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Sappiamo di stare ponendoci domande che altri uomini e donne, i cui piedi
hanno percorso le stesse strade che noi oggi percorriamo, si sono posti.
Magari con parole diverse, con pensieri diversi, che noi possiamo solo
immaginare, ma comunque ecco le stesse domande, le stesse
interrogazioni che arrivano ancora, fino a noi.
A noi che, nell‟ingaggio di una vita che cerca di farsi parola, tra la mente e
il corpo inseguiamo il miraggio di un‟esistenza pienamente umana, dove
convivano infinito e limite, dove ogni cosa è illuminata e oscura nello
stesso tempo, dove l‟incontro con l‟altro è condividere il senso
dell‟avventura comune.
Abbiamo bisogno di recuperare il piacere di raccontare storie dotate di
senso e ogni storia, con queste premesse, è inevitabilmente educativa.
Non importa se queste storie sono scientifiche, letterarie, poetiche, è
fondamentale che celino qualche cosa da scoprire ancora e da svelare.
Che siano storie fantastiche o accadute, purchè vere storie che sappiano
stupire ed educare. L‟autobiografia è una strada mentale, una traiettoria
costellata di arresti e riprese, certamente interessante per chi ne è il
narratore e l' ascoltatore, è uno stimolo a ragionare sulle proprie ragioni e
a comprendere quelle degli altri.
La scrittura di Sé può restare diario o diventare un quaderno di ricordi,
quale sia l‟intento, in ogni caso genera effetti benefici, catartici tanto
quanto il lavoro artistico, teatrale, psicodrammatico. Anche se sappiamo
che quanto si scrive potrà non giungere a nessuno, non interessare
nessun erede in ogni caso, la scrittura autobiografica cerca in primis se
stessi.
Chi si scrive scopre il ricordare: c‟è pietà per sé e per il male stesso,
subìto e inflitto; per le persone e per le cose, per il tempo scomparso e per
i luoghi perduto; c‟è rimembranza e nostalgia. C‟è anche una ridefinizione
della propria identità, scopo principale della nostra ricerca. Ciascuno a
lavoro finito si accorge di aver scritto di un‟altra persona: la scrittura così al
contempo smaschera e rimaschera, ci fornisce quello sdoppiamento che
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può rendere meno tragica la solitudine. Ci consente di ricomporre, di
riunificare e di ridisegnare la propria vita.
Nei luoghi dell‟educazione, dalla famiglia, alla scuola, dai centri riabilitativi
alla strada, pertanto, ogni sollecitazione volta a ingenerare processi di
scrittura autobiografica è fertile. Non solo impegna ore sempre uguali,
riempite di storie in concluse o recitate con la stessa monotonia dei giorni,
ma è indizio, traccia, frammento comunque di un punto di vista alla ricerca
di se stesso. La fatica autobiografica è disciplina non imposta e, proprio
per questo, merita il nostro rispetto. Soprattutto ci richiama all‟oculatezza
delle parole, ci educa al pensiero primo dello sfogo e conferisce all‟oralità
la possibilità di ritornare alle sue origini interiori.
Il tema dell‟autobiografia e della memoria, individuale e collettiva, è
certamente uno dei temi ricorrenti al giorno d‟oggi, nel mondo della
cultura, come anche nel senso comune, nella conoscenza diffusa. Questa
tesi vorrebbe essere anche un invito a non dimenticare, a riscoprire e
valorizzare le storie delle persone, e con esse le storie di intere
generazioni o settori della società, ricorre nei luoghi dell‟educazione,
dell‟impegno civile e dell‟informazione. Le persone riscoprono il valore
della loro storia, e con essa il piacere di raccontarsi, di scrivere di Sé, a
volte per un proprio bisogno, a volte anche come modalità di partecipare
più pienamente alla realtà.
A questo riguardo crediamo interessante indurre questa tesi a chiedersi
quale sia la scintilla che scatena l'incendio autobiografico, la goccia che
porta il soggetto che si racconta a superare gli indugi a passare dall'idea
teorica del dirsi, (analizzato nel primo capitolo) all'atto concreto dello
scrivere (esposto nel terzo capitolo). A proposito dell‟atto concreto dello
scrivere nel terzo capitolo abbiamo anche riportato “estratti” di scritture
autobiografiche reperite on line e non solo, dal primo Archivio dei Diari,
situato a Pieve di Santo Stefano e dalla Libera Università
dell‟Autobiografia sita ad Anghiari. Ma prima di arrivare ai problemi di
ordine pratico, (analizzati sempre nel terzo capitolo) il come raccontarsi,
quali eventi privilegiare, quali omettere o quali camuffare, abbiamo ritenuto
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opportuno rivisitare il quadro storico della letteratura autobiografica
dall'antichità fino al Novecento nel secondo capitolo, cercando inoltre di
comprendere chi è la potente entità/identità che è riuscita a imprigionarsi
in un tragitto a senso unico che abbiamo deciso di identificare per ragioni
di comodo, sotto l'icona di Narciso.
Per spiegare l‟iter specifico della nostra tesi è necessario percorrere un
breve “viaggio”, narrato dai tre capitoli esposti all‟interno di questo
controverso genere letterario, adottando tanto la prospettiva critica, quanto
quella storica puntando l‟attenzione sulle forme e caratteristiche che esso
assume nella società contemporanea.
Il primo capitolo, ambisce a descrivere genericamente il pensiero
narrativo, nello specifico le caratteristiche della narrazione e le sue
componenti, considerato macrotema del ritrovarsi, del ricostruirsi
attraverso la scrittura autobiografica. E‟ molto ambizioso dare un
resoconto completo degli studi che hanno oggetto le scritture narrative e
sarebbe ingenuo ritenere di averlo fatto, per tali motivi ci siamo avvalsi
degli interventi più accreditati, in particolare di quelli di un grande
esponente, Jerome Bruner, per indagare i fondamenti, le strutture ed i
meccanismi di questo genere letterario.
Il secondo capitolo si propone di fare una panoramica letteraria quanto più
precisa e coerente, chiamando in causa le più autorevoli autobiografie
dalle origini al „900 per poi soffermarsi proprio su quest‟ultimo secolo e
analizzare le caratteristiche assunte dal genere autobiografico.
Il terzo e ultimo capitolo, è destinato a dare spazio alle teorie più recenti
sull‟argomento, che vedono nell‟autobiografia la sede delle inquietudini e
dei bisogni dell‟essere umano. Ecco che si parla delle scritture di Sé,
come mezzo di radicamento e rivendicazione della propria identità.
Abbiamo inoltre analizzato come l‟importanza delle scritture
autobiografiche non hanno fatto altro che raggiungere gli estremi più
bizzarri. Da interi libri scritti e raccontati da “dilettanti”, alla creazione in
ambito internazionale di centri dedicati a questo tema, vediamo in Italia
(Archivio di Diari a Pieve di Santo Stefano, e la Libera Università
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dell‟Autobiografia ad Anghiari) e in Francia ( con l‟A.P.A. Association pour
l‟ autobiographie, fondata nel 1922 da Lajeune Philippe) i casi più
significativi.
La citazione dei centri dedicati a questo tema come vedremo nell‟ultimo
capitolo hanno proprio una loro logica qualitativa.
Non abbiamo voluto addentraci troppo profondamente in un argomento
che, pur prestandosi ad analisi molteplici (poco letterarie, ma soprattutto
sociologiche) va ben oltre la letterarietà su cui abbiamo impostato la
nostra tesi.
E‟ stato curioso ed interessante analizzarne le caratteristiche, le funzioni,
e soprattutto scoprire l‟applicabilità degli stessi principi costitutivi delle
autobiografie letterarie.
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CAPITOLO I
SCRITTURE NARRATIVE
1.1 Significato di narrazione
La narrazione ha assunto sempre più valore all‟interno della prospettiva
ermeneutico-interpretativa, che si è andata affermando a partire dalla
seconda metà degli anni Settanta, e che ha portato in primo piano il
concetto di “significato”.
Analizziamo la narrazione, in quanto secondo la quale noi usiamo la forma
del racconto per spiegare gli eventi della vita quotidiana. La capacità di
narrare infatti è considerata da una dimensione fondamentale del pensiero
umano, un modello mentale che permette di organizzare la realtà in una
realtà interpretata. Secondo Bruner la narrazione nasce dal bisogno
umano di comprendere e spiegare il mondo mediante un processo
interpretativo che coinvolge gli uomini nella realtà, nel momento stesso in
cui la raccontano. Il racconto si intreccia con la cultura, diventandone
parte integrante. In questo modo ha luogo il processo basilare di scambio
di significati, che permette agli uomini di far parte della collettività,
condividendo il sistema simbolico culturale. Quando Bruner (2002)
afferma che «i racconti sono la moneta corrente di una cultura»1 intende
dire che la vita collettiva è possibile grazie alla capacità umana di
organizzare e comunicare l‟esperienza in forma narrativa.
All‟interno di questa concezione, la narrazione è vista come l‟espressione
della propria visione della realtà, del proprio punto di vista, delle proprie
credenze e delle proprie intenzioni, che diventano interpretabili. Narrare
racconti è fondamentale per le interazioni sociali. Infatti la narrativa è da
sempre considerata un‟arte popolare, che ha a che fare con le credenze
comuni che riguardano la natura delle persone e del loro mondo. Infatti
successivamente si svilupparono tre caratteristiche strutturali: la referenza
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Bruner J.S. (2002) “La fabbrica delle storie:diritto, letteratura, vita”. Laterza, Roma-
Bari
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a distanza, l’arbitrarietà della referenza e la grammatica dei casi. Queste
tre caratteristiche permettono di parlare di cose che non sono presenti,
senza rievocare le loro forme o dimensioni, e di contrassegnare il corso
dell‟azione umana.Le narrazioni primitive servivano per contraddistinguere
occasioni speciali; e in queste occasioni le storie venivano raccontate dai
narratori di storie. Da questo momento il mondo sociale degli ominidi e il
loro Sé è profondamente cambiato. La narrazione ha la capacità di
modellare l‟esperienza quotidiana, e la finzione letteraria serve a dare
senso alle cose: infatti, con essa collochiamo eventi, oggetti e persone in
un mondo narrativo, cioè in un mondo che è sottoposto alle norme
vincolanti delle convenzioni letterarie. Nella concezione di Bruner la
narrativa, anche quella di fantasia, dà forma a cose del mondo reale e
spesso conferisce loro addirittura un titolo alla realtà.
Questo processo di “costruzione della realtà” è così rapido e automatico
che spesso non ce ne accorgiamo (ivi, pag. 9)2. La funzione del racconto
è quella di aiutare a trovare i problemi e di fornire modelli del mondo. Il
racconto, proprio in quanto metafora, simboleggia il mondo al di là delle
cose particolari alle quali si riferisce direttamente. Il potere della metafora
dà al racconto la spinta per modellare il mondo e le menti che provano a
dargli i suoi significati. Le storie, dunque, rappresentano lo strumento
fondamentale per caratterizzare le azioni umane e per stabilizzare
l‟esperienza. Il modello narrativo costituisce un principio interpretativo e
organizzativo di tutte le manifestazioni della condotta umana, poiché è
usato dagli uomini per costruire la loro immagine del mondo, nel quale
agiscono con delle intenzioni. Allora, la narrativa, pur essendo un evidente
piacere, è una cosa seria. Nel bene e nel male, è il nostro strumento
preferito, forse addirittura obbligato, per parlare delle aspirazioni umane e
delle loro vicissitudini, le nostre e quelle degli altri. Le nostre storie non
solo raccontano, ma impongono a ciò che sperimentiamo una struttura e
una realtà irresistibile; addirittura un atteggiamento filosofico (ivi, pag.
2
Bruner J.S. (2002) “La fabbrica delle storie:diritto, letterature, vita”. Laterza, Roma-
Bari