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Come si vedrà col Modello di Ulrich, il ruolo dell’HRM si espande,
prevedendo attività incentrate, da un lato, sia sulle persone che sulle
procedure, e dall’altro, sia sull’aspetto strategico che operativo.
Anche i numerosi processi all’interno del sistema di gestione del personale
subiscono delle variazioni, conseguentemente alle innovazioni tecnologiche
e alla nuova cultura organizzativa improntata sulla valorizzazione delle
risorse umane. Proprio tale valorizzazione diventa il filo conduttore, cui i
processi di pianificazione, selezione, formazione, valutazione, retribuzione,
carriera e comunicazione devono tendere.
L’importanza assunta dal capitale umano, e conseguentemente dalla
funzione aziendale deputata alla sua gestione, vengono ulteriormente
chiarite nel secondo capitolo, dedicato al Diversity Management. Al
personale di oggi, chiamato a lavorare in contesti diversi – di tipo
economico, culturale, etnico, linguistico, comunicativo – spetta il compito
di garantire un’aderenza tra esigenze, gusti, e caratteristiche della variegata
domanda di riferimento da un lato, e servizi, prodotti, valori aziendali
dall’altro. Il potere del management delle diversità risiede dunque nella
capacità di rispecchiare i mutamenti della società, sempre più multietnica,
importando all’interno dell’azienda un microcosmo rappresentativo del
mercato di riferimento. Dunque, valorizzare il cliente interno per migliorare
la relazione col cliente esterno. Non a caso, infatti, tale forma di
valorizzazione delle risorse umane, recentemente comparsa nel nostro
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Paese, è invece consolidata da tempo nel Nord America, in cui il melting
pot razziale è una realtà storicamente radicata.
Il Diversity Management investe ogni aspetto della vita aziendale, dalla
direzione del personale – cui spetterà il compito di implementare il nuovo
modello di gestione delle risorse umane -, alle vision e mission fondanti la
cultura organizzativa, fino alla strategia aziendale.
Il livello di investimenti, in termini economici e non, richiesto da una tale
attuazione rende indispensabile anche l’analisi di situazioni che possono
condurre un’azienda a decidere di non aderire al diversity, soprattutto a
causa della previsione di lungo periodo tra investimenti effettuati e risultati
ottenuti.
Il terzo capitolo cerca di fornire degli esempi applicativi di management
della diversità, attraverso l’analisi di casi di eccellenza. Tali approcci non
possono che configurarsi come soggettivi, in quanto dipendenti dalle
caratteristiche specifiche dell’azienda, quali: il suo business, il mercato di
riferimento, la sua cultura, il ciclo di vita aziendale e del settore, le risorse
disponibili e le pressioni interne ed esterne alla valorizzazione della
diversità. Il proposito dell’analisi di pratiche concrete di diversity non sarà
dunque quello di fornire meri casi da imitare, bensì di presentare modalità
alternative di definizione e gestione delle diversità nella popolazione
aziendale.
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Saranno riportati cinque casi internazionali (Royal Bank, DERA, Philip
Morris, BBC e British Telecom), derivanti dall’esperienza di altrettanti
manager interculturali intervenuti in occasione di un workshop organizzato
da Istud; si tratta di casi già noti negli studi di settore, ma a partire dai quali
– a conclusione di capitolo – si procederà ad una sintetica e personale
analisi comparativa.
Il quarto e ultimo capitolo è dedicato ad una variabile determinante in
merito alla decisione di accogliere o meno il Diversity Management: la
presenza e i livelli di integrazione degli stranieri nel territorio di
riferimento. Tali dati sono il presupposto per una decisione oculata sulle
necessità di impiego e diffusione del Diversity Management.
In particolare, ci concentreremo sul nostro Paese, e su: ragioni migratorie,
origini degli immigrati, occupazioni prevalenti, fattori di integrazione e
differenziazione culturale. I dati quantitativi sul fenomeno
dell’immigrazione in Italia provengono in prevalenza dal Rapporto Caritas
del 2003 e dall’indagine dell’associazione Assirm pubblicata l’anno
successivo.
Verranno poi descritte due condizioni prevalenti presso gli stranieri nel
nostro Paese, ossia la loro concentrazione nei bad jobs (o cattivi lavori),
nonché nel lavoro sommerso. Si tratta di due aspetti che contribuiscono a
classificare l’Italia un gradino sotto rispetto a chi si trova ad affrontare la
questione della valorizzazione lavorativa dello straniero; il nostro Paese,
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infatti, deve ancora confrontarsi con i momenti antecedenti
dell’accettazione e integrazione socio-lavorativa dell’immigrato.
Sulla base di tali dati, descriveremo le principali dinamiche che collocano
l’Italia in una fase di transizione rispetto al tradizionale modello aziendale
di gestione delle HR, per la presenza di fattori che spingono a un impiego
diffuso del Diversity Management.
Verrà infine descritto un caso italiano di management delle diversità, ossia
il “Progetto Personale Multilingue” di Poste Italiane S.p.A., il quale
prevede l’inserimento in azienda – tra gli altri – di personale straniero, da
impiegare con la qualifica di Operatore di Sportello. Il caso di Poste Italiane
è stato analizzato in prima persona, sulla base di dati direttamente forniti da
un responsabile aziendale.
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1. LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE IN AZIENDA
INTRODUZIONE
La gestione del personale ha visto nel tempo modificare il proprio ruolo in
azienda.
Inizialmente, nelle grandi organizzazioni in cui era prevista tale funzione,
essa si limitava ad assicurare il rispetto dei vincoli giuridico-amministrativi
da parte della forza lavoro e nei loro confronti. Nel tempo le sue funzioni si
sono ampliate in parallelo all’importanza attribuita alla risorsa uomo, fino a
diventare strumento proattivo nel raggiungimento del vantaggio
competitivo dell’intera azienda.
Il passaggio dal concetto di “forza lavoro” a quello di “risorsa umana”
diventa dunque esemplificativo dell’impegno che il management delle HR
si trova oggi a dover gestire. Da un lato, a livello organizzativo, la
molteplicità di processi che è chiamato a supervisionare – dalla selezione in
entrata allo sviluppo di carriera del personale – richiederebbero competenze
derivanti da più figure specializzate e il coinvolgimento di più unità;
dall’altro lato, la corretta implementazione di politiche aventi per destinatari
gli stessi soggetti, necessitano di un forte coordinamento. Si configura
quindi un nuovo sistema di gestione delle HR, connotato da maggiore
complessità e allo stesso tempo da un unico filo conduttore, una vision, che
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contenga i valori su cui basare le molteplici politiche di gestione del
personale.
Come vedremo, nuovi fattori sono diventati determinanti nell’indirizzare
l’impegno dello Human Resource Management. Tra questi, lo sviluppo di
una cultura organizzativa partecipata, che ponga in primis le esigenze dei
singoli lavoratori, e non più soltanto del vertice aziendale, al centro delle
politiche delle risorse umane. Motivazione e soddisfazione del “cliente
interno” diventano gli obiettivi basilari della funzione del personale,
attraverso cui adempiere ai desideri di autorealizzazione lavorativa dei
dipendenti, e su cui imperniare le politiche di pianificazione, selezione,
formazione, valutazione, retribuzione, carriera e comunicazione interna.
Tali attività sono state investite da mutamenti che ne hanno innovato il
modus operandi, in particolare grazie all’innovazione tecnologica e ai
mutamenti del mercato, la cui instabilità ha reso necessario lo sviluppo di
tecniche per valorizzare le competenze distintive apportate dalle risorse
umane.
Risulta dunque necessaria una visione più ampia di gestione del personale,
che integri tre ambiti di attività:
- la supervisione delle routine produttive, riguardanti il corretto
svolgimento delle mansioni dei lavoratori, nonché la cura delle
tradizionali attività di gestione del personale sopra citate;
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- l’acquisizione e valorizzazione di capitale umano, tramite lo sviluppo
delle competenze e del potenziale – il capitale intellettuale – in grado di
dare contributi all’azienda;
- lo sviluppo di politiche di più ampio raggio, in linea e a supporto della
pianificazione strategica aziendale.
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1.1. I modelli di gestione delle risorse umane nel tempo
Sulla base dell’assetto organizzativo dell’impresa e in particolare delle
caratteristiche riguardanti la direzione del personale, è possibile tracciare un
continuum di modelli di gestione delle risorse umane, crescente per
articolazione e importanza attribuita al personale. Si tratta di modelli
presenti in strutture aziendali contemporanee, adatti ognuno a un contesto
differente. Non sempre però tali modelli sono implementati sulla base, e
successivamente all’analisi, delle caratteristiche dell’impresa e del suo
organico, così come dovrebbe essere; spesso infatti vengono utilizzati
criteri che possono rivelarsi inadeguati se non controproducenti, come la
convenienza economica, la semplificazione delle procedure o l’imitazione
di casi d’eccellenza lontani dalle proprie caratteristiche.
I modelli1 si definiscono rispettivamente di:
- amministrazione del personale
- gestione del personale
- sviluppo del personale
- valorizzazione delle risorse umane.
1
Cfr. D.Boldizzoni, Management delle risorse umane, Il Sole 24 Ore, Milano, 2007.
13
1.1.1. L’amministrazione del personale
Il primo modello si caratterizza per la mancanza di segmentazione del
personale, e la conseguente mancata individuazione di variabili rilevanti ai
fini del soddisfacimento dei loro bisogni e della valorizzazione dei loro
punti di forza. Il risultato è una direzione del personale che fornisce un
servizio indifferenziato, o al massimo sulla base di macrocategorie legate
alla qualifica, quali dirigenza, quadri, impiegati, operai, ecc.
Il personale che compone l’ufficio di direzione del personale ha una
preparazione generica sugli aspetti operativi, mentre possiede alta
qualificazione su quelli giuridico-amministrativi. L’amministrazione del
personale si incentra dunque sugli aspetti puramente contabili e burocratici,
mentre la vera gestione si sostanzia nelle soluzioni ad hoc effettuate dai
responsabili di linea del personale destinatario.
L’attività della direzione del personale viene valutata sulla base della
correttezza rispetto alle norme legislative, ai vincoli contrattuali e alle
procedure amministrative, oppure sulla base dei costi.
Tale modello di gestione è ancora presente, in particolare, negli enti
altamente burocratizzati, quali le pubbliche amministrazioni – in cui il
rispetto della norma è il fine e non il mezzo della loro attività – e nelle
piccole imprese, dove ruoli dedicati esclusivamente alle risorse umane
potrebbero essere assenti.
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1.1.2. La gestione del personale
Il secondo modello prevede che la direzione del personale non si occupi
soltanto della correttezza giuridico-amministrativa, già prevista nel
precedente modello, ma anche degli aspetti di carattere gestionale. In
particolare è prevista l’individuazione e l’implementazione di politiche che
traducano le scelte strategiche del management, nonché l’utilizzo di
tecniche specialistiche e supporti tecnici in ausilio alla linea operativa.
Come si evince dalle mansioni svolte, le politiche del personale devono
seguire e adattarsi alla strategia aziendale, a scapito dunque
dell’indipendenza nell’identificazione delle specifiche strategie di sviluppo
delle risorse umane.
Rispetto al primo modello, il seguente, nell’attuazione delle proprie
specifiche politiche, trova maggiori margini di autonomia sotto due
possibili profili alternativi:
- la cosiddetta “autonomia specialistica”, per cui la specificità del suo
compito permette alla direzione del personale di decidere quali
procedure seguire nel fornire supporto al management di linea.
Quest’ultimo però risulta ancora fondamentale nella definizione delle
politiche di HR;
- la “autonomia politica”, la quale fornisce ai responsabili del personale
il potere, e la responsabilità, di rispondere direttamente ai vertici
15
aziendali, senza passare al vaglio della line, per le attività di loro
competenza.
Nel modello di gestione del personale, gli addetti alle HR possiedono
elevate competenze in merito agli aspetti tecnici delle loro funzioni, che gli
consentono l’utilizzo di procedure e strumenti ad hoc, mentre mostrano
carenze negli aspetti di gestione, di cui non sono diretti responsabili. La
valutazione su di essi verte su criteri di efficienza ed efficacia nell’impiego
dell’organico aziendale, con particolare attenzione alla capacità di problem
solving di breve periodo.
1.1.3. Lo sviluppo del personale
Le problematiche di cui si occupa la funzione del personale riguardano
diversi livelli della struttura organizzativa: operativa, direzionale e
strategica.
Il rapporto con la line è di reciproca influenza, in quanto la direzione del
personale, non solo riceve direttive sui compiti da svolgere, ma è anche
fornitrice di input per la programmazione aziendale. Il management
partecipa al momento di elaborazione delle politiche riguardanti la gestione
del personale e diviene il delegato per gli aspetti più rilevanti di carattere
operativo. La funzione del personale, dall’altro lato, è chiamata a dislocarsi
nei vari reparti di linea per assisterli con supporti specifici.
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Le responsabilità dunque sembrano quasi ribaltarsi rispetto al modello di
gestione del personale, in cui gli addetti alle risorse umane potevano godere
di esclusivo autogoverno operativo, mentre per la definizione delle politiche
non potevano incidere sulla definizione della strategia d’impresa. La nuova
visione, invece, ricerca la collaborazione reciproca tra politiche del
personale e scelte strategiche.
Il modello di sviluppo del personale si rende adatto a contesti di business
molto dinamici in cui siano inserite imprese di medio-grandi dimensioni.
1.1.4. La valorizzazione delle risorse umane
La direzione del personale in questo modello si rende proattiva e
anticipatrice rispetto alla più generale strategia aziendale, con il compito di
sviluppare elementi determinanti per il vantaggio competitivo nel mercato.
La capacità di portare a termine tale compito diventa il criterio attraverso
cui i vertici aziendali valuteranno la performance della funzione del
personale. L’obiettivo da conseguire si traduce operativamente nella
creazione e gestione di cosiddetti invisibile asset, risorse intangibili e
competenze, aventi caratteristiche di scarsità (poco diffuse nelle imprese
concorrenti), rilevanza (rispetto ai fattori critici di successo del mercato) e
appropriabilità (possibilità di acquisirne il controllo da parte dell’impresa) 2.
2
Cfr. F. Fontana, M. Caroli, Economia e gestione delle imprese, McGraw-Hill, Milano, 2003.
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Esempi di invisibile asset sono: la reputazione e l’immagine aziendale, le
relazioni con gli stakeholder esterni e interni, la professionalità e
motivazione delle risorse umane, il grado di coesione interna, le conoscenze
accumulate, ecc.
Rispetto all’obiettivo di creazione e valorizzazione di tali elementi, la
funzione del personale svolge un ruolo determinante, ma deve porsi anche
quale traide d’union per il coinvolgimento dell’intera struttura aziendale.
Al fine di ottimizzare la sua attività di sviluppo degli invisibile asset, la
direzione del personale deve procedere a segmentazioni articolate della
popolazione aziendale, non più esclusivamente di tipo gerarchico come nei
modelli passati, bensì funzionale, professionale, culturale, di performance,
fino a politiche strettamente individuali per casi che necessitano di una
gestione specifica.
Il modello di valorizzazione delle risorse umane ben si integra in imprese di
medie dimensioni, operanti in mercati fortemente concorrenziali, che
richiedono propensione al cliente e all’innovazione.
1.2. Il lavoratore come cliente interno
Per valorizzare le risorse umane è possibile operare un trasferimento dei
modus operandi tipici del marketing, dal consumatore al personale.
Identificare la popolazione aziendale quale cliente interno, porta con sé la
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necessità di attivare canali privilegiati attraverso cui possano essere
indagate attese e percezioni del personale, e la cui soddisfazione sarà alla
base anche di quella dei clienti esterni.
Per rendere operativa tale filosofia di marketing delle relazioni con il
personale, è necessario andare oltre la dicotomia teorizzata da Douglas
McGregor3, che resta comunque la base di riferimento. McGregor nel 1960
postulò l’esistenza di due modalità estreme di gestione delle risorse umane
da parte del management: secondo le ipotesi basilari della teoria X, l’uomo
sul posto di lavoro è portato a fare il meno possibile, cerca di evitare le
responsabilità, ed è motivato solo da incentivi economici; per questo i
superiori devono operare un controllo asfissiante, con ricorso a continue
minacce di punizioni. Dall’altro lato la teoria Y, dove il lavoratore è visto
come una persona motivata, che cerca l’autorealizzazione, e per questo non
disprezza le attività di responsabilità e le ricompense intrinseche.
Per quanto nel periodo degli studi di McGregor – in cui il modello di
Organizzazione scientifica del lavoro di Taylor era la norma – la teoria Y si
elevasse a massima forma di valorizzazione delle risorse umane, oggi deve
essere superata dalla prospettiva del lavoratore quale, appunto, cliente
interno all’azienda. Ciò significa che il dipendente deve essere ascoltato e
merita di essere tenuto in maggiore considerazione, a discapito dei classici
3
Cfr. D. McGregor, The Human Side of Enterprise, McGraw - Hill, New York, 1960.