4
di private equity può assumere la forma di:
ξ acquisto di quote o sottoscrizione di capitale;
ξ erogazione di prestiti destinati a divenire mezzi propri, come ad esempio i prestit
convertibili o altri strumenti finanziari assimilabili.
Nel mercato italiano si registra una presenza di operatori specializzati di origine
anglosassone e di intermediari specializzati espressione di gruppi bancari italiani3. La
configurazione giuridica degli operatori italiani è di norma quella di società di gestione del
risparmio, autorizzata alla gestione di fondi mobiliari chiusi, dedita alla raccolta dei mezzi nel
mercato finanziario, in genere presso investitori istituzionali.
Per la società di private equity le operazioni di investimento presentano un elevato profilo
di rischio dovuto a:
ξ rischio di perdita totale del capitale investito in caso di insuccesso aziendale;
ξ immobilizzo dei capitali impiegati per un periodo non inferiore a 3/5 anni;
ξ scarsa liquidabilità delle quote dei fondi mobiliari; tale da giustificare l'obiettivo di
raggiungere un'alta redditività e, di conseguenza, un consistente incremento di
valore delle imprese partecipate per conseguire elevati profitti grazie alle
plusvalenze generate al momento della dismissione.
In funzione delle caratteristiche dell'impresa target e dell'entità delle partecipazioni
assunte l'operatore di private equity tende ad avere un ruolo attivo, e non di mero finanziatore
come un normale operatore bancario, nella gestione delle imprese target. L'intervento di
private equity si caratterizza proprio per il fatto che in affiancamento alla fornitura di capitali
si realizza il trasferimento di know-how e competenze manageriali finalizzate a valorizzare le
partecipazioni in un'ottica di successivo ritorno positivo.
L’insieme di tali attività, indipendentemente dalla fase del ciclo di vita delle imprese cui si
riferisce, viene individuato come un sottosegmento del più ampio settore del merchant banking4,
3
Per le aziende di credito la partecipazione ad operazioni di private equity rappresenta un modo per creare
nuovi clienti
4
La nascita dell‘attività di merchant banking viene fatta risalire all‘Inghilterra dei primi anni del 700, quando
alcuni ricchi mercanti di caratura internazionale impegnati in varie attività commerciali prevalentemente nel
campo dell‘importazione di materie prime, come i Baring, i Browns, i Kleinwort, gli Schroders, decisero di
estendere la loro attività, fino ad allora prevalentemente commerciale, anche al campo finanziario. Per
approfondimenti si veda C. Rosa, A. Schiavo, La sfida italiana del Merchant Banking, Europa, Novara 1987, e
A. Gervasoni (a cura di), Impresa e mercato finanzio>>, Guerini e Associati, Milano 19993, Capitolo 4,
5
inteso come insieme di attività di finanziamento e di consulenza posti in essere da operatori
finanziari a diretto supporto dell’attività d’impresa.
1.2 Origini ed evoluzione del mercato
L‘ attività di investimento nel capitale di rischio di imprese non quotate è riconducibile,
seppure con forme e modalità differenti, a tutti quei sistemi economici aventi una fiorente
attività commerciale; è opinione diffusa che la nascita di un vero e proprio mercato del
private equity avvenne negli USA negli anni 40, mercato che è notevolmente cresciuto negli
anni. Gli anni 90 hanno rappresentato il periodo di maggiore espansione per l‘intero settore di
private equity americano, dovuto principalmente all‘eccezionale andamento fatto registrare
dai mercati borsistici, che hanno creato grandi opportunità per le nuove quotazioni in borsa e
per la realizzazione di elevate performance. Infine, il fiorente sviluppo di nuove tecnologie,
specialmente in settori come quello dell‘Information Technology, ha creato continue
opportunità di investimento per gli operatori statunitensi, consolidando la posizione degli
USA come leader mondiale in questo segmento del mercato5.
La nascita ed il primo sviluppo del mercato europeo del private equity è ricondotta
all‘evoluzione che tale settore ha avuto nel Regno Unito, culla della maggior parte dei servizi
finanziari attualmente disponibili sul mercato internazionale, e ancora oggi rappresentante
quasi il 50% dell‘intero mercato continentale dell‘investimento istituzionale del capitale di
rischio. Forme rudimentali di interventi di Private Equity risalgono al 1800 proprio ad opera
di operatori del Regno Unito, in particolare ci riferiamo agli investimenti realizzati dai fondi
comuni di investimento inglesi nelle American Raillways, le prime ferrovie americane; la
nascita di un vero e proprio mercato europeo del private equity risale ai primi anni 80, e dai
primi anni 90 la maggior parte degli operatori ha abbandonato l‘attività di investimento in
imprese piccole ed in fase di avvio, per fornire il proprio sostegno ad imprese di maggiori
dimensioni alla ricerca di capitali per lo sviluppo. Il periodo compreso tra il 1996 ed il 2006 è
stato caratterizzato da una rapidissima crescita del mercato: le risorse raccolte dagli operatori
di private equità in Europa sono passate da 8 a più di 112 miliardi di euro, soltanto la recente
<<L‘attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio>>, a cura di F.L. Sattin, ed in particolare il
primo paragrafo, <<Attività di merchant banking e venture capital>>.
5
A tal proposito basti pensare che alcuni autori fanno risalire le prime esperienze di private equity addirittura
all‘epoca dell‘Impero romano di Giulio Cesare. Cfr. in questo senso J.S. Levin, Structuring Venture Capital,
Private Equity and Entrepreneurial Transaction, J. Wiley and Soons, New York 1999.
6
crisi dei mutui sub-prime sembra aver fermato questo processo di crescita.
In Italia, l‘avvio del settore del capitale di rischio è fatto risalire convenzionalmente al
1986, anno in cui alcune finanziarie private e di emanazione bancaria hanno dato vita
all‘AIFI, al fine di creare un organismo istituzionale specifico del settore e sviluppare un
mercato italiano del capitale di rischio.
In questo ambito si sono succeduti numerosi interventi normativi, che hanno portato
all‘assetto attuale, ma che hanno anche notevolmente cambiato il profilo degli operatori e, le
loro possibilità di intervento; i sopracitati interventi normativi sono i seguenti:
ξ la delibera del CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio) del
febbraio 1987;
ξ l‘emanazione del Testo Unico in materia bancaria e creditizia nel settembre 1993
(D.lgs. 385/93);
ξ l‘emanazione della Legge 344/93, istitutiva dei fondi mobiliari chiusi;
ξ l‘emanazione del TUF (Testo Unico della Finanza) nel febbraio del 1998 (D.lgs.
58/98);
ξ l‘emanazione del decreto del Ministero del Tesoro n. 228 del maggio 1999;
ξ l‘emanazione del provvedimento di Banca d‘Italia del settembre 1999;
ξ l‘emanazione del decreto del Ministero del Tesoro n. 47 del gennaio 2003;
ξ l‘emanazione del provvedimento di Banca d‘Italia dell‘aprile 2005.
Fino al 1986, in Italia, l‘attività di investimento diretto nel capitale di rischio di imprese
industriali non quotate era vietato alle aziende di credito ed agli istituti centrali di categoria6.
Invece dal febbraio 1987, con la delibera del CICR e la relativa circolare della Banca d‘Italia
del mese seguente, anche anche alle aziende di credito e agli istituti centrali di categoria fu
consentito di operare nel capitale di rischio tramite società di intermediazione finanziaria di
loro emanazione, le SIF, le quali però potevano solamente assumere temporaneamente
obbligazioni, azioni e titoli similari di imprese, per partecipare al capitale di rischio in
posizione minoritaria.
Successivamente la situazione rimase invariata fino al 1993, anno in cui si ha
l‘emanazione del Testo Unico in materia bancaria e creditizia, che introduceva una parziale
6
Per approfondimenti vedasi << Il ruolo del sistema bancario >>, in A. Gervasoni, Finanziare l’attività
imprenditoriale , Guerini e Associati, Milano 1996.
7
separazione tra banca ed impresa, per cui le banche non potevano detenere oltre una certa
percentuale di partecipazione nel capitale sociale di un impresa, in relazione al patrimonio di
vigilanza della Banca stessa.
La legge n. 344 del 14 agosto 1993 ha istituito i fondi di investimento mobiliare chiusi di
diritto italiano, che hanno ampliato la gamma degli operatori nel capitale di rischio, dotando
seppur in ritardo, dello strumento internazionale più diffuso per lo svolgimento di tale
attività.
Senza alcun dubbio la legge più importante in tale ambito è quella che ha previsto
l‘emanazione del Testo Unico della Finanza, che ha riformato l‘intera disciplina relativa
all‘attività d‘intermediazione finanziaria, introducendo la figura del del <<gestore unico del
risparmio>> attraverso la struttura della Società di Gestione del Risparmio 7 e tra l‘altro, ha
abrogato la Legge 344/93 di cui si è parlato in precedenza. Successivamente, il Regolamento
sulla gestione collettiva del risparmio (Provvedimento Banca d‘Italia del 14 aprile 2005) e le
norme regolamentari emanate dalla Banca d‘Italia e dal Ministero del Tesoro hanno
modificato il quadro strutturale inerente i fondi mobiliari chiusi, dotandoli di una maggiore
flessibilità e coerenza con il contesto finanziario internazionale
In Italia il settore del private equity ha avuto uno sviluppo molto caratteristico se
paragonato a quanto avvenuto nei Paesi finanziariamente più evoluti. Nella prima metà degli
anni Ottanta, in un periodo di particolare diffidenza della nostra normativa verso questa
specifica attività, i pioneri del mercato italiano del private equity sono stati operatori di di
emanazione privata che, con la formula organizzativa della finanziaria di partecipazione,
hanno iniziato a riversare capitali propri o raccolit presso un ristretto numero di soci verso il
sistema delle piccole e medie imprese. In seguito, verso la fine dello stesso decennio, è stato
il sistema bancario, svincolato da una precedente legge particolarmente restrittiva, ad
affacciarsi sul mercato, dapprima attraverso società specializzate, poi, direttamente, attraverso
divisioni interne alle stesse banche. Infine, a partire dalla prima metà degli anni 90, hanno
cominciato ad operare stabilmente in Italia sia un numero crescente di advisor di fondi chiusi
internazionali (in passato presenti in un numero molto ridotto), sia i primi fondi chiusi di
diritto italiano.
Le attuali tendenze in Italia registrano l‘aumento di queste ultime 2 tipologie di operatori,
espressione di un riallineamento anche istituzionale del nostro mercato alle tendenze tipiche
dei sistemi più evoluti, dove i fondi chiusi sono lo strumento principale per lo svolgimento
7
Per approfondimenti si veda F. Belli, F.Mazzini, R. Tedeschi, Il Testo unico della Finanza, Il sole 24 Ore
Libri, Milano 1998.
8
dell‘attività di investimento nel capitale di rischio. In base ai dati AIFI relativi al 2006, le
società (SGR) di fondi chiusi di diritto italiano ed i country fund costituiscono circa la metà
(49%) dei soci dell‘Associazione Italiana del Private Equity, che riunisce la quasi totalità
degli operatori
1.3 Classificazione delle operazioni di private equity
Le diverse forme degli interventi di private equity tendono a confarsi alle fasi del ciclo di
vita dell‘impresa target, in cui si manifestano differenti necessità di capitale di rischio e di
supporto manageriale:
Ciclo di vita Forme di finanziamento
Fase di avvio Venture capital
Fase di sviluppo Finanziamento dello sviluppo
Fase di maturità Replacement o buy-out
Fase di crisi Turnaround
Finanziamento in fase di avvio (early stage financing).
Questa forma che prende il nome di venture capital, è finalizzata a supportare l’avvio
dell’impresa, compresa la fase di progettazione, ed è normalmente destinata a piccole nuove
imprese operanti nei settori ad alta tecnologia.Nel caso del venture capital la funzione di consulenza
o di coinvolgimento diretto nella gestione da parte del "venture capitalist" diviene essenziale. Gli
interventi di venture capital si possono distinguere ulteriormente in:
ξ Seed financing, in cui l'intervento del capitale di rischio ha luogo nella fase di
sperimentazione del prodotto o di creazione dell'impresa;
ξ Start up financing, in cui l'apporto di capitale di rischio avviene nelle fasi iniziali
del processo produttivo del bene (talvolta coperto da brevetto).
9
Finanziamento dello sviluppo
Questa forma riguarda imprese già consolidate e prende la forma di apporto di capitale di rischio
(equity) o di sottoscrizione di prestiti obbligazionari convertibili. Trova spazio di applicazione nelle
situazioni in cui il titolare dell'impresa non desidera apportare nuovo capitale di rischio, quando
l'impresa non ha i requisiti o non manifesta l'interesse per la quotazione in borsa, o, ancora, quando
l'ulteriore ricorso al finanziamento bancario avrebbe come conseguenza l'aumento degli oneri
finanziari mettendo a rischio l'equilibrio della struttura finanziaria aziendale. E’ finalizzato a
supportare l’espansione, interna o esterna, o il raggruppamento di società indipendenti.
Finanziamento della fase di maturità
Si riferisce ad imprese rientranti nella fase del ciclo di vita di maturità che presentano,
generalmente, una posizione di equilibrio finanziario e reddituale. Di norma l'operazione di private
equity riguarda il riassetto della compagine azionaria azionaria dell'azienda target, con il subentro in
luogo di altri azionisti. Si tratta di operazioni che, in un primo momento, possono accrescere o meno
la dotazione di capitale complessivo dell'azienda. Si distinguono in replacement capital, ossia un
ricambio degli azionisti, e buy-out, concernente il cambiamento totale della proprietà.
ξ Il replacement capital viene effettuato dall'investitore istituzionale nelle situazioni in
cui occorra sostituire un socio (di solito minoritario), senza la modifica della
posizione dell'azionista di maggioranza; si verifica di norma in occasione di passaggi
successori in imprese di famiglia, di smobilizzi da parte di azionisti a carattere
meramente finanziario o per dissidi con gli azionisti di maggioranza sulle scelte
imprenditoriali. L'intervento della società di private equity garantisce la continuità del
funzionamento aziendale e la stabilità dell'azionariato.
ξ Le operazioni di buy-out riguardano il cambio di proprietà, nel senso di cessione del
pacchetto di controllo. A loro volta si distinguono in:
LBO (leveraged buy-out): si tratta di un'operazione in cui la quota
preponderante dei mezzi finanziari, necessari per l'acquisto della maggioranza
del capitale, viene raccolta tramite ricorso all'indebitamento, da rimborsare
con i successivi flussi di cassa che si prevede di generare con la gestione
dell'azienda acquisita;
10
MBO/MBI (management buyout/ buy-in): costituisce un'operazione in cui i
dirigenti, interni (MBO) o esterni (MBI) all'impresa, acquistano una quota di
partecipazione affiancati da un investitore di private equity. Nell'ambito delle
operazioni di buy-out la società di private equity può rivestire diversi ruoli.
Può acquistare quote di minoranza, in affiancamento ad un nuovo azionista di
maggioranza, o quote di maggioranza, del vero e proprio capitale o tramite
patti di sindacato con altri investitori.
Turnaround
Si tratta di operazioni svolte riguardo a imprese target che versano in condizioni di difficoltà tale
da richiedere modifiche radicali nelle strategie e avvicendamento dei responsabili della conduzione
aziendale. Gli interventi che rientrano in questa fase sono finalizzati, di norma, ad allungare
l'indebitamento, o ad alleggerirlo spingendo le banche creditrici a convertire i propri crediti in azioni
dell'azienda target. In questo genere di operazioni l'intervento della società di private equity, nel
capitale dell'impresa target, si accompagna di solito all'impegno di un nuovo gruppo imprenditoriale
o di un affiatato gruppo dirigente di solida esperienza.
Le operazioni di turnaround si rivolgono, talvolta, ad imprese sottoposte a procedure concorsuali
mirate al risanamento per il tramite di società veicolo appositamente costituite, per acquisire
totalmente o parzialmente l'impresa in crisi, anche mediante l'affitto di un ramo o dell'intera
azienda.
La riclassificazione appena effettuata raccoglie da un punto di vista teorico tutti i vari tipi di
investimento nel capitale di rischio, ma da un punto di vista operativo si ritiene superata per una
serie di ragioni che vanno: dalle crescenti difficoltà nell’individuare un profilo anagrafico standard
applicabile a qualsiasi tipo di impresa, operante in qualsiasi settore; alla crescente complessità dei
settori merceologici e delle peculiari problematiche a ognuno di essi riconducibili fa sì che, in alcuni
casi, lo stadio di sviluppo delle diverse imprese, e le esigenze finanziarie ad esso collegate poco si
prestino ad una schematizzazione classica; giungendo infine alla constatazione del fatto che, gli
operatori nel capitale di rischio sviluppano di continuo avanzati strumenti di ingegneria finanziaria,
sempre più complessi e sofisticati, per mezzo dei quali si fa uso contemporaneo di diverse leve e che,
per questo motivo, sono difficilmente catalogabili.
Alla luce di tutto ciò, nel prosieguo della trattazione, sarà effettuata una classificazione basata
sulla macro-ripartizione tra le diverse esigenze strategiche dell’impresa, le problematiche a esse
11
riconducibili e gli obiettivi di soddisfacimento di queste che l’investitore si pone. A tal fine, gli
interventi degli investitori istituzionali nel capitale di rischio possono essere classificati8 in:
ξ Finanziamento dell‘avvio;
ξ Finanziamento dello sviluppo;
ξ Finanziamento del cambiamento/trasmissione d‘impresa.
Solitamente, alla prima ed alla seconda categoria appartiene l‘attività di venture capital
che riguarda l‘acquisizioni di partecipazioni tendenzialmente di minoranza, mentre la terza
riguarda l‘attività di buy out che solitamente si riferisce ad investimenti di maggioranza9. Nel
prosieguo del capitolo ci si focalizzerà proprio su quest‘ultima riclassificazione, analizzando
in particolare le ultime due tipologie di finanziamenti, tralasciando il finanziamento
dell‘avvio poiché tale categoria di operazioni concernono tutte le operazioni il cui obiettivo è
quello di supportare la nascita di una nuova iniziativa imprenditoriali, tale categoria di
finanziamenti sono distanti dal caso oggetto di analisi (il caso Ferretti), per cui non saranno
oggetto di approfondimento nel corso della trattazione.
1.3.1 Il finanziamento dello sviluppo
Nel finanziamento dello sviluppo, l‘impresa si trovi dinanzi a problematiche connesse al
suo sviluppo, siamo dinanzi ad iniziative imprenditoriali già sviluppate e l‘intervento
dell‘operatore finanziario è volto a progetti di ampliamento della capacità produttiva o di
sviluppo di nuovi prodotti e/o mercati, così come di progetti di consolidamento delle fonti
finanziarie legate a strategie di medio-lungo termine.
Lo sviluppo di un attività imprenditoriale che ha raggiunto un certo livello di maturità
solitamente viene perseguito attraverso l‘aumento della diversificazione della capacità
produttiva (sviluppo per vie interne), l‘acquisizione di altre aziende e rami d‘azienda
(sviluppo per vie esterne), oppure attraverso l‘integrazione con altre realtà imprenditoriali,
mantenendo allo stesso tempo un alto grado di autonomia operativa delle singole unità
8
Per riferimenti teorici, cfr. Liaw K.T., The Business of Investment Banking, J. Wiley and Sons, New York
1999; inoltre A. Dessy, J. Vender, Capitale di rischio e sviluppo dell’impresa, Egea, Milano 1996.
9
Nel corso della trattazione sarà posta maggiore attenzioni al finanziamento dello sviluppo ed al finanziamento
del cambiamento/trasmissione di impresa, poiché sono riscontrabili in essi maggiori punti di contatto con il caso
Ferretti oggetto di analisi.
12
(sviluppo <<a rete>>).
Nel caso di crescita per vie interne, l‘investitore istituzionale fornirà un supporto
prevalentemente di natura finanziaria, senza tralasciare l‘elemento consulenziale data la
presenza di molte aree di sviluppo non conosciute, sia dal punto di vista della diversificazione
produttiva che geografica, inoltre all‘investitore è richiesto anche di intervenire sulla struttura
organizzativa che in questa fase risulta ancora spesso non consolidata.
Nel caso di crescita per vie esterne, ha grande importanza il network internazionale che
l‘investitore è in grado di attivare per l‘individuazione del partner ideale, per questa ragione,
questo tipo di interventi risultano essere particolarmente congeniali a quegli operatori che
hanno una consolidata esperienza di carattere internazionale e rete di conoscenze in paesi
diversi. Terza modalità di sviluppo è quella effettuata attraverso operazioni finanziarie di
cluster venture (più comunemente detti poli industriali) che saranno oggetto di analisi
successivamente.
L‘obiettivo di crescita può anche essere legato alla volontà, di raggiungere nel breve
periodo la massa critica necessaria per potersi quotare in Borsa, in questo caso l‘intervento
dell‘operatore costituisce un finanziamento ponte tra lo status di azienda a capitale chiuso e
società quotata, questo tipo di finanziamento prende il nome di bridge finance o pre-ipo.
Gli investitori sono molto attratti da tali tipi di investimenti, poiché avendo fiducia nel
business, credono moltissimo nelle potenzialità di crescita del valore dell‘ azienda, una volta
che quest‘ultima avrà a disposizione i capitali per lo sviluppo. Questi tipi di investimenti
risultano essere particolarmente adatti per le imprese di medie dimensioni, mature per
effettuare quel salto dimensionale necessario per consolidare o migliorare la propria
posizione all‘interno del contesto competitivo, tali imprese sono frequentissime in Europa,
soprattutto in Italia, spesso a conduzione familiare ed incapaci di competere a livello
internazionale.
Le operazioni di sviluppo sono molto più complesse rispetto alle operazioni di avvio,
innanzitutto perché in queste transazioni l‘investitore deve negoziare con un numero
maggiore di azionisti che a loro volta sono spesso portatori di interessi divergenti, inoltre
bisogna considerare anche la storia dell‘azienda, che se da un lato rende necessarie analisi più
approfondite, dall‘altro fornisce un supporto fondamentale all‘attività di valutazione,
conferendole maggiore oggettività. Si viene a creare così una partnership tra operatore di
private equity ed imprenditore, in cui dovranno essere attentamente valutate tutte le
caratteristiche personali ed attitudinali delle parti coinvolte.
Nella fase preparatoria all‘investimento viene effettuata una rigorosa due diligence , che
13
non deve trascurare alcun aspetto, in particolare quelli di business, legali, ed organizzativi, il
tutto sfocerà in un‘analisi di congruità del valore dell‘azienda, nonché in una valutazione
della sua condizione economico-reddituale, patrimoniale e societaria rispetto ai contenuti del
business plan. Le operazioni di indagine sono solo alcune delle attività preliminari volte a
tutelare l‘investitore, oggetto di lunghe analisi e trattative sono anche la ripartizione del
capitale tra l‘investitore finanziario e gli shareholder.
1.3.1.1 Le operazioni di sviluppo nel contesto europeo e italiano: principali
caratteristiche e modalità di attuazione
Le operazioni di private equity più diffuse in Europa sono rappresentate dalle operazioni
di buy out , seguite subito dopo dalle operazioni di sviluppo, che a differenza delle prime si
sono sviluppate in Europa seguendo modalità molto diverse rispetto a quelle sviluppatesi nei
mercati di matrice anglosassone, quali USA ed Inghilterra. Le operazioni di sviluppo si sono
diffuse in Europa Continentale, ed in Italia in particolare, con delle modalità del tutto
particolari, dovute principalmente alla diversa struttura imprenditoriale ed industriale,
caratterizzata dalla prevalenza di società private (nel senso di non quotate) a controllo
familiare, spesso operanti in settori maturi e spesso esposte alle problematiche del passaggio
generazionale10. In base a quanto detto, gli interventi degli operatori di private equity
avvengono con modalità differenti rispetto a quelle che avvengono nei mercati statunitensi ed
inglesi, senza pregiudicarne le possibilità di successo.
Un esempio di tale operazione che avviene nel mercato italiano sono quelle che vedono
agire in partnership da un lato l‘operatore di private equity spesso in posizione di investitore
di minoranza, e dall‘altro l‘imprenditore familiare, che seppur mantiene il controllo, ritiene
utile ed opportuno, spesso durante una fase di ricambio generazionale, <<operare>> con una
società di private equity al fine di rivisitare o ristrutturare l‘azienda e la sua organizzazione
porre le basi per una nuova fase di sviluppo se non, in alcuni casi, per assicurarne la
sopravvivenza. Questi interventi, spesso, hanno come obiettivo finale la quotazione in un
mercato regolamentato, come nel caso delle operazioni di pre-ipo (inizial public offering).
Il Governatore della Banca d‘Italia, Mario Draghi, nelle sue considerazioni finali del
maggio 2007, ha posto grande attenzione a questi aspetti di grande rilevanza per la struttura
industriale del nostro Paese, sostenendo che <<gli intermediari specializzati nel capitale di
rischio possono agevolare la crescita delle piccole e medie imprese, contribuire al
10
Sattin, F. Colonna P., La via italiana al private equità, Harvard Business Rewiew, n.12, dicembre 2007
14
rafforzamento della struttura manageriale, favorire l‘accesso ai mercati di borsa,
accompagnare il ricambio generazionale>>11.
Le operazioni di sviluppo, almeno quelle strutturate nel modo precedentemente visto,
sono inusuali nel mercato statunitense, infatti, in questi mercati, le società di private equity
acquistano principalmente il controllo di società pubbliche (società già quotate e con
azionariato diffuso), per poi <<delistarle>> tramite l‘operazione di investimento.
Tornando ad analizzare le differenze tra le operazioni di sviluppo e quelle di buy out,
nelle prime solitamente l‘operatore di private equity interviene con una partecipazione di
minoranza, per cui il controllo della società resta in mano all‘azionista di maggioranza che
solitamente è rappresentato da un imprenditore familiare o dagli eredi dello stesso.
Quindi nelle operazioni di buy out solitamente avviene la cessione della maggioranza, se
non della totalità, per cui in tale processo di compravendita il prezzo diventa una delle
variabili più importanti da prendere in considerazione, invece in caso di acquisto di una
partecipazione di minoranza il prezzo sarà sicuramente una variabile importante, ma non
l‘unica e la principale, dato che in questi casi ciò che conta per l‘imprenditore non è tanto
massimizzare il valore, che è comunque un aspetto da tenere in considerazione, ma anche e
soprattutto scegliere l‘operatore che per caratteristiche operative, profilo ed esperienza. Si
adatta meglio alle esigenze della società, alle sue modalità di gestione, ma soprattutto quello
in grado di condividere e di supportare al meglio i progetti di sviluppo dell‘azionista di
controllo.
Come già rimarcato, la quotazione in borsa, è solitamente l‘obiettivo finale, poiché
consente allo stesso tempo, all‘investitore di private equity di uscire dall‘investimento in un
tempo consono alle sue necessità, (solitamente 3-5 anni) ed all‘azionista di controllo di
continuare a svolgere un ruolo di un ruolo centrale e di guida anche successivamente
all‘uscita del partner, sfruttando inoltre tutti i vantaggi di carattere strategico e finanziario che
la quotazione comporta, nonché dello sviluppo e del rinnovato assetto manageriale ed
organizzativo conseguenti a tale partnership (a tal proposito si veda il Capitolo 4 dedicato alla
fase di monitoraggio e di valorizzazione).
La leva finanziaria risulta essere molto utilizzata nelle operazioni di buy out, l‘esatto
contrario nelle operazioni di sviluppo, spesso infatti queste operazioni sono effettuate
attraverso interventi in aumento di capitali, al fine di dotare la società delle risorse finanziarie
necessarie a realizzare una strategia di sviluppo, se non a ripianare una situazione finanziaria
11
Banca d‘Italia, Considerazioni Finali, assemblea ordinaria dei partecipanti, Roma, 31 maggio 2007.
15
non ottimale o pregiudicata. In queste operazioni, così come in quelle di avvio, non
usufruendo della leva finanziaria, il ritorno sull‘investimento dipende quasi esclusivamente
dallo sviluppo ed incremento di valore della società nel tempo, per cui è fondamentale che vi
sia una totale chiarezza e sintonia tra l‘operatore di private equity e l‘imprenditore azionista
di controllo, sugli obiettivi e le strategie di sviluppo della società nonché sulle modalità
tecniche e finanziarie più opportune che ne consentano il raggiungimento.
Imprenditore ed investitore istituzionale devono stabilire delle regole di governance ben
precise, infatti bisogna stabilire quali debbano essere le decisioni da prendere in maniera
condivisa o meno, ed essendo spesso la quotazione l‘obiettivo finale, vengono adottati i
codici di governance previsti per le società quotate (in Italia vengono adottate le disposizioni
previste dal Codice di Autodisciplina12 di Borsa Italiana). Inoltre bisogna anche stabilire in
dettaglio come verrà effettuata la collaborazione tra le parti, lo strumento tecnico per
effettuare tutto ciò è sicuramente il consiglio di amministrazione ma soprattutto i
<<comitati>> dove partecipano sia i rappresentanti della proprietà, sia i rappresentanti della
società, che dell‘operatore di private equity, in cui vengono valutate ed approfondite tutte le
azioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi strategici stabiliti in fase di negoziazione.
Altra distinzione con riferimento alle operazioni di private equity in cui l‘investitore acquista
una posizione di controllo concerne, specifiche clausole riguardanti specifiche modalità di
uscita nel caso in cui gli obiettivi prefissati non vengano raggiunti.
In base a quanto detto, emerge chiaramente che le operazioni di sviluppo risultano essere
molto diverse da quelle di buy out, e richiedono esperienze e competenze specifiche da parte
degli operatori, tuttavia, il successo di molte di queste operazioni dimostrano che questa
tipologia di interventi si sta rilevando molto utile e profittevole sia per le società che per gli
investitori, senza tralasciare il il grande impatto economico e sociale nell‘ambito del
rinnovamento della struttura industriale europea ed anche di quella italiana, come più volte
ribadito dal Governatore della Banca d‘Italia Mario Draghi.
Ed è proprio in questa tipologia di investimenti che si realizza nel migliore dei modi la
sinergia e positiva collaborazione tra impresa familiare e private equity, che spesso consente
alle imprese familiari, magari coinvolte dalla problematica del ricambio generazionale, di
rinnovarsi, managerializzarsi ed espandersi sia a livello nazionale che internazionale.
12
Borsa Italiana, Comitato per la Corporate Governance, Codice di Autodisciplina, Milano 2006.
16
1.3.1.2 Il cluster venture
Il cluster venture (costituzione di poli industriali) è uno degli sviluppi più importanti
dell‘attività d‘investimento nel capitale di rischio, questa tipologia di intervento non è inclusa
tra le classificazioni ufficiali da parte delle associazioni di categoria. Con questo termine
intendiamo una tipologia di intervento finalizzata al raggruppamento (cluster) di più società
operative indipendenti, integrabili verticalmente ed orizzontalmente e caratterizzate da
similitudini in termini di prodotti, mercati e tecnologie, possedute da una holding che svolge
un ruolo di coordinamento strategico e dove sono presenti con ruoli importanti, se non
addirittura di controllo, una o più società di investimento.
Un esempio di struttura di cluster venture è quello descritto nella seguente tabella:
Fonte: Fabio L. Sattin, Costellazioni di imprese, in Amministrazione e Finanza, N.
22,1991
Il grande vantaggio di questa tipologia di investimento consiste nell‘identificazione e
nello sfruttamento delle sinergie di tipo tecnologico, commerciale, manageriale e finanziario
Possibile struttura di un’operazione di cluster venture
90% 90% 90% 90%
10% 10% 10% 10%
IMPRENDITORI
SOCIETA’ DI
PRIVATE
EQUITY
MANAGER
HOLDING
(Coordinamento strategico)
Società operativa 1 Società operativa 2 Società operativa 3 Società operativa 4
Manager Manager Manager Manager
17
che si possono produrre tra le varie società facenti parte del gruppo, mantenendo, allo stesso
tempo, un‘elevata focalizzazione e specializzazione delle attività condotte dalle singole
aziende non limitandone l‘autonomia e l‘indipendenza decisionale ed operativa.
Altro vantaggio è di carattere finanziario, risulta infatti più semplice attrarre investimenti
a condizioni vantaggiose per un gruppo diversificato che non per le singole aziende, inoltre il
coordinamento centrale della gestione finanziaria delle società, consente lo sviluppo della
massa critica e delle competenze necessarie per usufruire di servizi più sofisticati a vantaggio
di tutte le aziende facenti parti del gruppo.
In un‘economia come quella italiana caratterizzata da un‘elevata frammentazione e da una
piccola dimensione media delle imprese, questa tipologia di interventi appare particolarmente
utile ed opportuna e potrebbe risultare di grande beneficio all‘economia ed allo sviluppo di
gruppi industriali.
Il più grande problema di tale tipologia di investimenti è quello della disponibilità degli
investitori a condividere un‘iniziativa comune e rinunciare al controllo della loro società a
fronte di una partecipazione, spesso di minoranza, nell‘ambito di un processo di più ampio
respiro e con maggiori prospettive di sviluppo e conseguente valorizzazione. Quindi
l‘impedimento principale non è rappresentato da aspetti di carattere economico, infatti se le
cose vengono ben fatte, la partecipazione al gruppo, anche se di minoranza, in prospettiva
può valere di più che non l‘intera società <<apportata>>, senza considerare che essendo
spesso l‘obiettivo finale la quotazione in borsa, questa partecipazione sarà correttamente
valorizzata ed effettivamente liquidabile.
Il problema vero lo ha stigmatizzato il Governatore Mario Draghi nelle sue considerazioni
conclusive13 dove riferendosi specificatamente alla scarsa apertura ai cambiamenti da parte
dei nostri imprenditori familiari, afferma che <<quando la proprietà familiare perde il gusto
del rischio creativo, quando la ricchezza investita nell‘azienda comincia a esser vista solo
come fonte di rendite o di benefici privati del controllo, l‘immobilismo proprietario può
diventare un freno alla crescita dell‘impresa, la avvia al declinio. E‘ allora che maggiore
diviene per l‘impresa il bisogno di questi intermediari; massimo il guadagno potenziale che
tutti realizzerebbero con un cambio della guardia; massima, a volte, anche la resistenza dei
proprietari>>.
13
Banca d‘Italia, op. cit.