2
“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l‟acqua,
molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si
costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove
vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro
affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e
cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro,
sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente
antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l‟elemosina ma
sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre
anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che
faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al
furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché
poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri
consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal
lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma,
soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro
paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura,
attività criminali". "Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di
comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad
abitazioni che gli americani rifiutano purché le famiglie rimangano unite e
non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa
prima relazione, provengono dal sud dell‟Italia. Vi invito a controllare i
documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve
essere la prima preoccupazione".
Da una relazione dell‟Ispettorato per l‟Immigrazione del Congresso
americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912.
5
PRIMA PARTE
1. IL PERCORSO STORICO DELLA MIGRAZIONE CINESE
Introduzione
Lo scopo principale di questa prima parte del progetto di tesi è quello di
ripercorrere brevemente le linee evolutive della migrazione cinese,
soffermando l‟attenzione prima, sulla presenza cinese in Asia, America ed
Europa, con uno sguardo particolare all‟Italia e, successivamente, a Prato.
Lo studio e l'approfondimento del fenomeno migratorio cinese in Italia,
in particolare, risulta essere relativamente recente, al contrario invece di altri
paesi europei dove gli studi sugli Huaqiao (letteralmente “cinesi soggiornanti
all‟estero”), in quanto comunità di vecchio insediamento, sono stati intrapresi
ormai da decenni. Questo nuovo e crescente interesse verso le comunità cinesi
(che ormai troviamo nella maggior parte delle grandi città italiane e non solo) è
nato probabilmente in seguito ad una maggiore tangibilità in termini di
presenza numerica degli immigrati, dovuta all'aumento dei flussi migratori
provenienti dalla Cina negli ultimi venti anni.
Nel primo capitolo cercherò di ricostruire, sinteticamente, la storia, i
movimenti e le ragioni che hanno spinto i cinesi a raggiungere l‟Europa e, in
un secondo momento, l'Italia. Sempre all‟interno di questo capitolo dedicherò
un paragrafo all‟analisi quantitativa della presenza cinese nel nostro Paese.
Nel secondo capitolo, invece, il focus sarà esclusivamente
sull‟evoluzione del distretto tessile di Prato dal secondo dopoguerra fino ad
arrivare al nuovo millennio.
Infine, nel terzo capitolo, cercherò sia di descrivere a grandi linee
l‟arrivo della popolazione cinese nella città di Prato, sia di analizzare, da un
punto di vista quantitativo, la presenza della popolazione immigrata cinese
all‟interno della provincia di Prato.
6
1.1. Cenni storici sulle prime migrazioni cinesi in Asia, Americhe ed
Europa
L‟ondata migratoria cinese verso i vari paesi europei iniziò solamente a
partire dai primi anni Ottanta dell‟Ottocento. Sino a quel momento, i cinesi
che avevano potuto abbandonare il loro paese d‟origine si erano diretti
unicamente nel Sud-Est Asiatico, in particolare nella Penisola Indocinese e
negli Arcipelaghi dell‟Indonesia, Borneo e Filippine. Erano perlopiù persone
che lavoravano nel commercio, nelle piantagioni o che facevano parte della
cosiddetta “tratta dei coolies
1
” (anche conosciuta come il “traffico dei
maialetti da latte”), ovvero unicamente degli schiavi.
Solo tra il 1847 e il 1874, con la proibizione da parte dell‟impero di
questo tipo di schiavismo, più di mezzo milione di coolie cominciò a lasciare
la Cina per dirigersi verso i paesi d‟oltreoceano.
Fu così che, durante tutta la fine dell‟Ottocento, i migranti cinesi
(coolie) iniziarono a dirigersi verso una nuova meta: le Americhe, sia del
Nord (Stati Uniti e Canada) che del Sud (Cuba, Messico, Perù). Proprio in
questi territori, infatti, vi era concentrata una grande richiesta di manodopera
non qualificata e a basso salario per far fronte al drastico calo di lavoratori,
sopravvenuto con la fine della Tratta dei Neri e l‟abolizione della schiavitù
(1833). Negli Stati Uniti, la manodopera cinese veniva impiegata soprattutto
nella costruzione della ferrovia transamericana, negli scavi per il Canale di
Panama, nelle miniere della California e nelle piantagioni [Campani,
Carchedi, Tassinari, 1994].
Tuttavia la politica discriminatoria, attuata nel 1882 dagli Stati Uniti
(denominata Chinese Exclusion Act) nei confronti degli immigrati cinesi per
far fronte alla paura di una concorrenza troppo forte nel lavoro, portò ad una
drastica riduzione del numero degli immigrati cinesi in America (si ridusse
rapidamente il flusso in ingresso annuale da 40.000 unità registrate nello
stesso anno fino a 10 unità registrate nel 1887). Tale politica durò fino agli
anni Quaranta del secolo successivo e fu determinante non solo per quanto
1
L‟origine del termine Coolie si pensa possa derivare da una trascrizione inglese del tamil kuli
(salario) o del turco kuli (schiavo), mentre in cinese viene scritto con due caratteri (ku: amarezza, pena
e li: forza muscolare, fatica) che rende bene l‟idea di che tipo di lavoro si trattasse.
7
riguardava i flussi d‟ingresso, ma anche per le modalità di stabilizzazione
delle collettività cinesi all‟interno degli Stati Uniti. E‟ proprio in questo
periodo che le Chinatown iniziarono a delineare le caratteristiche di luoghi
segreti e chiusi; ciò per far fronte alle pressioni ostili della popolazione locale.
Infine, una terza area importante per l‟insediamento degli immigrati
cinesi furono le Isole del Pacifico, soprattutto Hawaii e Australia
(quest‟ultima si sta attualmente rivelando uno dei luoghi più desiderati dai
migranti della Repubblica Popolare Cinese).
Un aspetto molto importante da segnalare fu il significativo ruolo svolto
dalle comunità cinesi nel rendere più moderno il proprio Paese d‟origine, sia
da un punto di vista economico, che culturale e politico. Le comunità di
cinesi residenti all‟estero infatti, rappresentarono, in molti casi, il ponte di
collegamento, sia a livello culturale che a livello sociale, fra il mondo esterno
e la tradizione cinese.
Il fenomeno della migrazione cinese in Europa fu molto diverso
rispetto a quello nelle Americhe e in Asia, per varie ragioni.
Innanzitutto si svolge nell‟arco del Ventesimo secolo. Durante tutto il
periodo antecedente alla Prima Guerra Mondiale, il numero di cinesi che
migrava verso l‟Europa era ancora piuttosto contenuto. La prima nazione
europea ad essere raggiunta dall‟immigrazione cinese fu la Gran Bretagna e,
in modo particolare, Liverpool (e in seguito Londra) dove esisteva già dal
1885 una piccola comunità di cinesi. Questa comunità era composta
principalmente da marinai cinesi, provenienti dalle colonie inglesi, assoldati
dalle navi mercantili per contrastare il monopolio delle compagnie navali
europee. In maniera più marginale, questo reclutamento di marinai e mozzi,
veniva praticato anche in altre città della Gran Bretagna e dei Paesi Bassi
(Amsterdam, Amburgo, Rotterdam, etc.).
Anche in Francia il numero di cinesi (concentrati perlopiù nella città di
Parigi) era molto contenuto (si trattava di commercianti, studenti o
giornalisti), nonostante già da tempo si stesse effettuando una politica di
reclutamento di manodopera tra gli immigrati [Campani, Carchedi, Tassinari,
1994].
8
La maggior parte di questi immigrati proveniva da Hong Kong, se si
trattava di marinai, o, se si trattava di commercianti, dalla provincia dello
Zhejiang, e più precisamente dalla città di Qingtian. Gli inizi dell‟
immigrazione dalla zona di Qingtian si fanno risalire all‟epoca della dinastia
Qing (1644 – 1911), quando un numero ancora piuttosto esiguo di cittadini di
questa area raggiunse l‟Europa per vendere i prodotti realizzati utilizzando la
pietra caratteristica delle cave di Qingtian [Thuno Mette, 1996]. La vendita di
questi oggetti, così particolari e ben fatti, riscosse molto successo tra i
compratori occidentali tant‟è che, nei primi anni del Novecento, questa
pratica si diffuse in diverse nazioni europee, consentendo alla popolazione
dello Qingtian di spargersi in tutto il continente.
La svolta dell‟immigrazione cinese verso l‟Europa avvenne nel 1917,
quando anche la Cina decise di entrare nel Primo Conflitto Mondiale. E‟
infatti a partire dagli anni Venti del Novecento che le allora Forze Alleate,
Francia e Gran Bretagna, iniziarono a reclutare circa 150 mila lavoratori
cinesi, utilizzati prima come operai nelle fabbriche di armi, metallurgiche o
chimiche, poi come forza lavoro per scavare trincee, occuparsi dei cadaveri
dei caduti in guerra e riparare gli armamenti rotti.
Alla fine del conflitto però, sia Francia che Gran Bretagna obbligarono i
lavoratori precedentemente reclutati a tornare nel proprio paese d‟origine.
Molti tornarono così in Cina ma molti altri decisero di stabilizzarsi in
Francia facendo perdere, con alcuni stratagemmi, le proprie tracce al
Governo. Sappiamo che, dei lavoratori reclutati in Francia, circa 31.409
provenivano dallo Shandong, 4.024 dallo Zhejiang, 1.066 da Shanghai e 442
da Hong Kong
2
. Sembra però che, tra coloro che decisero di non partire, molti
appartenessero all‟area dello Zhejiang, in particolare di Qingtian e Wenzhou.
Grazie alla loro attività di venditori ambulanti, che praticarono
soprattutto per far fronte alla grande depressione degli anni Trenta, i cinesi
della provincia dello Zhejiang riuscirono a diffondersi in tutta l‟Europa. In
quegli anni, vendendo porta a porta oggetti di ogni genere, da pietre lavorate,
a noccioline e a cravatte, riuscirono piano piano a superare le frontiere
2
Dati tratti da: Lynn Pann (a cura di), The Enciclopedia of the chinese overseas, Curzon Press,
England, 1999
9
francesi e a raggiungere altre nazioni Europee, come Belgio, Olanda, Italia,
etc. Solo in Europa Occidentale i cinesi raggiunsero in breve le 10.000 unità,
con 3.000 distribuite in Francia, 1.000 sia in Olanda che Austria e Italia, 300
in Spagna, 300 in Belgio e più di 200 in Portogallo [AA.VV., Cina a Milano,
Abitare Segesta, Milano, 1997]. Iniziarono, in questo modo, a formarsi le
prime stabili comunità cinesi in Europa.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale molti cinesi autoctoni
arrestarono la loro corsa alla migrazione.
Uno dei principali motivi che portarono al verificarsi di questa
situazione fu il blocco dell‟emigrazione attuato dalla Repubblica Popolare
Cinese nel 1949, anno della sua creazione. La Repubblica Popolare Cinese
aveva, infatti, optato per una politica che riteneva un traditore della patria
socialista chiunque volesse migrare. Questo temporaneo blocco delle
migrazioni, sia interne che esterne, evidenziava una presa di posizione
fortemente discriminatoria nei confronti non solo dei cinesi d‟oltremare, ma
anche dei loro familiari e parenti che risiedevano in patria.
Inoltre, molti paesi dell‟Est Europa istituirono alcune leggi, che
rimasero valide addirittura fino agli anni Novanta, per impedire qualsiasi
forma di immigrazione proveniente dalla Cina (es: Unione Sovietica).
Infine, a favorire questo arresto delle migrazioni cinesi, contribuirono
anche una serie di leggi emanate da diversi paesi europei, che impedivano di
rilasciare i permessi di soggiorno ai giovani studenti cinesi, i quali
inevitabilmente cambiarono la loro meta in favore degli Stati Uniti.
Nonostante tutto, vi erano ancora molti gruppi di rifugiati cinesi
provenienti da altri Paesi del Sud-Est Asiatico (Vietnam, Indocinia,
Cambogia, etc.) che iniziarono ad arrivare in Europa, con una presenza
sempre più consistente, soprattutto all‟interno dei confini francesi.
Ad un certo punto, però, le cose iniziarono a mutare e, tra gli eventi che
maggiormente influirono sulla ripresa delle migrazioni cinesi, vi furono una
serie di riforme e di politiche di apertura al mondo esterno attuate dalla
dirigenza cinese tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento. Una delle
prime cose a cambiare fu l‟approccio verso chi intendeva lasciare la nazione,
10
che permise a molti cittadini cinesi di lasciare il proprio Paese e di riattivare
le migrazioni verso il resto del mondo.
Dopo la morte di Mao Zedong
3
alla fine degli anni Settanta, infatti, Den
Xiaoping
4
promosse il passaggio dall‟ideologia comunista, basata sulla
pianificazione centralizzata, ad un economia di mercato, la quale favoriva
l‟iniziativa privata e gli investimenti stranieri.
Fu così che le politiche restrittive verso chi migrava dalla Cina vennero
allentate e iniziarono a diffondersi nuovi atteggiamenti nei confronti dei
tradizionali Huaqiao per cercare di riguadagnare la loro fiducia e soprattutto
attrarre i loro capitali e il loro aiuto [ Ceccagno A., 2003, p. 28].
In questo nuovo contesto, i migranti cinesi riuscirono a stabilirsi in vari
paesi europei con successo economico, non solo per loro stessi, ma anche per
la loro madrepatria.
1.2. Cenni storici della migrazione cinese in Italia
Le prime migrazioni cinesi in Italia si fanno risalire intorno agli anni
Venti e Trenta del Novecento. In quel periodo i flussi di cinesi che arrivavano
nel nostro Paese erano costituiti sia da cittadini provenienti direttamente dalla
Cina, sia da migranti che già si trovavano in Europa (in modo particolare si
trattava di immigrati cinesi provenienti dalla Francia).
Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la presenza di cittadini
cinesi rimase estremamente esigua e sembrò interessare soprattutto il Nord
Italia. I primi immigrati cinesi ad arrivare in Italia scelsero infatti di insediarsi
3
Mao Zedong è stato un rivoluzionario e politico cinese. Fu portavoce del Partito Comunista Cinese
dal 1943 fino alla sua morte. Sotto la sua guida, il partito salì al governo della Cina continentale a
seguito della vittoria nella guerra civile cinese e della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, di
cui fu presidente, nel 1949.
4
Den Xiaoping è stato segretario generale del Partito Comunista Cinese (PCC) dal 1956 al 1966 e ha
diretto de facto la Cina dal 1976 al 1993. È stato anche il pioniere della riforma economica cinese e il
teorico del "socialismo con caratteristiche cinesi" o socialismo di mercato cinese, ideologia che mira a
giustificare la transizione tra il maoismo collettivista a teorie economiche più liberiste. È artefice
dell'apertura politica tra la Repubblica Popolare Cinese e gli Stati Uniti, che permise al colosso
asiatico di essere riconosciuto come stato sovrano all'interno dell'ONU. Deng fu il cuore della seconda
generazione dei leader del PCC. Sotto il suo controllo la Cina divenne una delle economie dalla più
rapida crescita, senza che il partito perdesse il controllo del paese.
11
prima a Milano e poi a Torino; successivamente a Bologna, Firenze e dopo il
secondo conflitto mondiale anche a Roma.
Gran parte dei cinesi residenti in Italia provenivano (e provengono)
dalla provincia dello Zhejiang (provincia meridionale costiera della Cina), e
in particolare da alcuni distretti dell‟area circostante di Wenzhou, un
importante centro commerciale ed imprenditoriale, considerata una delle aree
più dinamiche sia da un punto di vista economico che produttivo.
I migranti cinesi avevano deciso di trasferirsi a Milano soprattutto per
occuparsi dell‟artigianato nell‟ambito dell‟abbigliamento, in modo particolare
per far fronte alla produzione di cravatte. Questo primo flusso migratorio era
composto esclusivamente da uomini, in maggioranza di giovane età, e si
sviluppò con una certa continuità per tutto il periodo intercorrente tra le due
guerre, pur mantenendo sempre dimensioni molto limitate tanto che, nel
primo dopoguerra, i cinesi residenti a Milano erano circa una trentina e
altrettanti, o poco meno, erano quelli presenti a Torino. La situazione rimase
pressoché stazionaria fino alla fine degli anni Settanta, con una scarsa
visibilità sociale della collettività cinese che iniziò ad aumentare solo in
corrispondenza del biennio 1986-1987 (quando venne introdotta la prima
sanatoria
5
per i lavoratori stranieri irregolari). Da quel momento in poi, si
assistette ad una crescita costante fino al 1990, anno in cui vennero concesse
la regolarizzazione e la legittimazione dello svolgimento del lavoro
autonomo. Secondo dati ufficiali di quegli anni, si registra che la comunità
cinese in Italia ammontava a 1.500 unità nel periodo antecedente al 1986, per
poi crescere e raggiungere le 9.880 unità dopo tale anno, fino ad arrivare alle
19.237 unità nel 1990. Nel 1993, la consistenza numerica della comunità
cinese in Italia aumentò ancora raggiungendo le 22.875 unità [Campani,
Carchedi, Tassinari, 1994, pp. 50-52].
Un altro anno molto importante per l‟immigrazione cinese in Italia fu il
1998, quando per la prima volta vennero introdotte quote annuali di immigrati
ammessi ad entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro (solo nel 2000,
63.000 ammissioni) [L. Zanfrini, 2001]. Nello stesso anno si verificò un altro
5
La sanatoria è la denuncia di regolarizzazione e legalizzazione del rapporto di lavoro con lavoratori
extracomunitari privi di regolare permesso di soggiorno.