INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
1. LA DIFESA IMMUNITARIA VERSO CELLULE TUMORALI
L’ospite è normalmente protetto da aggressioni interne ed esterne grazie a due tipi di
risposte immunitarie: la risposta nativa e la risposta acquisita. La prima è mediata da
granulociti, macrofagi e cellule natural killer (NK), mentre la seconda è una risposta
specifica verso un particolare antigene ed è mediata da linfociti B e T.
1.1 Immunità nativa
- I granulociti sono leucociti così chiamati per la presenza di abbondanti quantità
citoplasmatiche di granuli: sono spesso catalogati come cellule infiammatorie
poiché svolgono un ruolo fondamentale nell’infiammazione e nell’immunità
naturale ed hanno la funzione di eliminare microrganismi e tessuti morti. Si
possono distinguere tre tipi diversi di granulociti, che vengono classificati in base
alle caratteristiche di colorazione dei loro granuli in: granulociti neutrofili,
eosinofili e basofili.
- I fagociti mononucleati sono cellule la cui funzione primaria è la fagocitosi,
processo attraverso cui riescono ad inglobare l’antigene estraneo e a distruggerlo;
ciò è possibile grazie alla presenza di enzimi litici al loro interno. Fanno parte di
questa classe di cellule i monociti e i macrofagi, che derivano da progenitori
emopoietici del midollo osseo. I monociti sono rilasciati nel sangue non ancora
totalmente differenziati e, una volta insediati nei tessuti, maturano in macrofagi.
Questi ultimi rappresentano un elemento importante nell’immunità antitumorale,
in quanto esprimono recettori per il frammento Fc delle immunoglobuline e
possono quindi indirizzare la propria attività citocida verso cellule ricoperte di
anticorpi.
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- Le cellule natural killer derivano dal midollo osseo e si presentano come una
sottopopolazione di linfociti di grandi dimensioni dotati di numerosi granuli
citoplasmatici: per tale motivo inizialmente furono denominate “grandi linfociti
granulari” (Large Granular Lymphocytes, LGL).
Tali granuli citoplasmatici contengono enzimi litici, che conferiscono alle NK la
capacità di provocare la lisi delle cellule bersaglio e indurne la morte per
apoptosi. Le cellule NK sono inoltre in grado di uccidere cellule tumorali e
cellule infettate da virus; esse non esprimono recettori antigene-specifici, ma
recettori per il complesso maggiore di istocompatibilità (Major
Histocompatibility Complex, MHC) di classe I associati per lo più a segnali
inibitori.
1.2 Immunità acquisita
1.2.1 Antigeni associati al tumore (TAA)
Tra le aggressioni che allertano il sistema immunitario, un posto importante è
occupato dall’insorgenza di tumori. In questo caso, la risposta immunitaria acquisita
sarà rivolta verso antigeni tumorali, i quali si suddividono in due categorie: antigeni
tumore-specifici (Tumor Specific Antigen, TSA) e antigeni tumore-associati (Tumor
Associated Antigen, TAA). Gli antigeni tumore-specifici sono espressi
esclusivamente su cellule tumorali e, in quanto riconosciuti come estranei, sono in
grado di evocare una risposta spontanea dell’ospite. Gli antigeni tumore-associati
sono invece antigeni normalmente espressi su cellule normali, ma la cui espressione
su cellule tumorali è errata in termini di quantità, sede e tempo. Essi soltanto
raramente inducono una risposta immune dell’ospite, che nei loro confronti è
generalmente tollerante.
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1.2.2 Difesa umorale
La difesa umorale è mediata dai linfociti B, le uniche cellule in grado di produrre
anticorpi. Il loro recettore per l’antigene (B Cell Receptor, BCR) è rappresentato dalla
porzione variabile di anticorpi fissati alla membrana cellulare: l’interazione
dell’antigene con questi anticorpi di superficie determina l’attivazione dei linfociti B i
quali si trasformano in plasmacellule, capaci di produrre e secernere anticorpi, e in
cellule B della memoria che intervengono nella risposta secondaria, cioè in caso di
una seconda stimolazione da parte dello stesso antigene.
1.2.3 Difesa cellulare
Essa avviene ad opera dei linfociti T, cellule derivanti dal midollo osseo che
successivamente migrano nel timo, dove vanno incontro a maturazione. I linfociti T si
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distinguono a loro volta in due popolazioni: T helper (CD4) e T citotossici (CD8).
Le cellule T non producono anticorpi e presentano sulla loro superficie una serie di
molecole che costituiscono il sistema recettoriale per l’antigene, il cosiddetto T Cell
Receptor (TCR). Attraverso questo recettore, tali cellule sono in grado di riconoscere
solo peptidi antigenici legati a proteine MHC ed espressi sulla membrana delle cellule
presentanti l’antigene. I linfociti T helper attivati secernono citochine che a loro volta
agiscono su altre cellule attivandole, mentre i linfociti T citotossici possono uccidere
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le cellule tumorali attraverso due meccanismi:
- la produzione di IFN, citochina in grado di promuovere la generazione di cellule
+
CD4 Th1 tumore-specifiche, di cellule T citotossiche (CTL) e di stimolare
l’attività citocida dei macrofagi, facilitando lo sviluppo di una risposta
2,5
antitumorale sia nativa che acquisita;
- l’attività citolitica, ossia la capacità di uccidere direttamente le cellule tumorali:
tale attività può essere mediata dal rilascio di perforine quali il Granzyme B, una
5,6
serin proteasi in grado di indurre apoptosi nella cellula bersaglio, oppure dal
legame tra il recettore “di morte” Fas presente sulle cellule tumorali ed il suo
ligando (FasL) presente sui CTL.
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1.2.3.1 Riconoscimento diretto e indiretto (cross-presentazione)
L’attivazione della risposta delle cellule T dipende dall’appropriata presentazione
dell’antigene da parte delle cellule dendritiche (DC), facenti parte del gruppo di
cellule presentanti l’antigene (Antigen Presenting Cell, APC). Esse si sviluppano nel
+
midollo osseo a partire da cellule progenitrici emopoietiche CD34 (Hematopoietic
Progenitor Cells, HPCs), sotto il controllo di una complessa rete di molecole prodotte
+
ed espresse dallo stroma midollare; da questi progenitori CD34 deriva il precursore
emopoietico della DC presente nel sangue ovvero il monocito, caratterizzato dal
marker CD14 e non proliferante.
La capacità delle cellule dendritiche di stimolare i linfociti T si basa su due eventi:
uno è quello di processare e presentare l’antigene in associazione alle molecole MHC,
e l’altro di esporre in membrana un alto numero di questi complessi al fine di mediare
il legame con i linfociti T. Queste funzioni si sviluppano sequenzialmente durante la
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maturazione delle DC:
- quando sono immature, le iDC (immature Dendritic Cell, iDC) inglobano
l’antigene attraverso meccanismi di fagocitosi e macropinocitosi, e avvalendosi di
recettori come quello macrofagico del mannosio, Fc ed Fc;
- la cattura dell’antigene induce le DC a maturare (mature Dendritic Cell, mDC) e
ad esprimere più intensamente sulla membrana cellulare le molecole MHC e
quelle di costimolazione (CD80, CD86, CD40), nonché gli antigeni associati al
differenziamento in senso dendritico (come CD83 e p55). Nel contempo, viene
progressivamente perduta la capacità di catturare e processare l’antigene e viene
acquisita la capacità di migrare verso il linfonodo per la presentazione ai linfociti,
grazie alla regolazione positiva del recettore per le chemochine CCR7.
L’esposizione degli antigeni tumorali da parte delle cellule dendritiche per la
presentazione alle cellule T naive (priming) è un processo successivo
all’inglobamento delle cellule tumorali da parte delle iDC. Le proteine tumorali sono
clivate per opera del proteasoma, processate e presentate sulla superficie cellulare in
associazione con le molecole MHC. Le cellule T riconoscono gli antigeni tumorali e
le molecole costimolatorie presenti sulle mDC e vanno incontro ad attivazione. Gli
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antigeni self o derivanti da virus sono presentati nel contesto delle molecole MHC di
+
classe I e riconosciuti dai linfociti T CD8, mentre gli antigeni esogeni sono
presentati in membrana in associazione alle molecole MHC di classe II e sono in
+
grado di attivare le cellule T CD4. Una proprietà unica delle cellule dendritiche è la
cross-presentazione, che consiste nel caricamento di peptidi di derivazione esogena
(come quelli tumorali) su molecole MHC di classe I ed il conseguente reclutamento
dei precursori dei linfociti CD8 citotossici (cross-priming, Fig.1).
Se le cellule T riconoscono il complesso MHC-peptide su dendritiche immature o
difettose, esse andranno incontro ad anergia.
Fig. 1. Presentazione diretta e cross-presentazione [ref. 3]
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2. LE FASI DI CONTROLLO DELLA CRESCITA TUMORALE
2.1 La fase dell’immunosorveglianza
L’immunosorveglianza è la capacità dell’ospite di riconoscere tempestivamente i
cloni cellulari maligni emergenti, in modo da distruggerli prima che la massa
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tumorale possa raggiungere dimensioni critiche. Tale concetto, proposto da Burnet
nel 1970, è oggi supportato dalla scoperta di oltre 1000 antigeni tumorali umani e da
molteplici evidenze sperimentali e cliniche: nell’uomo l’infiltrazione da parte delle
cellule T, ad esempio, costituisce un potente marcatore predittivo di sopravvivenza in
molti tumori.
2.2 L’immunoevasione
Alla fase di equilibrio segue la fase di immunoevasione, che può essere il risultato di
un processo di immunoselezione (o immunoediting) oppure di una soppressione attiva
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da parte dello stesso tumore.
2.2.1 Immunoediting
L’immunoediting è la capacità del sistema immunitario di “scolpire” tumori
1,4,12
caratterizzati da scarsa immunogenicità e da un buon potenziale di sopravvivenza;
questa ipotesi fu proposta per la prima volta nel 2002 da GP. Dunn, LJ. Old e RD.
Schreiber.
Secondo la teoria dell’immunoediting, le cellule tumorali che emergono dalla fase di
equilibrio sono state modellate dal sistema immunitario nel loro microambiente e
possono perciò progredire verso la fase di evasione, nella quale la crescita tumorale
può procedere libera dal controllo del sistema immunitario e il tumore diventare
clinicamente evidente. Le mutazioni in grado di conferire resistenza all’attacco
immunologico riguardano la perdita di espressione degli Ag tumorali, e lesioni o
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