5
visita universale dei prodotti italiani, che attiva nei consumatori associazioni
mentali positive e un forte country-of-origin effect.
È stata posta l‟attenzione anche sulla crisi economica che ha colpito tutto il
mondo nell‟ultimo anno e mezzo, e che indubbiamente ha cambiato
l‟economia mondiale e le sue dinamiche, la conformazione di molte
imprese, e anche le abitudini e credenze dei consumatori. Anche il made in
Italy è stato affetto da tale crisi, e non ci si poteva dunque esimere
dall‟analizzarne gli effetti, che, nel caso del nostro Paese, sono stati certo
gravi, ma per certi aspetti inaspettati e peculiari.
Nel primo capitolo è stata effettuata un‟introduzione alla questione
del made in Italy: che cos‟è, quali definizioni ne sono state date, cosa è
insomma definibile come tale, in un contesto spesso nebuloso e
ambivalente.
Vengono inoltre descritti i settori principalmente accostabili alla dicitura di
made in Italy (le cosiddette “5 A” dell‟eccellenza italiana, con l‟aggiunta di
un sesto settore, quello turistico), e i soggetti imprenditoriali maggiormente
ricorrenti., nonché i punti di forza e di debolezza di questo sistema che
caratterizza l‟economia del nostro Paese.
Si è inoltre visto come l‟Italia e la sua economia abbiano reagito alla crisi
economica mondiale scoppiata nell‟ultimo anno e mezzo: paradossalmente,
la diversità del sistema italiano, fatto di piccole imprese radicate nel
territorio, da più parti giudicato obsoleto e inadatto al nuovo contesto
globalizzato, ha permesso che, nonostante le imprese abbiano risentito
6
della crisi (come del resto in tutto il mondo), queste abbiano recuperato più
in fretta, con meno danni di quelli che erano prevedibili.
Il secondo capitolo tratta un argomento strettamente legato al
concetto del made in Italy. In esso viene infatti studiato il sistema dei
distretti, che caratterizza estensivamente il sistema economico italiano.
Le imprese del nostro Paese infatti sono fortemente radicate nel territorio, in
una maniera non riscontrabile in nessun‟altra realtà globale, con tutti i punti
di forza e debolezza che ciò comporta.
Nel capitolo successivo, il terzo, viene approfondito maggiormente il
suddetto argomento: vengono infatti descritti analiticamente i distretti
economici italiani regione per regione, sia a livello di dati relativi al numero
di imprese, al fatturato e alle quote dedicate all‟export, sia a livello
descrittivo, raccontandone le caratteristiche principali e la storia.
Per questione di comodità e per facilitare la lettura è stato scelto di esporre
questi dati sotto forma di tabella.
Il quarto capitolo entra nel vivo della tematica di questo elaborato,
descrivendo come è possibile trattare una Nazione alla stregua di un bene
di consumo, creando per essa un brand ad hoc, utile per comunicare con
facilità e immediatezza le proprie caratteristiche e i propri prodotti sia ai
consumatori interni, sia stranieri (quando vengono nel Paese, ma anche
quando ne sentono parlare in patria).
7
Nel caso dell‟Italia, pare chiaro da diverse ricerche come essa e i suoi
abitanti siano molto ben percepiti all‟estero, il country-of-origin effect che
viene innescato è molto positivo, mentre gli italiani mancano totalmente di
autostima nel giudicarsi.
Ciò si riflette anche nella comunicazione di Paese, che è confusa e non
coordinata. Il miglioramento di tali aspetti è a tutto vantaggio della
comunicazione del made in Italy e dei suoi prodotti.
L‟ultimo capitolo tratta della concorrenza che il made in Italy deve
subire dagli altri made in, che hanno caratteristiche sicuramente differenti,
quando non diametralmente opposte, ma che non di meno entrano in
competizione con esso, spesso mettendolo in difficoltà.
È il caso delle nuove potenze economiche emergenti, la Cina certamente in
testa, che con armi completamente diverse da quelle italiche (produzione
massificata e a bassissimo costo) si sono fatte strada nell‟economia
internazionale, talvolta facendo perdere terreno ai tipici prodotti del made in
Italy, a volte con metodi non esattamente legali (manodopera sottopagata,
concorrenza sleale, contraffazione di noti marchi occidentali).
La via scelta dalle economie occidentali è spesso stata quella del
protezionismo, o comunque della severità: dall‟inasprimento dei controlli
doganali a una regolamentazione più stringente su quali caratteristiche
debba avere un prodotto per essere deputato a un certo made in (con
effetti, come si vedrà nel capitolo, talvolta contraddittori e recanti ulteriore
8
confusione), fino a soluzioni più estreme quali l‟introduzione di dazi doganali
e limiti alle importazioni.
È invece opinione di chi scrive che il brand-Nazione dovrebbe
correre in aiuto anche in questo caso: grazie a una comunicazione di Paese
precisa ed efficace, davvero capace di sottolineare le caratteristiche
principali di un Paese, dei suoi prodotti e della sua economia, i consumatori
avrebbero un‟idea precisa di cosa comporta acquistare/usufruire di un certo
made in, senza bisogno di limitare o addirittura denigrare gli altri, come
spesso accade nel caso delle nuove potenze economiche emergenti, nei
confronti delle quali vengono innescati stereotipi negativi da parte del
consumatore, che sono però coadiuvati e sostenuti dagli operatori del
sistema economico.
Ultimamente però le cose sembrano essere cambiate, e si è giunti
finalmente alla consapevolezza della necessità, soprattutto in seguito alla
crisi economica, di un‟azione unitaria da parte di tutti gli attori del sistema
made in italy (imprese, consorzi, istituzioni, amministrazione pubblica
eccetera) per costruire un‟immagine unica e significativa dell‟Italia e dei suoi
prodotti e dei suoi valori, utile a farli maggiormente conoscere e apprezzare
dai consumatori di tutto il mondo.
Un‟unità mai vista prima, a fronte di azioni unitarie e disomogenee da parte
dei diversi operatori, che si sta traducendo in alcune azioni significative e
che auspicabilmente porterà alla costruzione di una marca-Italia unica.
Un brand „made in Italy‟ che ci identifichi in maniera univoca e memorabile.
9
Capitolo 1
INTRODUZIONE AL „MADE IN ITALY‟
1.1 Introduzione
L‟Italia di oggi è una delle maggiori potenze economiche del mondo; una
nazione forte dell‟originalità, da tutti riconosciuta, del Made in Italy; una
nazione all‟avanguardia in molti campi, dalla medicina alla fisica,
dall‟astronomia all‟aerospaziale; una nazione le cui imprese, anche piccole
e medie, organizzate in distretti, sono spesso leader mondiali nella
produzione di beni di consumo e di macchinari tecnologicamente avanzati.
Siamo tanto più forti, quanto più sappiamo fare sistema, presentandoci al
mondo con la nostra identità complessa di Paese ricco di cultura e
tradizioni, come di spirito di innovazione e d‟iniziativa.
Una politica di aperto, leale confronto tra istituzioni, imprenditori, lavoratori,
che rilanci una capacità d‟intesa che non mancò neppure in anni di grandi
scontri ideologici, ci aiuterà a realizzare quello scatto di orgoglio, quel
risveglio della fiducia di cui l‟Italia ha bisogno.
[Carlo Azeglio Ciampi, Roma, 31 Dicembre 2004]1
Queste parole dell‟allora Presidente della Repubblica, pronunciate in
occasione del messaggio di fine anno agli Italiani, sono attuali anche cinque
anni dopo, e racchiudono, di fatto, l‟essenza della realtà economica italiana,
basata su un mosaico di elementi eterogenei che possono essere racchiusi
in un grande insieme, che porta il nome di Made in Italy.
1
: Cit. in Fortis 2005
10
Il sistema economico italiano è infatti specializzato a livello
internazionale nei settori manifatturieri tradizionali, che, a partire dagli anni
‟80, sono stati unificati appunto sotto la denominazione di Made in Italy
(Fortis, 1998 e 2005).
La definizione ha poi definitivamente preso piede negli anni ‟90,
affermandosi nell‟opinione pubblica italiana e internazionale2 e diventando
quasi una frase fatta, un luogo comune.
Tale definizione, tuttavia, può generare confusione. In generale, tutto ciò
che viene prodotto in Italia può essere così etichettato, ma questo è un
settore complesso, che tocca vari settori, e non è facilmente definibile.
Per molti il Made in Italy è semplicemente sinonimo di “moda”: si pensa
subito ai vestiti di Valentino, Versace, Armani, ai negozi di abbigliamento,
scarpe, accessori.
Ciò è in parte vero, ma c‟è anche dell‟altro.
Sono Made in Italy i prodotti e i servizi in cui l‟Italia vanta un effettivo grado
di specializzazione e per i quali è rinomato nel mondo in base a criteri come
la qualità, l‟innovazione, il design, eccetera. Ambiti insomma nei quali il
Made in Italy è diventato simbolo di eccellenza a livello mondiale.
Infatti le produzioni in cui l‟Italia vanta di primati produttivi e commerciali a
livello internazionale non sono circoscritte al solo sistema moda.
2
: Per farsi un‟idea, si pensi che nel 1984 gli articoli del Sole 24 Ore (il principale
quotidiano economico italiano) contenenti la dicitura “made in Italy” erano circa 50,
mentre nel 2007 erano oltre 700 (Fortis, 2005).
Inoltre sul portale ufficiale del Made in Italy, nella sezione news
(http://www.madeinitaly.org/news-made-in-italy.php), quotidianamente vengono
pubblicate svariate notizie sull‟argomento.
11
Il Made in Italy è la parte più vitale dell‟economia italiana, quella capace di
conquistare posizioni di leadership sui mercati di tutto il mondo.
La realtà produttiva dell‟industria italiana è sostanzialmente basata sui
settori del Made in Italy (e della meccanica a essi collegata), ma esso non è
solamente un fenomeno industriale ed economico, bensì anche culturale,
artistico, un modello di vita che l‟Italia esporta in tutto il mondo.
1.2 Cosa è definibile Made in Italy?
A livello strettamente tecnico, c‟è dibattito su una definizione unitaria
di Made in Italy, su cosa debba essere definito come tale e cosa no.
Il fatto che non si sia seguita una strategia unitaria di marca, ha portato alla
creazione di diverse accezioni al riguardo che accolgono un concetto via via
più ampio e più complesso.
Ci sono così almeno tre differenti accezioni:
1. Il Made in Italy riguarda beni e servizi il cui processo produttivo è
realizzato interamente Italia.
Secondo una definizione offerta nel 2005 dal Ministero delle attività
produttive, si intendono realizzati interamente in Italia i prodotti finiti per i
quali l'ideazione, il disegno, la progettazione, la lavorazione e il
confezionamento sono compiuti interamente sul territorio italiano.
A tale scopo il Ministero ha realizzato un marchio, “100% Italia”, di
proprietà dello Stato.
12
È un concetto purista, che rispecchia il Made in Italy com‟era in passato,
quando era più facile e frequente che tutto il processo produttivo fosse
realizzato interamente nel nostro paese.
È una definizione utilizzata soprattutto dalle PMI, aziende di piccole
dimensioni, appartenenti a diversi distretti che portano avanti il
concetto/filosofia purista del made in Italy. Non a caso il CNA
(Confederazione Nazionale dell‟Artigianato e della Piccola e Media
Impresa) definisce l‟iniziativa “[…] un passo importante per la tutela delle
produzioni italiane [che …] supporterà in maniera importante le nostre
produzioni [in quanto …] la tutela delle produzioni italiane è
propedeutica al sostegno e alla promozione del sistema Italia in
generale”3.
È tuttavia difficile mantenerlo, poiché l‟Italia non è molto competitiva
sotto il profilo del costo del lavoro, impedendo di conseguenza di
rendere competitivo il prezzo del prodotto.
Ci sono infatti una serie di costi oggettivi che impediscono lo sviluppo
del made in Italy: nel nostro Paese c‟è un gran numero di artigiani,
piccole aziende, lavoratori manuali, il cui costo del lavoro è molto
superiore a quello di una macchina, e più alto è il prezzo di mercato,
meno competitivo risulta il prodotto.
A ciò si aggiungono difficoltà oggettive: la configurazione geografica, le
carenze nei trasporti, il fatto che l‟Italia sia un Paese importatore di
svariate materie prime.
3
: in Da CNA, sì al marchio “100% Italia”, in Beautyline del novembre 2006
13
Le produzioni interamente made in Italy hanno quindi costi più alti che
rendono il prodotto meno competitivo.
2. I beni e servizi Made in Italy sono prodotti per i quali almeno
l‟ultima fase di lavorazione sia svolta sul territorio italiano.
È un concetto più diffuso, che offre una definizione di Made in Italy più
vaga, non purista, ma sicuramente realista.
Viene utilizzata da aziende che si fregiano della dicitura di Made in Italy,
ma che non producono interamente in Italia, bensì svolgono lì solo
l‟ultima parte del processo produttivi (ossia rifinitura e controllo di
qualità).
Si tratta di una produzione delocalizzata, che non intacca la qualità del
prodotto ma permette di diminuire i costi di produzione, per la quale
l‟ultima parola spetta comunque a soggetti italiani.
Questo concetto esiste da un po‟ di anni, ed è stato strutturato da
Confindustria nel 2005.
Il sito www.italymade.com promuove un marchio di qualità “alternativo”
al classico Made in Italy, denominato “Italy Made”, che garantisce la
certezza che almeno l‟80% delle fasi produttive sono avvenute nel
nostro Paese.
3. Il Made in Italy non si riferisce ai beni e servizi prodotti
esclusivamente in Italia, ma al “concetto” (Italian concept) evocato
da beni e servizi.
14
C‟è in questa definizione un passaggio dall‟idea di “prodotto Made in
Italy” a quella di “complesso di soluzioni Made in Italy”, ossia un insieme
di caratteristiche che si avvicina a un concetto i cui cardini sono
rappresentati da creatività, ideatività, imprenditorialità e servizio
(Ministero delle attività produttive, 2005; Esposito, Assocamerestero,
2006).
E‟ la definizione più dibattuta, emersa da ricerche di Assocamerestero
su ciò che pensano all‟estero del Made in Italy, del suo concetto evocato
e simbolico, come marca e vissuto di prodotto, del concetto di italianità.
Se mal interpretata, questa definizione porta al fenomeno della
contrattazione, dell‟“italian sounding”: prodotti che vengono definiti
italiani ma in realtà non hanno niente della qualità italiana. È una sorta di
imitazione, molto diffusa all‟estero, per cui si danno ai prodotti, o anche
ai negozi, dei falsi nomi italiani o italianeggianti, per evocarne una falsa
origine.
Il prodotto viene dunque acquistato per ciò che comunica (essere
italiano = essere di qualità) e non per ciò che effettivamente è.
Talvolta questa pratica può diventare una sorta di “frode”, per cui
prodotti con un nome diverso ma simile all‟originale (“palenta”,
“parmezan”, "italiano pasta", “milaneza”4) vengono venduti all‟estero e
creduti originali dai consumatori stranieri: “…[basta] in etichetta una
bandiera italiana e un nome vagamente evocativo […] e il gioco è fatto”.
4
: esempi tratti da Dal “parmezan” alla “palenta”, il Made in Italy falso 3 volte su 4,
Corriere della Sera, 18 ottobre 2009
15
Spesso inoltre non viene nemmeno violata la legge, poiché certi
marchi/prodotti italiani non sono registrati e protetti in determinati Paese
esteri5. A subire questo trattamento sono specialmente i prodotti
alimentari, e, a differenza dei falsi nel settore tessile, i Paesi che attuano
questa contraffazione sono quasi sempre ricchi, come Australia o USA.
Così i falsi prodotti italiani, spesso di infima qualità, danneggiano anche
la reputazione di quelli veri, tanto che associazioni come Coldiretti6,
dopo aver calcolato che tre prodotti su quattro venduti all‟estero col
marchio “made in Italy” sono falsi, per sensibilizzare al problema hanno
creato una sorta di “museo degli orrori”, una mostra di falsi italiani
provenienti da tutto il mondo, e hanno inoltre chiesto interventi diretti alla
commissione UE sull‟agricoltura e al Ministro italiano per le Politiche
Agricole, Luca Zaia, il quale ha risposto indicando come possibili
soluzioni maggiori controlli e l‟etichettatura d‟origine dei prodotti (sulla
quale si tornerà nei prossimi capitoli).
Dunque, in generale, il concetto principale dietro al sistema
economico del nostro Paese, è il fatto che i prodotti siano prodotti proprio in
Italia: evocare il Made in Italy significa riportare la produzione al suo
contesto (Rullani, in Fortis 2000).
5
: basti pensare che, paradossalmente, in Canada il vero prosciutto di Parma non
si può vendere con tale nome perché lì dal 1971 “Parma Ham” è un marchio
registrato da un produttore locale.
6
: è la più grande associazione di rappresentanza e assistenza dell‟agricoltura
italiana, raccogliendo circa 568.000 aziende del settore (circa il 52% del totale).
Tra i suoi obiettivi: valorizzare il ruolo dell'agricoltura nell'economia nazionale,
sostenere il prodotto alimentare italiano in patria e nel mondo e sostenere lo
sviluppo anche culturale delle varie realtà locali.
16
La produzione assume caratteri particolari dovuti al contesto geografico in
cui essa avviene: contesto produttivo e contesto territoriale sono
imprescindibilmente legati. La società italiana, la sua essenza, diventa il
fattore chiave della generazione del valore e dei vantaggi competitivi del
suo sistema economico.
L‟”italianità” della produzione consiste in una miscela di cooperazione e
competizione che si realizza non per intervento di un potere centrale (sia
esso lo Stato o la grande impresa), ma grazie al sottile equilibrio che salda
gli interessi di tante forze diverse, che hanno in comune il patrimonio del
modo di essere, della cultura italiana (nel senso più ampio del termine),
nonché il senso di appartenenza alla comunità locale.
I principali soggetti imprenditoriali del Made in Italy fanno parte di reti
fiduciarie e presentano intensi legami col territorio.
Tra questi soggetti troviamo:
ξ Le imprese leader, per lo più di medie dimensioni7;
7
: Ci sono diversi criteri per definire un‟impresa di grandi, medie o piccole
dimensioni.
Il criterio principale è quello occupazionale, ossia basato sul numero di addetti.
Fortis (2005) definisce piccole le imprese con un numero di addetti che va da 1 a
49 (le imprese con meno di 10 addetti sono considerabili microimprese); medie
quelle da 50 a 499 addetti e grandi quelle con oltre 500 addetti. Invece lo schema
adottato dall‟Unione Europea fissa la soglia superiore delle medie imprese a 249
addetti, ma del resto in USA la soglia minima delle grandi imprese è di 1.000
addetti, per cui fissare il limite superiore per le medie imprese a 499 appare come
un buon compromesso.
Esiste inoltre un criterio “misto”, mutuato da Unioncamere e Mediobanca, che tiene
conto sia del numero di addetti, sia del fatturato di un‟impresa. In base a tale
criterio, le piccole imprese hanno meno di 50 addetti e meno di 13 milioni di euro di
fatturato; le medie imprese hanno tra i 50 e i 499 addetti e un fatturato tra i 13 e i
260 milioni mentre le grandi imprese hanno oltre 500 addetti e oltre 260 milioni di
fatturato.
17
ξ I consorzi di piccole imprese;
ξ Le associazioni di settore aderenti a Confindustria, ossia soggetti di
autonomia funzionale il cui scopo è quello di promuovere il Made in Italy,
i valori di italianità, tramite un intenso lavoro di marketing e
comunicazione;
ξ I distretti industriali (che verranno approfonditi più avanti), aree locali che
si occupano dei diversi processi della filiera produttiva;
ξ Le Camere di Commercio italiane, soggetti di autonomia funzionale
locale;
ξ Le Camere di Commercio italiane all‟estero, che hanno lo scopo di
tenere i rapporti con l‟estero, essendo l‟Italia un Paese fortemente
esportatore.
In particolare, al centro del sistema italiano ci sono le piccole e medie
imprese (PMI), dalle quali dipendono il 90,7% dell‟occupazione e il 77,6%
dell‟export del Made in Italy manifatturiero. Un numero così alto di piccole e
medie imprese non è riscontrato in nessun‟altra delle maggiori economie
avanzate.
1.3 I settori del Made in Italy
Ma quali sono i settori principali del Made in Italy? Essi sono cinque,
definiti le “5 A dell‟eccellenza”, che pongono il nostro Paese ai vertici
mondiali in tali settori.
La Fondazione Edison ha poi ulteriormente classificato i grandi gruppi industriali in:
Grandi Pilastri (fatturato superiore ai 10 miliardi di euro, che sono però solo 4 e
non riguardano i settori tipici del Made in Italy), Pilastri (fatturato compreso tra i 2 e
i 9,99 miliardi) e Colonne (fatturato tra i 500 milioni e 1,99 miliardi).
18
Queste specializzazioni produttive, alla data dell‟ultimo censimento (2001),
occupavano complessivamente 3 milioni e 365 mila addetti, pari a circa
65% dell‟occupazione manifatturiera nazionale.
I settori del Made in Italy inoltre assicurano al nostro Paese la maggiore
quota di addetti sul totale dell‟industria manifatturiera, la più forte tenuta
occupazionale nel lungo periodo, la più alta densità di occupati ogni 1.000
abitanti rispetto a tutte le maggiori aggregazioni industriali dei principali
paesi OCSE (Fortis, 2000, su rielaborazione di dati Istat). Non a caso, a
livello più strettamente economico c‟è chi (Rullani, 2000) definisce il Made
in Italy un aggregato di settori eterogenei che hanno come unica
caratteristica comune il fatto di dare un saldo attivo e permanente alla
bilancia dei pagamenti, ossia il fatto di essere settori di stabile
specializzazione dell‟economia italiana rispetto al resto del mondo.
Tali settori sono:
ξ Abbigliamento.
Fanno parte di questo settore sia industrie che si trovano a monte del
processo produttivo, come quelle laniera, cotoniera, liniera, serica, sia
industrie collocate a valle del processo produttivo, ossia maglieria, calze
e abbigliamento (settore in cui sono affiancate industrie di grandissimo
successo e di fascia estremamente elevata sul mercato,
sostanzialmente le grandi griffes di moda e altre realtà di più esteso
consumo ma comunque spesso note a livello internazionale);