2
sperequazione tra le classi. Quindi i risultati raggiunti hanno senz‟altro confermato il
giusto interesse degli economisti riguardo la questione della sperequata distribuzione
del reddito all‟interno della classe lavoratrice. In più hanno però mostrato che nei
diversi Paesi considerati la distribuzione del reddito tra le classi è forse ancor più
accentuata che tra i soli lavoratori, e di conseguenza non andrebbe trascurata. Infatti,
come vedremo meglio in seguito, si nota come nella maggioranza dei Paesi analizzati,
la dispersione tra le classi è maggiore di quella attinente la sola classe lavoratrice. Ad
esempio in Italia la dispersione tra le classi raggiunge circa il quindici percento mentre
quella interna alla classe lavoratrice solo il sei percento. Allora, se esiste un divario
nella distribuzione del reddito all’interno della classe lavoratrice e la letteratura ne
tiene conto nelle sue teorie, perché mai l‟esistente divario tra le classi non deve essere
affrontato dalle moderne teorie? Se la questione del conflitto tra le classi è passata negli
ultimi anni in secondo piano nella letteratura economica, ci si chiede se sia lecito
riportarla al centro degli interessi di ricerca degli economisti. Dai risultati ottenuti la
risposta non può che essere affermativa.
Il primo capitolo della tesi è dedicato alla esposizione delle teorie della
distribuzione del reddito prevalenti prima e dopo gli anni Ottanta. Vedremo che fino
agli anni Settanta il dibattito si è concentrato sul confronto tra teorie della distribuzione
tra le classi di tipo neoclassico, e le teorie alternative di stampo marxista, kaleckiano e
post-keynesiano. Dagli anni Ottanta in poi, invece, il dibattito dominante è stato tutto
interno all‟approccio neoclassico, e si è soffermato sulle analisi teoriche della
distribuzione tra i soli lavoratori. Il secondo capitolo della tesi è dedicato alla nostra
analisi statistica della distribuzione. In esso saranno descritte le basi di dati e la tecnica
di calcolo della dispersione dei redditi. Il terzo capitolo trae le conclusioni dall‟analisi
statistica, e in particolare si sofferma sul confronto tra l‟andamento della dispersione
dei redditi interna alla classe lavoratrice, e l‟andamento della dispersione tra le classi.
Infine, l‟appendice è dedicata alle specifiche dei dati raccolti, e si conclude con una
breve sintesi della tesi.
30 marzo 2009
M. A.
3
Capitolo I
1.1 Premessa
Il Novecento è stato un secolo ricco di contributi della letteratura economica
sui temi inerenti il mondo del lavoro e diverse sono state le teorie che sono
state elaborate sulla questione della distribuzione del reddito. Alcune di queste
ultime verranno menzionate di seguito per capire quali tra di esse possono
essere utili ad illustrare la situazione odierna delle classi sociali.
L‟analisi riportata nei capitoli successivi conduce a dei risultati che non
rispecchiano le condizioni del mondo del lavoro, le quali emergono invece da
alcune teorie della letteratura economica. Questo capitolo si propone quindi di
richiamare alcuni principi che sono stati dettati dagli economisti per capire
quali tra questi possono essere ancora di attuale rilevanza e quali invece non lo
sono. Principi che sono stati elaborati nel corso del Novecento prima e dopo gli
anni Ottanta. E‟ infatti in questo periodo che si assiste al cambiamento di rotta
tra due diverse visioni economiche del mondo del lavoro.
Fino agli anni Ottanta ha prevalso sostanzialmente una visione del sistema
economico incentrata prevalentemente sulla distribuzione tra le classi sociali e
in particolar modo sulla “lotta” tra capitalisti e lavoratori. Dagli anni Ottanta in
poi ha invece prevalso una visione concentrata solo sulla distribuzione interna
alla classe lavoratrice “dimenticandosi” in qualche modo di quella esistente tra
lavoratori e non lavoratori.
Le teorie correnti tendono quindi a mettere in secondo piano l‟esistente
conflitto tra lavoro e non lavoro per concentrarsi prioritariamente su quello
presente all‟interno della classe lavoratrice.
Leggendo i risultati dell‟analisi condotta in questo elaborato si ci accorge che
sarebbe lecito attendersi un ritorno agli interessi dimostrati dagli economisti
prima degli anni Ottanta, infatti, la sperequazione tra la classe lavoratrice e non
lavoratrice esiste e non si può non tenerne conto.
4
Introdotto l‟argomento si espongono di seguito gli argomenti principali dettati
dagli economisti prima e dopo gli anni Ottanta del secolo Novecento.
1.2 Teorie principali fino agli anni ‘80.
L‟economia di mercato secondo l‟impostazione neoclassica si basa
sostanzialmente sul fatto che ogni individuo entra nel mercato liberamente ed
in base alle sue capacità sceglie un‟attività lavorativa.1 Potrà essere un
imprenditore ed allora acquisterà materie prime, lavoro e disporrà di prodotti e
servizi da offrire sul mercato. Potrà essere alternativamente il lavoratore
salariato di una certa impresa. “Il processo economico consiste dunque in un
grande scambio, nel corso del quale i lavoratori cedono lavoro e (attraverso
l‟intermediazione del salario) si procurano in cambio merci, mentre gli
imprenditori acquistano servizi lavorativi e cedono in cambio merci”.2
Il processo economico viene considerato secondo una prima impostazione
come sincronizzato. In esso la produzione viene avviata in un momento
qualsiasi e viene considerata istantanea, cioè, diventa del tutto irrilevante il
tempo necessario per trasformare un input in output. Quindi in ogni istante gli
imprenditori ricevono i proventi della produzione finita e li utilizzano per
coprire i costi produttivi. Questa impostazione può però essere verosimile solo
se riferita ad un‟economia stazionaria. Infatti, se in ogni ciclo di produzione si
ottiene sempre un quantitativo standard di merce e i ricavi delle vendite
ottenute in ogni istante coprono esattamente i costi per avviare la produzione,
allora, il meccanismo della sincronizzazione spiega come si svolge il ciclo
economico ma non come esso viene avviato.3
In una seconda impostazione il processo economico viene visto dalla scuola
neoclassica come messo in moto da un insieme di scambi simultanei tra le
diverse figure di lavoratori, consumatori e imprenditori. In questa visione “[…]
si immagini che gli scambi avvengano tutti simultaneamente, dopo una fase di
contrattazione nel corso della quale si sono individuati prezzi e quantità di
1, 2, 3
Graziani (1992).
5
equilibrio”.4 Questa impostazione è senz‟altro valida rispetto la precedente ma
non è realistica perché non tiene conto dei tempi tecnici del processo
produttivo.
La crescita della ricchezza reale di un Paese è basata sull‟introduzione dei
miglioramenti. Tra di essi emerge la divisione del lavoro.5 Attraverso la
divisione del lavoro il processo produttivo viene suddiviso in un certo numero
di operazioni consequenziali e separate, ognuna svolta da un addetto. In questo
modo non solo aumenta l‟abilità del lavoratore ma viene dato impulso alla
ricerca di nuovi modi di operare. Secondo Adam Smith “nella società
capitalistica esiste un processo cumulativo che procede secondo la sequenza:
divisione del lavoro, crescita della produzione, diminuzione dei prezzi,
allargamento dei mercati, intensificazione della divisione del lavoro, aumento
della produttività del lavoro e così via; un vero e proprio circolo virtuoso di
sviluppo”.6
La crescita economica è innescata dalla divisione del lavoro ed è alimentata
dall‟accumulazione del capitale. Smith ha separato il capitale fisso dal capitale
circolante. Il primo comprende macchine, impianti, edifici; il secondo si
utilizza per comprare materie prime, lavoro ed energia. Il fondo salari è la parte
del capitale circolante per remunerare i lavoratori, cioè, è la parte dei beni
prodotti in un ciclo produttivo che serve per sostentare i lavoratori impiegati
nel ciclo produttivo successivo. “I salari, infatti, vengono pagati in anticipo
rispetto alla vendita del prodotto e per i capitalisti, che li anticipano,
costituiscono capitale.”7
Le tre classi fondamentali in un contesto economico sono: i capitalisti, i
lavoratori e i proprietari terrieri. Essi si differenziano per il tipo di requisiti
produttivi che posseggono, ovvero, capitale, lavoro e terra, e per il modo in cui
spendono i loro redditi, profitti, salari, e rendite. La propensione al risparmio
dei proprietari terrieri è nulla proprio perché non hanno capitale produttivo,
non sono interessati all‟accrescimento e al risparmio; essi non partecipano
4 Graziani (1992).
5, 6, 7
Screpanti e Zamagni (2004) Volume I.
6
all‟accrescimento della ricchezza nazionale. I lavoratori posseggono solo il
lavoro. La loro propensione al risparmio è nulla perché essi percepiscono il
reddito di sussistenza che è tale per la forza che i capitalisti hanno nel mercato
del lavoro e quindi sulla sua definizione. I capitalisti hanno il capitale
produttivo e mirano al suo accrescimento; la loro propensione al risparmio è
molto elevata. Quindi più è alta la quota del reddito della nazione che va ai
profitti, più alto sarà l‟accrescimento della ricchezza di una nazione.
L‟interesse generale della nazione coincide allora con l‟interesse particolare
della classe borghese – capitalista.8
Adam Smith nell‟affrontare i problemi dei differenziali salariali afferma: “I
vantaggi e gli svantaggi dei diversi impieghi del lavoro e dei fondi nello stesso
ambiente devono nella loro totalità essere perfettamente eguali o tendere
continuamente all’eguaglianza. Se in uno stesso ambiente un impiego fosse in
modo evidente più o meno vantaggioso degli altri, sarebbero così numerose le
persone che vi si affollerebbero nel primo caso o che lo abbandonerebbero nel
secondo, da far si che presto i suoi vantaggi tornerebbero allo stesso livello di
quello degli altri impieghi. Così almeno avverrebbe in una società dove le cose
fossero lasciate al loro corso naturale, dove esistesse perfetta libertà e dove
ciascun uomo fosse perfettamente libero sia di scegliere l’occupazione da lui
giudicata più conveniente, sia di cambiarla ogni volta che gli sembrasse
opportuno. L’interesse spingerebbe ogni uomo a ricercare l’impiego
vantaggioso e ad abbandonare quello svantaggioso”. 9
Il testo citato affermerebbe l‟interpretazione neoclassica riferita alle scelte
individuali esposte ad inizio paragrafo. Smith aggiunge che per aversi
eguaglianza nel mondo del lavoro è necessario che le differenze tra i salari
riflettano le differenze di penosità dell‟impiego.
Esiste invero una visione critica della società che è invece basata sul concetto
di divisione di classi: la classe proprietaria e la classe lavoratrice.10 Questo
approccio abbandona l‟idea secondo cui i singoli operatori si muovono su un
terreno di sostanziale eguaglianza.
8, 9
Screpanti e Zamagni (2004) Volume I.
10 Graziani (1992).
7
Tra le due classi nasce un inevitabile conflitto perché la prima ottiene dal
processo produttivo la proprietà di tutti i nuovi mezzi di produzione prodotti
mentre la seconda ottiene dal processo produttivo solo il consumo necessario
alla propria riproduzione.
Questa visione fa funzionare il processo economico attraverso una successione
di fasi distinte, ognuna alimenta la successiva ed è alimentata dalla precedente.
Per attivare il processo produttivo è necessario che l‟imprenditore acquisti
lavoro per trasformare l‟input in prodotti finiti. Per questo ha necessità di un
finanziamento iniziale che in genere ottiene da una banca. Con la liquidità
ottenuta l‟imprenditore paga i salari ai lavoratori e in più acquista gli altri
fattori produttivi. Considerando che questi ultimi vengono acquistati da altre
imprese, allora l‟unico esborso esterno che le imprese compiono è nei confronti
della forza lavoro. La liquidità creata si trasforma quindi in salari.
Gli imprenditori si avvalgono degli input ottenuti per la fabbricazione di beni
di consumo e mezzi di produzione, cioè, investimenti. Gli investimenti non
possono essere venduti ai lavoratori bensì ad altre imprese. I beni di consumo,
invece, vengono alienati ai lavoratori che li ottengono spendendo i loro salari.
Se i lavoratori consumano integralmente i loro salari, vuol dire che vendendo i
beni di consumo gli imprenditori entrano in possesso della liquidità creata
inizialmente per pagare i salari. Quindi posso estinguere l‟originario debito nei
confronti della banca. Estinguono però il capitale avuto a prestito, non gli
interessi nel frattempo maturati sullo stesso. Allora per pagare questi ultimi,
l‟imprenditore vende anche gli investimenti prodotti. In questo modo il circuito
si chiude, infatti, i lavoratori hanno ottenuto in cambio delle loro prestazioni
dei beni di consumo, gli imprenditori hanno ottenuto un profitto sotto forma di
nuovi mezzi produttivi e la banca ha ottenuto interessi in cambio del
finanziamento iniziale.11
Viene a crearsi così una divisione fondamentale tra le classi che rimane come
costante nel corso degli anni nelle teorie formulate dagli economisti.12
11 Graziani (1992).
12 Nella visione walrasiana, l‟economia è formata da una pluralità di soggetti che sono presenti sul
mercato o come consumatori o come offerenti di servizi produttivi o come imprenditori. Il processo
economico nasce dall‟incontro, sul mercato, di questi vari soggetti: i servizi produttivi sono acquistati
dagli imprenditori e trasformati in beni, i quali sono acquistati o da altri imprenditori, che se ne servono a
8
Il problema principale ora attiene alla distribuzione del reddito prodotto in una
Nazione tra coloro che partecipano alla produzione in un‟ economia di mercato
formata da operatori economici che assumono decisioni a livello individuale.
“Nell‟ambito di un‟economia di mercato, il problema della distribuzione del
reddito coincide largamente con il problema della formazione dei prezzi”.13
Seguire questa affermazione vuol dire che una volta che si sa come si formano
i prezzi a livello generale, si sa anche il modo in cui si formano i salari nel
mercato del lavoro e i profitti dei capitalisti imprenditori.
I neoclassici presuppongono che il mercato del lavoro sia di concorrenza
perfetta e che ogni lavoratore conduce trattative private con gli imprenditori.
Secondo questa visione (di dubbio realismo), non esistono le classi sociali
contrapposte, infatti, il lavoratore può scegliere di essere un imprenditore o un
lavoratore salariato. La distinzione può essere basata solo per le funzioni
economiche svolte dagli individui (lavoratori, consumatori, imprenditori).
Il sistema economico neoclassico non richiede quindi l‟uso del concetto di
classe; si può avere un sistema economico senza concepirlo come diviso nelle
classi dei capitalisti e del proletariato. Quindi non essendovi classi
contrapposte non si instaurano rapporti di sfruttamento a vantaggio di alcuni ed
a danno di altri. Il sistema capitalistico viene considerato equo. Oltre ad essere
equo è anche efficiente perché realizza la migliore utilizzazione delle risorse
produttive disponibili. Tutti questi pregi si hanno in quanto in ogni mercato
vige concorrenza perfetta.14
Il pensiero dei neoclassici si fonda inoltre sul presupposto che tutti i redditi
possono essere ricondotti a redditi da lavoro. “Anche il profitto è il compenso
scopi produttivi, o dai consumatori finali. Questi ultimi sono coloro che hanno fornito i servizi produttivi
e che acquistano i beni prodotti dagli imprenditori spendendo il reddito che hanno ricevuto in cambio dei
servizi produttivi. Quindi in questa rappresentazione non c‟è posto per il concetto di classe sociale. Vi
sono invece due gruppi di individui tra loro differenziati: quello dei consumatori e quello degli
imprenditori, e la differenziazione è basata unicamente sulla diversità delle decisioni che essi sono
chiamati a prendere. L‟insieme dei consumatori decide la composizione e il livello dei consumi, e quindi
quello del risparmio; l‟insieme delle imprese decide il livello e la composizione della produzione e
dell‟investimento. Le decisioni dei consumatori non dipendono dal tipo di reddito che ricevono, ma solo
dalla sua grandezza. Che il reddito di un individuo derivi per l‟80% da lavoro e per il 20 % da capitale o
viceversa non fa alcuna differenza. Venendo meno il legame tra categorie di reddito e modi di spesa,
viene eliminata in pari tempo la contrapposizione tra salari e profitti, da un lato, e consumi e investimenti,
dall‟altro. Screpanti e Zamagni (2004) Volume I.
13, 14 Graziani (1993).
9
di una particolare attività lavorativa, quella dell‟imprenditore che coordina la
produzione, ne sopporta il rischio, garantisce il progresso introducendo
innovazioni tecnologiche”.15
Una nozione particolare di profitto viene data da Nassau William Senior il
quale sostenne che “il profitto doveva essere inteso come un reddito legittimo,
in quanto necessario a remunerare il capitalista per il periodo di tempo durante
il quale ha consentito che il capitale venisse impiegato.”16 Quindi il profitto
secondo questa impostazione viene visto come il sacrificio sostenuto per
mettere il capitale a disposizione della produzione.
Secondo Senior il lavoro e la terra sono le sole forze originarie di produzione.
L‟impiego di capitale fa aumentare la produttività di quei fattori primari; però
fornendo capitale si sostiene un sacrificio, il quale dà vita ad un c.d. terzo
fattore produttivo. La teoria dell‟astinenza di Senior indica che tale astinenza è
proprio il differimento del piacere insito in un atto di risparmio. Il profitto è la
remunerazione di tale sacrificio.
Ritornando al discorso precedente, il salario non è più legato quindi al livello di
sussistenza come definito nella teoria classica, allora il lavoratore può spendere
oltre il necessario per sopravvivere. Inoltre il fatto che ogni reddito venga
ricondotto a reddito da lavoro stabilisce un principio neoclassico secondo cui
attraverso il lavoro è possibile accumulare capitale e quindi passare dalla
posizione di lavoratore salariato a quella di capitalista imprenditore. Il pensiero
neoclassico rifiuta la suddivisione dei soggetti economici in classi, visione
quest‟ultima che è del pensiero classico.
Detto questo, la scuola neoclassica dimostra che, nell‟ambito dei redditi da
lavoro, ogni persona ottiene una quota del reddito prodotto in uno Stato
proporzionale allo sforzo da esso dato per la sua produzione. Questo porta alla
teoria della distribuzione basata sulla produttività marginale dei singoli fattori
produttivi, partendo dal presupposto che la produttività marginale rappresenti
la misura corretta del contributo di ogni singolo fattore alla produzione del
reddito nazionale. La teoria neoclassica della distribuzione è infatti detta
Teoria marginalistica della distribuzione.
15 Graziani (1993).
16
Screpanti e Zamagni (2004) Volume I.
10
“Il prodotto marginale del fattore lavoro misura l‟incremento di prodotto totale
dovuto ad un piccolo aumento nella quantità applicata del fattore variabile (che
è il lavoro).”17 Quindi ogni fattore che partecipa alla produzione, di
conseguenza anche il lavoratore, viene ricompensato in relazione alla sua
produttività; se la sua produttività marginale è alta riceve un alto salario, se è
bassa il contrario.
In un mercato di concorrenza perfetta, allora, ogni unità della stessa risorsa
produttiva (come il lavoro) deve ricevere la stesa remunerazione.
“L‟applicazione di una regola come quella della produttività sembrerebbe
soddisfare due principi fondamentali: il principio di efficienza, dato che resta
esclusa la possibilità che risorse improduttive possano prendere parte alla
distribuzione del reddito e possano continuare a essere prodotte, e il principio
di equità, dal momento che sembra eticamente legittimo che ciascuno prelevi in
rapporto a quanto ha contribuito a produrre. In altri termini, ogni classe ottiene,
per legge naturale, l‟equivalente del suo contributo alla produzione. La stessa
nozione di sfruttamento perde ogni significato in un simile contesto.”18
Un altro contributo importante alle teorie sulla distribuzione del reddito tra le
classi è dato da Michal Kalecki. Egli parte dall‟idea di una società capitalistica
divisa nelle due classi dei capitalisti – imprenditori e lavoratori dipendenti. Le
sue teorie sono incentrate sulla contrapposizione dei loro interessi sul mercato
che determinano anche la distribuzione del prodotto tra salari e profitti.19
17
Graziani (1993).
18
Screpanti e Zamagni (2004) Volume I.
19
Per Walras, l‟impresa è in equilibrio quando il profitto si annulla a seguito della concorrenza tra
imprenditori. In effetti, nel sistema walrasiano vi è una sola categoria di massimizzatori: i consumatori.
Gli imprenditori sono dei meri coordinatori che organizzano l‟attività di produzione prendendo tecnologie
e prezzi come dati. L‟imprenditore walrasiano compra gli input di cui ha bisogno per produrre il suo
output. Se i ricavi superano i costi l‟imprenditore registra un profitto. L‟esistenza di un profitto, positivo o
negativo, è un segnale di disequilibrio. L‟imprenditore reagisce a tale segnale secondo la regola:
aumentare la scala di produzione quando il profitto è positivo, diminuirla quando il profitto è negativo.
Pertanto scriveva Walras, in uno stato di equilibrio gli imprenditori non realizzano ne profitti ne perdite.
Il profitto dipende da circostanze eccezionali e non normali. Per Walras, quindi, la scelta di fare
l‟imprenditore è un fatto puramente accidentale. Potrebbe trattarsi di un capitalista, il quale pagherà allora
i servizi del lavoro e della terra ai rispettivi proprietari trattenendo per sé un residuo che dovrà eguagliare,
in equilibrio, gli interessi sui servizi resi dal suo capitale. Oppure potrebbe essere un lavoratore che, dopo
aver pagato i servizi del capitale e della terra, otterrebbe un residuo pari, in equilibrio, al suo salario. Lo
stesso nel caso in cui fosse un proprietario terriero a decidere di fare l‟imprenditore. Poiché i profitti sono
nulli in equilibrio, l‟identità socio – economica dell‟imprenditore è del tutto irrilevante. Gli imprenditori
11
Il punto di partenza è che il reddito nazionale può essere visto come una
somma di consumi e di investimenti. Si suppone inoltre che i consumi dei
lavoratori coincidono con i salari e i consumi dei capitalisti coincidono con i
profitti.
Se la società è divisa nelle due classi degli imprenditori e dei lavoratori, per le
imprese che agiscono in un‟economia chiusa, l‟unica forma di costi è
rappresentata dal lavoro. Kalecki dichiara che il grado di monopolio delle
imprese determina il margine di profitto che esse sono in grado di realizzare
rispetto ai costi, e cioè rispetto ai salari pagati. Una volta determinato il profitto
viene determinata anche la distribuzione del prodotto nazionale nelle due quote
del salario e del profitto. Allora la distribuzione del reddito nazionale è
determinata dal grado di monopolio delle imprese, e va quindi considerata
come un elemento dato in ogni situazione.20
Un altro fattore importante nella visione kaleckiana è costituito dall‟idea che la
spesa dei lavoratori e quella dei capitalisti sono diversamente articolate. Infatti,
i lavoratori acquistano i beni di consumo solo se hanno in precedenza un
reddito monetario; i consumi dei lavoratori dipendono quindi dai salari erogati,
questo sotto l‟ipotesi semplicistica che i salari vengono spesi per intero per
acquistare beni di consumo. La spesa degli imprenditori capitalisti, invece, è
indipendente dal reddito dal momento che esiste il finanziamento bancario.
Siccome i capitalisti devono quanto meno chiudere i loro conti in pareggio è
necessario che attraverso l‟attività produttiva si formi un reddito tale da coprire
le spese e tale da restituire alle banche il finanziamento. Quindi in equilibrio ci
deve essere un volume di profitti tale da coprire i consumi dei capitalisti e i
loro investimenti.
Kalecki afferma che “poiché i lavoratori devono prima guadagnare per poter
spendere, essi spendono quanto guadagnano; poiché invece i capitalisti
spendono anche senza avere alcun guadagno preventivo, e sarà l‟equilibrio del
si guadagnano da vivere non in quanto imprenditori ma in quanto proprietari terrieri, lavoratori o
capitalisti. Schumpeter sosterrà che questa costruzione teorica è brillante ma incapace di far presa sulla
realtà. Screpanti e Zamagni (2004) Volume I.
20
Graziani (1992).
12
sistema a garantire loro un reddito sufficiente a coprire le loro spese, essi
guadagnano quanto spendono”.21
Kalecki spiega attraverso il teorema dell‟orcio della vedova che “[…] I
capitalisti possono decidere di consumare e di investire in un dato periodo più
che nel periodo precedente, ma essi non possono decidere di guadagnare di più.
Sono quindi le loro decisioni circa l‟investimento e il consumo che
determinano i profitti”.22
Il reddito nazionale è determinato dagli investimenti, dalla propensione al
consumo dei capitalisti e dalla distribuzione del reddito determinata dal grado
di monopolio delle imprese. Le spese dei capitalisti costituiscono un elemento
autonomo perchè deciso in base alla loro volontà, non è necessario che abbiano
prima guadagnato in quanto possono fare affidamento sul credito bancario. Si
determina in questo modo il livello dei profitti che essi dovranno guadagnare
affinché la loro posizione sia in equilibrio e cioè affinché il loro reddito sia
corrispondente alle loro spese.
Una volta determinato il livello dei profitti, poiché il grado di monopolio fissa
la quota dei profitti nel reddito nazionale, viene determinato anche il livello del
reddito nazionale. Quindi il grado di monopolio delle imprese determina la
quota di reddito che spetta alle imprese e per differenza quello che spetta al
lavoro.
Il passo successivo è stato indirizzato nel trovare il livello di reddito e di
occupazione che viene generato dalle decisioni di investimento degli
imprenditori. Kalecki giunse alla soluzione attraverso la legge di Bowley che
sostanzialmente indica che la quota dei salari sul reddito è costante nel tempo.
“Dati gli investimenti e la quota profitti sul reddito, quanto più bassa è la
propensione al risparmio dei capitalisti tanto più è alto il livello del reddito
necessario per fornire i risparmi richiesti per finanziare quegli investimenti”.23
Infine egli ha cercato di risolvere il problema della determinazione della quota
di profitti basandosi principalmente su tre ipotesi: non esiste concorrenza
perfetta; i costi variabili medi delle imprese sono costanti finché non si
21
Graziani (1992).
22, 23
Screpanti e Zamagni (2004) Volume I.