tutte
le concezioni che contemplano la storia come un cammino progressivo, per riuscire ad
affermare la validità dell‟ultimo e supremo stadio è necessario attraversare i livelli
inferiori. Così il potere degli uomini si giustifica in base all‟esistenza di un precedente
potere femminile, inscrivibile all‟interno di uno stadio inferiore dello sviluppo umano. È
tuttavia curioso che anche il movimento femminista al suo apparire abbia avvertito la
necessità impellente di andare alla ricerca delle sue “nobili” origini, trovandole in una
ipotetica epoca storica dell‟umanità, epoca in cui la sovranità, incarnandosi
nell‟elemento materno, era ispirata alla mitezza e all‟uguaglianza, a dimostrazione che il
potere espresso dalle donne fosse non solo migliore ma anche superiore a quello
maschile: «Basare le aspirazioni femministe attuali sull‟uso del potere in passato,
significa rafforzare le pretese maschili, basate sull‟uso costante, continuo e sulla
detenzione stessa del potere. Più che studiare le epoche in cui le donne ebbero (forse) il
potere, mi sembra più utile studiare quelle in cui certamente non lo ebbero»7.
Insomma, è singolare che per affermare la propria autonomia presso il pubblico colto
quel movimento avesse sentito l‟esigenza di confortare con indiscutibili prove storiche
l‟esistenza di un potere femminile in un lontano passato delle origini.
Di conseguenza un siffatto argomento non poteva essere trattato in modo “oggettivo”,
ma veniva caricato volta per volta di tutte le ambiguità ideologiche del tempo.
Lo stesso pensiero di Bachofen intorno alla cosiddetta “ginecocrazia” si caratterizza per
questa indeterminatezza di fondo, con quale occorre fare i conti. Da un lato c‟è chi
esalta l‟intero cammino compiuto dalla storia per giungere allo stadio ultimo e più
elevato, la società patriarcale, dall‟altro chi ne esalta alcune tappe, quale appunto quella
di una “presunta” sovranità femminile, mettendola maggiormente in rilievo. Dal nostro
punto di vista, invece, abbiamo cercato di criticare l‟impianto schematico che sottostà
alla concezione del matriarcato di Bachofen: «Lo sviluppo del genere umano non
conosce salti, né progressi improvvisi; ovunque graduali trapassi, ovunque numerosi
stadi, ciascuno dei quali porta in sé – per così dire – il precedente e il susseguente»8.
Noi siamo partiti dalla convinzione che la storia non ha una meta verso cui dirigersi, e
che la storia sia soltanto un processo di cui di volta in volta possiamo tracciare alcune
delle tappe, senza avere la pretesa o la presunzione di poter determinarne la direzione in
6
P. Angelini, Le cattive madri: l‟emarginazione della donna e il mito “maschile” del
matriarcato, Savelli, Roma 1974, p. 21.
7
G. Conti Odorisio, Matriarcato e patriarcalismo nel pensiero di Hobbes e Locke, in I. Magli,
Il matriarcato e il potere delle donne, cit., p. 37.
8
J. J. Bachofen, Il Matriarcato. Ricerca sulla ginecocrazia del mondo antico nei suoi aspetti
religiosi e giuridici, 2 voll., a cura di Giulio Schiavoni, Einaudi, Torino 1988, p. 34.
5
modo aprioristico. Invece, come scrive esplicitamente Moretti, «il punto di riferimento
fondamentale dell‟indagine di Bachofen consiste nell‟intuizione che la storia abbia un
senso, abbia cioè significato e direzione. Tale intuizione è di natura religiosa in senso
ampio, non semplicemente fideistica»9. Ebbene, è proprio questa concezione della storia
che ci siamo impegnati a scardinare e perciò abbiamo cercato di individuare le radici da
cui tale concezione della storia ha preso le mosse.
Ne‟ “Il lato oscuro della cultura” abbiamo messo in evidenza le tensioni che hanno
caratterizzato il percorso intellettuale di Bachofen e i suoi “controversi” rapporti con il
suo maestro Savigny, fondatore della Scuola Storica del Diritto. Partendo da uno
spunto, offerto da Benjamin, quando parla dell‟“amore per il suo luogo natio”, abbiamo
considerato il legame di Bachofen con la sua terra. Infatti, come scrive Benjamin, la
«coscienza civica non avrebbe d‟altra parte mai potuto raggiungere in lui un tale vigore
se non fosse stata profondamente impregnata di un sentimento ctonio»10.
Da qui siamo passati a descrivere l‟ambiente familiare entro cui Bachofen è stato
educato e le sue origini patrizie; la scelta degli studi, coerente con la sua avversione per
gli usi pratici della cultura, a cui preferiva una sorta di Teoreticòs Bios di aristotelica
memoria.
Successivamente, abbiamo trattato i suoi rapporti con la Scuola storica di Savigny (che
abbiamo definito come il suo “lato diurno”), e l‟uso che egli fa del diritto romano per
addentrarsi nella storia antica più che per comprendere la storia presente; l‟emergere
dell‟altro aspetto dei suoi interessi, ossia il “lato notturno”: i rapporti con il
romanticismo mistico (Creuzer, Görres, il simbolo e il mito).
Si è parlato di una svolta nei suoi studi dopo il primo viaggio a Roma (1842) quando è
venuto a contatto per la prima volta con le antiche tombe e queste sue ricerche
confluiranno nell‟opera sul simbolismo funerario degli antichi in cui già troviamo
addensate le dicotomie che faranno da linee guida della sua opera intera.
L‟ultimo capitolo è interamente dedicato all‟opera sul matriarcato (e alla sua ricezione)
in cui Bachofen teorizza in modo articolato e complesso l‟esistenza storica di uno stadio
della società in cui la trasmissione dei beni e del nome avveniva per via materna e in cui
il governo spettava alle donne (ginecocrazia), ispirato al “principio di Demetra” , dea
greca del grano, dell‟agricoltura e delle stagioni (Demetra significa infatti “madre terra):
al suo avvento l‟umanità ebbe il suo primo ordinamento giuridico secondo un diritto
naturale e universale, distinto dal diritto positivo fissato in leggi scritte con il successivo
imporsi del patriarcato. Nella concezione di Bachofen, il principio di Demetra, connesso
alla pratica del matrimonio monogamico e dell‟agricoltura, soppianta una fase
precedente e barbarica defintita “eterismo”, caratterizzata dall‟arbitrio dei maschi che,
fisicamente più forti, abusano sessualmente delle donne; l‟ordine matriarcale declinerà a
sua volta per far posto a una fase superiore della civiltà, spirituale e patriarcale,
nettamente contrapposta alla potenza tellurica della ginecocrazia.
Il periodo dell‟amazzonismo o imperialismo femminile, superamento cruento della fase
eterica o afroditica, è una fase intermedia preparatoria alla futura ginecocrazia demetrica
e riappare anche dopo la fase matriarcale di tipo demetrico vero e proprio, durante la
quale le donne abusano del potere causando una degenerazione del matriarcato stesso; la
ribellione degli uomini contro codesti abusi dell‟amazzonismo (vittoria definitiva del
9
G. Moretti, Presentazione a Bachofen, Il matriarcato. Storia e Mito tra Oriente e Occidente,
Christian Marinotti Edizioni, Milano 2003, p. 8.
10
W. Benjamin, Il viaggiatore solitario e il flâneur. Saggio su Bachofen, a cura di Elisabetta
Villari, il Melangolo, Genova 1998.
6
principio maschile) sancisce la vittoria dello spirito sulla natura, del diritto positivo
contrapposto allo ius naturalis, con il prevalere del diritto civile e delle religioni
apollinee.
Tutto questo, oltre che essere visibile in miti e simboli consolidati nell‟antica epoca,
costituisce anche lo sfondo delle culture classiche e delle civiltà cosiddette storiche.
Non a caso, il passaggio dal matriarcato al patriarcato ci è stato tramandato, nella sua
forma più intensa e sensibile, da Eschilo, nella trilogia dell‟Orestea, dove il
protagonista, per vendicare il padre Agamennone, uccide la madre Clitennestra.
Secondo il diritto antico, un tale delitto era inespiabile ed il reo sarebbe stato
perseguitato dalle Erinni fino alla pazzia e alla morte. In sua difesa, però, interviene
L‟Apollo iperboreo, garante della giustizia e della sovranità di Zeus-padre, il quale,
complice anche l‟appoggio di Atena (figlia di Zeus e priva di madre, designata giudice
dal pubblico processo), lo accompagna all‟assoluzione e lo investe della dignità e della
missione di innalzare l‟umanità oltre i vincoli del tellurismo più profondo e della
vendetta che si conclude inevitabilmente con l‟estinzione della stirpe.
Il giudizio sulla superiorità del patriarcato è ribadito ripetutamente e non è affatto una
concessione all‟ideologia accademica e al senso comune; l‟identità stessa di Bachofen
come studioso “anomalo”, se non eccentrico, esclude a priori una tale eventualità; con
tutto questo, la simpatia di Bachofen per il principio materno e per l‟antica società a
diritto ginecocratico è evidente e viene espressa ripetutamente con calda eloquenza.
Bachofen basò la sua ricerca molto più sull‟analisi delle fonti letterarie e dei miti che su
reperti archeologici, e tale prevalenza dell‟analisi filologica non sorprende: le ricerche
archeologiche sistematiche e scientifiche non avevano ancora iniziato la loro grande
stagione, la civiltà minoica di Creta e gli scavi di Evans erano ancora di là da venire e
passeranno molti anni prima che sia identificata- sulla base di reperti- quella civiltà pre-
patriarcale che Marja Gimbutas ha denominato antico-europea.
Bachofen, data la sua formazione giuridica, scovava nei testi classici greci e latini (di
storiografi, poligrafi e drammaturghi) gli indizi da cui si potesse dedurre lo stato del
diritto civile nelle varie città ed etnie antiche, estendendo la ricerca ai miti, sempre più
convinto che in essi fosse presente un elemento irriducibile di verità storica, anche se lo
studioso basilese si rendeva conto che il suo metodo poteva offrire il fianco alla critica
razionalistica. Consapevole delle accuse che gli vengono mosse e di quanto il suo
atteggiamento stridesse con la cultura del tempo, egli si prefigge comunque di aderire
all‟oggetto del suo studio. Emblematico è il sarcasmo con cui Benedetto Croce giudica
la sua svolta: egli scrive che Bachofen, stimato seguace della rigorosa scuola filologica
tedesca, nel cui spirito aveva scritto per oltre due decenni le sue dissertazioni, “a circa
quarantacinque anni ebbe il suo colpo di fulmine, ed entrò nel nuovo e definitivo suo
periodo mentale, che egli chiamò, o è stato chiamato, mistico, e che io ho definito
afilologico o misfilologico”11.
La concezione bachofeniana del mito, e la nuova conseguente interpretazione della
storia passata, non ebbe infatti un seguito immediato nella cultura accademica, che anzi
la ostracizzò, però col tempo ebbe un‟enorme risonanza, influenzando tra l‟altro
Kerény, Jung, Engels e il pensiero femminista.
11
Il brano di B. Croce è citato in Roy Garré, Fra diritto romano e giustizia popolare: il ruolo
dell‟attività giudiziaria nella vita e nell‟opera di Johann Jakob Bachofen(1815-1877),
Klostermann Ed., Frankfurt am Main, 1999.
7
Il pensiero di Bachofen è attraversato da istanze metafisiche e storiche che corrono in
modo parallelo e complementare, per cui inevitabilmente risulta in ultima istanza vano
voler confermare con prove storiche ciò che è fondato su convinzioni metafisiche.
Come ha scritto Jesi, la scoperta del diritto materno è «alterata in tutti i suoi riferimenti
e le sue implicazioni da un disegno metafisico-teologico che finisce per snaturare la
scoperta stessa»12.
Alla strenua ricerca di ulteriori e continue convalide alle sue teorie, Bachofen è quasi
costretto ad estendere il suo campo di indagine sia in termini temporali che geografici;
approdando, a partire dagli studi sull‟antichità, all‟antropologia sociale.
Ancora, Jesi, nel suo saggio in prefazione all‟edizione italiana de Il matriarcato, mette
in guardia dal tentativo, spesso operato, di “salvare Bachofen da se stesso”: date le
incongruenze e le molte inesattezze filologico-linguistiche dell‟opera, alcuni studiosi
avrebbero cercato di proporre una attualità parziale, una validità superstite di Bachofen.
Tutto inutile, sostiene Jesi, lasciate Bachofen a se stesso, perché egli in sostanza è stato
un uomo di religione, un adoratore della Dea, e la sua enorme opera non è altro che una
ramificazione della sua originaria intuizione religiosa.
Non ha senso, in altri termini, cercare di forzare il suo pensiero in una determinata
direzione anche se ben note sono le letture più disparate che si sono fatte della sua
opera, dai gruppi femministi francesi a padre Agostino Gemelli che si appoggiava a
Bachofen nel 1921 per contrastare una proposta di introduzione del divorzio in Italia.
Il testo bachofeniano rimane tuttavia un riferimento prezioso, sia come premessa
ineludibile a qualsiasi discussione su una fase storica non patriarcale, sia come esempio
di religiosità moderna, sganciata non solo dalle confessioni, ma dal dogma monoteista
stesso.
12
F. Jesi, I recessi infiniti del «Mutterrecht», in J. J. Bachofen, Il Matriarcato. Ricerca sulla
ginecocrazia nel mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici, Einaudi, Torino 1988 p.
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