1.2 L’MDMA IN SINTESI
1912: l’industria farmaceutica Merck cerca una pillola
dimagrante che dopo due anni di ricerca brevetta l’MDMA che
non viene però commercializzata.
Qualche anno dopo, durante la prima guerra mondiale,
ricompare la stessa sostanza usata questa volta dai soldati della
prima linea per combattere fame e sete.
Per gli effetti desiderati l’MDMA non è ritenuta soddisfacente e
viene accantonata a favore della sorellastra chimica MDA
(metilene-diossianfetamina, un derivato dell’anfetamina; simile
nell’azione farmacologica sia come stimolante che come
allucinogeno sul sistema nervoso centrale).
Il padre dell’MDMA è però considerato Alexander Shulgin,
chimico californiano, che la risintetizza nel suo laboratorio nel
1972 e ne prova gli effetti su se stesso.
Egli la fa conoscere ad alcuni psicoterapeuti sperimentalisti
della West Coast che la utilizzano sul finire degli anni ’70 nelle
sedute psicoterapeutiche, nelle terapie di coppia e con pazienti
borderline.
Secondo i pareri dei terapeuti del tempo “la migliore
caratteristica dell’MDMA è la capacità di facilitare una
comunicazione più diretta tra le persone coinvolte in una
relazione emotiva significativa”; “…per aumentare la
comprensione di sé…per la crescita personale e spirituale”;
“…rafforza l’alleanza terapeutica tra medico e paziente
facilitando l’apertura e aumentando la fiducia in sé”. (Saunders,
1995)
E’ solo dal 1985 che la DEA (Drug Enforcement Administration)
mette al bando la sostanza e la iscrive nelle droghe illegali: con
un’azione legislativa d’urgenza viene inclusa tra le droghe del
cosiddetto Gruppo 1, che annovera tra le altre eroina e LSD.
La proibizione all’uso della sostanza investe successivamente
anche il resto d’Europa, compresa l’Italia (1988).
Nonostante la proibizione dell’uso in laboratorio, in psicoterapia,
ecc., l’MDMA filtra attraverso la criminalità negli ambienti
alternativi dell’arte, del cinema e della musica.
Illegale, ma largamente utilizzata, l’MDMA comincia ad entrare
nelle abitudini e nel gergo dei consumatori e viene resa più
familiare attraverso nomi completamente inventati.
Oggi è conosciuta come: Adams, Tennis the Menace, Diet Pills,
Disco Biscuits, E, Xtc, Edwards, Eves, Ruhbard and Custards,
Vitamins, Love Hearts e Disco Burger.
In Italia vengono utilizzati altri nomignoli che provengono
direttamente dal gergo regionale: Chicca (in Toscana), Giuggiola
(nella riviera romagnola), Zuccherino, Pasta (al nord), Cala,
Palletta, Caramella, Pezzo, Capsula, Gettone…
Anche se un recente studio (Green, 1995) riporta l’abitudine a
consumare Ecstasy iniettandosela, la sostanza solitamente si
presenta in forma di pasticche ed essendo una droga sintetica
prende il nome di volta in volta dal simbolo che vi è disegnato:
Playboy, Dollaro, Colomba bianca, Angelo, Stella, Labbra, Toro,
Smemorella, Californiana, Ferrari, Nike, Corona, Mercedes,
Numero uno, Sole, Trifoglio, Elefante, Cavallo, Bufalo, Yellow
Callie, Cilindretto, Bombata, Fish, Fish con spacco, Pillola di
Adamo, Banana split, Simpson…
Questa distinzione permette ai consumatori di sapere quali sono
gli ingredienti attivi (aggiunte di caffeina, ketamina, efedrina…)
presenti in ogni pastiglia così da poter scegliere l’effetto
desiderato (più leggero, eccitante, afrodisiaco…).
1.3 NEL CERVELLO
La serotonina o 5HT, è il neurotrasmettitore che influenza i
nostri stati d’animo, l’appetito, il sonno…
“La serotonina fa parte di una serie di neurotrasmettitori che
bloccano o permettono il passaggio delle informazioni tra le
cellule nervose”. (Saunders, 1995)
“…in ogni neurone si può riconoscere un corpo cellulare o soma
dal quale di regola prendono origine un assone o fibra nervosa e
numerosi dendriti”. (Strata, 1991) L’assone, nella sua parte
terminale entra in contatto con altri neuroni attraverso le
sinapsi: qui “…un potenziale d’azione provoca la liberazione di
un neurotrasmettitore da parte del neurone presinaptico. Il
trasmettitore si diffonde nello spazio sinaptico e, legandosi ad
appositi recettori situati sulla membrana del neurone
postsinaptico, provoca un cambiamento delle sue proprietà…”
(Berne, Levy, 1992)
E’ la serotonina nel caso dell’MDMA a permettere questo
passaggio.
“…numerosi studi hanno dimostrato che l’assunzione di MDMA
provoca un aumento della funzione serotoninergica e una
stimolazione dei suoi recettori 5HT-1 e 5HT-2…
Le ipotesi attuali descrivono l’MDMA come un agonista dei
recettori della serotonina: l’MDMA provoca la liberazione di
questo neurotrasmettitore e un’inibizione della sintesi; la
conseguenza è un blocco del reuptake ossia della ricaptazione da
parte dei neuroni sinaptici che prolunga così l’azione della
serotonina (amina che si trova principalmente a livello del tronco
dell’encefalo, in strutture chiamate nuclei del rafe).
Si osserva in effetti negli animali, dopo un’assunzione di MDMA,
un’importante liberazione di serotonina associata agli effetti
psicotropi dell’MDMA attraverso le sue attività post e pre-
sinaptiche.
Tale fase di azione della serotonina è rapidamente seguita da
una deplezione corticale (ossia un annullamento) del
neurotrasmettitore. Essa, che inizia da una a tre ore dopo
l’assunzione, è massima tra la sesta e la diciottesima ora e si
normalizza in ventiquattro ore.
Un secondo abbassamento della concentrazione serotoninergica,
che può durare più mesi, comincia circa ventiquattro ore dopo
l’assunzione.
Gli stati depressivi che seguono l’assunzione di MDMA
potrebbero essere quindi associati all’abbassamento della
concentrazione di serotonina a livello cerebrale.
L’MDMA provoca anche una liberazione di dopamina1 a livello
dello striato attraverso l’attivazione dei recettori serotoninergici
5HT-2, anche se questo è l’effetto meno frequentemente
osservato.
…gli effetti osservati nei topi dopo un’assunzione di MDMA sono
ipertermia, la cui intensità è in funzione della temperatura
ambientale, e iperattività simile a quella osservata nella
sindrome serotoninergica con la quale presenta numerose
analogie… La fase di abbassamento della serotonina a lungo
termine è associata ad una diminuzione della funzione
serotoninergica per degenerazione degli assoni centrali e
terminali dimostrata nei roditori e nei primati, e un
abbassamento dell’attività di triptofano idrossilasi, enzima
chiave della sintesi della serotonina.
Essendo l’inibizione enzimatica irreversibile, l’attività non viene
ripristinata che due settimane più tardi, attraverso la sintesi di
nuovi enzimi…” (Presse medicale, 1996)
Naturalmente il metodo maggiormente usato per controllare
sperimentalmente i livelli di serotonina si basa su esperimenti
condotti su animali: viene esportata una sezione di cervello dalla
1
Neurotrasmettitore prodotto nell’area tegumentale ventrale e rilasciato nella corteccia e nel nucleus accumbens, che
serve a trasmettere sensazioni di piacere da una cellula all’altra.
Le droghe aumentano la quantità di dopamina nel cervello (e quindi il piacere) in vari modi; rendono insaziabile il
desiderio causando così la dipendenza.
quale si estrae e si misura la quantità di serotonina. Per ovvie
ragioni non è possibile condurre lo stesso tipo di prove sul
cervello degli umani (Green, Cross & Goodwin, 1995).
Ciò che è stato evidenziato nelle ricerche condotte sugli animali è
che dopo assunzione di MDMA, il livello di serotonina non è mai
completamente reintegrato, e che il cervello viene danneggiato il
modo permanente; in particolare una ricerca di Ricaurte (1992)
ha osservato da dodici a diciotto mesi dopo l’assunzione di
MDMA, che nel cervello delle scimmie i neuroni serotoninergici
erano ricresciuti in modo abnorme in alcune regioni del cervello,
mentre in altre regioni non erano più ricresciuti.
Questi studi hanno evidenziato che le aree del cervello
specificamente implicate nella regolazione di alcune funzioni
come sonno e appetito erano caratterizzate da una ricrescita
eccessiva delle fibre neuronali avendo come risultato un eccesso
di serotonina.
Invece altre aree del cervello come quelle contenenti strutture
implicate nei processi di memoria e nell’apprendimento
(ippocampo, amigdala, talamo e corteccia prefrontale), non
rigenerano i neuroni danneggiati.
Da tali scoperte nasce la “…preoccupazione che anche il cervello
degli esseri umani possa seguire la stessa sorte. Le dosi
somministrate alle scimmie in questi studi erano maggiori delle
dosi usate normalmente dagli uomini, ma è noto che l’effetto
varia a seconda delle specie che assumono la sostanza e che gli
esseri umani tendono ad essere più sensibili degli animali”.
(Sauders, 1995)
E’ invece largamente confermato che gli effetti collaterali
aumentano con il prolungarsi dell’assunzione, mentre si
riducono quelli positivi.
Infatti per ottenere il rilascio della stessa quantità di serotonina,
occorre innanzi tutto aumentare la dose di MDMA con un
conseguente incremento esponenziale degli effetti collaterali.
Può accadere che l’aumentato dosaggio, dovuto al fenomeno
della tolleranza, provochi dipendenza psicologica. (Schifano,
1996)
Per altri autori (Bagozzi, 1996) l’aumento del dosaggio è
conseguente ad un effettivo bisogno neurobiologico, indotto dal
deficit di dopamina.