8
Le trasformazioni degli ultimi anni hanno, cosi, determinato una
progressiva e lenta riduzione del ruolo interventista dello Stato ed un
conseguente ampliamento della presenza sul mercato di operatori e
imprenditori privati.
Al ritiro dello Stato “imprenditore” ha corrisposto una nuova
organizzazione dei poteri pubblici e l’affermazione di uno Stato
“regolatore”, quale garante del servizio pubblico, promotore di regole
chiare, trasparenti e non discriminatorie, indispensabili per assicurare
una transizione ordinata al nuovo contesto concorrenziale.
Per l’approdo a siffatti risultati, si è resa necessaria l’adozione di una
serie di istituti e meccanismi pro-concorrenziali, diretti a garantire sia
l’accesso degli operatori, sia che la “lotta” tra gli stessi si svolgesse ad
armi pari.
È un dato ormai comunemente riconosciuto, da tempo messo in rilievo
da giuristi ed economisti, che le politiche di liberalizzazione dei
pubblici servizi implicano non già una riduzione, ma, almeno in una
prima fase, una più complessa articolazione degli interventi di
regolazione, di modo che quest’ultima possa assurgere a una funzione
di “ponte” che “guidi” il mercato verso un assetto concorrenziale.
La natura di servizio pubblico essenziale dell’energia elettrica ha, però,
determinato la necessità di disporre tutta una serie di regole e obblighi
in capo agli operatori del settore, diretti ad evitare che l’erogazione
privata del servizio potesse compromettere la fruizione dello stesso da
parte degli utenti, soprattutto sotto il profilo qualitativo e tariffario.
Di conseguenza, si è posto il problema di un necessario bilanciamento,
che nel presente lavoro si è cercato di analizzare, tra le istanze pro-
concorrenziali e di liberalizzazione e l’esigenza di tutela del servizio
pubblico, garantita attraverso l’imposizione di specifici obblighi di
garanzia del servizio pubblico posti in capo agli operatori e un’apposita
regolazione, rimessa, per lo più, in capo a un soggetto neutrale e
indipendente.
9
Pertanto, in un contesto di mercato tendenzialmente competitivo, la
previsione di misure regolatorie più sofisticate ed articolate rispetto a
quelle necessarie in un sistema imperniato sul monopolio legale dei
servizi ha l’obiettivo non solo di istaurare l’assetto concorrenziale, che
esige interventi che vanno ben al di là della pura e semplice
soppressione dei diritti di esclusiva legale precedentemente conferiti a
taluni operatori, ma anche quello di garantire le esigenze del pubblico
servizio.
Garantire la sicurezza e la continuità nell’erogazione di un servizio e,
soprattutto, la sua accessibilità economica e geografica (universalità)
nell’ambito di un sistema ispirato a logiche concorrenziali solleva
certamente problemi complessi, che impongono l’adozione di
specifiche regolamentazioni.
Il mercato libero in generale, è, infatti, mosso esclusivamente da
logiche economiche e monetarie che incidono sulle scelte degli
operatori; nel settore dell’energia, invece, la rilevanza essenziale del
servizio pubblico impone necessari “aggiustamenti”, affinché tali scelte
non siano pregiudizievoli per gli utenti.
Il problema è quello di stabilire fino a che punto il Legislatore possa
introdurre “correttivi” all’operatività del mercato per la tutela del
servizio .
A ciò aggiungasi un ulteriore problema che attanaglia il rapporto tra
concorrenza e servizio pubblico e cioè la deregolamentazione, ossia il
ridimensionamento, da più parti auspicato, della regolazione,
attualmente realizzata dalla competente Autorità di settore, e ciò nel
momento del raggiungimento di un completo regime concorrenziale.
A tal punto si pone un interrogativo: la regolamentazione sarà destinata
a cedere il passo alla libera concorrenza? E il servizio pubblico sarà
rimesso esclusivamente alle logiche del mercato e delle scelte
imprenditoriali degli operatori privati?
10
CAPITOLO I
I SERVIZI PUBBLICI
1. LA DIFFICILE INDIVIDUAZIONE DELLA
NOZIONE DI SERVIZIO PUBBLICO:
L’ELABORAZIONE DELLA TEORIA SOGGETTIVA.
Nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano è mancata
l’affermazione di un concetto unitario di servizio pubblico, così come si
è riscontrata l’assenza di un unitario “ordinamento” dei servizi
pubblici, laddove si rinvengono differenti discipline che ne regolano i
diversi aspetti.
L’elaborazione di una concezione giuridica di servizio pubblico ha, da
sempre, rappresentato una questione dotata di un elevatissimo grado di
problematicità, coinvolgendo svariati settori disciplinari e
presupponendo, altresì, conoscenze extragiuridiche, specie attinenti al
campo economico e a quello della scienza dell’amministrazione.
Non sorprende, pertanto, che quella di servizio pubblico sia stata
considerata una delle nozioni dotate di maggiore difficoltà definitoria.
11
Essa è stata da sempre oggetto di attenzione da parte della dottrina, non
solo nei periodi di ampliamento della sfera pubblica, ma anche in
periodi di contrazione dell’intervento pubblico nel campo economico.
Il dibattito dottrinale ha, difatti, accompagnato gli studi
giuspubblicistici sin dalla fine del XIX secolo, senza mai approdare a
conclusioni, anche solo tendenzialmente, condivise.
Autorevole dottrina1 ha sottolineato la paradossale presenza di tante
nozioni di servizio pubblico, quanti sono gli autori che si sono occupati
della questione.
Per comprendere le difficoltà definitorie, secondo una prospettiva
giuridica, è necessario considerare una pluralità di fattori.
Innanzitutto, la nozione in esame varia in dipendenza tanto
dell’evoluzione sociale quanto di quella tecnologica, elemento questo
che, inevitabilmente, spiega i suoi effetti sia sulla legislazione, sia sulle
elaborazioni dottrinali.
In secondo luogo, la concezione di servizio pubblico manifesta una
stringente interconnessione con le opzioni culturali e politiche, che
finiscono per condizionare anche gli studi di diritto positivo; il servizio
pubblico, infatti, ha da sempre rappresentato il privilegiato luogo di
scontro tra le opposte concezioni sullo Stato: da un lato, la
teorizzazione sullo Stato liberale, secondo la quale ai poteri pubblici
devono riconoscersi le sole funzioni sovrane, riservando tutte le attività
economiche alla libera iniziativa dei privati; dall’altro, le concezioni
sullo stato sociale e poi sul welfare state, attinenti a un rilevante
intervento pubblico nelle attività economiche.
Nell’analisi evolutiva della nozione in esame non può tralasciarsi il
notevole contributo fornito dagli apporti ermeneutici della tradizione
francese: infatti, nella cultura giuridica europea di tradizione
amministrativa, l’ambito francese è quello ove storicamente si è
prodotto il più duraturo e continuato sforzo di definizione e
valorizzazione del servizio pubblico. È, in particolare, alla Scuola di
1
ALESSI, Le prestazioni amministrative rese ai privati, Milano, 1956.
12
Bordeaux che si riconduce la prima elaborazione teorica della nozione
di service pubblic2, la cui eco ancora si avverte nella recente dottrina
giuspubblicistica francese.
Il fondatore della Scuola di Bordeaux, Duguit, ha elaborato una teoria
dello Stato fondata sull’idea stessa di servizio pubblico3, operando una
netta critica alla giuspubblicistica tedesca, ispiratrice di una nozione di
Stato-persona, di matrice strettamente autoritaria. La concezione di
Stato, elaborata da Duguit, contestava una simile impostazione
autoritaria del potere pubblico, delineando una nozione fondata sulla
relazione tra Stato e cittadino, strutturata sempre in termini di
supremazia del potere pubblico rispetto alle istanze sociali provenienti
dalla collettività, ma al contempo teorizzando un diritto pubblico basato
sull’idea che i governanti dovessero realizzare quei servizi di cui la
società ha bisogno.
La nozione di servizio pubblico si afferma, quindi, già nel XIX, con la
crisi della concezione liberale della Stato, fondato sull’esercizio della
puissance pubblique, e con l’affermarsi di valori solidaristici sottesi al
crescente interventismo pubblico in campo economico.
La teoria di Duguit è stata, successivamente, ripresa dai suoi allievi, tra
i quali Jèseve, il quale, nella prospettiva tracciata dal maestro, ha
evidenziato la stretta relazione tra la nozione di servizio pubblico e
l’assunzione della relativa attività da parte dell’ente pubblico, ponendo
così, le basi di quella che è definita la teoria soggettiva del servizio
pubblico. In ambito giurisprudenziale ad essa si è fatto ricorso per
individuare tra le activities de gestion (in principio regolate dal diritto
comune), quelle che pur non costituendo espressione di un’attività
pubblica venivano ricondotte all’Amministrazione e al sindacato del
giudice amministrativo, in quanto prestate da apparati pubblici per il
soddisfacimento di nuovi bisogni della collettività4.
2
BERLINGERIO, Studi sul servizio pubblico, Milano, 2003.
3
DUGUIT, L’etat, le droit objectif et la loi positive, Parigi, 1901.
4
MERUSI, Servizio pubblico, in Noviss. Dig., vol XVII, Torino, 1970.
13
In tale impostazione, il concetto in esame si faceva coincidere con tutte
quelle attività il cui compimento, indispensabile allo sviluppo e alla
coesistenza sociale, doveva essere regolato, assicurato e controllato dai
pubblici poteri, in quanto unici soggetti capaci di garantire tale
risultato.
Notevole è stato l’eco che tale concezione ha riscontrato nell’ambito
della cultura giuridica italiana, dando luogo alla configurazione di
un’impostazione dottrinaria definita soggettiva o nominalistica, la quale
è stata, successivamente, oggetto di forte contrasto da parte delle più
recenti impostazioni oggettivistiche.
Nel corso della lunga diatriba dottrinaria, non è mai venuta a mancare
una convergenza di vedute circa la distinzione della categoria dei
servizi pubblici rispetto alle funzioni amministrative propriamente
dette, identificando quest’ultime nella manifestazione del potere
autoritativo dell’Amministrazione e individuando i servizi pubblici con
quelle attività più marcatamente materiali; concordemente, infatti, il
termine servizio si è fatto coincidere con attività professionali o
altamente specializzate, caratterizzate dall’uso di mezzi tecnologici e
rivolte alla persona, al fine di offrirle le condizioni per autodeterminare
una vita dignitosa e di qualità.
Del resto, la convergenza riscontrata sul significato da attribuire al
termine servizio è venuta a mancare in relazione all’attributo
“pubblico”, suscitando un profondo dibattito dottrinario.
È, proprio, in relazione all’aggettivo in esame che si è sviluppata la
risalente concezione soggettiva, proiettata ad intendere l’attributo
“pubblico” come riferito alla natura del soggetto erogatore del servizio.
Pertanto, secondo questa concezione, servizio pubblico è ritenuto
quell’attività, non autoritativa, destinata agli amministrati e imputata
allo Stato o ad altro soggetto pubblico.
Tale concezione è, dunque, caratterizzata dalla preminenza del dato
formale, per cui la definizione dell’attività come pubblica deriva dalla
sua qualificazione nominalistica.
14
Un notevole contributo a tale impostazione è stato fornito da De
Valles5, il quale ha studiato la nozione nella sua versione soggettiva,
anche se nella sua elaborazione ha ricompreso tutte le ipotesi attraverso
le quali i servizi sono resi alla collettività, non trascurando né le ipotesi
di concessione di servizi pubblici, né, tantomeno, quelle in cui a monte
dello svolgimento c’è un’autorizzazione, dando a questi ultimi casi
un’autonoma configurazione, definiti appunto “servizi pubblici
impropri”.
Il concetto di servizio pubblico è stato ricondotto dall’Autore al campo
delle attività sociali della Pubblica Amministrazione, settore in quel
tempo in progressiva espansione; stabilito lo stretto legame tra servizi
pubblici e attività sociale dell’amministrazione pubblica si arriva ad
una costruzione teorica dello stesso fondata sul dato soggettivo, per cui
si possono chiamare servizi pubblici in senso proprio solo quelli che
sono pubblici anche dal lato soggettivo, perché, secondo De Valles,
“questo è l’elemento che determina il carattere pubblico dei vari
istituti”, di conseguenza possono configurarsi come servizi pubblici
tutte le attività imputabili, direttamente o indirettamente, allo Stato6 e
volte a fornire prestazioni ai singoli cittadini.
Siffatta impostazione va calata in un quadro storico in cui si assiste al
consolidarsi di un nuovo ruolo dello Stato, all’interno del quale i
pubblici poteri intervenivano con maggiore autorevolezza nella vita
sociale, al fine di garantire un allargamento del numero dei beneficiari
in quei settori considerati sensibili, in cui le regole del libero scambio
non apparivano più idonee a soddisfare i bisogni di una massa di
5
DE VALLES, I servizi pubblici, in Trattato di diritto amministrativo, 1965.
6
Il riferimento allo Stato, nel pensiero di De Valles, deve intendersi nel senso che un servizio sarà pubblico
solo se lo scopo a cui esso tende è stato assunto come proprio dallo Stato, per cui l’interesse all’erogazione
del servizio diviene un fine pubblico. In particolare, secondo il citato autore, “finché lo stato non assuma
questa attività o non la riconosca come pubblica, affidandola ad enti pubblici già esistenti, od anche creando
o riconoscendo gli enti che ne hanno la cura, si tratta sempre di attività che, per quanto molteplici siano gli
interessi che vi si collegano, per quanto possa anche essere sottoposta a norme speciali che in modo più
intenso del consueto garantiscono gli interessi del pubblico, rimane sempre privata.” DE VALLES, I
servizi pubblici, in Trattato di diritto amministrativo italiano, 1965.
15
soggetti divenuta sempre più protagonista della vita sociale e politica
del Paese.7
La concezione soggettiva ha incontrato la netta contrapposizione di
nuove elaborazioni dottrinarie, caratterizzate da uno stampo
marcatamente oggettivistico, determinandosi, pertanto, una accesa
diatriba tra le diverse concezioni.
In realtà, l’importanza della teoria soggettiva è oggi pienamente
rilevabile in sede di inquadramento cronologico e sistemico della
materia, meno invece sotto il profilo propriamente pratico, essendo
ormai da tempo abbandonata dalla giurisprudenza, orientata a favore di
concezioni posteriori, che dalla stessa hanno, indubbiamente, preso
spunto sia per allontanarsene diametralmente, sia per superarla o
rimodellarla alla luce di ulteriori riflessioni.
Il dato di maggior rilievo della teoria soggettiva, riconducibile a De
Valles, è stato quello di aver contribuito a far assumere rilevanza
giuridica alla finalizzazione dell’attività in cui si esplica il servizio a
favore del pubblico, ossia dei cittadini, e a far assurgere la cura
dell’interesse collettivo degli utenti ad interesse pubblico.
A tali contributi si deve l’orientamento della giuspubblicistica
all’attribuzione di un maggior rilievo al soddisfacimento dei diritti e
degli interessi degli utenti, interessi che rappresentano lo scopo
primario, la causa dell’assunzione di quel servizio tra le finalità
istituzionali dello Stato. In tal modo, nella citata teoria, c’è un netto
superamento delle posizioni soggettivistiche pregresse, che si
riferivano, al fine della qualificazione di una data attività come servizio
pubblico, esclusivamente alla natura del soggetto erogatore.
Essa è stata, dunque, di impulso alla teorizzazione di una nozione di
pubblico servizio oggettivamente orientata, la quale, lungi dal porsi in
posizione di radicale contrapposizione con quella soggettiva, ne
rappresenta una coerente evoluzione, in linea con le modificazioni
7
GIGLIONI, Osservazioni sulla evoluzione della nozione di “servizio pubblico”, in Foro Amm., n. 6972/12,
1998.
16
sociali e giuridiche che l’esperienza del secondo dopoguerra aveva
prodotto: infatti, anche sul piano giuridico, l’ampliamento dei fini
pubblici consacrato nella Costituzione repubblicana, sia in riferimento
al nuovo regime dell’iniziativa economica privata, sia con riguardo
allo statuto del diritto di proprietà, ha determinato il coinvolgimento
diretto, per la realizzazione dei fini sociali, oltre che dei soggetti
pubblici, anche dell’impresa e, in genere, delle formazioni sociali.
1.1. IL PROFILARSI DELLA TEORIA OGGETTIVA.
Il configurarsi dell’impostazione oggettiva va intesa come una tendenza
ricostruttiva elaborata per soddisfare l’esigenza di disporre di una
nozione di servizio pubblico ancorata a dati non generici o
nominalistici, discendenti cioè da una qualificazione formale connessa
alla natura del soggetto gestore.
La teoria oggettiva si fonda, infatti, esclusivamente sulla natura del
servizio prestato, attribuendo un’autonoma rilevanza giuridica
all’attività che è il nucleo centrale del servizio.
L’elaborazione della concezione in esame si riconduce al pensiero di
Pototschnig, le cui riflessioni si fondano su dati tratti dal diritto
positivo, in particolare dagli articoli 41 e 43 della Carta Costituzionale.
L’Autore sottolinea che l’articolo 43 Cost., pur non definendo la
figura del servizio pubblico, ne fa intendere taluni profili del tutto
innovativi ed antitetici rispetto ai risultati raggiunti dalla dottrina
tradizionale; il più importante di essi è costituito dal fatto che la
Costituzione parli, come oggetto di riserva originaria o di trasferimento
ai fini di utilità generale, di “imprese o categorie di imprese, che si
riferiscono a servizi pubblici essenziali”, richiamo che indurrebbe ad
ammettere l’esistenza anche di servizi pubblici essenziali esplicati da
17
imprese non riservate e non trasferite in mano pubblica, potendo esse
continuare ad essere gestite da soggetti privati8.
In sostanza, la tesi oggettiva si basa sul dato che, ai sensi dell’art. 43
Cost., i servizi pubblici sarebbero tali anche prima della riserva o del
trasferimento dell’impresa: infatti, poiché la Costituzione consente, ma
non esige, la riserva o il trasferimento nel settore pubblico di imprese
che si riferiscono a servizi pubblici essenziali, ne consegue che detti
servizi ben possono essere esplicati anche da imprese private9.
Il dato costituzionale imporrebbe, quindi, una nozione oggettiva di
servizio pubblico, riferibile ad imprese private, anche in assenza di uno
specifico conferimento da parte della Pubblica Amministrazione,
nozione il cui contenuto andrebbe individuato in relazione all’articolo
41 comma 3° della Costituzione. Infatti, secondo la teoria del
Pototschnig, il richiamo al solo articolo 43 Cost. non sarebbe in grado
di risolvere i problemi definitori relativi alla delimitazione delle attività
costituenti servizio pubblico. Per individuare tali attività è necessario il
richiamo all’art 41 della Costituzione, comma 3°, il quale dispone che “
la legge determina i programmi e i controlli opportuni perchè l’attività
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a
fini sociali”10.
I fini sociali, secondo l’Autore, sono quelli imputabili
all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese; si tratta di
fini che possono essere realizzati da tutti i soggetti che fanno parte di
tale organizzazione , dunque non solo da soggetti pubblici, ma anche
dall’impresa privata. È evidente, secondo Pototschnig, che
“l’ordinamento costituzionale, nel momento in cui riconosce a tutte
queste organizzazioni dei compiti e condiziona alla loro effettiva
realizzazione la struttura stessa dello Stato, ammette con ciò che i fini
cui provvedono quelle organizzazioni non hanno rilievo puramente
privato, ma che esse costituiscono l’espressione, parziale, dei fini che
8
POTOTSCHNIG, I servizi pubblici, Padova, 1964.
9
VILLATA, Pubblici servizi: discussioni e problemi, Milano, 2008.
10
Articolo 41 della Costituzione, Comma 3°.
18
si riportano all’organizzazione intera del Paese; pertanto, i programmi
e i controlli cui si riferisce l’articolo 41 Cost., 3° comma, debbono
mirare alla realizzazione di fini che non sono quelli tipici del singolo
imprenditore privato, ma propri dell’organizzazione politica,
economica e sociale dell’intero Paese”11.
Da ciò discende l’identificazione del servizio pubblico con ogni attività
economica rivolta all’attuazione di fini sociali, programmata e
controllata dalla Pubblica Amministrazione, indipendentemente da
valutazioni inerenti il profilo soggettivo.
Anche siffatta impostazione presenta punti di debolezza che hanno
suscitato spunti critici ad opera della dottrina più recente.
In particolare, è stato osservato come tale impostazione non
consentirebbe di distinguere tra le attività economiche private soggette
a programmi e controlli ex art. 41 Cost., comma 3°, e le attività gestite
da soggetti pubblici o da soggetti privati appositamente incaricati
dall’Amministrazione, configurandosi, così, una nozione di servizio
pubblico eccessivamente ampia, tale da eliminare la specificità del
concetto e ricondurre nuovamente a quelle concezioni troppo ampie che
si volevano superare mediante l’elaborazione di una nozione di servizio
pubblico diversa da quella meramente soggettiva.
Dal canto suo, la giurisprudenza, nell’accoglimento della nozione
oggettiva, definisce come servizio pubblico “ l’attività tecnica ed
economica svolta nell’interesse della collettività nazionale e per
l’utilità dei soggetti che nell’interesse proprio richiedono le relative
prestazioni12”.
La stessa giurisprudenza, in relazione ai riferimenti normativi relativi
alla nozione in esame, ha avuto modo di precisare che, nonostante sia
da accogliere una nozione oggettiva di servizio pubblico, non deriva da
ciò che sia definibile come servizio pubblico ogni attività privata
soggetta a controllo, vigilanza o mera autorizzazione da parte di una
11
POTOTSCHNIG, I servizi pubblici, Padova, 1964
12
Cass. 3 luglio 1979, n. 3723, in Rass. Giur. Enel 1891.
19
pubblica amministrazione, perché, così inteso, il servizio pubblico
finirebbe per coincidere con ogni attività privata rilevante e non
sprovvista di aspetti ritenuti meritevoli di regolamentazione
pubblicistica, estendendosi, di conseguenza, a dismisura l’ambito di
operatività della categoria. 13
In relazione alle due impostazioni, oggettiva e soggettiva, diverse sono
state le posizioni assunte dalla dottrina più recente, proponendo,
talvolta, l’accoglimento di entrambe, talvolta la loro negazione.
In particolar modo, autorevole dottrina ha sostenuto che entrambe le
concezioni sono accettabili, in quanto rispecchiano punti di vista
diversi, dovendosi riconoscere che ambedue contengono elementi
validi, tenendo specialmente conto del fatto che le diverse ipotesi
teoriche sono state formulate in relazione a stadi diversi di evoluzione
dell’ordinamento amministrativo14.
Da più parti, però, ci si proietta verso un superamento di tale
contrapposizione teoretica, orientandosi verso il recupero
dell’impostazione soggettiva tradizionale, oggetto di adeguamenti e
aggiustamenti, dando luogo alla configurazione di una nozione di
servizio pubblico “soggettiva temperata”.
13
Cass. Civ. Sez. Unite 3 agosto 2000, n. 532, in Foro It. 1987-2000, in cui, in una fattispecie riguardante il
rapporto di lavoro a tempo indeterminato di un medico convenuto con un’ASL, la Corte afferma che se è
esatto che l’art. 33 d.lgs. 80/98 ha recepito la nozione c.d. oggettiva di servizio pubblico, non deriva da ciò
che sia definibile come servizio pubblico ogni attività privata soggetta a controllo; il servizio si qualifica
come pubblico perché l’attività in cui esso consiste si indirizza istituzionalmente al pubblico, mirando a
soddisfare direttamente esigenze della collettività, requisito che non si verifica allorché l’attività stessa sia
destinata in via immediata a rifornire strutture che solo successivamente soddisfano esigenze della
collettività.
14
CATTANEO, Servizi pubblici, in Enciclopedia giuridica Treccani , Roma, 1991, vol. XXIII.
20
1.2.L’EVOLUZIONE DELLA DOTTRINA
TRADIZIONALE: VERSO UN’IMPOSTAZIONE
SOGGETTIVA “TEMPERATA”.
Sebbene la teoria oggettiva abbia riscontrato grande fortuna, non sono
mancate recenti posizioni15 dottrinarie orientate a proporre una
rinnovata concezione di servizio pubblico che non trascuri l’elemento
soggettivo.
Siffatta impostazione evidenzia come la contrapposizione tra la teoria
soggettiva e oggettiva sia una questione ormai superata, sottolineando
come entrambe appaiano storicamente condizionate, nel senso che
ambedue hanno attribuito rilievo qualificatorio all’aspetto inerente alla
nozione di servizio pubblico che era “quantitativamente” prevalente al
momento in cui le stesse sono state elaborate.
Infatti, il rilievo attribuito dalla prima al dato soggettivo è
agevolmente spiegabile con il massiccio aumento della sfera pubblica e
dell’intervento pubblico nell’economia che si è verificato durante i
primi decenni del secolo scorso; di contro, la rilevanza attribuita
all’aspetto oggettivo, dall’altra concezione, discende direttamente dalle
nuove responsabilità, necessarie per l’attuazione dei fini sociali, che la
Costituzione ha affidato ai singoli cittadini, all’impresa e alle
formazioni sociali in genere.
Ognuna di esse, invero, chiarisce aspetti importanti della nozione di
servizio pubblico: esse non sono in rapporto di reciproca esclusione, ma
allo stesso tempo non è né l’elemento soggettivo, né quello oggettivo a
qualificare un’attività come servizio pubblico.
La qualificazione dei servizi come pubblici emerge, invece, dalla
destinazione al pubblico e poichè tale destinazione trova la propria
origine non nelle cure di interessi particolaristici, ma nel
soddisfacimento di esigenze primarie di ordine collettivo, non si può
prescindere dalla centrale pertinenza e connessione del servizio
15
MAZZAROLLI, PERICU, ROMANO, SCOCA, Diritto amministrativo, parte speciale, Bologna, 2005.
21
all’Amministrazione Pubblica, implicando ciò una considerazione
dell’elemento soggettivo.
Il rilievo di tale elemento si spiega in considerazione del dato
finalistico che caratterizza i servizi pubblici, cioè il loro
inquadramento tra i compiti dell’Amministrazione pubblica, dando
luogo alla loro configurazione in termini di doverosità. Il rilievo del
profilo soggettivo ai fini qualificatori non implica, però la necessaria
gestione del servizio ad opera di un soggetto pubblico, ma solo la sua
assunzione (predisposizione e organizzazione) da parte dello stesso,
essendo irrilevante la natura, pubblica o privata, del soggetto titolare
della gestione.
In relazione al profilo gestorio il requisito soggettivo sarebbe
palesemente inadeguato e contraddetto da tutte quelle norme di legge
in cui si contempla una gestione del servizio pubblico anche ad opera
di soggetti privati, sulla base di un apposito titolo giuridico di
conferimento da parte dell’Amministrazione : infatti, anche quando si
privatizzano i servizi pubblici, l’ordinamento non si disinteressa della
resa delle relative attività, che sono prese in considerazione proprio al
fine di assicurare il loro svolgimento secondo modalità predefinite, che
rendono doverosa la relativa gestione.
Con tale impostazione il dato soggettivo, quindi, si scolora, ma non
scompare, nel senso che è sempre necessario un astratto collegamento
con l’ente pubblico per far rientrare una data attività nell’ambito della
figura del servizio pubblico.
Sulla base di tale orientamento, può definirsi servizio pubblico
quell’attività che il soggetto pubblico, attraverso l’uso dei poteri di cui
dispone, legislativi o amministrativi, assume e considera come proprie,
nell’ambito dei suoi compiti istituzionali, perchè connesse ad esigenze
di benessere e sviluppo socio-economico delle comunità rappresentate;
sotto il profilo gestorio è prevedibile anche una gestione privata, non
rilevando la natura pubblica o privata di chi espleta l’attività, essendo
però necessario un astratto vincolo tra il gestore e l’Amministrazione.