9
suscettibile di dar luogo ad ulteriori sviluppi; il tutto secondo un metodo
“funzionale” che, attraverso la realizzazione di una solidarietà più stretta tra
alcuni stati in settori specifici portasse gradualmente ad una cooperazione
estesa ai più vasti settori economici 1.
L’iniziativa si concretizzò con la firma del Trattato di Bruxelles del 1951
istitutivo della “Comunità europea del carbone e dell’acciaio” (CECA). Con
questo atto, i sei paesi firmatari (Germania, Francia, Belgio, Paesi Bassi,
Lussemburgo e Italia) posero le basi di un’originale costruzione politica che
ha condotto nel corso di quasi quarant’anni di storia alla nascita dell’Unione
Europea con la firma del Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 2.
A metà degli anni cinquanta i tempi non erano ancora maturi per forme di
integrazione politica e militare. Restava comunque sufficiente spazio di
manovra per progetti di integrazione economica e commerciale. Secondo il
modello proposto da Jean Monnet per la CECA, gli stati membri dovevano
cedere ad istituzioni sovranazionali alcuni poteri decisionali autonomi pur
conservando la sovranità politica. Attraverso un processo graduale,
l’integrazione di un determinato settore avrebbe finito con il produrre lo stesso
fenomeno in settori simili e collegati. Il modello Monnet divenne la base
metodologica della Conferenza di Messina del 1955, dove i sei stati firmatari
della CECA conferirono ad un comitato ad hoc presieduto dal Ministro degli
Esteri belga Henry Spaak il compito di individuare i mezzi per sviluppare
1
Nugent N. (2001) “L‟evoluzione storica” pp. 15 – 124.
2
Giraudi G. (2002) “La costruzione del Mercato Unico Europeo”.
10
l’integrazione economica europea. Il rapporto presentato servì da base ai
negoziati diplomatici per l’istituzione della “Comunità economica europea”
(CEE) e della “Comunità europea dell’energia atomica” (Euratom).
I negoziati si conclusero il 25 marzo 1957 con la firma dei due Trattati di
Roma.
Il pilastro fondamentale della Comunità economica europea, fu individuato
nella creazione di un mercato comune. L’articolo 2 del Trattato di Roma,
conosciuto anche come Trattato CEE (oggi art. 2 Trattato UE), indica gli
obiettivi politico-istituzionali della Comunità e riconosce il ruolo centrale del
mercato comune:
“la Comunità economica ha il compito di promuovere, mediante
l‟instaurazione di un mercato comune e il graduale ravvicinamento delle
politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività
economiche nell‟insieme della Comunità, un‟espansione continua ed
equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del
tenore di vita e più strette relazioni tra gli Stati che vi partecipano” 3.
Fino alla conclusione dei negoziati del Trattato di Roma, si confrontarono
due diverse tendenze nel definire modi e tempi per la costruzione del mercato
comune.
La Germania e i Paesi del Benelux difendevano una posizione liberista,
sollecitando la soppressione di tutti gli ostacoli alla costruzione del mercato
comune in un periodo molto rapido. Francia e Italia mettevano in luce i rischi
3
Pocar F. (2001) “Commentario Breve ai Trattati della Comunità e dell‟Unione Europea”.
11
derivanti da un liberismo commerciale troppo spinto, chiedendo un lungo
periodo transitorio per la demolizione degli ostacoli agli scambi e misure di
salvaguardia. Venne infine deciso che la creazione del mercato comune
sarebbe avvenuta in modo graduale attraverso la fusione dei mercati nazionali
e il ravvicinamento dei sistemi economici per rendere simili le condizioni di
concorrenza e le possibilità di sviluppo sociale.
Il mercato comune doveva tradursi nella costruzione di uno spazio
economico uniforme grazie alla liberalizzazione degli scambi intracomunitari
di merci e servizi e dei fattori della produzione e all’elaborazione di alcune
linee direttive nei vari settori dell’attività economica per facilitare il
coordinamento delle politiche economiche e sociali nazionali.
Il Trattato di Roma aveva come obiettivo centrale l’instaurazione di un
mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli
stati membri come mezzo per il conseguimento di un’espansione equilibrata e
stabile, un miglioramento del tenore di vita e più strette relazioni fra gli stati
partecipanti. Questi fini devono essere raggiunti attraverso la tutela delle
cosiddette quattro libertà fondamentali: la libera circolazione delle merci, la
libera circolazione dei lavoratori e il diritto di stabilimento, la libera
circolazione dei servizi, la libera circolazione dei capitali. L’insieme delle
regole riguardanti le quattro libertà fondamentali costituiscono tutt’oggi i
principi su cui si fonda il funzionamento del Mercato unico europeo 4.
4
Nugent N. (2001) “Le istituzioni e gli attori politici dell‟Unione Europea” pp. 125 – 346.
12
- La libera circolazione delle merci: è lo strumento più importante per la
realizzazione del mercato comune. Sviluppata innanzitutto eliminando le
barriere esistenti nel commercio delle merci “creazione di un’unione
doganale”, ha comportato la scelta politica di escludere la possibilità di
fondare la Comunità su una semplice zona di libero scambio. L’unione
doganale è entrata in vigore il 1° luglio 1968. Parallelamente all’abolizione
delle barriere doganali intracomunitarie è stata fissata una tariffa doganale
comune verso l’esterno.
- La libera circolazione dei lavoratori e la libertà di stabilimento: riguarda la
circolazione delle persone, consente da una parte la mobilità dei cittadini che
intendono trovare lavoro in un altro stato membro, dall’altra, riconosce alle
imprese e agli altri lavoratori indipendenti la libertà di esercitare un’attività
economica in tutto il territorio comunitario (diritto di stabilimento).
- La libera circolazione dei servizi: le attività bancarie, assicurative, i servizi di
trasporto rappresentano una parte sempre più importante dell’attività
economica delle società industrializzate e non potevano dunque restare escluse
dal quadro normativo del mercato comune. Le regole si basano sul principio di
non-discriminazione secondo cui i cittadini di uno stato membro possono
esercitare le proprie attività di servizio nel paese dove la prestazione è fornita,
alle stesse condizioni imposte dal paese stesso. Inoltre è stato avviato un
processo di armonizzazione delle legislazioni nazionali per stabilire le
condizioni necessarie alla prestazione dei servizi all’interno di tutto il territorio
13
comunitario, processo che ha subito una forte accelerazione dal 1986 con
l’Atto unico europeo.
- La libera circolazione dei capitali: concerne i movimenti dei capitali. Le
regole previste rispondono ad una duplice finalità: da una parte garantire la
possibilità di effettuare direttamente fuori dai confini nazionali i pagamenti
connessi alla fornitura delle merci, alla retribuzione delle prestazioni di servizi
o per l’esecuzione di lavori; dall’altra eliminare gli ostacoli ai movimenti
finanziari a carattere autonomo, quali per esempio gli investimenti o le
partecipazioni azionarie 5.
La completa liberalizzazione del commercio delle merci è l’asse centrale
attorno a cui ruota il funzionamento dello spazio industriale europeo.
Dal 1985 con l’attuazione del “Libro bianco sul completamento del
mercato interno” presentato dalla Commissione, la Comunità ha eliminato la
maggior parte degli impedimenti che vi erano al libero movimento delle merci.
Con l’eliminazione di queste barriere, che si traducevano in ingenti costi
aggiuntivi per le imprese, doveva realizzarsi parallelamente al ravvicinamento
dei livelli di imposizione fiscale dei singoli paesi. L’Iva doveva essere versata
nel paese in cui un prodotto viene acquistato e dedotta in quello dove veniva
affettivamente consumato, esattamente come avviene tra un venditore e un
acquirente nazionale. Per evitare che i paesi con aliquote più alte ed eccedenze
commerciali si avvantaggiassero rispetto ai paesi con aliquote più basse e
disavanzi commerciali, un meccanismo di compensazione tra le
5
Majone G. (1995) “La crescita dei poteri regolativi nella Comunità Europea” pp. 409 - 439.
14
amministrazioni nazionali avrebbe consentito alle finanze di uno stato membro
di riscuotere le imposte versate in un altro stato membro per un prodotto
consumato nel suo territorio.
L’attuazione del programma del Libro bianco prevedeva la soppressione
delle barriere fiscali alla circolazione delle merci che consistevano nelle
pesanti formalità effettuate alle frontiere per la riscossione dell’Iva gravante
sui prodotti importanti.
È stata innanzitutto azzerata la massa di documenti doganali da presentare
al momento dell’attraversamento delle frontiere tra gli stati membri. Dal 1°
gennaio 1993 per le merci di origine comunitaria non è più necessario
presentare alcuna documentazione, mentre per i prodotti provenienti da stati
terzi è richiesto il Documento amministrativo unico (Dau) che facilita
notevolmente le procedure di controllo.
La soppressione delle formalità alle frontiere non si traduce tuttavia in un
commercio selvaggio e senza regole poiché i controlli sulla qualità e la
sicurezza delle merci nonché il rilascio dei certificati di conformità vengono
effettuati dalle autorità del paese di origine dei prodotti stessi.
In termini quantitativi, le misure di liberalizzazione adottate hanno
condotto a un’espansione del commercio intracomunitario delle merci.
15
Il timore di vedere diminuire i guadagni fiscali e i margini di manovra delle
politiche fiscali, ha però indotto la maggior parte degli stati membri ad opporsi
a queste proposte e a limitarsi a istituire un regime provvisorio 6.
Con questo regime il pagamento dell’Iva non avviene più
all’attraversamento della frontiera, ma nel paese di consumo della merce
attraverso un sistema di dichiarazioni periodiche predisposte dalle imprese. I
controlli alle frontiere sono stati eliminati, ma è rimasto in vigore il sistema,
causa di forti evasioni nel pagamento dell’Iva, si introduce quindi la
detassazione all’esportazione e l’imposizione all’importazione verso gli stati
terzi.
I. 2. IL Mercato comune tra successi e fallimenti
L’evoluzione della costruzione comunitaria non è stata un processo lineare,
al contrario è stata spesso caratterizzata da forti elementi di discontinuità
alimentati dalla contrapposizione dei diversi interessi politici ed economici in
gioco. La scelta di porre al centro del processo di integrazione economica il
mercato comune, è stata un primo elemento di contrasto in un periodo
caratterizzato da un forte intervento pubblico in economia. Per conseguire gli
obiettivi politico-istituzionali della Comunità, il Trattato di Roma ha istituito,
a differenza di altri trattati, un proprio ordinamento giuridico, che è stato via
via integrato negli ordinamenti giuridici nazionali, in quanto un problema di
6
Bardi L. e Ignazi P. (1999) “Conclusioni. Ritorno a Spinelli” pp. 119 – 122.
16
particolare importanza riguardava la partecipazione delle imprese europee agli
appalti pubblici di lavori e forniture indetti dalle amministrazioni degli stati
membri. A differenza di quanto è stato fatto per la fiscalità, l’Unione Europea
ha adottato l’insieme delle misure di liberalizzazione previste dal Libro
bianco.
La legislazione in vigore ha introdotto elementi di trasparenza e di
concorrenza nelle procedure di aggiudicazione delle gare di appalto indette
dagli stati membri, ma in principio essa non si applicava agli appalti di
forniture e di lavori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e delle
telecomunicazioni. Oggi questi settori, esclusi a causa della loro finalità di
servizio pubblico, sono sottoposti alle medesime regole in materia di
trasparenza e di aggiudicazione degli appalti. Anche in questo caso, la
normativa comunitaria si applica solo se il valore degli appalti di lavori e
forniture supera determinate soglie.
Malgrado questa legislazione, non si è giunti alla completa apertura alla
concorrenza in questo settore. Si calcola che solo il 10% delle forniture
provengano da ditte di altri stati membri. Questi ultimi hanno la tendenza a
privilegiare le imprese nazionali perché gli appalti pubblici, oltre ad essere un
mezzo per soddisfare i bisogni delle pubbliche amministrazioni, vengono
utilizzati come strumenti per sostenere l’economia e promuovere lo sviluppo
economico di determinate aree territoriali. Sovente la poca trasparenza nei
mercati pubblici mira a proteggere imprese e settori produttivi
17
tecnologicamente deboli, causando ritardi nei processi di innovazione
all’interno della Comunità.
Da questo punto di vista, la Comunità si contraddistingue, rispetto alle
altre organizzazioni internazionali, per la sua natura di “comunità di diritto”.
Nelle materie di esclusiva competenza della Comunità, gli stati membri hanno
accettato di sottostare ad un ordinamento giuridico autonomo e di limitare la
propria potestà legislativa. Due sono state le soluzioni trovate per cercare di
far si che gli stati membri avessero ancora la propria influenza sui popoli
anche dopo la cessione di una parte della sovranità e la caduta delle
protezioni nazionali.
La prima è stata il sostegno pubblico entro i confini della Comunità
Europea e liberismo al di fuori, cioè il mantenimento di politiche pubbliche a
sostegno dell’economia degli stati membri che avrebbe agevolato
l’integrazione.
La seconda è stata la pratica del negoziato permanente in seno alle
istituzioni comunitarie attraverso una continua mediazione di interessi e la
ricerca di compromessi politici. Queste due soluzioni hanno aperto le porte
all’iniziale successo della Comunità.
Grazie alla favorevole congiuntura economica, la liberalizzazione dei
mercati portò a risultati positivi in termini di sviluppo e l’aumento della
concorrenza tra i produttori comunitari, stimolando inoltre l’innovazione nella
produzione industriale e provocando mutamenti nelle strategie delle imprese
18
con conseguenti processi di ristrutturazione per rafforzare la loro
competitività. Nel corso della prima fase della costruzione del mercato
comune, le economie degli stati membri hanno dunque sperimentato uno dei
periodi più rosei dal punto di vista dei risultati economici complessivi.
Ai magnifici anni sessanta, seguì un periodo oscuro per le economie
europee e per i processi d’integrazione. Gli anni settanta videro intrecciarsi, in
un rapporto di causa-effetto, crisi economica e crisi politica della Comunità.
Di fronte alla crescente apertura dei mercati e dell’interdipendenza
economica e finanziaria, i soli strumenti di liberalizzazione non apparivano
più sufficienti a garantire uno sviluppo economico equilibrato. Se non si fosse
dotata la Comunità di strumenti più incisivi di intervento, i processi di
liberalizzazione avrebbero finito per produrre effetti negativi e squilibri tra le
diverse aree territoriali. Esistevano fondati rischi che di fronte ad una
congiuntura sfavorevole i singoli paesi avrebbero reagito autonomamente per
proteggere le loro economie.
Un’accelerazione dell’integrazione era dunque necessaria per non
compromettere i risultati raggiunti nella costruzione del mercato comune. Con
l’uscita di scena del generale De Gaulle e il cambiamento della politica
francese, si ebbe un nuovo impulso al processo di integrazione, consentendo di
raggiungere nuovi importanti traguardi, tra cui il passaggio dal sistema dei
contributi finanziari degli stati membri al sistema delle risorse proprie della
19
Comunità; fu introdotto il “serpente monetario” 7 rivolto a limitare i margini di
fluttuazione tra le monete nazionali al fine di impedire che sorgessero ostacoli
valutari alla libera circolazione delle merci. Ebbe inoltre inizio il progressivo
ampliamento della Comunità che ha portato agli attuali 25 paesi membri 8.
Per rafforzare l’integrazione economica venne definito il progetto di
istituire nel corso di tre fasi un’unione economica e monetaria che, oltre a una
politica monetaria comune, avrebbe dovuto disporre di strumenti per
armonizzare le strutture economiche e fiscali degli stati e coordinare le loro
politiche economiche. La realizzazione fu vanificata dall’incapacità del
Consiglio di prendere le decisioni necessarie a causa dell’impossibilità di
superare lo scoglio del diritto di veto.
Il rapido deteriorarsi della situazione internazionale colse allora
impreparata la Comunità che non seppe attuare una strategia comune per
contrastare la recessione e la disoccupazione. A mettere in ginocchio la
Comunità fu soprattutto la crisi energetica provocata dal quarto conflitto
arabo-israeliano e dalla conseguente impennata dei prezzi mondiali del
petrolio. La crisi distolse l’attenzione degli stati membri dal progetto di
Unione economica e monetaria, anche se un coordinamento delle politiche
economiche avrebbe almeno attutito gli effetti negativi sulla crescita e
l’occupazione.
7
Sostituito nel 1978 dal Sistema monetario europeo.
8
1 maggio 2004 con l’ingresso degli ultimi 10 paesi: Estonia; Lettonia; Lituania; Polonia;
Repubblica Ceca; Repubblica Slovacca; Ungheria; Slovenia; Malta; Cipro, assieme a: Grecia;
Portogallo; Spagna; Italia; Francia; Lussemburgo; Irlanda; Regno Unito; Belgio; Olanda;
Germania; Danimarca; Austria; Svezia; Finlandia.
20
Lo shock petrolifero, nel 1974, non solo seppellì questo progetto, ma ebbe
effetti dirompenti sul funzionamento del mercato comune. Nel reagire in
ordine sparso, gli stati membri non resistettero alla tentazione di applicare
misure protezionistiche anche all’interno della Comunità sotto forma di
barriere tariffarie e fiscali. Queste misure furono facilitate dai varchi concessi
dalla legislazione comunitaria ancora largamente incompleta. Aumentarono gli
aiuti di stato e si moltiplicarono le violazioni riguardanti la libera circolazione
delle merci e servizi. Ne derivò una notevole frammentazione del mercato
comune e una brusca frenata degli scambi intracomunitari 9.
Un altro fattore di frammentazione dei mercati e di distorsione della libera
concorrenza aveva origine dalla disparità dei sistemi fiscali che favoriva i
produttori dei paesi con un livello di imposizione fiscale più basso. La
decisione di generalizzare il sistema dell’imposta sul valore aggiunto (Iva),
adottata nel 1977, non fu sufficiente ad eliminare queste distorsioni in quanto
le aliquote Iva applicate dai singoli paesi erano ancora diverse fra loro.
Uniformarle richiedeva una parallela armonizzazione della fiscalità diretta
(imposte sul reddito e la ricchezza) poiché per alcuni stati membri la
diminuzione del gettito dell’Iva avrebbe comportato un aumento delle imposte
dirette.
La situazione riguardante l’esercizio delle altre libertà fondamentali
riconosciute dai trattati era altrettanto deludente. Se in materia di libera
circolazione dei lavoratori i risultati raggiunti potevano dirsi soddisfacenti,
9
Ricigliano M. A. (1990) “Il Mercato Unico Europeo”.
21
continuavano a sussistere sostanziali ostacoli alla liberalizzazione dei servizi e
dei capitali e alla libertà di stabilimento.
I. 3. Dal mercato comune al Consiglio europeo di Nizza
Il periodo di crisi nella creazione del mercato comune era innanzitutto lo
specchio della crisi politica della Comunità. Se da una parte si moltiplicarono
gli impegni politici per il rilancio dell’unione politica e il rafforzamento delle
politiche comuni, dall’altra il Consiglio non aveva previsto le decisioni
necessarie a metterli in atto.
La decisione del Consiglio europeo di Bruxelles del dicembre 1978 di
istituire il Sistema monetario europeo ebbe una notevole rilevanza economica
poiché, oltre ad essere l’unico risultato concreto dei tentativi di avviare
l’unione economica e monetaria, permise di limitare le fluttuazioni delle
monete nazionali. Il Sistema monetario europeo gettò le basi per la creazione
di una zona di stabilità monetaria. Esso non risolse tuttavia il problema dei
gravi squilibri nello sviluppo economico e sociale tra le aree regionali della
Comunità.
Le elezioni del Parlamento europeo a suffragio universale del 1979 ebbero
effetti politici importanti poiché consentirono all’Assemblea parlamentare di
uscire dalla marginalità in cui si trovava nella struttura istituzionale
comunitaria. Forte della legittimità democratica derivante dall’essere eletto
direttamente dai cittadini, il Parlamento europeo svolse un’azione politica di