Capitolo 2 –Comportamento al fuoco
205
2.8 Il comportamento al fuoco delle pavimentazioni
2.8.1 Introduzione
Figura 108
(Jean-Pierre Jacobs)
70
Data la composizione della pavimentazione stradale, in genere formata da aggregati di diversa
granulometria, bitume e quant’altro vi è la possibilità in alcuni casi che parte di essa prenda fuoco.
Il fuoco (vedi 2.3.2) rappresenta molto spesso una minaccia per la vita delle persone. ¨ questo il
motivo per cui si punta sempre di piø a migliorare la sicurezza in caso d’incendio e a progettare
sovrastrutture in grado di proteggere la vita delle persone e dell’ambiente.
L’Europa ha oltre 15.000 km di gallerie stradali e ferroviarie, che fanno parte della nostra
infrastruttura dei trasporti e che sono particolarmente importanti nelle regioni montuose, ma ancor
piø nelle grandi città, in cui i tunnel possono alleggerire il traffico e liberare gli spazi urbani. Il
problema è che gli incidenti stradali che coinvolgono veicoli possono provocare incendi molto
gravi. Gli incendi all’interno delle gallerie, a causa della combustione contemporanea di carburante
e autovetture, possono determinare il raggiungimento di temperature molto elevate, nell’ordine di
Capitolo 2 –Comportamento al fuoco
206
1000-1200 °C. Sono state documentate anche temperature fino a 1350 °C. Picchi di temperatura si
raggiungono piø rapidamente negli incendi all’interno di gallerie che in quelli che divampano negli
edifici, soprattutto a causa degli idrocarburi contenuti nella benzina e nel gasolio, per via degli spazi
limitati in cui si sviluppano (Jean-Pierre Jacobs)
70
e soprattutto per la combustione del bitume
presente nella pavimentazione stradale.
Nel momento in cui si manifesta un incendio in una pavimentazione stradale, si alterano
completamente le caratteristiche meccaniche e fisiche. La maggior parte delle gallerie europee sono
costituite da una pavimentazione in conglomerato bituminoso, e recenti incendi di grosse
dimensioni (vedi Tabella 42) hanno dimostrato la necessità di un appropriata scelta di materiali
costruttivi allo scopo di assicurare alti standard di sicurezza e elevati livelli di servizio. Questi
incendi sono inevitabilmente di grande intensità e comportano danni strutturali e soprattutto la
perdite di vite umane.
Le temperature raggiunte da questi incendi superano anche i 1000°C. In questi casi le fiamme si
sviluppano rapidamente e raggiungono una durata anche di 53 ore:
Tabella 42 - Recenti incendi disastrosi in gallerie europee
(BIBM-ERMCO-CEMBEREAU, Aprile 2004)
42
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207
Figura 109 - Traforo del Monte Bianco - I resti dell'autocarro da cui ha avuto origine l'incendio
(http://associazioni.monet.modena.it)
71
Figura 110 - Il traforo del Monte Bianco dopo l'incendio di 5 anni fa
(La Repubblica.it, 24 marzo 2004)
72
Figura 111 - Incendio nella galleria del Kitzsteinhorn in Austria
(http://www.funivie.org)
73
Capitolo 2 –Comportamento al fuoco
208
Figura 112 - Incendio nella galleria del Kitzsteinhorn in Austria
(http://www.funivie.org)
73
Questi disastri hanno messo in discussione questo tipo di opere, per quanto riguarda i problemi
connessi alla sicurezza e all’ambiente. I lavori di riparazione e la conseguente chiusura delle
gallerie hanno altresì comportato ulteriori conseguenze di ordine sia economico che ambientale.
L’opinione pubblica e i mass media si sono interessati a queste vicende ed hanno spinto gli
amministratori ad intraprendere, spesso affrettatamente, delle misure alternative tanto che alcuni
importanti aspetti non sono stati affrontati in maniera adeguata. La principale preoccupazione degli
amministratori fu quella di migliorare le condizioni per il salvataggio delle persone coinvolte negli
incidenti in galleria, concentrandosi sulla “auto-evacuazione” degli utenti e sui tempi di intervento
rapido.
In questo contesto “poca attenzione è stata dedicata ai materiali utilizzati per la costruzione
stradale”.
La normativa è incentrata essenzialmente sulla sicurezza strutturale, sulla robustezza e sulla stabilità
della galleria ma non considerano la superficie stradale, spesso realizzata con conglomerato
bituminoso tradizionale. Argomento pertanto non tanto preso in considerazione dalla normativa è la
considerazione della qualità della pavimentazione stradale. In caso di incendio in gallerie trafficate,
una pavimentazione stradale incombustibile e atossica contribuisce alla sicurezza delle persone
(siano esse utenti che componenti delle squadre di soccorso), protegge la struttura e le attrezzature
della galleria, salva la vita alle persone coinvolte nell’incendio in quanto la combustione del bitume
produce gas tossici ad elevata mortalità ed infine a preservare l’ambiente. Dalle pubblicazioni
Capitolo 2 –Comportamento al fuoco
209
rilasciate dall’Università di Edimburgo, è emerso che dalla combustione del bitume, le fiamme
all’interno di una galleria vengono incrementate notevolmente, provocando la perdita totale
dell’efficienza rispetto al quale la pavimentazione era stata progettata. Il concetto cardine della
problematica appena esposta, è l’aumento di temperata che si ha nel luogo in cui si verifica
l’incendio della pavimentazione, soprattutto se il luogo è una galleria.
I primi studi effettuati sulla reazione al fuoco della pavimentazione bituminosa, sono quelli di
Albert Noumowe nel 2003, che attestò che provini di conglomerato bituminoso stradale durante un
riscaldamento programmato in un forno secondo una curva di temperatura ISO 834 bruciarono
intorno ad una temperatura di circa 480 e 530°C. La combustione avvenuta nei campioni causò un
aumento di temperatura nel forno, tale da farla salire a 900 ° C, circa 150 ° al di sopra del massimo
programmato dal forno ed infine i provini dopo l’infiammazione, si disintegrarono.
Alla fine della prova solo gli aggregati furono ancora presenti, non piø collegati tra di loro dal
legante; il materiale perse la sua proprietà meccanica e non potØ soddisfare piø la sua funzionalità.
Ulteriori indagini furono eseguite anche su provini a temperature piø basse, ovvero 300 ° C ed i
risultati sono discussi nei paragrafi successivi.
“Noumowe” inoltre studiò le proprietà tossicologiche dei prodotti della combustione dei
conglomerati bituminosi, e questi esperimenti furono seguiti secondo un metodo standard per la
sperimentazione di materiali utilizzati nel settore edile. Questo approccio, utile per valutare la
risposta del materiale al fuoco, non fu chiaramente un adeguato metodo per la valutazione del
materiale o dell’infiammabilità e quindi non fu in grado di fornire dati sufficienti per Computational
Fluid Dynamics (CFD)
XIII
e di altri modelli di incendi. Un nuovo progetto di ricerca fu avviato
presso l'Università di Edimburgo, il cui scopo fu quello di caratterizzare completamente il
comportamento tipico del fuoco dei materiali usati nella pavimentazione stradale (R.O. Carvel &
J.L. Torero, 19-20 April 2006)
23
.
Altro studio effettuato fu quello di agire sui costituenti primari della miscela di bitume, ovvero
sull’aggiunta di particolari additivi ritardanti di fiamma. Come verrà esposto nei successivi
paragrafi l’aggiunta di idrossido di alluminio (come riportato in letteratura) caratterizza un ritardo di
fiamma durante il riscaldamento della miscela bituminosa.
XIII
Computational Fluid Dynamics (CFD): Rappresenta una scienza che studia la soluzione numerica delle
equazioni della fluidodinamica nelle loro diverse forme. Attualmente si identifica con la soluzione numerica
delle equazioni di Eulero - Navier Stokes. L'approccio alla soluzione euleriana è ormai abbastanza
standardizzato e comporta problemi di rilevanza minore rispetto alla soluzione delle Navier-Stokes.
(http://www.flowlab.it/inizio.htm)
Capitolo 2 –Comportamento al fuoco
210
Altra soluzione al problema, riscontrata nella letteratura è quella della completa sostituzione ove è
necessario della pavimentazione in conglomerato bituminoso con quella in calcestruzzo. A tale
sostituzione i vantaggi sono significativi ed i risultati sono esposti nei paragrafi che seguono.
Capitolo 2 –Comportamento al fuoco
211
2.8.2 ISO 5660
Questa norma descrive un metodo per la valutazione del calore rilasciato da prodotti con superficie
essenzialmente piana, esposti a livelli controllati di energia radiante in presenza di una scintilla di
innesco. L’andamento della produzione di calore viene determinato dalla misura della
concentrazione di ossigeno negli effluenti della combustione in un flusso specifico. Il principio del
metodo si fonda sulla osservazione che la quantità di calore prodotto dalla combustione è
proporzionale all’ossigeno consumato dalla stessa. Il presente metodo permette di valutare il
contributo che il prodotto in esame può apportare all’incremento della produzione di calore in caso
di coinvolgimento in un incendio.
2.8.2.1 Apparecchiatura e campioni:
L’apparecchiatura è composta da una zona di degradazione del campione, costituita da una fornace
elettrica di forma troncoconica che può essere posizionata con asse verticale, orientata verso il
basso (condizione piø frequente) o con asse orizzontale e da un sistema portacampioni che può
essere rispettivamente orizzontale o verticale. Il portacampioni è posizionato su una bilancia. Tra la
superficie esposta del provino e la fornace si inserisce uno scintillatore che produce un piccolo arco
voltaico il quale ha la funzione di favorire l’innesco degli effluenti. Questa parte
dell’apparecchiatura è posta sotto ad una cappa aspirante che convoglia gli effluenti della
combustione lungo un condotto attraverso il quale transita un flusso controllato. Lungo il condotto
di estrazione, attraverso un’apposita sonda di prelievo, viene effettuato il campionamento
dell’atmosfera in transito. La restante parte dell’apparecchiatura si compone essenzialmente di due
analizzatori, dove il prelievo suddetto, opportunamente trattato, viene determinato nel suo contenuto
d’ossigeno, ossido di carbonio e anidride carbonica. Lungo il condotto di estrazione, è alloggiato
anche un gruppo ottico per la determinazione dei fumi opachi. I campioni hanno forma quadrata con
lato di 100 mm, e generalmente prima della prova vengono inseriti in una cornice metallica che ne
protegge in bordi.
Capitolo 2 –Comportamento al fuoco
212
2.8.2.2 Procedimento di prova:
Quando l’apparecchiatura è a regime al livello di attacco termico richiesto, si inserisce il provino
nella posizione prevista e si aziona lo scintillatore, contemporaneamente si da inizio alla
acquisizione dei dati, con un tempo di scansione che generalmente è di 5 s. La durata della prova,
salvo diversa indicazione, è di 30 minuti misurati a partire dall’innesco del provino. Questa
apparecchiatura consente di operare a livelli di attacco termico diversi, stabiliti in base al tipo di
applicazione finale del prodotto in esame, generalmente per le applicazioni piø comuni le prove
vengono condotte a 25, 35 o 50 kW/m
2
. Le prove vanno ripetute su tre campioni per ogni livello di
attacco termico richiesto.
2.8.2.3 Parametri misurati:
I parametri monitorati sono i seguenti:
• concentrazione di ossigeno;
• peso del provino;
• flusso in transito nel condotto di estrazione;
• opacità dei fumi;
• concentrazione di ossido di carbonio e anidride carbonica.
Essi vengono successivamente elaborati per ottenere gli andamenti relativi al rilascio di calore, alla
perdita di peso, alla produzione di fumi ed alla produzione di CO e CO
2
, nonchØ il calore totale
prodotto nel corso della prova. All’occorrenza questi dati possono essere utilizzati per il calcolo di
altri indici richiesti per applicazioni specifiche, come ad esempio il MARHE per il settore
ferroviario.
Capitolo 2 –Comportamento al fuoco
213
2.8.3 Analisi della letteratura sul comportamento al fuoco delle miscele
bituminose e cementizie
In generale lo studio sul comportamento delle miscele bituminose è basato sulla combustione del
conglomerato bituminoso e sullo studio del rilascio di calore, tramite un particolare strumento detto
“Cono Calorimetro” (vedi cap. 1.3.8.2).
Utilizzando questo strumento, si testano campioni di conglomerato bituminoso (100 × 100 × 50
millimetri) a flussi di calore variabile tra 30 e 60kW/m
2
(R.O. Carvel & J.L. Torero, 19-20 April
2006)
23
. Lo studio sui primi campioni di conglomerato bituminoso fu fatto dal “Nottingham Centre
for pavement Studies dell’Università di Nottingham. Questi campioni, composti da “Stone Mastic
Asphalt” (SMA), che è attualmente il piø popolare materiale bituminoso delle pavimentazioni
stradali nel Regno Unito, erano caratterizzati da un contenuto di bitume pari al 6,3% in massa, e con
una penetrazione di ”40-60 pen”. La miscela analizzata, conteneva fibre di cellulosa in quantità pari
a 0,3% della massa totale. I campioni compattati avevano una percentuale dei vuoti del circa 6%.
L’analisi termica affrontata da Jose Torero si basò sull’utilizzo di un cono calorimetro per studiare
il comportamento di provini prismatici di conglomerato bituminoso soggetti a flussi di calore pari a
60, 50, 40 e 30 kW/m
2
. Tutti i provini testati presentarono un periodo iniziale di pochi minuti nel
quale non si verificò nulla di visibile e di particolare. Terminata questa prima fase di riscaldamento,
sulla superficie si cominciò a produrre del fumo, ma ancora nessuna combustione coinvolse i
provini, tranne quello soggetto al flusso di calore pari a 50 kW/m
2
. Dopo altri minuti di esposizione
al flusso di calore di 60, 50 e 40 kW/m
2
i provini si infiammarono e cominciarono a bruciare sulla
superficie superiore. Il provino soggetto a 30 kW/m
2
non si infiammò. In particolare questo provino
fu esposto per 50 minuti al flusso di calore pari a 30 kW/m
2
, producendo in tale fase solo quantità
significative di vapore, senza bruciare; poichØ si osservò solo qualche lampo di fiamma sporadico,
dopo questi primi 50 minuti, fu aumentato il flusso di calore a 35 kW/m
2
per altri 50 minuti; anche
questo incremento non fece bruciare il provino. Successivamente il provino fu sottoposto per 2
minuti a 40 kW/m
2
ed al termine di tale intervallo di tempo si verificò l’infiammazione dello stesso.
Dopo l’effettuazione di tali prove si realizzarono diagrammi contenenti l’andamento dell’HRR in
funzione del tempo. In Figura 113 sono riportati tali grafici per le diverse esposizioni al calore; in
figura si può notare che, con riferimento a 40 e 60 kW/m
2
per i primi minuti non si notò alcun
picco, (fisicamente vuol dire nessuna combustione), con riferimento a 50 kW/m
2
invece, dopo
alcuni minuti si notò un picco dell’HRR e quindi la formazione di fiamme sul provino.
Capitolo 2 –Comportamento al fuoco
214
Delle prove fatte si osservarono due fasi distinte di comportamento:
• Una fase in cui fu presente un periodo di rilascio del calore piuttosto basso, in particolare
per il provino con 50 kW/m
2
, si registrò una fiamma luminosa abbastanza grande, ma che
non riuscì a coprire l'intera superficie del campione, mentre nel test di 40 e 60 kW/m
2
si
verificò solo una leggera fiamma vicino al centro dei campioni;
• Una seconda fase in cui il rilascio del calore fu notevolmente alto:
In questa fase si presentò un aumento rapido del HRR (con un picco) e la superficie del
campione risultò coperta integralmente dalle fiamme come in Figura 114.
Figura 113 - Grafico del Heat Release Rate per un conglomerato bituminoso esposto a 60, 50 e 40 KW/m
2
Figura 114 - Foto di un provino di conglomerato bituminoso in fiamme durante il flusso di 40 KW/m
2