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Negli anni '50, dunque, con il termine "centro storico"la cultura urbanistica iden-
tifica questa problematica esprimendo altresì la volontà di salvaguardare il tessuto e
non solo il monumento.
Sulla definizione e perimetrazione di centro storico si deve ricordare il documento
conclusivo della "Commissione di indagine per la tutela e valorizzazione del
patrimonio storico, artistico, archeologico e del paesaggio" (Commissione
Franceschini, 1964/'66) (nota 10, istituita con L n° 310 del 26 Aprile 1964,
presieduta dall'on. Franceschini con i seguenti obiettivi: revisione delle leggi di.....)
nel quale si legge: "Sono da considerare centri storici urbani quelle strutture
insediative che costituiscono unità culturale o la parte originaria ed autentica di
insediamenti che testimoniano i caratteri di una viva cultura urbana". Possono
essere unitari o frammentari, la delimitazione topografica dovrà comprendere
l'intera struttura urbana anche quando questa abbia subito nel tempo palesi
deformazioni.
Rispetto alle leggi del '39 per la tutela delle cose di interesse artistico monumentale
e dei beni paesistici, viene espressa la volontà di salvaguardare il tessuto e non il
solo monumento, riconoscendo al primo il valore storico nel suo complesso, e al
monumento la non isolabilità dal contesto.
Fino alla emanazione della "Carta di Gubbio", il ricorso alle leggi speciali da parte
dello Stato (come i provvedimenti per il risanamento di Bergamo Alta, di Venezia , di
Assisi), centri storici di grande valore, è una risposta alla necessità non solo di risanare
ma di salvaguardare, e a garantire flussi di finanziamenti per gli interventi edilizi; ma,
sostanzialmente, promuove più nuove edificazioni che interventi di tutela.
Infatti, l'articolato normativo nell'incentivare l'edificazione (e quindi contributi per
maggiori cubature o sopraelevazioni), è spesso in contrasto con l'obiettivo della salva-
guardia o della tutela, come nel caso di Bergamo nel cui centro storico sono
ammessi rifacimenti e nuove costruzioni, purché le nuove fabbriche mantengano "il
carattere locale di case a fronte limitata cercando inoltre di raggiungere, nella forma e
nella decorazione, un'intonazione ambientale con Bergamo Alta di oggi"(art. 1, Ali.
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A, R.D.L. 28/2/1935 n° 947) o di Assisi. In questo secondo caso le norme del P.P.
di Astengo divengono troppo restrittive, con la conseguenza della non attuazione del
piano stesso.
È la Carta di Gubbio del 1961, (esito del Convegno di Gubbio del I960 sui centri
storici, promosso dal V A.N.C.S.A.) a modificare gli orientamenti. Tale Carta for-
nisce la base metodologica e culturale per l'intervento nei centri storici, sulla scorta
di una piattaforma di principi generali elaborati nel corso del precedente Convegno.
I principi riguardano: l'interesse del tema dei centri storici presso le amministrazioni
comunali e l'opinione pubblica; la necessità di censire e classificare i centri storici a
livello nazionale; il risanamento come parte del piano regolatore e premessa allo
sviluppo della città moderna; i vincoli di salvaguardia fino alla operatività dei piani
particolareggiati di risanamento; l’ emanazione di una legge che detti modalità di
formazione e attuazione dei piani particolareggiati di risanamento; il rifiuto di
ripristini, aggiunte stilistiche, demolizioni e diradamenti.
Si codificano così un insieme di punti programmatici relativi agli interventi di
risanamento conservativo che devono basarsi su “ una preliminare profonda
valutazione di carattere storico-critica ” e che devono prevedere:
• il consolidamento delle strutture essenziali degli edifici
• 1' eliminazione delle recenti sovrastrutture
• la ricomposizione di unità immobiliari per una migliore fruizione
• la restituzione di spazi liberi a giardini e orti
• l'istituzione di vincoli di intangibilità e di non modificazione.
• il mantenimento della struttura sociale.
Inoltre la Carta di Gubbio affronta anche i problemi connessi alle modalità e pro-
cedure di intervento per la formazione dei piani esecutivi di risanamento, per il
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finanziamento delle operazioni, per le procedure di esproprio, per la
programmazione a scala nazionale, per la possibilità di partecipazione alle
operazioni di risanamento degli Enti di edilizia pubblica.
Precedentemente, in seno alla Conferenza Nazionale per l'Edilizia, promossa
dall'INARCH con il patrocinio del Ministero dei Lavori Pubblici, svoltasi nel
1960, la Commissione n°10 (dedicata ai centri storici e presieduta da Renato
Bonelli) chiudeva i propri lavori con una proposta di legge di tutela i cui
contenuti sono molto simili a quelli proposti successivamente dalla Carta di
Gubbio.
Altre proposte di legge erano state presentate in Parlamento negli stessi anni, da
Zanotti Bianco, Russo e Bergamasco, da Vedovato, nonché dall’I.N.U sui piani
esecutivi di risanamento, all'interno dello schema di legge generale per la pianifica-
zione urbanistica..
Il Convegno di Gubbio ha quindi offerto l’occasione per fare un bilancio sulla
situazione dei centri storici, sull'insufficienza normativa dei piani regolatori, sulla
tecnica urbanistica e confrontare contemporaneamente le esperienze concrete di
alcuni piani regolatori e il relativo approccio al problema del centro storico. I piani
in rassegna sono: il piano di risanamento del centro storico di Genova (I960, G.
Romano ), il piano per il centro di Milano (1956, Belgioioso, Caccia-Dominioni,
Gazzola), il piano regolatore di Erice (1959, Edoardo Caracciolo), il piano di S.
Gimignano (1959, Piero Bottoni), il piano di Siena (1958 Luigi Piccinato), i piani
di Roma, Firenze, Napoli, Perugia, Assisi (1957, Giovanni Astengo) e le relative
metodologie per la definizione, perimetrazione e tutela del centro storico, rispetto
alla specificità delle singole realtà.
Nel 1961 al Convegno di Santiago di Compostela, la relazione generale della
Federazione Internazionale per l'Abitazione l'Urbanistica e la Pianificazione, ha
come tema “La valorizzazione dei monumenti e dei centri storici urbani”. Con tale
relazione si affrontano una serie di questioni che portano a formulare alcuni principi
come sintesi delle problematiche presenti nei centri storici e sulla inadeguatezza
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degli interventi attuati: la espulsione di funzioni che i quartieri storici non sono più
in grado di svolgere; il controllo del traffico automobilistico; la
conservazione dei monumenti attraverso la valorizzazione delle qualità
artistiche e funzionali; l'adeguamento igienico-sanitario; l'inserimento di nuovi
edifici senza imitazione di stili o volumetrie del passato; la protezione dei
luoghi storici e del paesaggio; i finanziamenti; l'interesse della società verso il
patrimonio storico.
Nella relazione al Convegno svolta da Giuseppe Samonà, viene fatto un
bilancio della situazione italiana con una precisa denuncia dell'insufficienza
normativa dei PRG e della tecnica urbanistica nell’affrontare i problemi dei
centri storici. Si riconosce che costituiscono eccezione i piani di Erice, S.
Gimignano, Siena, Perugia, Assisi, e gli studi per i piani di risanamento di
Palermo, Genova, Ancona e del centro di Milano.
All'impegno culturale sul tema dei centri storici attestato tra gli anni '60 e
'70 dall'ANCSA, dall'INU (Istituto Nazionale di Urbanistica, fondato nel
1932 e presieduto negli anni '50-'60 da Adriano Olivetti), dall'INARCH
(Istituto Nazionale di Architettura, fondato nel 1959 da Bruno Zevi) va
aggiunto quello di Italia Nostra (fondato sul finire degli anni '50) per merito
di U. Zanotti Bianco e diretta con grande efficacia per vari anni da Renato
Bonelli.
1.3. Le carte del restauro e i centri storici: restauratori e urbanisti.
Nella cultura dei centri storici un ruolo importante va attribuito alle Carte
del Restauro, soprattutto nella misura in cui il dibattito tra storici e
restauratori da un lato, e urbanisti dall'altro, non ha trovato un punto di
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incontro nella definizione di quegli strumenti legislativi che tuttora regolano
gli interventi sui centri storici.
Durante la Conferenza introduttiva al secondo Congresso degli architetti e
tecnici del restauro, tenutosi a Venezia nel 1964, Roberto Pane afferma che (...)
non appena prendiamo coscienza dell'attuale necessità di una visione unitaria nella
quale il restauro, l'urbanistica e l'architettura moderna risultino legati insieme da un
rapporto che in nessun momento può essere consentito di ignorare ci accorgiamo che
questo nostro adeguarci ad una concezione storicamente e criticamente più valida
rende assai più complesso il nostro compito.
Pane pone l'attenzione su un legame - quello tra restauro, urbanistica e
architettura -che, di fatto, nella pratica non sembra trovare a tutt'oggi un
momento di incontro, trovando difficoltà persino nella definizione terminologica
del concetto di centro storico. Il punto di origine di una riflessione che assume
connotazioni totalmente differenti in relazione alla cultura che la governa
(quella dei restauratori o degli urbanisti), potrebbe forse essere rintracciato,
seppure in modo forse sbrigativo, nel confronto fra la Carta del restauro di
Atene del 1931 e quella che segue di circa due anni, nota come Carta dei
CIAM.
Nella carta del restauro (che nell'anno successivo vede una stesura tutta italiana
che ha tra i principali promotori Gustavo Giovannoni), si afferma fra l'altro
(art. 6) che insieme col rispetto pel monumento e per le sue varie fasi proceda
quello delle sue condizioni ambientali, dei quali non debbano essere alterati da
inopportuni isolamenti, da costruzioni di nuove fabbriche invadenti per massa,
per colore, per stile. Non è ancora presente il concetto di "ambiente"come
entità da tutelare indipendentemente dal monumento, ma viene fortemente
sottolineato il legame strettissimo che corre tra emergenze e contesto, già
precedentemente focalizzato da Camillo Sitte. Da un certo punto di vista
anche Giovannoni si conferma un "moderno urbanista"quando afferma che
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(...) la minuta congerie delle case ha valore spesso maggiore dei grandi
monumenti.
Nella Carta dei CIAM, l'articolo 66 dedicato al patrimonio storico della città
recita: Se gli interessi della città sono compromessi dal permanere di alcune
presenze insigni, bisognerà cercare una soluzione che sia in grado di conciliare i
due opposti punti dì vista; qualora ci si trovi di fronte a costruzioni ripetute in
numerosi esemplari, alcuni saranno conservati come documentazione e altri
saranno demoliti; e in altri casi si potrà isolare la parte che costituisce un ricordo
o ha un reale valore, mentre il resto sarà utilmente modificato.
Il Pian Voisin che Le Corbusier disegna per Parigi è forse il manifesto più
eloquente di questi principi; qui la città nuova lascia spazio solo ai
monumenti più importanti, mentre tutto quel complesso di manifestazioni inutili
alle esigenze pratiche della vita, tutto ciò che e semplicemente poesia, viene
eliminato. È la teoria dell'isolamento contrapposta a quella del diradamento
proposta da Giovannoni.
In un articolo pubblicato sulla rivista "Restauro"Amedeo Bellini afferma che
per Le Corbusier i valori espressi dal monumento sono chiusi in se stessi (e
quindi il monumento e isolabile), assoluti mentre quelli dell'ambiente possono
essere conservati solo se testimonianza di "valori plastici"(ciò e formali) e se non
in contrasto con le esigenze di sviluppo, traffico, igiene, di organizzazione
razionale della città moderna.
Nel 1964 viene emanata la carta del restauro di Venezia che vede fra i
principali promotori, come già accennato, Roberto Pane.
All'articolo 1 si afferma che la nozione di monumento storico comprende tanto
la creazione isolata quanto l'ambiente urbano o paesistico che costituisca la
testimonianza di una civiltà particolare, di una evoluzione significativa o di un
avvenimento storico. Questa nozione si applica non solo alle grandi opere, ma
anche alle modeste che con il tempo abbiano acquistato un significato culturale.
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L'ambiente e quindi i centri storici diventano Beni Culturali e come tali vanno
tutelati. Ciò, in linea teorica si rifletterà in parte sulla normativa che, attraverso
gli strumenti urbanistici, dovrebbe garantire questa tutela. In realtà, diversi
fattori, non solo strettamente culturali, come quelli economici e, forse, una
malintesa idea di conservazione, generano contraddizioni terminologiche e
concettuali.
Il termine ’’recupero’’, spesso ricorrente nel linguaggio urbanistico e quello
’’restauro’’ vengono adoperati come sinonimi pur riguardando operazioni
profondamente diverse.
Per restauro, secondo quanto definito nella Carta del Restauro del 1972, si
intende qualsiasi intervento volto a mantenere in efficienza, a facilitare la lettura e
trasmettere integralmente al futuro le opere e gli oggetti definiti dagli articolo
precedenti. Il recupero viene invece definito come quell'intervento finalizzato
all'adeguamento di oggetti nati per altri usi ai bisogni attuali, facendo fronte
anche ai problemi di degrado.
Ancora, la Carta del '72 afferma che l'intervento per eccellenza sul
patrimonio architettonico deve sempre essere la "manutenzione"mentre il
"restauro"è da considerarsi un'eccezione che, se necessario, va attuata sotto il
profilo conservativo, rispettando gli elementi aggiunti ed evitando comunque
interventi innovativi e di ripristino. La Carta afferma inoltre che le nuove
destinazioni d'uso devono risultare compatibili con gli interessi storico-artistici
del monumento; e ancora che i lavori di adattamento dovranno essere limitati al
minimo conservando scrupolosamente le forme esterne ed evitando sensibili
alterazioni all'individualità tipologica, all'organismo costruttivo ed alla sequenza
dei percorsi interni. Nel medesimo documento viene infine segnalata la
necessità di rispettare e salvaguardare l'autenticità degli elementi costruttivi.
La legge n° 457 del 1978, la prima legge italiana che destina una parte dei
fondi per l'edilizia di nuova costruzione al patrimonio esistente, definisce i
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piani di recupero "veri e propri strumenti attuativi dei P.R.G."Essa avrebbe
dovuto rappresentare un passo decisivo per la tutela dei nostri centri storici,
ma, analizzando il testo e ponendolo a confronto con le carte del restauro,
emergono una serie di incongruenze.
Sandro Benedetti, nel 1982, afferma che il testo della L. n. 457 non ha tenuto
conto della differenza esistente tra il patrimonio edilizio ricco di qualità
storiche architettoniche urbanistiche sociali ed economiche che è il patrimonio
che costituisce i centri storici ed un altro patrimonio (quello delle periferie
urbane) sprovvisto di quelle qualità segnalate sopra, ricco eventualmente di sola
potenzialità economica. Per il primo la conservazione è prioritaria sotto ogni
aspetto, per il secondo non esistono particolari condizioni o remore da
rispettare. Invece la 457 non ha tenuto presente questa fondamentale differenza
assimilando in una qualsiasi opera di recupero.
All'articolo 31 della L. n. 457 vengono previste cinque categorie di intervento
fra cui il restauro, definito come un intervento che comprende il
consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli edifici, l'inserimento degli elementi
accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli
elementi estranei all'organismo edilizio. Il mancato accordo, fra linguaggio degli
urbanisti e dei restauratori si verifica inoltre sul fronte della manutenzione. Per
la Carta del '72 questo è il primo e preferibilmente l'unico intervento concesso
ai restauratori, inteso in chiave fortemente conservativa. La L. n. 457
definisce invece due tipi di manutenzione: la "ordinaria"che prevede inter-
venti di riparazione, rinnovamento e sostituzione di finiture degli edifici e le opere
necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici; la
"straordinaria" che comprende tutte le opere e modifiche necessarie per rinnovare
o sostituire parti anche strutturali degli edifici nonché per realizzare e integrare i
servizi igienico-sanitari e tecnologici.
Si vede dunque quanto queste definizioni, in particolar modo la seconda, siano
lontane dal concetto di manutenzione pari ad intervento conservativo. Né può
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garantire una adeguata salvaguardia della fabbrica l'obbligo di mantenere i
volumi e le superfici delle singole unità immobiliari, fatto questo che può
portare ad avere un edifìcio "intatto" nel suo volume esterno, ma totalmente
stravolto nel suo impianto tipologico.
Gli anni '70: l'apporto della cultura al tema dei centri storici e la legislazione. Dal
Convegno di Gubbio,che segna una svolta sul tema dei centri storici, un ruolo
costantemente importante viene assunto dall'Associazione Nazionale Centri storici
Artistici (A.N.C.S.A.) cui aderiscono, urbanisti, uomini di cultura, parlamentari,
rappresentanti delle amministrazioni locali.
Tappa fondamentale è il Seminario di Gubbio del 1970 (dal titolo "Per una revi-
sione critica del problema dei centri storici") e il documento introduttivo di Bruno
Gabrielli che definisce i centri storici come "bene economico nella più larga
accezione del termine"e quindi "un patrimonio disponibile per l'intera società, per
la sua potenziale capacità di rendita sia in termini finanziari che in termini di uso
sociale. Il recupero dei centri storici come funzione sociale da attivare attraverso la
programmazione economica e la pianificazione.
Dal 1971 inoltre, viene diffuso il bollettino bimestrale dell'ANCSA. L'editoriale
del primo numero propone, tra le iniziative da intraprendere, l'inventario nazionale
dei centri storici, un centro di ricerca sostenuto dalle Regioni, la costituzione di una
Commissione consultiva presso la presidenza del Consiglio dei Ministri.
I centri storici come "unità storico-formale, edilizia e funzionale il cui risanamento
richiede una progettazione e attuazione unitaria.
Al Congresso Nazionale di Bergamo, "Una nuova politica per i centri storiella
relazione introduttiva di Bruno Gabrielli, definisce il centro storico come "bene cul-
turale" (terminologia che ha origine dai lavori della Commissione Franceschini),
allargandola a quella di "bene economico"e come tale suscettibile di interventi
finanziari da parte dello Stato, attraverso l'acquisizione di immobili e la
realizzazione di abitazioni sovvenzionate. Emerge tuttavia l'assenza di piani di
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fattibilità economica e di valutazione delle limitate risorse pubbliche in rapporto
agli alti costi di ristrutturazione dei centri storici. Il concetto di recupero dei centri
storici entra comunque nella più complessiva politica dell'abitazione, almeno in
linea teorica.
Ma l'emanazione della legge 865 nel '71 (legge sulla casa) e le possibilità offerte
dalla legge stessa di perimetrare i piani di zona nelle aree da risanare utilizzando
fondi destinate all'edilizia economica e popolare per interventi di risanamento,
certamente testimonia il peso del dibattito culturale.
Nel 1972 il Convegno di Genova "Salvaguardia e rivitalizzazione dei centri storici
nel quadro della programmazione e pianificazione regionale", colloca la
problematica del recupero in un quadro di riferimento più vasto, che riguarda
l'utilizzazione dei fondi per l'edilizia popolare per il risanamento e la corretta
applicazione della legge 865/71.
In questo panorama assume grande importanza la convenzione stipulata nel 1973
dall'ANCSA con la GESCAL (Gestione Case Lavoratori) per avviare un programma
di ricerca e di attività sperimentale, in 11 città italiane, attraverso un cospicuo
finanziamento. Nello stesso anno, si concretizza il piano per l'edilizia economica e
popolare per il centro storico di Bologna. Tra il 1974 e il 1978 vengono adottati altri
piani per i centri storici, tra cui quelli di Bergamo, Ferrara, Pavia, Bolzano, Gubbio,
Venezia, S. Giovanni Valdarno, Vicenza, Montepulciano.
Assenti in questo panorama e nel dibattito nazionale, le realtà meridionali e, in
particolare, i centri storici della Sicilia, a meno del piano di risanamento dei 4
Mandamenti di Palermo, allegato al PRG degli anni '60, ma di fatto stralciato dal
decreto di approvazione perché privo di un adeguato piano finanziario, obbligatorio
per i piani particolareggiati.
Le ricerche finanziate dalla GESCAL vengono presentate nel convegno di Vicenza
del 1974 "Riequilibrio territoriale e centri storici"e da esse emerge l'insufficienza
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dei fondi pubblici disponibili attraverso le leggi vigenti, rispetto alla dimensione e
alle condizioni del patrimonio edilizio di antica formazione.
Per l'Anno europeo del patrimonio architettonico, 1975, al convegno di
Amsterdam, i temi trattati riguardano la conservazione del patrimonio e la pianifica-
zione territoriale e urbana, la necessità di utilizzare il patrimonio esistente, gli stru-
menti legislativi, i risvolti sociali, i mezzi finanziari, la tecnica di intervento e il con-
fronto di esperienze portate avanti nei diversi paesi, non solo europei.
Nello stesso anno viene costituito in Italia il Ministero per i Beni Culturali e
l'Ambiente, mentre sul piano legislativo l'emanazione della legge 10/'77 che
agevola gli interventi nei centri storici attraverso la esclusione dagli oneri di
urbanizzazione degli interventi di restauro e ristrutturazione, e successivamente la
legge 392/'78 (sull’equo canone) e la 457/'78, {piano decennale e piani di recupero),
rappresentano la risposta ad un problema sociale, economico e culturale attraverso
strategie di intervento agevolate.
1.4. I Centri Storici e la legislazione nazionale.
Si è già fatto cenno alle prime leggi che in vario modo hanno affrontato il
problema del patrimonio storico: dalla legge per Napoli del 1885, alle
successive leggi per il risanamento di Milano (1912) Genova, Cuneo, Catania,
Salsomaggiore (1913) e alle leggi speciali per Bergamo, Venezia e Assisi,
nonché alle due leggi generali del 1939.
La prima organica legge urbanistica nazionale, (L.1150 del 17/8/1942), si
occupa del patrimonio storico all'art. 7, "contenuto del piano regolatore
generale", elencando, tra i contenuti del piano, "i vincoli da osservare nelle
zone a carattere storico, ambientale e paesistico", e all'art. 16 "approvazione