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consuetudine, ogni atto viene osservato e tramandato, acquisendo di bocca in
bocca, di generazione in generazione, connotazioni sempre più leggendarie.
Ecco nascere i primi monili votivi, maschere, scettri, portafortuna, icone di
forza e fertilità. Ogni elaborato si fa arte. Ovviamente, con lo svilupparsi della
comunicazione è la letteratura, la forma d‘arte scritta, a divenire il mezzo di
trasmissione del mito più incisivo perché più veicolare e ricollocabile, se
messo al confronto con un obelisco, una statua o un intero tempo. Il racconto
si interseca profondamente con il mito, uno non ha ragion d‘essere senza
l‘altro.
In questo modo si passa dunque all‘analisi del mito del viaggio, a come
il viaggio, nei secoli, abbia subito notevoli cambiamenti ma sia rimasto pur
sempre fedele alla struttura precostituita, fatta di partenza, percorso e arrivo.
La ciclicità di inizio e fine, vita e morte, che tanto lo pone in relazione
metaforica con l‘essere umano. Tanti personaggi, un solo mito. Gilgamesh,
Ercole, Giasone, Ulisse, Enea, sono solo i prodromi di tanti viaggiatori e
viandanti che non hanno attraversato non solo lo spazio, reale o fittizio, ma la
storia stessa, trovando surrogati fisici e metafisici fino ai giorni nostri. Il
viaggio nelle sue fattezze è forse una delle pagine più interessanti di questa
indagine. L‘umanità ha avuto diverse motivazioni per viaggiare.
Singolarmente o in gruppo, l‘essere umano ha viaggiato per ragioni religiose,
belliche, economiche, egemoniche, culturali e psicologiche. Lo ha fatto
perché vi era costretto dalla fede, per sopravvivere o per imporsi, per
conoscere o indottrinare ma pur sempre per mutare la propria condizione di
partenza. Tutto quanto ha fatto, osservato o appreso, è dunque diventato
quell‘immane e pregiato patrimonio letterario che noi oggi conosciamo come
letteratura di viaggio (e sul viaggio). Poemi e narrazioni fantastiche con
finalità educative, appunti e diari scientifici, semplici liste commerciali o
confronti culturali, l‘uomo ha sempre avuto l‘esigenza non solo della mobilità
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ma della descrizione e illustrazione della stessa. Cosa sarebbero oggi la
storiografia, le scienze naturali, la geografia planetaria se nessuno avesse mai
riportato con perizia e zelo tutte le informazioni derivanti da ogni nuova
scoperta. La primordiale sete di conoscenza (e potere) ha fatto sì che un tratto
dietro l‘altro, una lettera dopo l‘altra, intere mappe geografiche e luoghi
avessero un nome, fossero classificati e riportati a noi anche se a volte con un
tocco di arte finzionale. Il mito dunque come elemento irrinunciabile alla
scrittura.
L‘iterologia come materia di studio. Non a caso abbiamo deciso di
impostare questo scritto seguendo un percorso progressivo e ciclico, in linea
con le tipologie del viaggio. Partire dal mito come origo et finis, affrontarne la
matrice, le varianti, le strutture, per poi allontanarsi da esso e concentrarsi
sulla specificità del viaggio. Descriverne qui gli elementi fondanti e le
evoluzioni nella storia e nelle letterature del mondo, focalizzando la nostra
attenzione da un punto di vista occidentale. Esaminare quindi uno degli autori
che più di tutti ha dedicato la sua vita e la sua opera letteraria al viaggio, Józef
Teodor Nalęcz Konrad Korzeniowski, al secolo Joseph Conrad, marinaio e
scrittore polacco naturalizzato inglese. La sua esistenza è un omaggio al
viaggio. Prima esule, costretto a viaggiare lontano dalla sua Polonia per
motivi politici, poi giovane ricco ereditiero in Francia, dedito al gioco
d‘azzardo e a facili investimenti in poderi africani, infine l‘uomo di mare che,
sotto diversi vessilli mercantili, finì con il servire in qualità di capitano la Red
Ensign della marina commerciale britannica e solcare così le vastità del mare.
La sua vita come visione di insieme di mito e letteratura. I suoi scritti infatti,
iniziati già durante il periodo per mare, sono una rassegna di figure legate al
viaggio per luoghi lontani ed esotici, tratti dal suo vissuto quotidiano e
riproposti grazie alle abilità narrative di cui era in possesso, capace di
restituire paesaggi e contenuti al contempo verosimili e dal sapore agrodolce.
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Conrad e suoi libri come anello di congiunzione pretestuoso tra la letteratura e
il cinema. Mentre infatti il mondo scritto vanta origini arcaiche e
contemporanee alla nascita della comunicazione umana, la Settima Arte ha
dovuto seguire un percorso differente e più recente. Conrad, qualche anno
prima di morire, decise di lasciare ai posteri una mirabile memoria di sé. Per
tale motivo iniziò a riproporre, riadattandole, alcune delle sue opere sia al
mondo del teatro che a quello del cinema, creatura mediatica giovane e dal
destino ignoto a quei tempi. Grazie a lui il cambio di rotta esegetico di questo
studio è definitivo. Le sue poche lettere sull‘argomento sono il ponte ideale
tra letterario e filmico. Il vastissimo oceano della scrittura infatti viene solcato
dal vascello della proiezione. Dallo scritto (letterario) si passa rapidamente al
rappresentato (teatrale) e da questo subito al mostrato (cinematografico). La
sceneggiatura è la letteratura contemporanea. Romanzieri e poeti iniziano a
cedere il passo a registi e cineasti.
I nuovi mostratori però, pur (de)scrivendo per immagini, debbono
molto ai loro colleghi letterari. Sia lo scrittore che il regista sono difatti
vincolati a qualcosa che accomuna ogni testo, ogni canovaccio, ogni storia
insomma. Più che riscontrare costituenti differenzianti si finisce invece con il
fornire una lista di contenuti comuni a ogni narratore. Il ‗topic zero‘, se così
possiamo definirlo, utile a entrambi, è rappresentato comunque dal mito. Ecco
dunque che temi classici e vetusti quali la vendetta, il potere, l‘amore, il
doppio e, nel nostro caso, il viaggio nelle sue molteplici varianti, continuano
ininterrottamente a godere di nuova vita. Riproposte sin dalla loro poiesi, esse
passano dall‘inchiostro alla pellicola, dalla grafia all‘icona, dal testo scritto al
film proiettato fino a divenire eterne. Ecco che le opere di Conrad, appena un
anno dopo la sua dipartita, iniziano a essere trasposte e diventano opere
filmiche. Alla fine quasi tutti i suoi libri conosceranno la fama del
cinematografo. Non solo, racconti brevi, fumetti, citazioni, serie TV,
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composizioni musicali, ogni settore della comunicazione e dell‘arte attingerà
ai suoi scritti per trarre ispirazione, fornire interessanti contributi ed elaborare
nuovi contenuti.
Questo il motivo perché abbiamo deciso di analizzare più a fondo il
contributo che l‘autore polacco ha dato all‘industria del cinema e delle arti in
genere, anche se in maniera indiretta. Tra i tanti titoli prodotti per il cinema e
la televisione, quasi un centinaio, dopo un‘accurata valutazione siamo giunti
infine a dedicarci a due capisaldi, due opere simbolo del suo operato, legate
non solo alla sua creatività ma anche a vicende che lo hanno interessato
direttamente, essendo Heart of Darkness e Nostromo una chiara prova di patto
autobiografico semi-referenziale tra l‘autore e il suo pubblico. Dalle lettere
allo schermo e viceversa, ogni passo è avvincente, ogni spunto è degno di
nota per capire come il mito, quello del viaggio, attraverso le pagine di queste
due opere giunga al cinema e da qui, tornare nuovamente alle lettere per poi
infine, approdare al monomito originario, chiudendo in questo modo il
cerchio dal punto in cui eravamo partiti.
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PARTE I
Il Mito
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Capitolo Primo
1. Mito e mitologia
1.1. Mito: definizioni generali
Il mito, termine presente nei più disparati luoghi e credenze, ancora
oggi dimostra la sua relativa tangibilità in quanto elemento costitutivo di una
determinata realtà socio-culturale. Sfogliando le pagine di qualche dizionario
troviamo interessanti connotazioni semantiche dello stesso termine:
1. ᅳ ―nella tradizione culturale o religiosa di una civiltà, narrazione simbolica
e sacrale, tramandata oralmente o in forma scritta, di imprese compiute da
divinità, eroi, personaggi leggendari e simbolici, che spiega le origini del
mondo, di un popolo, di fenomeni naturali, di istituti sociali, di valori
culturali, ecc.: i miti dell‟antica Roma, il mito degli Argonauti ‖;
ᅳ ―idealizzazione schematica o semplificata di un evento, di un
personaggio o di un fenomeno sociale, che esprime i valori e le aspirazioni
di una collettività e ne determina i comportamenti: il mito di Garibaldi |
nell‘opera di uno scrittore o di un‘artista, motivo ispiratore o
trasfigurazione ideale: il mito rousseauiano del buon selvaggio‖1.
2. ᅳ―an ancient story, especially one invented in order to explain natural or
historical events‖ (una storia antica appositamente inventata alfine di
esporre eventi naturali o storici);
1
T. DeMauro, Dizionario on line, Paravia, Milano 2007,
www.demauroparavia.it.
- 8 -
ᅳ ―something a lot of people believe because they want to believe it, not
because it is based on fact‖ (qualcosa in cui molte persone credono perché
essi vogliono crederci non perchè sia basata su fatti reali);
ᅳ ―an idea or story that many people believe, but which is not true‖ (una
idea o storia in cui molte persone credono ma che non è vera) 2.
Come si può notare e partendo dal fatto che i soli dizionari di lingua greca
(che qui non riportiamo) ne diano molteplici definizioni, il concetto di mito
presuppone caratteristiche differenti a seconda della localizzazione
geografica3. In linea di massima però quello che se ne desume sono due
nozioni pressoché generali:
a) il mito rievoca e attualizza eventi ‗reali‘ caratterizzati da sacralità e
situati in un tempo lontano, fantastico e favoloso;
b) il mito è un‘estensione fittizia di fatti o persone che nutre le aspirazioni
e i desideri del singolo individuo o dell‘intera comunità.
Volendo tracciare una curva che rappresenti l'evoluzione degli studi
antropologici e linguistici attraverso il tempo è facile notare come l‘elemento
mito abbia riscosso pareri alterni a seconda delle epoche, conoscendo, dopo
una prima ‗età dell'oro4‘, una fase di stallo durata diversi secoli. Ci basti
riprendere lo storico e scrittore rumeno Mircea Eliade per notare che già
Talete, da molti considerato il primo filosofo della storia occidentale,
affermava che ―tutto è pieno di dei‖ attaccando così la concezione Omerica di
2
LONGMAN, Dictionary of Contemporary English – Pearson Education, Milano 2006 - (trad. mia).
3
Nel nostro caso abbiamo utilizzato due dizionari contemporanei, uno di lingua italiana, l‘altro inglese.
4
Abbiamo adoperato l‘accezione ‗età dell‘oro‘ al fine di delimitare cronologicamente un‘era prettamente
‗mitologica‘ contraddistinta dalle vicissitudini di popoli e culture differenti ma accomunati per usi e costumi
dal concetto di mito e dalle pratiche rituali a esso connesso. Stiamo parlando delle religioni primitive
animiste e feticiste fino a quelle politeiste. Per maggiori chiarimenti si veda, A. BRELICH, Introduzione alla
storia delle religioni, Istituti editoriali e Poligrafici Internazionali, Roma 1965.
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un cosmo pervaso da deità mentre Anassimandro proponeva ―un Universo
senza dèi né miti‖5.
Riprenderemo il processo di razionalizzazione dei miti più avanti.
Quello che ora ci interessa appuntare è come la mitologia si sia affermata in
quanto disciplina solo a partire dal XIX secolo lasciando dietro di sé secoli di
indifferenza scientifica e lo approfondiremo nel corso delle analisi successive.
1.2. Antropologia: tra funzionalisti e strutturalisti
Come è ben noto agli esperti del settore, gli studiosi di antropologia
avevano poca considerazione di tutti quegli avvenimenti religiosi ritenuti pura
superstizione e atteggiamenti di individui primitivi e selvaggi. Solo a partire
dagli inizi del XX secolo l‘antropologia volge uno sguardo più attento e
interessato allo studio del mito accettandolo come qualcosa di ‗reale‘. Da
questo nuovo orientamento si aprono due filoni di indagine che adottano uno
l‘interpretazione funzionalista e l‘altro quella strutturalista. Queste due scuole
di pensiero faranno capo altresì a due grandi antropologi culturali, stiamo
parlando di Bronislaw Malinowski e Claude Lévi-Strauss6.
Il primo, di origine polacca ma naturalizzato britannico, fu noto
antropologo e pioniere nella ricerca etnografica. A lui si deve infatti, tra gli
altri, la prassi innovatrice di rilevare mediante esperienza diretta presso un
determinato popolo le abitudini religiosi al fine di formulare considerazioni
quanto più esaurienti su una determinata concezione e uso del mito. Sarà così
5
M. ELIADE, Mito e realtà, Borla, Torino 1993 cit. p. 185 – Tit. orig. Myth and Reality, Harper and Row,
New Jork and Evanston 1966.
6
R. HERNÁNDEZ RUBIO, Antropología: Religión, Mito y Ritual, Jucar Universidad UNED, Madrid 1991,
Tema 4 p. 30.
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che il mito assumerà un valore molto più ampio, esaminato come fondamento
e parte integrante della complessa vita sociale. Per dirla con Malinowski il
mito è funzionale del fatto che ―compie nella cultura primitiva una funzione
indispensabile: esprime, esalta e codifica le credenze, custodisce e legittima la
moralità […]7‖. Quindi un mito che incarna più di un‘astrazione, esso
rappresenta il modello supremo regolante ogni atteggiamento e pratica
sociale, sia essa a livello comunitario che individuale. Il mito insegna a
vivere, detta i tempi e il modus vivendi delle attività quotidiane elargendo
all‘uomo il diritto di partecipare della presenza di Divinità o Eroi.
Il secondo capostipite, Lévi-Strauss, è tuttora un indiscusso antropologo
di fama mondiale. Belga di nascita ma formatosi culturalmente alla Sorbonne
di Parigi, si interessa presto alla sociologia e all‘etnologia. Anch‘egli giungerà
però all‘antropologia effettuando un viaggio di studi nella foresta amazzonica.
Ciononostante il suo impegno intellettuale si volge verso nuovi orizzonti
investigativi, formulando teorie innovative nel campo dell‘etnolinguistica.
L‘antropologia strutturale8 infatti fonda le radici del proprio studio non sulle
relazioni che il mito ha con la società in quanto componente o immagine
idealizzata di essa, bensì per sé stesso. La missione degli strutturalisti è di
illustrare e scoprire il significato di certi elementi, analizzando il mito per
quello che è, vale a dire un universo oggettivo che va inteso come tale. La
metodologia utilizzata dal professore belga trae spunto dagli studi di Marcel
Mauss. Questi infatti vedeva il mito assimilato al linguaggio in quanto
sistema rappresentativo istituzionalizzato capace di coordinare e classificare
l‘esperienza. Lévi-Strauss si avvale di tale concetto definendo il mito, e il
linguaggio, strumenti di trasmissione del pensiero in forma simbolica9. Ne
conseguirà che il mito, come il linguaggio, sarà soggetto ad alcune leggi
7
R. HERNÁNDEZ RUBIO, Antropología: Religión...
8
Per un più attento approfondimento si consiglia lo studio di C. LEVI-STRAUSS, Anthropologie structurale,
Plon: Parigi 1958 - Trad. it. Antropologia strutturale, Il Saggiatore: Milano 1966.
9
R. HERNÁNDEZ RUBIO, Antropología: Religión... cit. p. 33.
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classificatorie per le quali potrà essere studiato e definito. Interessante, in
questo senso, l‘analisi del mito di Edipo eletto a campione d‘analisi e
semanticamente sviscerato.
Rinviamo a impegni futuri lo studio nel campo d‘azione degli
strutturalisti, vale a dire l‗etnolinguistica. Il nostro intento qui sarà di illustrare
una visione più strettamente simbolica del fenomeno mito tangendo così
imprescindibilmente il campo di studi afferente la prima delle due correnti di
pensiero, quella funzionalista.
1.3. Universo del mito e miti universali
Passiamo dunque a focalizzare il nostro interesse su di un‘analisi
prettamente storico-filologica e antropologica dell‘ ‗universo‘ mito.
Considerata la complessità dell‘obiettivo prepostoci ci avvarremo qui di uno
strumento indispensabile per meglio comprendere le sfaccettature del mito,
ossia le vaste conoscenze ereditate dai molteplici scritti del maestro Mircea
Eliade. Come infatti questi faceva notare a proposito del mito10:
Il mito dunque ci permette di concepire non solo le abitudini dei
selvaggi primitivi ma anche una categoria dei nostri contemporanei che,
anche se in maniera riduttiva rispetto al passato, si rifanno ad esso. Certo
10
M. ELIADE, Mito e… cit. p. 185.
Solamente in una prospettiva storico-religiosa simili
comportamenti sono suscettibili di rivelarsi come
fenomeni di cultura e perdono il loro carattere aberrante
o mostruoso di gioco infantile o di atto puramente
istintivo.
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l‘impresa può sembrare ardua e un‘indagine sulla definizione del mito
potrebbe essere di per sé dispersiva e inesauriente. Non a caso lo storico
rumeno prosegue affermando11:
e prosegue fornendo un‘interessante spiegazione personale del concetto mito:
La prima cosa che risalta e che va dunque considerata è il peso che il
tempo e la storia hanno avuto su questi popoli delle origini. Lo scrittore
rumeno coglie presto questo aspetto quando afferma che i primi viaggiatori,
sia essi etnografi che semplici missionari, hanno iniziato a esporre nelle
proprie cronache di viaggio mitologie allo stadio orale. Tale prassi, in uso
presso la cultura occidentale, prevedeva infatti di redigere taccuini stracolmi
di appunti riportanti ogni nuova scoperta o semplici curiosità intellettuali.
11
M. ELIADE, Mito e… cit. p. 27.
Sarebbe difficile trovare una definizione del mito che
possa essere accettata da tutti gli studiosi e sia nello
stesso tempo accessibile ai non-specialisti. D'altra
parte, è possibile trovare anche una sola definizione
che possa includere tutti i tipi e tutte le funzioni dei
miti, in tutte le società arcaiche e tradizionali? Il mito
è una realtà culturale estremamente complessa, che
può essere analizzata e interpretata in prospettive
molteplici e complementari.
Personalmente, la definizione che ci sembra meno
inadeguata, perché è la più vasta, è la seguente: il mito
narra una storia sacra; riferisce un avvenimento che ha
avuto luogo nel Tempo primordiale, il tempo favoloso
delle «origini». In altre parole, il mito narra come,
grazie alle gesta degli Esseri Soprannaturali, una realtà
è venuta ad esistenza, sia che si tratti della realtà totale,
il Cosmo, o solamente di un frammento di realtà:
un'isola, una specie vegetale, un comportamento
umano, un'istituzione. Il mito quindi è sempre la
narrazione di una «creazione»: riferisce come una cosa
è stata prodotta, ha cominciato ad essere. Il mito parla
solo di ciò che è accaduto realmente, di ciò che si è
pienamente manifestato.
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Quest‘uso, per lo più in voga tra il XIV e il XVII ed ereditato dal Medioevo12,
era fautore di un duplice effetto. Da una parte il mondo scientifico
provvedeva a classificare nuove forme sia di vita che di tradizioni (sociali),
dall‘altra finiva con l‘intervenire in qualità di adstrato etnolinguistico in
maniera monoculare e uniculturale implicando un arricchimento e
deformazione delle identità culturali preesistenti. Ciononostante le grandi
mitologie del passato hanno superato (parzialmente) indenni questa forma di
sopraffazione riuscendo a denotare una certa convergenza nel mostrare non
solo miti equipollenti nei rituali ma anche la stessa considerazione del Tempo.
Gli uomini delle culture primitive non fanno altro che gettare un ponte
con ciò che accadde nel passato mitico, in illo tempore. Paradossalmente la
realtà per loro si concretizza solo in presenza di una ripetizione o di
partecipazione al rito. Ne Il mito dell‟eterno ritorno13 abbondano esempi di
miti e riti che, mediante la loro rievocazione, permettono all‘uomo qualunque
di abolire il tempo profano e di attualizzare l‘epoca mitica. Vediamo così
susseguirsi miti cosmogonici che concedono all'uomo di ripetere
simbolicamente l'atto della creazione nel momento stesso in cui prende
possesso di un territorio precedentemente incolto (e per questo associato al
caos). Siano considerati come esempio le Città Stato babilonesi, corrispettivo
terreste degli archetipi astrali, oppure la tradizione ebraica che vuole una
Gerusalemme celeste costruita da Dio prima di quella terrena edificata
dall'uomo e ancora la medesima teoria in India dove tutte le città regali
rievocano, architettonicamente, le dimore del sovrano universale dell'età
dell'oro induista14. Proseguendo poi troviamo i simbolismi del centro15, la
12
Durante il periodo medievale la dottrina cristiano-occidentale prevedeva, secondo i dettami biblici, di
assegnare un nome ad ogni cosa del creato, onde evitare che questa potesse oltrepassare i confini e assumere
connotazioni empie o scellerate ossia luciferine.
13
M. ELIADE, Il mito dell‟eterno ritorno, Borla, Roma 1993, cfr. pp. 16-20.
14
Ibid. cfr .pp. 17-18.
15
Ibid. cfr. pp. 21-26. Il simbolismo architettonico del centro (imago mundi) considera la montagna sacra,
come incontro cielo-terra, centro del mondo. Ogni palazzo o tempio è assimilato alla ―montagna sacra‖.
Essendo un Axis Mundi, la città o il tempio sono considerati punto di incontro tra Cielo, Terra e Inferno.
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zona sacra per eccellenza, la realtà assoluta il cui sentiero rappresenta un
percorso metaforicamente lungo e impervio (pellegrinaggi ai luoghi sacri,
spedizioni eroiche, percorsi labirintici, ricerca del proprio ‗centro‘) il cui
accesso equivale a una iniziazione16. Potremmo continuare per molto ancora
citando tra gli altri i miti ierogamici, la cui attualizzazione è tesa a ripetere le
unioni degli Dei come pure ulteriori e differenti modelli divini.
Ognuna di queste attività ha senso solo nella misura in cui emulerà un
evento originario. Esso è considerato vero perché si riferisce sempre a delle
realtà. Citando Eliade ―è così perché è detto che è così‖17. Il mito dunque ha
un significato supremo e indiscutibile, concede all‘uomo primitivo pressoché
impotente di vivere eternamente una condizione ieratica e al tempo stesso
reale. Con le sue irruzioni del sacro nel mondo profano alleggerisce l‘uomo
dal peso della sofferenza e dell‘impotenza rispetto agli eventi e lo fa nel modo
più efficace e favorevole alla sopravvivenza dell‘uomo, rivelando i modelli di
tutti i riti e le attività umane significative, dell'alimentazione e del
matrimonio, del lavoro, dell'educazione, dell'arte o della saggezza. Esiste però
una sostanziale differenza nella natura dei miti che passiamo ora ad illustrare.
16
M. ELIADE, Il mito… cfr. p. 27.
17
M. ELIADE, Lo sagrado e lo profano, Punto Omega, Guadarrama 1981 4° Ed. p. 59 - trad. it. Il sacro e il
profano, Bollati Boringhieri, Torino 1973 (1956).
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1.4. Miti veri e miti falsi
Sembrerebbe scontato affermare che il mondo arcaico abbia avuto la
capacità di ricacciare del tutto ogni forma di attività profana privilegiando una
realtà immersa in una dimensione religiosa (pressoché) ininterrotta. Se
accettiamo per vero quanto si legge negli scritti di Eliade, ossia che ―ogni
azione ha un senso preciso ― caccia, pesca, agricoltura, giochi, conflitti,
sessualità, ecc. ― partecipa in qualche modo del sacro18‖, allora ne
dedurremo che non esistono attività profane. Questo non è affatto vero e
creerebbe un paradosso inequivocabile proiettando l‘uomo profano in un
continuum spazio-temporale ieratico. In effetti una pronta classificazione ci
indurrebbe a etichettare come ‗profane‘ quelle attività mancanti di un modello
esemplare. Il discorso in realtà è ben più macchinoso e ci spinge a valutare in
chiave diacronica il lungo processo di demitizzazione (o desacralizzazione) a
cui determinate attività umane sono state sottoposte fino a divenire appunto
profane.
Una bisettrice storico-antropologica artefice di un dualismo che vede
contrapposti i ‗miti veri‘, considerati ancora latori di significati religiosi e i
‗miti falsi‘, impoveritisi nel corso dei secoli. Approfittiamo ancora una volta
de Il mito dell‟eterno ritorno per meglio comprendere tale dicotomia citando
qualche esempio concreto19:
ξ la danza, i cui passi eseguiti in illo tempore da un eroe, un dio o un
animale, vengono riprodotti per propiziare un evento (la danza della
pioggia), rendere onore ai morti, per ottenere nutrimento o per stabilire un
contatto o immedesimazione extra-umana (danze sciamaniche);
18
M. ELIADE, Il mito… cit. p. 36.
19
Ibid. cfr. pp. 36-38.